L’Est più vicino – 2
(scritto alla fine degli anni Novanta)
(continua da https://gognablog.sherpa-gate.com/lest-piu-vicino-1/)
Anche per gli sloveni, il decennio degli anni ’80 fu la transizione dall’alpinismo classico a quello moderno. Subito emerse un arrampicatore instancabile, Franček Knez. La tuta da ginnastica sostituì i pantaloni alla zuava e le scarpette pensionarono gli scarponi di pelle. Knez aveva in Buhl il suo idolo, ma aveva idee ancor più chiare sulla propria attività. In venti anni di carriera salì oltre 2.500 vie sulle pareti di tutto il mondo, delle quali più di 700 nuove, tralasciando le vie brevi di allenamento. Solo sul Triglav ha aperto almeno 35 vie oltre il sesto grado e così anche sulle muraglie del Šite e del Travnik: con compagni diversi, per intere stagioni si dedicava a nuovi itinerari, sacrificando lavoro e possibilità di una vita più regolare. Tra le tante, ricordiamo la via Algebra sul Travnik (IX-, A0), aperta con Silvo Karo nel 1985.
Anche qui vi furono interminabili discussioni sull’abbandono delle vecchie etiche. Fu grande merito di Iztok Tomazin l’aver portato dall’America le nuove tecniche e la voglia di «liberare» i vecchi itinerari. Così dal 1978 in poi furono ripercorsi tutti gli itinerari classici, con passaggi fino al VII+. Autori di queste imprese sono Knez, Karo e Tomazin, assieme a Matjaž Ivnik, Rok Kovač, Bogdan Bisčak, Igor Škamperle, Šreco Rehberger, Janez Skok, Janez Jeglič e Pavle Kozjek.
Nel 1981 il grande tentativo sulla Sud del Lhotse precede una pazzesca avventura sulla Sud del Dhaulagiri: entrambe le spedizioni rimangono dei caposaldi nella storia. Nella prima, Knez e Vanja Matijevec raggiunsero gli 8250 m di quota in stile alpino dal campo VI; nella seconda si sfiorò più volte la tragedia in un’avventura il cui racconto non può essere costretto in queste poche righe. Dopo il 1981 cambiò l’attitudine dei migliori arrampicatori verso l’Himalaya. Le spedizioni nazionali persero il loro significato e aumentò il numero delle piccole spedizioni organizzate da singole sezioni o singoli alpinisti. Anche l’Himalaya non fu più l’unico oggetto del desiderio. Nel 1982 gli sloveni aprono una nuova via sulla Sud dell’Aconcagua e nel 1983 è la volta del diedro accanto al Pilastro Goretta sul Fitz-Roy (Knez, Karo e Jeglič). Nello stesso tempo continua un alpinismo esplorativo coerente con la tradizione. Il gruppo dove maggiormente si rivolsero i giovani fu quello di Martuljek, dove svetta lo Špik ma figurano altre pareti estremamente impegnative. È qui la Široka peč, una parete assai friabile, forse la più marcia di tutte le Giulie. Rado Fabjan è l’unico che può vantarsi di aver salito tutte e venti le vie di Široka peč. È qui che si mette in luce il grande Tomo Česen, salendo da solo nel 1985 la via Skorpion. Oggi, nell’epoca del X e XI grado, le vie più difficili di quell’epoca danno molto da fare a quei pochi che decidono di ripeterle. Era forse più facile allora adeguarsi alle scarpette e alla magnesite che oggi tornare ai chiodi e al martello.
La cordata Karo-Knez-Jeglič, dopo un rodaggio nel 1984 sulle vie «liberate» fino all’VIII (valga per tutte la via Ključsreče sulla Nord del Triglav), sale la parete est del Cerro Torre nel 1985 (con Pavle Kozjek e Peter Podgornik) e il diedro sud-est del Cerro Egger nel 1986, attualmente tra le più difficili della Patagonia. Knez, con Frešer, sale la Smer norosti (via della follia) sulla Nord del Vršac, ancora irripetuta.
Nel 1984 i giovani di Postumia salirono al Votli vrh per la via Znamenje ob poti (VII, A2, A3, 750 m): una via che fu ripetuta solo nel 1989, dopo aver respinto molti tentativi. L’etica dei primi salitori fu rispettata e non fu piantato nessuno spit, nonostante la precarietà delle assicurazioni.
Ma la tendenza andava al contrario. Negli anni ’90 l’arrampicata sportiva migliora a tal punto le capacità che le pareti non possono più offrire terreno valido per i più forti. Sembra una contraddizione, ma in effetti le vie più difficili sono ormai «facili» per un’élite che, oltre a percorrere gli itinerari di X in palestra ben protetta, è in grado di salire l’VIII in montagna. Oltre occorrerebbe spittare, e questa scelta è ancora controversa. I più bravi si sono dedicati alle solitarie. Per merito di Slavko Svetičič, Knez, Jeglič e Česen tutte le grandi classiche fino al VI+ sono state percorse in solitaria, anche invernale, e in libera. Con questa scuola Česen poté nel 1986 fare il concatenamento delle tre grandi nord delle Alpi, offuscato solo da Profit che lo precedette…
Il 1987 vede la salita della parete sud del Cerro Torre (VII, A3, A4, 75°, 1200 m, Jeglič-Karo); Česen sale da solo e d’inverno la via No Siesta sulle Grandes Jorasses, Knez supera i 1200 m di una via nuova sulla Nameless Tower (Torri di Trango) che un anno più tardi Kurt Albert e Wolfgang Güllich confermarono di VIII+. Nel 1988 Knez apre due vie nuove al Meru (Himalaya del Gahrwal).
L’inverno 1988/89 era mite e senza neve, ma Česen salì da solo quattro vie impressionanti: Črni biser, Zarja, Sveča e Črna zajeda, tutte sulla muraglia settentrionale del Travnik-Šite. Tutte prove generali per la parete nord dello Jannu, nel 1989. In quell’anno, Knez riesce anche, con la moglie Andreja, sulla parete sud-ovest del Bhagirati II (VIII+, 600 m).
Il 1990 vede la salita di Česen alla Sud del Lhotse, così celebre da non meritare neppure commento, praticamente al di fuori della storia, come tutte le grandi imprese: offuscata solo da piccoli particolari, da disattenzioni che urlano ancora una volta la differenza che c’è tra il mondo reale e il mondo dei visionari concreti. Svetičič sale d’inverno e da solo in 26 ore la via Harlin alla parete nord dell’Eiger (un mese, in stile himalayano, per la prima ascensione nel 1966): «la presenza d’un compagno è un tormento. Conto troppo sull’amico sapendo che, se su un passaggio non riesco io, lo potrà sempre superare lui». E poi ancora: «Le invernali sulle Giulie? Un’esperienza ributtante, un freddo terribile. Fessure piene di ghiaccio, impossibilità di salire con le scarpette… Nel 1985 ho praticamente chiuso con questo tipo di salite. Poi gli inverni son cambiati. Meno neve e meno freddo. Così poco a poco mi sono riavvicinato alle salite invernali». Il seguito della storia diventa cronaca, sempre più confusa perché ancora mancano i raffronti.
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Propongo che, nella richiesta per ottenere la convalida di una ascensione invernale, debba essere allegato bollettino nivo-meteo certificato. In difetto, l’ascensione non sarà convalidata.
Insomma, obbligo di White Pass.
Milan Romih è un mio caro amico, un forte alpinista nonché guida alpina tutt’ora in attività di Slovenia Bistrica
Hai ragione, mi riferivo al fatto che negli anni ’60 e anche ’70, si scatenò una feroce polemica da cui prevalse la posizione per cui si consideravano invernali solo quelle ascensioni (si sta parlando di “prime invernali”, in genere, o cmq di salite di rilievo) compiute fra il 21 dicembre e il 21 marzo. La polemica era esplosa perché altri avevano realizzato alcune ascensioni “invernali” fuori dal trimestre rigorosamente invernale, esempio il 10 dicembre, e affermavano che le condizioni climatiche e della montagna non erano differenti fra il 10 dicembre e il 21 dicembre. I rigorosi invece si contrapponevano fermamente dicendo che anche 15 gg potevano fare la differenza. Ovviamente ciascuno aveva degli interessi sottostanti per tirare acqua al suo mulino. Oggi che gli inverni “non sono più quelli di una volta”, forse non è così campato per aria riconsiderare completamente il concetto di ascensione invernale… A volte in gennaio ci sono 20 gradi al sole, e magari nel novembre precedente o nell’aprile successivo ci sono condizioni climatiche e della montagna molto severe…
Carlo, scusa se ti do del Tu, io credo che a Nord in inverno, sia ancora per pochi… lo dimostrano i fatti.
La comodità piace a tutti , il freddo e la neve, anche se non a metri come negli anni 80, a pochi…
Poi se scali picche e ramponi è un altro tipo di invernale, su questo si ci sarebbe da discutere…
Saluti
Ivo
Bell’articolo che analizza in modo sistematico la storia di una scuola alpinistica (quella slovena) non così conosciuta fin nei minimi meandri. La frase finale di Sveticic apre un bel punto di riflessione, non solo per le Giulie ma ovunque: con gli inverni più miti dei tempi attuali (conseguenza del riscaldamento climatico), le ascensioni invernali sono ancora delle vere “invernali”?