Lettera a Manera

Lettera a Manera (GPM 070)
di Gian Piero Motti (1980)

Lettura: spessore-weight(5), impegno-effort(3), disimpegno-entertainment(2)

Caro Ugo, scusami se ti scrivo a macchina, ma così per te è più facile capirmi e io faccio anche meno fatica: non sono più tanto abituato a scrivere a mano. Un po’ di tempo fa mi è capitato tra le mani il tuo articolo sulla Gervasutti all’Ailefroide e devo confessarti che quando accenni al periodo in cui s’arrampicava insieme, un pochino mi sono commosso.

Tu dici che l’evoluzione del mio pensiero mi ha portato lontano dalle grandi pareti. Molti in questi anni hanno creduto bene di confezionare su misura un sacco di interpretazioni sul mio modo di vivere, sulle mie scelte, sul mio modo di pensare. Ma io ti posso assicurare che nessuno, veramente nessuno ha colto nel segno, o nemmeno si è avvicinato alla verità. Tutti più o meno sono stati ingannati dalle apparenze. Oggi molti vivono di parole, di bei discorsi, ti citano a memoria interi libri che hanno letto, belle frasi che fanno effetto, peccato che quasi nessuno parli per esperienza vissuta.

Gian Piero Motti, En Vau, Calanques, 31 marzo 1972

Perché dunque ti scrivo? Ti scrivo perché ti ho sempre stimato come una persona che ama i fatti e che, se si impegna in qualcosa, lo fa seriamente. E che pertanto non sciupa le parole. Ciò che ricordo con più nostalgia di quel tempo è la determinazione con cui io e te agivamo, il furore che ci animava, il desiderio di scoprire il nuovo, il mistero e l’ignoto, la gioia di farlo conoscere agli altri. L’amore per l’avventura con la “A” maiuscola. Credi forse che non abbia mai rimpianto i giorni della Mezzenile, quelli della Castello, quelli delle invernali, quelli delle grandi pareti, come tu dici, sia che fossero tra i prati, come tra le altezze del Bianco? Ma già quando andammo alle Petites Jorasses capii che qualcosa era finito, che una forza enormemente più grande e più forte di me mi allontanava con decisione dal Giardino dei Cristalli, dove era bello giocare, per chiamarmi a un lavoro oscuro, terribilmente difficile e ingrato. Un lavoro compiuto e da compiere tutto con il pensiero, dove si incontrano pareti immense, sconfinate, da affrontare in una solitudine che non lascia speranze. Ecco allora che ogni gesto, ogni scelta, ha un suo motivo di essere.

Ciò che appare è un’immagine ingannevole. E ciascuno allora prende l’immagine che più gli fa comodo e la usa a suo piacere. Discutere, spiegare, ribattere, non serve a nulla. Così già nel giugno del ’75 dovetti tacere in silenzio e subire con tanta amarezza insinuazioni, calunnie, cattiverie di ogni sorta. E poi via di seguito. Mi consola una cosa: che quando un giorno apparirà la verità (e apparirà) sarà la sua forza a tappare la bocca a tutti. Ora io non ti ho certo scritto per darti ragione di certe cose. Ti ho sempre stimato e ti ho sempre tenuto fuori dai giochi di pollaio. Ti ho scritto solo per dirti una cosa: conserva l’immagine del tuo amico che avevi accanto a te nelle grandi pareti. Credimi, non è affatto cambiata.

Un giovane Gian Piero Motti (a ds) su una vetta della val di Lanzo. Foto: Archivio Famiglia Motti

Non credere e non prestare orecchio a chi ti presenta un’immagine differente. Si dice: è un intellettuale, è esaurito, posa, racconta balle, gioca, è drogato, si interessa di occultismo… ce ne sono tante. Il tuo amico in tutto questo periodo non ha mai giocato e non ha mai scherzato. E sempre stato perfettamente lucido e cosciente. Il tuo amico era impegnato in un’impresa al di là del credibile, al di là dei sogni, al di là della fantasia stessa. Il tuo amico a quest’impresa ha dato tutto se stesso, tutte le sue energie, anche la sua vita.

Per chi? Perché? Un giorno certamente lo saprai. Ma durante tutti questi anni, sovente come Ulisse sbattuto per i mari, in mezzo ad avventure terrificanti dove si affrontano mostri, streghe, uomini e dei, il tuo amico pensava alla sua pietrosa Itaca, a quei giorni passati sulle grandi pareti.

Ma dimmi, sono forse ancora così come noi le vedevamo? Certo le montagne sì, sono immutabili nel tempo. Ma a me pare che gli uomini siano cambiati. Ricordi? Allora c’era quasi un’atmosfera magica e quasi sacra: forse eravamo in pochi. O forse lo spirito con cui si andava era diverso. Certo quell’aria l’ho trovata negli spazi immensi e sconcertanti del deserto e so che anche a te piacerebbe quell’avventura.

Gian Piero Motti in libera

E poi c’è una cosa e te la dico nell’orecchio, proprio perché nessuno ci senta: nel casino attuale, nell’ignoranza e nel malinteso, mi è sempre piaciuto il tuo spirito nello scegliere le pareti più selvagge e feroci, dove sembra rifugiarsi quell’atmosfera di cui si parlava. Vedi Ugo, credo di non essere stato capito, ma non importa. Tutti hanno creduto che io volessi dire: basta con l’alta montagna, solo più i sassi.

Che peccato! Io volevo soltanto dire: chissà se un giorno saremo così intelligenti e umili da poter finalmente accedere nel regno delle grandi pareti senza pagare un prezzo di dolore. Si è frainteso tutto. Non si è capito che la montagna resta sempre la montagna, è l’uomo che deve mutare.

Ho un ricordo quasi perfetto: quello della salita alla Tête d’Aval. Ma ho anche dei sogni e dei desideri. E chissà se un giorno, in un mondo nuovo e più semplice, ci si troverà ancora sulle grandi pareti per vivere avventure senza fine.

Con amicizia, Gian Piero

Lettera a Manera ultima modifica: 2019-05-24T05:40:01+02:00 da GognaBlog

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