Libertà e orientamento giuridico – 2
(Skialp, studio giuridico e comparato Italia-Svizzera – 2)
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Il Progetto Skialp@gsb è uno studio giuridico comparato Italia-Svizzera sulla promozione della pratica dello scialpinismo tra la Valle del Gran San Bernardo (AO) e la località svizzera di Verbier. E’ coordinato e diretto da Waldemaro Flick, Fondazione Courmayeur Mont Blanc.
La serietà con la quale in questo studio viene affrontata la complessità dell’argomento ne fa una lettura di interesse ben al di là dell’ambito locale. Abbiamo suddiviso Il Progetto Skialp@gsb in dieci puntate, nella certezza che ciascuna di queste risponderà a parecchie delle domande che da anni si fanno molti appassionati della neve.
Lo studio è articolato in tre diversi capitoli: Profili di diritto civile, Profili di diritto penale e Svizzera parte generale.
Nel testo abbiamo aggiunto qualche nota in rosso: sono considerazioni della Redazione di GognaBlog.
Profili di diritto civile – 02 (paragrafi 02-04)
(antropizzazione di una valle alpina e responsabilità in caso di caricamento online di tracciati scialpinistici in Italia)
a cura di Maurizio Flick (avvocato in Genova, componente del Comitato scientifico della Fondazione Courmayeur Mont Blanc) in collaborazione con Fondazione Montagna Sicura.
(Collana “Montagna, rischio e responsabilità”, n. 24)
4. Il gestore delle aree sciabili attrezzate: sinistro in pista e fuoripista
Lo sci alpino coinvolge in Italia circa 4 milioni di appassionati, in Europa 20 milioni e nel mondo 60 milioni. La realtà odierna è decisamente differente rispetto agli inizi del ventesimo secolo, quando pochi gruppi di persone si avventuravano in montagna anche d’inverno, salendo con gli sci, muniti di pelli di foca, sulle cime.
L’elevato numero di praticanti, il preoccupante aumento di incidenti anche mortali in pista e fuoripista e il complicato intreccio di interessi che gravitano attorno al mondo dello sci hanno posto, con urgenza sempre maggiore, problemi di regole e, più in generale, di governo e disciplina del fenomeno. Questa materia è stata regolamentata per molto tempo dalla Legislazione Regionale, che ha legiferato in modo massiccio e talvolta improprio (22).
Al fine di risolvere tali questioni, è nata una richiesta di intervento del Legislatore nazionale, per fare sì che anche in Italia fosse presente una normativa omogenea che regolasse la pratica dello sci e degli altri sport invernali in modo uniforme. Queste richieste hanno portato all’emanazione della Legge 24 dicembre 2003, n.363.
La legge porta il titolo “Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo” ed è composta da 23 articoli raccolti in quattro capi.
Può dirsi, finalmente, che è presente una legge nazionale sulla montagna. Quello che preme notare è che la legge 363/03 è sicuramente un passo in avanti che, però, ha solo parzialmente armonizzato le disparate normative già presenti. Rimane da chiedersi se con questa legge si siano affrontate le questioni principali che dovrebbero essere poste a monte di tutte le problematiche relative allo sci su pista, in buona sostanza, se siano stati affrontati concretamente i problemi del risarcimento del danno con riguardo al diritto sostanziale e dell’onere della prova con riguardo al diritto processuale.
Il problema è stato da tempo affrontato, ed in parte risolto, dalla dottrina e dalla giurisprudenza più avvertita, che hanno elaborato la figura del cosiddetto “contratto di skipass” o “contratto bianco”. Si tratta di un contratto atipico (23), figura questa non prevista dal nostro ordinamento e tanto meno dalla nuova legge (24).
In buona sostanza, la causa (25), in tale negozio non è tanto il trasporto, ma l’attività complessiva che consiste nel poter “salire e scendere”, ovvero di “un trasporto funzionale all’attività sciistica su piste sicure” (26). La disciplina di questo contratto atipico va individuata nelle norme generali del contratto (art. 1323 e ss. c.c., tra cui rileva l’art.1341) e sull’adempimento (artt.1218 ss., 1175 e 1176 comma 1 c.c.), nelle norme di contratti specifici, applicabili per analogia (artt.1678 ss. c.c.) come pure l’art.1374 c.c., per l’integrazione (27). L’indirizzo del rapporto contrattuale unitario è stato in principio accolto dal Tribunale di Modena (28) il quale ha stabilito che il gestore di impianti di risalita che emette lo skipass assume la veste di vettore ed è contrattualmente responsabile anche per la fase di discesa sulle piste di cui abbia la manutenzione.
Le conseguenze di tale figura giuridica sono estremamente importanti, perché influiscono direttamente sulla possibilità di far valere concretamente o meno i diritti dello sciatore in sede processuale, e perché modificano direttamente le regole relative all’onere della prova.
Con riferimento alle potenziali responsabilità che potrebbero essere imputate al gestore di un’area sciabile attrezzata rispetto al progetto Skialp, un’importante questione da affrontare riguarda i luoghi in cui può verificarsi il sinistro. In particolare, nel progetto di antropizzazione della Valle del Gran San Bernardo, uno dei problemi principali potrebbe essere quello della caduta di valanghe e se la valanga si sia verificata in un’area sciabile, ovvero al di fuori. L’utilizzo di strumenti meccanici, l’utilizzo di piste predisposte da un gestore in montagna segnano difatti uno spartiacque tra due concezioni opposte della montagna con ripercussioni anche sugli effetti giuridici.
È chiaro che, rispetto all’ipotesi del progetto oggetto di approfondimento, la responsabilità del gestore delle piste da sci può considerarsi marginale. O meglio, se il tracciato caricato dalla pubblica amministrazione online coincide, anche solo in parte, con una pista da sci, le responsabilità in capo al gestore rimarranno tendenzialmente quelle “tradizionali”, soprattutto qualora il sinistro si verifichi sulle piste. Il tema potrebbe ampliarsi qualora il gestore metta a disposizione i mezzi di risalita da cui potrebbe prendere piede un fuori pista tracciato e pubblicizzato tanto dal pubblico amministratore quanto dal gestore dell’area sciabile (v. infra).
Possiamo sostanzialmente distinguere tre ipotesi in cui il gestore delle aree sciabili potrebbe essere chiamato a rispondere: l’ipotesi di responsabilità per i sinistri che si sono verificati in pista, le ipotesi di responsabilità per sinistri che si sono verificati fuori pista e, infine, i casi ibridi, cioè al confine tra pista e fuoripista.
4.1 Responsabilità del gestore delle aree sciabili in caso di sinistro su pista
Partiamo dal caso della valanga sulle piste da sci. La responsabilità per i danni causati dalla valanga potrebbe ricadere teoricamente sia sul gestore delle aree sciabili, che sullo sciatore, che sulla P.A., ovvero su tutti e tre i soggetti.
In casi come questo, la prima, la responsabilità in capo al gestore, è certamente la tesi che trova maggior seguito in dottrina e in giurisprudenza. Difatti, anche in assenza di norme specifiche, come quelle approvate ad esempio in Valle d’Aosta (29), è pacifico che il gestore delle piste è tenuto contrattualmente ad assicurare l’incolumità di coloro che frequentano le piste stesse. La Legge 363/03: i. all’art. 3 pone a carico dei gestori l’obbligo di assicurare “agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza, provvedendo alla messa in sicurezza delle piste secondo quanto stabilito dalle regioni” nonché “di proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste mediante l’utilizzo di adeguate protezioni degli stessi e segnalazioni della situazione di pericolo”; ii. all’art. 4 stabilisce che i gestori sono “civilmente responsabili della regolarità e della sicurezza dell’esercizio delle piste”.
Si tratta di una responsabilità contrattuale, per cui in un giudizio civile di risarcimento danni sarebbe onere del gestore ex art. 1218 c.c. dimostrare che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (30). In pratica, al malcapitato che si rivolgesse all’avvocato dopo esser stato sorpreso da una valanga in pista verrebbe facilmente suggerito, in primo luogo, di citare in giudizio il gestore delle aree sciabili (31). In giurisprudenza vi sono anche casi in cui viene addebitata al gestore delle piste una responsabilità ex art. 2050 c.c. per esercizio da attività pericolosa e ex art. 2051 c.c., da cose in custodia (32).
Tendenzialmente, in questi casi, la responsabilità del gestore può essere esclusa solo in tre ipotesi: a) caso fortuito, ovvero un evento imprevedibile e inevitabile da parte del gestore (spesso è difficile definire “fortuita” una valanga in montagna… è il caso della valanga che cade in un luogo dove era assolutamente imprevedibile e negli anni mai si erano visti precedenti in tal senso); b) forza maggiore (ad es. eventi naturali che si manifestano in qualità o quantità non prevedibili tipo una slavina, la valanga causata da un fortissimo terremoto), ovvero il fatto del terzo che causa una valanga (è il caso del soccorritore che causa la valanga mentre cerca di raggiungere un ferito); c) fatto del danneggiato stesso (ad esempio colui che si trova su una pista chiusa e causa una valanga di cui rimane vittima).
Nell’ipotesi di forza maggiore e di fatto del danneggiato, tuttavia, per escludere la responsabilità del gestore delle piste è necessario che il fatto del terzo o del danneggiato stesso siano causa esclusiva del danno, cioè, ad esempio, che la valanga non si sarebbe verificata senza il passaggio dello sciatore Tizio.
In generale, in caso di valanga su pista, lo sciatore vittima dell’incidente in un giudizio civile nella maggior parte dei casi dovrà esclusivamente dimostrare di essere titolare dello skipass, di aver subito un danno e che esso è stato causato dalla valanga caduta sulla pista. È chiaro che lo sciatore, in questo caso, si è affidato ai servizi offerti dal gestore dell’area sciabile.
Viste le premesse, il gestore, ad oggi, sembrerebbe trovarsi in una situazione particolarmente gravosa, con un onere della prova che può definirsi “diabolico” per andare esente da responsabilità.
Per cautelarsi concretamente da incidenti da valanga, l’unica cosa che può fare, quando ne ricorrono i presupposti, è chiudere la pista (segnalandolo opportunamente) e stipulare un buon contratto di assicurazione (33).
Sotto il profilo della prova da fornire da parte dell’attore, a parte l’ipotesi remota in cui l’utente si limiti a fondare la propria azione sull’art. 2043 c.c. – ipotesi nella quale l’onere sarà interamente a suo carico – non molta differenza vi sarà, a seconda che questo decida invece di invocare l’art. 1681 c.c., piuttosto che la norma generale di cui all’art. 1218 c.c., ovvero le speciali regole di responsabilità extracontrattuale di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c., ove si concordi in merito alla loro applicabilità (34).
In tutti i casi citati, infatti, ove consti la sussistenza del nesso di causalità, il danneggiato non dovrà provare la colpa del gestore, che è presunta nell’art. 1681 c.c., così come, secondo l’orientamento della Suprema Corte (35), nell’art. 1218 c.c., e che neppure deve formare oggetto di dimostrazione nelle ipotesi in cui si invochi la responsabilità di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c. (36).
Tali conclusioni sono state maggiormente esplicitate dalla Suprema Corte, che ha affermato che, in base al titolo contrattuale della responsabilità del gestore delle piste, spetta all’attore danneggiato provare unicamente la fonte del proprio diritto, potendosi limitare a lamentare l’inadempimento o il non esatto adempimento della controparte all’obbligo di mantenerle in sicurezza, mentre è onere del gestore convenuto dimostrare lo specifico fatto estintivo dell’altrui pretesa. Parimenti, sempre secondo la Cassazione, evocata la responsabilità del gestore ai sensi dell’art. 2051 c.c., sarà quest’ultimo a dover provare le modalità attraverso le quali aveva ovviato alla situazione di pericolo ed eventualmente lo specifico caso fortuito che ha dato luogo all’evento lesivo (37).
L’unica vera e sostanziale differenza fra l’azione contrattuale e quella aquiliana, finisce per essere rappresentata – nelle particolari fattispecie che qui interessano – dal termine di prescrizione. Invocando infatti l’inadempimento delle obbligazioni correlate al trasporto (in relazione ad un incidente che abbia luogo nella fase di risalita), verranno in considerazione i brevi termini previsti dall’art. 2951 c.c., che stabilisce la prescrizione in un anno, decorrente dal giorno del sinistro, dei diritti derivanti dal contratto di trasporto; mentre ove si invochino le regole generali in materia di inadempimento, verrà in considerazione l’ordinario termine di prescrizione decennale previsto dall’art. 2946 c.c.. Per contro, invocando la responsabilità da fatto illecito, verrà in considerazione l’art. 2947 c.c., che prevede il termine di prescrizione quinquennale, ma precisa anche (3 comma) che se il fatto è previsto dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga (nei casi che ci interessano si tratterà in particolar modo del reato di lesioni personali di cui all’art. 582 c.p., che soggiace al più lungo termine di prescrizione di sei anni), questa si applica anche all’azione civile; ed è importante sottolineare che tale ultima regola – come chiarito dalle Sezioni Unite (38) – vale anche nell’ipotesi in cui, pur essendo il reato perseguibile a querela della persona offesa (come accade per lo più per il reato di lesioni personali), la querela non sia stata in concreto presentata e il giudizio penale non sia stato quindi promosso; ciò, tuttavia, a condizione che il giudice, in sede civile, accerti incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi.
4.2 Responsabilità in caso di sinistro fuori pista
L’incidente da valanga fuori pista risponde a regole diverse, per non dire opposte: il danneggiato, qualora volesse dimostrare la responsabilità del gestore (difficile), ovvero della P.A., trattandosi di responsabilità extracontrattuale, dovrebbe non solo dimostrare di aver patito il danno, portando in giudizio tutte le relative prove. Dovrà altresì individuare un nesso causale che colleghi una condotta o omissione del gestore alla valanga. In questi casi, quelli che interessano il progetto Skialp in cui si dà pubblicità della traccia su internet, è opportuno verificare come potrebbe prospettarsi una responsabilità del gestore dell’area sciabile attrezzata.
Rispetto al caso trattato nel paragrafo precedente della valanga su pista è bene precisare che assistiamo ad un’inversione dell’onere della prova.
Qui non è il gestore che deve “scagionarsi”, ma è il danneggiato che ha l’onere di dimostrare la responsabilità del gestore.
Per queste fattispecie la giurisprudenza fornisce dei chiarimenti: è ormai riconosciuto, per quanto riguarda soprattutto lo sci fuoripista, che, praticando tale attività, lo sciatore si assume liberamente e consapevolmente il rischio. Ne deriverebbe dunque – quantomeno teoricamente – un totale esonero di responsabilità della pubblica amministrazione e dei gestori delle piste.
Una prima manifestazione legislativa, quasi una codificazione di questo principio, la troviamo nell’art. 17 della legge n. 363/2003, ove è espressamente previsto che è esclusa la responsabilità del gestore nel caso in cui lo sciatore subisca un infortunio al di fuori del tracciato battuto.
È chiaro che negli spazi al confine tra pista e fuoripista bisognerà valutare di volta in volta. È il caso, ad esempio, delle piste di fatto, di cui si dirà infra.
La responsabilità del gestore delle aree sciabili, nel caso di sci o scialpinismo fuoripista, tendenzialmente, non dovrebbe sussistere né quando egli abbia condotto la persona a monte, né, con le dovute precisazioni, ove lo stesso abbia promosso l’attività di free riding.
Per fare un esempio, qualora un esercente funiviario effettuasse una campagna promozionale per la pratica di free riding, non si dovrebbero in linea teorica poter addebitare responsabilità né al gestore degli impianti né alla pubblica amministrazione per i danni subiti dagli utenti che pratichino tale attività: non sussiste, sempre in linea teorica, né un dovere né un obbligo di protezione, essendovi, al contrario, un’accettazione consapevole e volontaria di tali rischi da parte dell’utente. Questo discorso dovrebbe valere, lo si ribadisce, ancora una volta, quantomeno in linea teorica.
La legge Regione della Val d’Aosta (39) prevede all’art. 7, rubricato “«Sci fuori pista e sci-alpinismo» che: “1. Il concessionario degli impianti funiviari e il gestore delle piste di sci non sono responsabili degli incidenti che possono verificarsi nei percorsi fuori pista serviti dagli impianti medesimi o al di fuori delle aree e delle piste individuate ai sensi dell’articolo 3 della presente legge e della L.R. n. 9/1992. 2. I soggetti che praticano lo sci-alpinismo devono sempre munirsi di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo e tempestivo intervento di soccorso” (40). Tuttavia, questo principio di massima obbliga comunque a cautelarsi. Il gestore deve, soprattutto se pubblicizza l’area per scialpinismo o free ride, ben informare e mantenere una vigilanza sulle strutture che permettono l’accesso alla montagna.
Immaginiamo il caso in cui una funivia trasporti i propri clienti in una zona di alta montagna. All’uscita della stazione di arrivo dovranno essere segnalati sempre tutti i rischi all’alpinista, allo scialpinista, ma anche – e a maggior ragione – al turista inesperto che semplicemente vuole solo ammirare il panorama e si sta avvicinando a un territorio sconosciuto, a rischio e pieno di insidie. Vige, poi, sempre, in capo al gestore, un obbligo di vigilanza sulle strutture che permettono l’accesso al territorio di montagna: con riferimento a zone ad alto rischio – magari una scaletta scoscesa – il gestore dovrà vigilare su tali strutture, soprattutto se le ha predisposte, provvedendo alla loro manutenzione.
Questo dovrebbe essere il limite della responsabilità del gestore nel caso dello scialpinista e del free rider: fornire le adeguate informazioni per rendere consapevole dei rischi il fruitore della montagna. Una volta che vi sia stata un’assunzione consapevole del rischio da parte dell’utente per un’attività pericolosa, dovrebbe essere improbabile che possano estendersi ulteriormente le maglie della responsabilità civile.
Purtroppo, però, questo discorso si scontra con un approccio ancora molto lontano dal concetto di autoresponsabilità, così rendendo le ipotesi sopra prospettate teoricamente valide, ma passibili di essere smentite in un eventuale giudizio civile in nome di una tutela indiscriminata verso coloro che fanno appello sempre e comunque a quel concetto di protezione attesa di cui si accennava nelle premesse.
Nota della Redazione: l’osservazione che Flick fa in questo fondamentale passaggio è alla base di ogni problematica giuridica relativa alla pratica di alpinismo, scialpinismo e similari. Come tra poco l’autore stesso converrà “la questione si gioca principalmente sull’informazione“.
In caso di fuori pista, se comunicati correttamente i rischi, teoricamente, la formula che potrebbe sintetizzare lo stato dei fatti dovrebbe essere la seguente: “Nessuna responsabilità del gestore, totale responsabilità individuale”.
E così, colui che causa una valanga che travolge altri sciatori fuori pista ne dovrebbe rispondere civilmente e penalmente. Non ne dovrebbe invece teoricamente rispondere il gestore (che tendenzialmente nulla può o deve fare fuori dalle piste).
Come già evidenziato sopra, la questione si gioca principalmente sull’informazione.
Vi è allora da chiedersi se i gestori forniscano sempre informazioni corrette e segnalino il rischio con dovizia di particolari agli utenti.
Di seguito riportiamo alcuni casi selezionati da siti internet di primarie stazioni sciistiche.
Fuori delle piste attrezzate, come si accennava, chi scia lo fa con suo buon diritto, ma a suo rischio e pericolo. Pur valida in via generale, questa tesi viene messa immediatamente in crisi da particolari situazioni concrete. Come sopra si accennava, se un impianto di funivia porta utenti e sciatori in cima a una montagna dove non ci sono piste attrezzate per scendere, ma vi si svolge comunque una attività di segnalazione delle piste non battute, si verifica un’assunzione da parte del gestore di obblighi di sicurezza che non rientrerebbe nella Legge n. 363/03 e neanche nelle normative vigenti, assolutamente carenti al riguardo. Il gestore, mettendo a disposizione l’impianto da cui trae profitti, crea l’affidamento negli utenti di poter accedere e sciare su aree non attrezzate. Rispetto ad esse, escluso ogni onere di manutenzione, avrebbe comunque l’onere di segnalare agli utenti che si servono dell’impianto per accedervi, sia il tracciato, sia il grado di difficoltà, sia le insidie non evidenti.
Potremmo affermare che, la regola generale ormai consolidata è quella per cui il gestore, nelle aree fuori pista, qualora il fruitore abbia, volontariamente e coscientemente deciso di affrontare tale percorso, non sarà ritenuto responsabile nemmeno se in quelle aree lo scialpinista andrà a sbattere contro materiali artificiali posti in essere dal gestore stesso (ad esempio rampe, pali, reti, tubi di acciaio o altro) (41).
4.3 Responsabilità e fattispecie ibride: il caso delle piste di fatto
La giurisprudenza tuttavia non si è dimostrata così unanime per quanto riguarda gli infortuni verificatisi nelle c.d. “zone bretella” le zone cioè di confine, strettamente connesse alle piste custodite dal gestore (42). In tali casi sarà necessaria una valutazione case by case per verificare se il fruitore sia entrato in fuori pista coscientemente o solamente a seguito di errore scusante derivante da mancata o scarsa segnalazione o da scarsa diligenza del gestore.
In questi casi la Cassazione ha ritenuto che, a seguito della natura atipica del contratto di fruizione, il gestore sarà tenuto ad una serie di prestazioni accessorie che vanno ben al di là del trasporto da valle a monte. Per cui egli sarà tenuto ad una diligenza adeguata, volta a prevedere determinati pericoli che possano sorgere in capo ai fruitori e sarà tenuto ad attivarsi per evitarne la materializzazione (43). Sarà così tenuto a porre delle reti di protezione in luoghi ove sia più facile e probabile la fuori uscita dalla pista, dovrà attivarsi inoltre ad apporre adeguata segnaletica, ben visibile, volta ad avvisare gli utenti di eventuali pericoli e ad avvisarli sul percorso corretto da seguire (44).
In questi casi, applicando la legge n. 363/2003, ricade in capo al gestore una responsabilità ex art. 2051 c.c.
La circostanza è quella nella quale viene a trovarsi lo sciatore che non si avveda di aver impostato la propria traiettoria in un tratto innevato posto al di là dal perimetro dell’area sciabile e come tale non soggetto agli obblighi di sicurezza del gestore (45). Se può a tal fine essere utile richiamare quanto detto poc’anzi in merito alla necessità che il fuoripista sia efficacemente segnalato, anche in relazione alle situazioni meteo che ci si può attendere interessino l’area sciabile, emerge l’importanza di appuntare l’attenzione sull’affidamento che lo stato dei luoghi può ingenerare nello sciatore (46).
Tuttavia, la delicatezza della questione e le possibili ricadute sociali intese in ambito turistico, non si prestano ad una presunzione di colpevolezza di questo genere: sarà piuttosto necessaria un’attenta valutazione del giudice per indagare sulla condotta del fruitore: se questi si è messo coscientemente in un tracciato fuori pista, al gestore non potrà essere mosso alcun rimprovero, e tale esonero si verificherà anche quando il gestore abbia agito con tutti i mezzi idonei ad evitare la verificazione dei danni (per esempio il fatto che un soggetto esca dalla pista fortuitamente e subisca una forte collusione contro un albero sito a dieci metri dalla pista e non coperto da apposita protezione, non comporterà responsabilità nei confronti del gestore, il quale non può coprire tutti gli alberi della montagna. Inoltre, il fruitore sa, che a fianco delle piste vi sono degli ostacoli naturali e perciò dovrà attivarsi per non assumere condotte pericolose) (47).
4.4 La colpa omissiva
Si potrebbe, nei casi che potrebbero coinvolgere un gestore di aree sciabili attrezzate che mette a disposizione dello scialpinista o del freerider il mezzo di trasporto per raggiungere il percorso tramite la traccia caricata online, ragionare su ipotesi di illecito omissivo atipico. Si potrebbe cioè valutare l’eventuale inosservanza, da parte del gestore delle piste, di un dovere di protezione non previsto da una specifica norma o clausola contrattuale, ma ricavabile implicitamente in base a determinate circostanze, secondo l’orientamento che più si sta affermando in giurisprudenza.
L’ipotesi sembrerebbe principalmente riguardare casi di responsabilità del gestore delle aree sciabili rispetto allo scontro avvenuto tra sciatori tendenzialmente su pista. Certo è che, coi dovuti accorgimenti, i principi di cui si farà ora cenno potrebbero essere mutuati dalle corti anche per ipotesi di responsabilità del gestore delle aree sciabili in caso di sinistro verificatosi su tratti non direttamente rientranti nel concetto di pista (48).
Se si esaminano sotto tale profilo i casi maggiormente significativi decisi dalle corti in ambito sciatorio, si può ricavare il principio per cui l’inerzia rileva quale condotta potenzialmente idonea a determinare una responsabilità civile per omissione, ogniqualvolta si determini una situazione anche di semplice conoscibilità del pericolo del prodursi di danni (49), sulla base di specifici rapporti che si sia contribuito a porre in essere (50) e sui quali venga riposto affidamento (51), o a fronte di informazioni ricevute (52).
Particolarmente interessanti a questo proposito si rivelano alcune decisioni di merito rinvenute sull’argomento secondo cui (53): si segnala infatti quanto affermato, e cioè che «in materia di responsabilità civile, il generale precetto del neminem laedere […] opera pienamente tutte le volte in cui i terzi siano ragionevolmente indotti, sulla base di specifici rapporti pregressi, a fare affidamento su di una determinata situazione giuridica cosicché l’obbligo giuridico di impedire l’evento può nascere oltre che da una norma di legge o da una clausola contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività a tutela di un diritto altrui; fattispecie configurabile quando il soggetto obbligato, pur consapevole del pericolo cui è esposta la situazione giuridica soggettiva vantata dal terzo, si astenga dall’intervenire per impedire che la situazione di pericolo si traduca in una concreta lesione».
Ancora, di particolare interesse si rivela la pronuncia di un’altra corte (54), per la quale «nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento danni da infortunio sul lavoro in cui l’attore deduca la colpevole omissione delle misure antiinfortunistiche, occorre verificare su chi gravasse l’obbligo di impedire l’evento dannoso, non solo sulla base di una specifica norma o di un accordo negoziale, ma anche in ragione di una situazione concreta esigente una determinata attività a tutela del diritto altrui, laddove sia nella possibilità del soggetto, con un minimo di diligenza comune, elidere le potenzialità dannose della fonte di pericolo, ovvero laddove pregresse situazioni abbiano ingenerato un ragionevole principio di affidamento dei terzi nell’intervento altrui».
Le decisioni appena riportate appaiono illuminanti per un civilista sotto un duplice profilo, e cioè: da un lato, emerge con chiarezza dalla prima, come la consapevolezza in base ad informazioni ricevute, ovvero la conoscibilità in base ad elementi univoci, della situazione di pericolo creatasi sulle piste di discesa a valle, esponga il gestore a potenziale responsabilità, rendendo rilevante la eventuale sua inerzia nell’attivarsi per fronteggiare e porre rimedio alla situazione; dalla seconda, invero, sembrerebbe di poter evincere la imprescindibilità del nesso causale fra detta ipotetica inerzia rilevante ed il danno eventualmente provocatosi in pista, laddove infatti la decisione di merito richiamata pone come condizione per affermare la responsabilità del gestore della pista, la «possibilità del soggetto, con un minimo di diligenza comune», di «elidere le potenzialità dannose della fonte di pericolo» (55).
È chiaro infatti che, agli effetti della configurabilità della – concorrente – responsabilità del gestore delle piste, sia che la si faccia derivare da un titolo extracontrattuale (ai sensi delle ricordate disposizioni di cui agli artt. 2043, 2050 e 2051 c.c.), sia che invece la si ritenga inquadrabile nella responsabilità contrattuale (ex artt. 1218 ovvero 1681 c.c.), non è sufficiente che possa individuarsi una condotta omissiva del gestore giuridicamente rilevante perché in violazione di un precetto specifico ovvero generico di solidarietà sociale (56), ma occorre comunque che il sinistro verificatosi possa affermarsi come causato proprio o comunque anche da tale omissione giuridicamente rilevante (57). Soltanto in tal caso potrà invero ricondursi l’accaduto alla sfera di controllo della condotta – attiva od omissiva – del gestore (58).
4.5 Considerazioni di sintesi
Con riferimento al progetto Skialp, tra i diversi scenari sopra prospettati, quello che maggiormente potrebbe realizzarsi è il sinistro fuoripista.
In dottrina si è cercato di enucleare tre tipi di fuori pista cui ci si può approcciare.
Tre diverse ipotesi di fuoripista per lo sciatore. Vengono così definiti: fuoripista cinetico, inconsapevole e volontario (59).
Il primo, il cinetico, identifica l’ipotesi in cui lo sciatore sia proiettato fuori dall’area sciabile per effetto del moto cinetico impresso dalla sua discesa sulla pista (60).
È obbligo del gestore valutare i comportamenti ragionevolmente attesi da parte degli utenti delle piste, e ipotizzare i possibili scenari di caduta. Da questa valutazione tecnica dipende l’obbligo di eliminare ostacoli naturali e/o artificiali posti oltre le palinature e di installare – nei tratti di pista che si reputano interessati dal rischio del fuori pista cinetico – adeguate precauzioni passive, protezioni fisiche e/o reti di contenimento in modo da mitigare il rischio di danno, senza costituire a loro volta un pericolo aggiuntivo per l’incolumità degli sciatori (61).
Diversamente, il fuoripista inconsapevole, spesso coincidente con la figura della pista di fatto, riguarda i casi in cui lo sciatore non si avveda di aver impostato la propria traiettoria in un tratto innevato posto al di là dal perimetro dell’area sciabile e come tale non soggetto agli obblighi di sicurezza del gestore. Ne consegue che il fuoripista deve essere efficacemente segnalato, anche in relazione alle situazioni meteo che ci si può attendere su quella determinata area sciabile: le informazioni indicano l’affidamento che lo stato dei luoghi può ingenerare nello sciatore.
Infine, il fuoripista vero e proprio, quello consapevolmente cercato dallo sciatore, quello su cui spesso preme il marketing e la comunicazione pubblicitaria delle località sciistiche invernali.
È questo il caso che verosimilmente può più interessare il progetto Skialp. Difatti, si possono formulare ipotesi di responsabilità qualora il gestore, per attrarre utenti amanti del fuoripista, reclamizzi in modo esplicito la possibilità di servirsi dei propri impianti per raggiungere la quota e poi lanciarsi in itinerari fuoripista (62).
Se il gestore induce lo sciatore a concludere il contratto di fruizione dell’area sciabile al fine di godere del fuoripista, può poi essere ritenuto contrattualmente responsabile di obblighi di controllo, ove lo sciatore, servendosi degli impianti, si immetta in fuoripista e, percorrendo un itinerario spazialmente non ricompreso nell’area sciabile, incorra in un infortunio o una disgrazia.
Non è sufficiente il semplice richiamo all’art. 17 della legge n. 363/2003 per chiudere ogni discussione in proposito. Difatti, si potrebbe replicare che, promettendo esplicitamente allo sciatore che l’accesso ai propri impianti di risalita consente di solcare bianche distese non trattate e anzi, facendo leva su questa attrattiva per incrementare i propri utenti, il gestore si assuma implicitamente in via negoziale un obbligo di controllo autonomo ed ulteriore rispetto a quello contemplato dalla legge n. 363/200363.
Per tentare di esorcizzare questo esito interpretativo si sono mossi alcuni legislatori regionali, fra cui quello piemontese (64), quello abruzzese (65), ma per il progetto che qui interessa sembra opportuno richiamare la norma che riguarda la Valle d’Aosta.
La legge della Regione Val d’Aosta (66) prevede all’art. 7, rubricato «Sci fuori pista e scialpinismo» che: “1. Il concessionario degli impianti funiviari e il gestore delle piste di sci non sono responsabili degli incidenti che possono verificarsi nei percorsi fuori pista serviti dagli impianti medesimi o al di fuori delle aree e delle piste individuate ai sensi dell’articolo 3 della presente legge e della L.R. n. 9/1992. 2. I soggetti che praticano lo sci-alpinismo devono sempre munirsi di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo e tempestivo intervento di soccorso” (67).
È chiaro come a livello regionale la Valle d’Aosta abbia cercato di individuare una norma tesa a rendere il gestore delle aree sciabili difficilmente imputabile in caso di sinistri. Per altro verso, emerge come egli possa comunque essere chiamato negozialmente a rispondere qualora pubblicizzi l’attività fuori pista nelle zone limitrofe ai luoghi ove trasporta la propria clientela. Ciò evidenzia come, anche ai sensi dell’art. 41 Cost. sulla libertà di iniziativa economica privata, il fine di lucro dato dall’attività imprenditoriale del gestore delle aree sciabili, quantomeno ad avviso di chi scrive, possa comportare anche obblighi di protezione e informazione e ciò anche in presenza di norme che a prima vista sembrerebbero di totale chiusura rispetto a ipotesi di responsabilità.
A questo punto è opportuno concentrare l’attenzione sulle diverse conseguenze nascenti dalla scelta dell’una o dell’altra strategia processuale da parte dell’eventuale danneggiato, fermo il possibile concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (68).
Nel caso che qui interessa, se la traccia caricata online fosse oggetto di pubblicità da parte del gestore delle aree sciabili, potrà ipoteticamente valutarsi una responsabilità in capo a costui qualora non venga fornita un’adeguata informazione.
Per quanto concerne l’onere probatorio posto a carico dell’attore/danneggiato, la scelta di invocare l’art. 1681 c.c. piuttosto che la norma generale di cui all’art. 1218 c.c., ovvero le speciali regole di responsabilità extracontrattuale di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c., non comporterà differenze sostanziali.
Qualora infatti venga accertata la sussistenza del nesso di causalità, il danneggiato non dovrà provare, in quanto presunta, la colpa del gestore ai sensi dell’art. 1681 c.c., ovvero, secondo l’orientamento della Suprema Corte (69), ai sensi dell’art. 1218 c.c., così come la colpa non deve formare oggetto di dimostrazione nelle ipotesi in cui si invochi la responsabilità di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c. (70). Nell’ipotesi che venga invece invocata da parte dell’attore la responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., l’onere probatorio graverà, viceversa, esclusivamente sullo stesso sciatore fuoripista (71).
Note
(22) L’esposizione della normativa attinente alla condotta dello sciatore sulle piste e della sua evoluzione nel tempo può portare a due conclusioni. La prima si identifica con un sintetico principio valido per tutti i soggetti coinvolti nell’attività sciistica: il diritto dovere al “buon senso”. Secondo tale principio, al di là delle prescrizioni normative e delle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali in materia, ciò che più conta è che le persone che si trovano ad interagire in un ambiente naturalmente esposto ai pericoli quale è la montagna, si comportino prima di tutto con autoresponsabilità e raziocinio. La seconda conclusione, concerne lo strano iter percorso in ambito giuridico dalla normativa sciatoria. Infatti, l’autoregolamentazione attuata dalla F.I.S. tramite il Decalogo dello sciatore e soprattutto, la ricchissima e talvolta divergente normativa in ambito regionale, portano ad alcune riflessioni di estrema attualità riguardo alle fonti del diritto. L’auspicata legge nazionale sugli sport invernali n. 363 del 2003, come già accennato lascia alle regioni poteri decisamente ampi. Negli ultimi anni parte della dottrina civilistica ha iniziato ad occuparsi del rapporto tra diritto privato e diritto regionale, chiedendosi se il diritto privato può essere prodotto da leggi regionali. Su questi ultimi aspetti, in particolare cfr. in particolare Vincenzo Roppo, “Diritto Privato Regionale” in Politica del Diritto a. XXXIII, n. 4, 2002 pp. 553 e ss.
(23) L’art. 1322 comma 2 stabilisce che «Le parti possono… concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare». La possibilità di stipulare contratti atipici, “consente ai privati di organizzare le proprie operazioni contrattuali nei modi più conformi alle proprie esigenze, e quindi più idonei a garantire l’efficienza della loro azione”, così, V. Ropp o Il contratto, Milano, 2001 p.422 e ss. La libertà di stipulare contratti atipici può però incontrare limiti in relazione a determinati beni, attività o interessi. In questi casi la legge stabilisce determinati tipi contrattuali e vieta di fare contratti che non si possano ricondurre ad essi, ritenendo che, in tale settore regolamenti diversi da quelli tipizzati, non sistemerebbero in maniera adeguata gli interessi presenti. Il divieto di stipulazione di contratto atipico è presente, per le convenzioni matrimoniali atipiche e per i contratti agrari atipici, ma non discende dalla seconda parte dell’art. 1322.
L’art. 1322 comma 2 stabilisce, infatti, che i privati possono concludere contratti atipici «purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico». Secondo tale disposizione, un contratto merita disapprovazione non in quanto socialmente indifferente, ma solo in quanto socialmente dannoso o pericoloso: cioè in quanto illecito. Di conseguenza i contratti atipici che non sono «diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela» e quindi vietati dall’art. 1322 secondo comma sono quei contratti che sono contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
(24) Uno degli indirizzi interpretativi di esclusione dei profili di responsabilità contrattuale o da inadempimento si basa sulla considerazione che la discesa è effettuata dallo sciatore con mezzi propri e con propria autonoma determinazione vedi Vincenzo Carbone, Il gestore dell’impianto risponde del danno allo sciatore inciampato in un ciuffo d’erba? in Danno e Resp., n.4/2001, p.377.
(25) Nel caso del contratto di “skipass” la causa deve essere riscontrata nel pagamento della somma dello skipass da parte dell’utente, finalizzata ad ottenere una prestazione di servizi che vanno dal trasporto dello sciatore da valle a monte, alla preparazione, innevamento e battitura delle piste, al servizio di pronto soccorso nel caso di incidente, si è dunque in presenza di un contratto di “utilizzo” di una struttura predisposta per permettere la pratica di una determinata attività sportiva, concluso attraverso un comportamento concludente. Massimo Viola, La responsabilità civile nell’incidente sciistico, 2002, Forlì, p.52.
(26) Così si è espressa per la prima volta, ma solo incidenter tantum, la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza 2216 sez. III civile del 15/2/2001 est. Petti in Danno e Resp., n.4/2001, nota di Vincenzo Carbone, cit., p. 372.
(27) Cfr. Viola op. cit. p.52.
(28) T. Modena 12 novembre 1990 in Dir. Trasporti 1992, p.579. Il Tribunale per argomentare la propria decisione è partito dalla constatazione che il gestore si propone allo sciatore quale soggetto obbligato sia per la fase del trasporto, sia per la successiva discesa. È questa duplice posizione del gestore che, secondo il Tribunale induce “il contraente del contratto di trasporto a ritenere in buona fede la controparte obbligata non solo a garantire l’utilizzazione sicura dell’impianto di risalita, ma anche una pista priva di insidie non segnalate e difficilmente fronteggiabili anche con una particolare perizia”. Come sostiene il Tribunale da ciò conseguirebbe che la violazione di tale obbligo comporterebbe, accanto ad una responsabilità extracontrattuale del gestore, ricollegabile al suo ruolo di custode della pista (art. 2051 c.c.) anche una responsabilità per inadempimento contrattuale.
(29) Sulla legislazione cfr. l’importante contributo fornito in dottrina dal recentissimo studio di Pasquale Costanzo, Roberto Louvin, Lara Trucco, Lineamenti di Diritto costituzionale della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Torino, 2020. Nello specifico, per quanto qui interessa, si rinvia alla legge Regione Val d’Aosta legge regionale 15 novembre 2004, n. 27, recante «Disposizioni in materia di sicurezza sulle aree destinate alla pratica degli sport in-vernali. Modificazioni alla legge regionale 17 marzo 1992, n. 9 (Norme in materia di esercizio ad uso pubblico di piste di sci), da ultimo modificata dalla legge regionale 15 dicembre 2000, n. 34», prevede all’art. 7, rubricato «Sci fuori pista e sci-alpinismo»: “1. Il concessionario degli impianti funiviari e il gestore delle piste di sci non sono responsabili degli incidenti che possono verificarsi nei percorsi fuori pista serviti dagli impianti medesimi o al di fuori delle aree e delle piste individuate ai sensi dell’articolo 3 della presente legge e della L.R. n. 9/1992. 2. I soggetti che praticano lo sci-alpinismo devono sempre munirsi di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo e tempestivo intervento di soccorso”.
(30) In caso di azione ex art. 2051 c.c. il gestore delle aree sciabili attrezzate per andare esente da responsabilità dovrebbe dimostrare il caso fortuito.
(31) In ogni caso, al vettore-gestore non può non essere imposto un dovere di diligenza che ricomprenda ogni cautela, nonché la predisposizione di ogni mezzo idoneo a scongiurare il verificarsi di sinistri, anche in relazione alle specifiche circostanze del caso singolo. L’esigenza di osservare una stringente diligenza trascende l’interesse del singolo utente, poiché afferisce alla tutela di interessi collettivi, ricollegabili al diritto alla sicurezza e all’incolumità pubblica. In tale contesto, la portata concettuale dell’idoneità delle misure adottate per evitare il danno, nonché l’apprezzamento della normale diligenza osservata, che il vettoregestore deve provare di aver usato, comporta un onere probatorio maggiormente gravoso, poiché occorre dimostrare di aver anche osservato i rigorosi principi dettati dalla disciplina pubblicistica (36) e dalla normativa comunitaria, ispirata dall’esigenza di garantire la piena sicurezza dell’esercizio. La disciplina tesa a garantire la sicurezza, infatti, è stringente; basti pensare che, nelle norme di progetto e di costruzione, è prevista, per la materia nivologica, non solamente la responsabilità dell’esercente per quanto attiene al piano di gestione della sicurezza, ma tutta una serie di imposizioni, tra cui la dichiarazione di immunità dal pericolo di valanga (art. 7. comma 6. n. 7. d.m. 4 agosto 1998 n. 400). Si tratta di dettagliate norme di sicurezza, prescritte da una complessa disciplina specifica (ad esempio l’art. 3 r.d.l. 7 settembre 1938 n, 1696, conv. nella 1. 5 gennaio 1939 n. 8 e mod. dal D.P.R. 28 giugno 1955 n. 771), la cui osservanza è assicurata anche da visite « di ricognizione ». da parte di apposite Commissioni di controllo, volte ad accertare la costante sussistenza del rispetto delle sopra menzionalo norme di sicurezza (per le funivie, v. l’art. 31 d.P.R. 19 ottobre 1957 n. 1367, come mod. dal d.P.R. 11 luglio 1980 n. 753 e dal d.P.R. 9 maggio 1994 n. 608), nonché i vari decreti ministeriali, costantemente adottati (tra i più recenti il d.m. 4 agosto 1998 n. 400 ed il d.m. 5 dicembre 2003 n. 392), con riguardo a tutti i tipi di impianti a fune (per le ferrovie e le tramvie in concessione, v. l’art. 102 t.u. 9 maggio 1912 n, 1447). A tutto ciò si aggiunga che — come già si è rilevato — le stesse concessioni dei servizi in esame si fondano su rigide valutazioni di pubblico interesse (37) e, in particolare, si ispirano alla norma, in concreto, dell’«incolumità pubblica». come si evince, tra l’altro, dall’art. 6 r.d.l. 7 settembre 1938 n. 1696.
(32) In questo senso, Cass. civ., 17 settembre 2013, n. 21241, in Pluris, che ha ritenuto non imprevedibile la circostanza del formarsi di ghiaccio nei pressi di un cannone sparaneve; inoltre, Cass. civ., 10 febbraio 2005, n. 2706, in Danno e resp., 2005, p. 837, con nota di M. Calabrese, che ha ritenuto che l’eventuale condotta colposa dello sciatore (che aveva riportato lesioni a causa dell’urto, conseguente a caduta, contro un palo di legno non imbottito della recinzione) non potesse rivestire i caratteri della imprevedibilità ed escludere quindi la responsabilità ex art. 2051 c.c. del gestore: si legge, nella motivazione della sentenza citata che «in una pista da sci frequentata da utenti dei più diversi livelli di capacità tecniche, la perdita dell’equilibrio, ed i movimenti incontrollati che essa comporta, è fatto prevedibile che rende pericolosi tutti gli ostacoli che vi siano eventualmente apposti e che è alla stregua di queste peculiari caratteristiche che, indipendentemente dalla previsione normativa di specifiche cautele, solo recentemente imposte dalla legge 24 dicembre 2003, n. 363, avrebbe dovuto essere verificata la presenza o meno di una colpa nella scelta operata sulla convenienza della costruzione artificiale e, soprattutto, sulla necessità o meno di particolari protezioni delle strutture rigide».
(33) Peraltro, è bene precisare che quella del gestore non è una responsabilità “automatica”. In una significativa – anche se isolata pronuncia – la Cassazione ha escluso la responsabilità del gestore di una funivia per i danni derivanti dal crollo di un edificio, adiacente alla stazione di partenza, che era stato travolto da una valanga di neve di proporzioni eccezionali, determinata dalla concomitanza di tre fattori, ciascuno dei quali di per sé insolito, quali un abnorme accumulo di neve, la bassa temperatura della stessa e la presenza di venti fortissimi (Cass. 14 ottobre 2005, n. 19974). È il caso fortuito di cui si faceva cenno poc’anzi.
(34) Cfr. in particolare Margherita Pittalis, Fatti lesivi e attività sportiva, Milano, 2016, p. 120.
(35) Cass., Sez.Un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Corr. giur., 2001, p. 1565, con nota di Vincenzo Mariconda, Inadempimento e onere della prova.
(36) Sulla ripartizione dell’onere della prova nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 2051, si richiama Cass. civ, 7 aprile 2010, n. 8229, in Giust. civ. Mass., 2010, secondo la quale «la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; tale responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno». Si noti peraltro che, nella giurisprudenza della Suprema Corte, si riscontra anche la diversa opinione favorevole a ravvisare nella fattispecie delineata dall’art. 2051, non una ipotesi di responsabilità oggettiva, del tutto prescindente dalla colpa del custode (in tal senso, si v., ancora, fra le altre, Cass., 19 gennaio 2010, n. 713, in Guida al dir., 2010, 13, p. 71; Cass., 19 novembre 2009, n. 24428, in Guida al dir., 2009, 50, p. 57; Cass. civ., 17 gennaio 2001, n. 584, in Danno e resp., 2001, p. 722, con nota di Rosanna Breda), bensì un’ipotesi di responsabilità per colpa presunta ovvero un’ipotesi di responsabilità presunta: in quest’ultimo senso, da ultimo, Cass. civ, 1 aprile 2010, n. 8055, in Giust. civ. Mass., 2010 (secondo la quale, «la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità»); nonché, fra le altre, Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24529, in Giust. civ. Mass., 2009; Cass. civ, 19 novembre 2009, n. 24419, in Guida al dir., 2009, 50, p. 59; Cass. civ., 10 marzo 2009, n. 5741, in Giust. civ. Mass., 2009, p. 42; Cass. civ., 20 febbraio 2006, n. 3651, in Giur. it., 2007, c. 1403; Cass., 17 maggio 2001, n. 6767, in Giust. civ. Mass., 2001; Cass. civ, 14 giugno 1999, n. 5885, in Giust. civ. Mass., 1999. Per un’ampia ricostruzione del dibattito avente ad oggetto la natura della responsabilità per danno da cose in custodia, si v. Massimo Franzoni, L’illecito, 2010, Milano, p. 504 ss.
(37) Cass. civ., 10 dicembre 2012, n. 22383, in Dir. & Giust., 2012, 11 dicembre, con nota di E. Vincenti, in una fattispecie in cui i giudici di merito avevano ritenuto provato il fatto fortuito colposo del danneggiato, circostanza che ad avviso della Corte non era stata correttamente vagliata nei precedenti gradi di giudizio, di tal che la decisione di appello è stata cassata con rinvio ad altro giudice d’appello chiamato a decidere sulla base dei principi di cui si è detto.
(38) Cass., Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27337, in Foro it., 2009, I, c. 737, con nota di S. Landini.
(39) Ci si riferisce alla Legge regionale Valle d’Aosta 15 novembre 2004, n. 27, recante «Disposizioni in materia di sicurezza sulle aree destinate alla pratica degli sport invernali. Modificazioni alla legge regionale 17 marzo 1992, n. 9 (Norme in materia di esercizio ad uso pubblico di piste di sci), da ultimo modificata dalla legge regionale 15 dicembre 2000, n. 34».
(40) Cfr. l’art. 2 della medesima normativa, rubricato «Individuazione delle aree sciabili», che prevede che: «1. La classificazione delle piste di sci effettuata ai sensi dell’articolo 3 della legge regionale 17 marzo 1992, n. 9 (Norme in materia di esercizio ad uso pubblico di piste di sci) equivale ad ogni effetto all’individuazione delle aree sciabili attrezzate di cui all’articolo 2 della L. n. 363/2003».
(41) App. Trento, 8 novembre 1986, confermata da T. Bolzano, 25 maggio 1985, e poi da T. Trento 18 gennaio 1993 in Umberto Izzo, Matteo Ferrari, (a cura di), La responsabilità sciistica: banca dati di materiali normativi e giurisprudenziali, Torino, 2006, CD Rom, inoltre Legge Reg. Piemonte 26 gennaio 2009, n. 2, confermata nella legge Reg. 18 febbraio 2010, n. 12, in cui si specifica che “in tali percorsi, ancorché serviti dagli impianti, i gestori dei bike park e delle piste non sono responsabili degli incidenti che possano verificarsi”.
(42) Piccin C., cit.
(43) Cass. Pen. Sez. IV, 21 giugno 2004, n. 27861, in Umberto Izzo, Matteo Ferrari., cit.
(44) Cass. Pen. Sez. IV, 26 ottobre 2007, n. 1160, in Umberto Izzo, Matteo Ferrari., cit.
(45) Cfr. sul punto Umberto Izzo, I confini dell’area sciabile fra legge e affidamento: fuoripista e responsabilità civile. in Riv. dir. sport., 2018, n. 1, p. 188.
(46) Eloquente, sotto questo profilo è una sentenza di merito, la cui massima ha statuito che “i gestori delle aree sciabili fra le quali insista un percorso di collegamento (ski weg) non possono invocare l’esclusione di responsabilità prevista dell’art. 17 l. n. 363/03 per i danni occorsi a uno sciatore precipitato in un dirupo transitando su detto percorso, ove, sebbene il percorso non fosse compreso nell’area sciabile descritta dalle planimetrie allegate alle autorizzazioni all’apertura dell’area sciabile ottenute dai gestori, risulti che, prima del sinistro, lo ski weg fosse regolarmente utilizzato da un numero consistente di sciatori e che gli stessi gestori avevano provveduto alla battitura dello ski weg per rendere più sicuro il transito dell’utenza”. T. Sondrio, 17 ottobre 2013, in http://dirittodeglisportdelturismo.jus.unitn.it.
(47) T. Trento, 10 maggio 1999, in Umberto Izzo, Matteo Ferrari, cit., “Posto che l’attività sciistica configura intrinsecamente un rischio accettato da chi la pratica, il gestore degli impianti sciistici non è responsabile per i danni subiti da uno sciatore causati dalla presenza di ostacoli normalmente percepibili con l’uso da parte dello sciatore della diligenza e della perizia commisurata al grado di difficoltà della pista”.
(48) Cfr. Margherita Pittalis, La responsabilità in ambito sciistico, in Dir. sport., 2015, p. 41.
(49) Cass. civ., 5.5.2009, n. 10285.
(50) Cass. civ., 23.5.2006, n. 12111.
(51) Cass. civ., 23.5.2006, n. 12111, cit.; T. Firenze, 2.2.2015, n. 280, in De Jure; T. Marsala, 21.6.2005, in De Jure.
(52) T. Firenze, 2.2.2015, n. 280.
(53) T. Firenze, 2.2.2015, n. 280.
(54) T. Marsala, 21.6.2005.
(55) Margherita Pittalis, La responsabilità in ambito sciistico, in Dir. sport., 2015, p. 42.
(56) Di attivarsi in forza di particolari informazioni ricevute e comunque in forza di una situazione oggettiva venutasi a creare e della quale il gestore sia consapevole.
(57) In tal senso sembra anche la già ricordata Cass. civ., 5.5.2009, n. 10285.
(58) Cfr. anche Cass. civ. Sez. III Sent., 22/10/2014, n. 22344 ad avviso della quale:” In tema di responsabilità da illecito omissivo del gestore di impianto sciistico, l’omittente risponde del danno derivato a terzi non solo quando debba attivarsi per impedire l’evento in base ad una norma specifica o ad un rapporto contrattuale, ma anche quando, secondo le circostanze del caso concreto, insorgano a suo carico, per i principi di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., doveri e regole di azione la cui inosservanza integra un’omissione imputabile. Ne consegue che il medesimo non é tenuto, di norma, a vigilare sulla condotta dei singoli utenti, attesa la natura intrinsecamente pericolosa dell’attività sportiva esercitata sulle piste da sci, le dimensioni solitamente ragguardevoli di queste ultime, nonché la normale imprevedibilità, anche per la contestuale incidenza di “fattori” naturali non governabili dal gestore, delle condotte degli utenti, salvo che alleghi e provi l’intervenuta segnalazione dell’anomalo comportamento dello sciatore, ovvero la diretta percezione di tale comportamento da parte degli addetti all’impianto (che avrebbero dovuto allertare un accorto titolare della struttura), la cui mancata considerazione costituisce omissione inescusabile. (Rigetta, App. Brescia, 04/12/2009)”, in CED Cassazione, 2014.
(59) Il riferimento è a Umberto Izzo, “Profili civilistici e assicurativi della tutela dello sciatore, fra pista e fuoripista” in Melchionda, Rossi (a cura di), Prevenzione dei sinistri in area valanghiva: attività sportive, aspetti normativo- regolamentari e gestione del rischio, Quaderni della Facoltà di Giurisprudenza di Trento, 2019, p. 95.
(60) La giurisprudenza non ha mai nutrito dubbi sul fatto che, nell’assolvere i propri obblighi precauzionali, il gestore dell’area sciabile debba valutare il rischio che lo sciatore fronteggia per l’eventualità di cadute o perdite di controllo che ne determinino l’uscita di pista.
(61) Interessante, a tal proposito, risulta la sentenza del Tribunale di Cuneo del 14 gennaio 2009, mediante la quale il Giudice ha rigettato la richiesta di risarcimento dei danni di uno sciatore finito fuori pista dopo una caduta e arrestatosi contro un albero posto al margine del tracciato.
Dopo avere affermato che la natura del negozio intercorrente tra l’utente e il gestore è contrattuale e che la causa dello stesso consiste non nel solo trasporto ma in un’attività ben più complessa, consistente nella risalita finalizzata alla discesa su piste sicure, il Tribunale ha puntualmente delimitato l’ambito di tale responsabilità distinguendo tra rischi naturali tipici, accettati dall’utente e inidonei a fondare la responsabilità del custode, e rischi atipici, che devono essere eliminati dal gestore pena la sua responsabilità.
Il Tribunale, in proposito, ha affermato che il comprensorio sciistico comprende componenti naturali quali i pendii, gli alberi, le rocce, la stessa neve e, comunque, subisce l’influsso della componente climatica tipicamente invernale.
Tali elementi, ineliminabili perché connessi alla stessa area sciistica, rappresentano altrettante situazioni di rischio naturale esterno, ordinariamente esistenti e ai quali lo sciatore, esercitando l’attività sportiva, accetta di esporsi non potendo trasferire ad altri il rischio summenzionato.
Perciò non può richiedersi al gestore l’eliminazione dei rischi naturali tipici, quali la presenza di zone alberate ai lati della pista, la presenza di tratti nevosi di differenze consistenza, la mutevole pendenza della pista. In questi casi, qualora la presenza di tali elementi non sia di immediata percezione, è sufficiente che il gestore provveda alla loro segnalazione.
Rappresenta un preciso obbligo del custode, invece, l’eliminazione di ostacoli artificiali o anomali (quali oggetti caduti sulla pista o arbusti cresciuti sulla stessa) ovvero la segnalazione e l’approntamento di misure di protezione, come la recinzione con reti, idonee a impedire incidenti. Cfr. sul punto le osservazioni di Tiziana Cantarella, Responsabilità del gestore della pista da sci, in Ventiquattrore Avvocato, 5 dicembre 2018 n. 1, p. 22-29.
(62) È questa l’acuta e condivisibile osservazione che propone Umberto Izzo, “Profili civilistici e assicurativi della tutela dello sciatore, fra pista e fuoripista” in Alessandro Melchionda, Stefania Rossi ssi (a cura di), Prevenzione dei sinistri in area valanghiva: attività sportive, aspetti normativo-regolamentari e gestione del rischio, Quaderni della Facoltà di Giurisprudenza di Trento, 2019, pp. 97-98.
(63) Cfr. ancora È questa l’acuta e condivisibile osservazione che propone Umberto Izzo, “Profili civilistici e assicurativi della tutela dello sciatore, fra pista e fuoripista” in Alessandro Melchionda, Stefania Rossi (a cura di), Prevenzione dei sinistri in area valanghiva: attività sportive, aspetti normativo-regolamentari e gestione del rischio, Quaderni della Facoltà di Giurisprudenza di Trento, 2019, pp. 97-98.
(64) L’art. 4, comma 2, lett. f) della l. reg. Piemonte 26 gennaio 2009, n. 2 e successive modifiche, definisce il «percorso fuoripista o misto» in questi termini: «itinerario sciistico, anche non compreso nell’area sciabile e di sviluppo montano attrezzata, che può essere segnalato con paletti indicatori di percorso e normalmente accessibile. Per tale itinerario valgono le disposizioni di cui all’articolo 30 e, pertanto, viene percorso dall’utente a suo esclusivo rischio e pericolo». A sua volta l’art. 30 della stessa legge al comma 1 prevede: «i gestori delle piste da sci, le pubbliche amministrazioni locali e la Regione non sono in alcun modo responsabili degli incidenti che possono verificarsi al di fuori delle piste da sci di cui all’articolo 4, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e), anche se accaduti su percorsi fuori pista serviti dagli impianti di risalita, né degli incidenti che possono verificarsi sui percorsi di cui all’articolo 4, comma 2, lettera f)».
(65) Nel testo vigente l’art. 99 della l. reg. Abruzzo 8 marzo 2005, n. 24, reca: «Sci fuoripista, scialpinismo e alpinismo. 1. Fermo restando l’obbligo per il concessionario e gestore dell’area sciabile attrezzata di apporre idonea segnaletica di pericolo di frane o valanghe, per gli incidenti che possono verificarsi nei percorsi fuoripista accessibili dagli impianti o al di fuori delle piste individuate ai sensi della presente legge, si applica quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 17 della legge 24 dicembre 2003, n. 363 e successive modifiche e integrazioni. 2. I soggetti che praticano lo scialpinismo devono munirsi di Apparecchio di Ricerca dei Travolti in Valanga (ARTVA), Pala e Sonda per garantire un idoneo intervento di soccorso. 3. Le disposizioni del presente articolo sono riportate sulla documentazione di informazione all’utente ed indicate su cartelli esposti presso le stazioni di partenza ed arrivo degli impianti di risalita, come da Allegato B alla presente legge. La documentazione di informazione all’utente ed i cartelli sono predisposti dal concessionario e dal gestore dell’area sciabile attrezzata».
(66) Legge regionale 15 novembre 2004, n. 27, recante «Disposizioni in materia di sicurezza sulle aree destinate alla pratica degli sport in-vernali. Modificazioni alla legge regionale 17 marzo 1992, n. 9 (Norme in materia di esercizio ad uso pubblico di piste di sci), da ultimo modificata dalla legge regionale 15 dicembre 2000, n. 34».
(67) Cfr. l’art. 2 della medesima normativa, rubricato «Individuazione delle aree sciabili», che prevede che: «1. La classificazione delle piste di sci effettuata ai sensi dell’articolo 3 della legge regionale 17 marzo 1992, n. 9 (Norme in materia di esercizio ad uso pubblico di piste di sci) equivale ad ogni effetto all’individuazione delle aree sciabili attrezzate di cui all’articolo 2 della L. n. 363/2003».
(68) Margherita Pittalis, La responsabilità in ambito sciistico, in Dir. sport., 2015, p. 38.
(69) Cfr. Cass., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Corr. Giur., 2001, p. 1565, con nota di Vincenzo Mariconda.
(70) Sulla ripartizione dell’onere della prova nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 2051, si richiama Cass. 7 aprile 2010, n. 8229, in Giust. Civ. Mass., 2010.
(71) Cfr. Cass. 10 dicembre 2012, n. 22383, in dir e giustizia, 2012, con nota di E. Vincenti. Tali conclusioni sono state espresse dalla Suprema Corte, secondo la quale, in base al titolo contrattuale della responsabilità del gestore, spetta all’attore danneggiato provare unicamente la fonte del proprio diritto, ben potendosi limitare ad allegare l’inadempimento ovvero il non esatto adempimento della controparte rispetto all’obbligo di garantire la sicurezza delle piste, essendo viceversa a carico del gestore l’onere di provare l’esistenza del fatto estintivo dell’altrui pretesa, nonché, qualora esistenti, le modalità attraverso le quali aveva ovviato alla situazione di pericolo ed eventualmente lo specifico caso fortuito da cui sarebbe originato l’evento lesivo.
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Si legifera molto in modo certosino, poi nella realta’ vera restano le falle di un territorio non messo in sicurezza.
https://www.giornaletrentino.it/montagna/bimba-cade-in-un-pozzo-di-15-metri-si-era-avventurata-in-galleria-grande-guerra-salvata-1.2861135
Non e’ il primo caso del genere…con pozzi e gallerie ricoperte da crostone di neve che occulta.
Sul Grappa pero’grande scandalo mediatico per sciatori con snowboard attorno al Sacrario.Indignarsi ci puo’stare ma anche darsi da fare , possibile che in 102 anni nessuno si sia accorto del pozzo ?
Per una ferrata, meglio allora mettere sempre un cartello di divieto, un qualche cavalletto o impedimento di rami di pino fissato con fil di ferro all’inizio ed al termine ( in caso di percorrenze al contrario) a prescindere dallo stato di sicurezza e solidita’ della medesima e qundi chi la percorre lo fa a suo rischio e pericolo, evitando di affliggere con denunce i CAI e sindaci dei comuni in cui e’ situata. Vietare e vietare sapendo poi che le persone fanno quello che pare loro fattibile. “Non si puo'”significa sia che e’ vietato da leggi sia che e ‘umanamente non realizzabile dalle forze e capacita’ umane , spesso non e’ vero.
Aspetto pazientemente di leggere anche la parte relativa alla Svizzera, stazioni di sci come Verbier, se fossero in Italia, con queste leggi e questi giudici,non sarebbero diventate così frequentate e mondialmente riconosciute come gli spot del free ride. Non mancano gli incidenti, gravi e meno gravi. D’altronde se in pianura si vede come pericolo la montagna e si cerca di trovare sempre un colpevole per qualsiasi problema, chi rimarrà appassionato e vorrà praticare in libertà le sue attività, si sposterà dove si sente in un ambiente favorevole e lontano da giudici e leggi impazzite.
In effetti stanca di piu’la lettura di tutta la diatriba e legislazione in materia che una vera e propria giornata di sci entro o fuoripista..viene bruciore agli occhi e dolore alle cervicali.
Secondo me, meglio non divulgare nei social le gite fuoripista con tanto di tracciato e fotografie , al servizio di qualche promozione ente turismo o associazione albergatori ristoratori rivenditori noleggiatori locale.
Se proprio si vuol sapere:accompagnamento di esperti non solo nella pratica ma anche nell’ambiente e storia dei posti , guide cartacee, carte specialistiche e passaparola.Insomma un poco di riservatezza pure un briciolo elitaria.
In realta’ boom di acquisto di attrezzatura per skialp e risparmio sulla preparazione pratica e teorica.D’altra parte uno smartphone e’in mano a quasitutti , ma poi se ne conoscono e applicano le potenzialita’ in minima parte a far le stesse cose.
Per certi versi io sono per la disubbidienza civile.
Altra interessante puntata riferibile all’analisi condotta dallo stesso gruppo di lavoro che ha organizzato, sul tema nel suo complesso, un interessante webinar circa un mesetto fa. La sensazione di fondo è che il tema giuridico, nei suoi risvolti più diversi, sia già diventato, ma soprattutto sia destinato a diventare sempre di più “il tema cardine” dell’andar in montagna anche per chi pratica montagna in modo amatoriale e nel tempo libero . Il che significa che tale tema dovrà essere adeguatamente conosciuto da tutti i frequentatori. La motivazione risiede nel clima dominante, come è ben evidenziato nel paragrafo proprio sopra all’intervento redazionale (in rosso). Insomma: sarà sempre più importante applicare a puntino i principi giuridici ad ogni passo piuttosto che saper pennellare a meraviglia in discesa o superare con disinvoltura gli strapiombi in arrampicata.