Libertà e orientamento giuridico – 4
(Skialp, studio giuridico e comparato Italia-Svizzera – 4)
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Il Progetto Skialp@gsb è uno studio giuridico comparato Italia-Svizzera sulla promozione della pratica dello scialpinismo tra la Valle del Gran San Bernardo (AO) e la località svizzera di Verbier. E’ coordinato e diretto da Waldemaro Flick, Fondazione Courmayeur Mont Blanc.
La serietà con la quale in questo studio viene affrontata la complessità dell’argomento ne fa una lettura di interesse ben al di là dell’ambito locale. Abbiamo suddiviso Il Progetto Skialp@gsb in dieci puntate, nella certezza che ciascuna di queste risponderà a parecchie delle domande che da anni si fanno molti appassionati della neve.
Lo studio è articolato in tre diversi capitoli: Profili di diritto civile, Profili di diritto penale e Svizzera parte generale.
Profili di diritto civile – 04 (paragrafi 06-07)
(antropizzazione di una valle alpina e responsabilità in caso di caricamento online di tracciati scialpinistici in Italia)
a cura di Maurizio Flick (avvocato in Genova, componente del Comitato scientifico della Fondazione Courmayeur Mont Blanc) in collaborazione con Fondazione Montagna Sicura.
(Collana “Montagna, rischio e responsabilità”, n. 24)
E’ importante leggere l’aggiornamento, in fondo a questa quarta puntata, datato 31 marzo 2021.
6. Responsabilità dello sciatore o scialpinista fuoripista: il concorso di colpa
Quando si parla di sciatori e fuoripista è inevitabile evocare il concetto di autoresponsabilità o di assunzione del rischio (attività sciatoria o scialpinistica che sia), oggi così in voga sulle nostre montagne.
In caso di scontro fra sciatori fuori dall’area sciabile, o qualora uno sciatore in fuoripista sia travolto da una valanga determinata da un altro sciatore, la responsabilità civile torna a dimensionarsi nel suo assetto minimale, quello disciplinato dall’art. 2043 c.c., fronteggiando peraltro problemi probatori certamente maggiori di quelli, già non trascurabili, che si danno nel caso di sinistri occorsi all’interno dell’area sciabile.
Oramai è un dato di fatto che elementi quali la conoscenza delle regole, lo spirito sportivo e, soprattutto, l’autoassunzione del rischio tipico dell’attività, non sono più avvertiti non solo dalla maggioranza degli sciatori, ma anche di coloro che effettuano escursioni di scialpinismo o praticano il free ride.
La tematica del c.d. “rischio sportivo” alla quale si ricollega la questione dell’autoassunzione dello stesso, rappresenta un aspetto particolarmente complesso della responsabilità sportiva in generale e di conseguenza, della responsabilità civile in tema di incidente sciistico. Occorre evidenziare come la pericolosità per l’incolumità fisica dei partecipanti a determinate attività, sportive in particolare, costituisca innegabilmente il motivo della pratica delle stesse.
La volontaria esposizione a detto rischio di danno costituisce un elemento importante ai fini del giudizio di responsabilità. Viene definito “rischio sportivo”, quel rischio di lesione (prevalentemente fisica) riconducibile all’alea normale connaturata al tipo di attività praticata, accettata preventivamente dal praticante come conseguenza normalmente prevedibile della pratica stessa (93).
Esaminando l’ambito che qui rileva, osserviamo che anche nello sci e nello sci fuoripista deve essere preventivato un certo rischio da chi decide di praticare detto sport. La discesa su pendii innevati costituisce, infatti, attività altamente rischiosa per l’incolumità fisica di chi la pratica.
Lo scopo dell’attività, ovviamente non in ambito agonistico, è anche quello di riuscire a conservare la propria integrità fisica e, anzi, migliorare le proprie prestazioni ed il proprio benessere psico-fisico, pur compiendo rischiose evoluzioni sulla neve grazie ad appositi strumenti che consentono di scivolare su di essa. Di conseguenza, il rischio di subire lesioni costituisce un aspetto non completamente eliminabile dell’attività in questione, ma anzi intrinseco, connaturato alla sua pratica.
Ciò porta a ritenere che un rischio di danno sia necessariamente ed implicitamente assunto su di sé da colui il quale liberamente decide di svolgere detta attività.
La pratica dello sci, del free ride e dello scialpinismo non sono attività necessarie, ma solo eventuali; chi decide di cimentarvisi deve essere conscio dei rischi per l’incolumità e può pretendere nel suo svolgimento il rispetto da parte degli altri del precetto del neminem laedere, non certo dei più severi canoni comportamentali imposti nel caso di attività che, pur essendo pericolose per la collettività, risultano essere necessarie e per questo motivo tollerate.
Non esiste, e non può esistere, una classificazione che possa anche analogicamente consentire una “scala della pericolosità”, assoluta o relativa, delle discipline sportive; lo sport, nella sua autonomia, deve potersi autoregolamentare sia per il suo caratteristico tecnicismo, sia per il frequente mutare delle tecniche che gli sono proprie. La pericolosità dello sport può essere valutata solo con un concetto negativo: le discipline sportive non sono pericolose in senso “assoluto”, quando siano praticate con mezzi tecnici propri, in luogo adatto, da atleti esperti. E, al contrario, ogni attività sportiva può essere pericolosa, in senso “relativo”, se attuata con mezzi tecnici non propri, in luogo non adatto, da atleti inesperti.
Si può affermare quindi che la pericolosità di una disciplina sportiva è inversamente proporzionale ai mezzi tecnici, al luogo di esercizio e alla preparazione di un atleta impegnato in una competizione (94). (Ed allo stesso modo, il turista che si presenti sui campi da sci occasionalmente, senza preparazione tecnica, né fisica, noncurante delle difficoltà e delle condizioni delle piste, e non rispettoso della segnaletica e delle regole di condotta dello sciatore, non solo sarà più esposto al rischio di procurare e procurarsi dei danni, anche gravi, ma anche a quello di essere ritenuto responsabile per i danni causati per colpa).
Ulteriore importante tematica riguarda il problema del concorso di colpa, esso è collegato al tema del nesso causale. Nel caso di concorso della vittima con il danneggiante, possono darsi luogo a diverse soluzioni: l’irrilevanza della colpa della vittima; la rilevanza tale da escludere la colpa dell’agente (95).
In primo luogo (art. 1227, 1° co., c.c.), il concorso di colpa della vittima nella produzione del danno determina una riduzione del risarcimento, tenuto conto della gravità della colpa e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate. In secondo luogo (art. 1227, 2° co., c.c.), la vittima perde il diritto al risarcimento di quei danni che non si sarebbero prodotti se essa avesse tenuto una condotta diligente, vale a dire non colposa.
La norma posta all’ art. 1227, 2° co., c.c. costituisce espressione del dovere di solidarietà sociale, il quale impone a ciascun soggetto di tenere una condotta che eviti di porre a carico di altri le conseguenze dannose che potevano evitarsi usando l’ordinaria diligenza: si esclude la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, poiché se il danneggiato non può pretendere il risarcimento dei danni ulteriori che avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, a maggior ragione non può pretendere il risarcimento del danno che poteva evitare con tale diligenza (96).
Le ipotesi contemplate sono quindi due. Nel primo caso, la vittima concorre alla produzione del danno. Nel secondo, la vittima non evita conseguenze dannose che avrebbe potuto evitare con una condotta diligente.
Proprio facendo applicazione di tali principi, la Suprema Corte, in un sinistro ai confini della pista, ha escluso la responsabilità del gestore di un impianto sciistico, nella specie invocata ai sensi dell’art. 2043 c.c., poiché il sinistro aveva coinvolto uno sciatore di cui era risultata accertata la mancanza di ordinaria diligenza, in quanto procedeva a velocità non consona, lungo una pista di media difficoltà larga circa trenta metri, e che, dopo essere caduto, aveva urtato contro la staccionata in legno che delimitava la pista, in prossimità di una scarpata, in zona ad ampia visibilità, in assenza di curve e senza pendenza verso l’esterno, e, quindi, in assenza di quelle condizioni particolari che, secondo la normativa di settore, impongono misure protettive al gestore della pista. In tal caso, come si può notare, gli obblighi di prudenza a carico degli sciatori sono valsi ad addossare la responsabilità, anziché al gestore, allo sciatore infortunato (art. 1227 c.c.) (97).
In particolare, la Cassazione ha ritenuto che, «considerata la natura intrinsecamente pericolosa dell’attività sportiva esercitata sulle piste da sci, l’estensione delle stesse e la naturale possibile intrinseca anomalia delle piste, anche per fattori naturali», affinché si possa affermare la sussistenza di un comportamento colposo del gestore, tale da dar luogo a responsabilità ex art. 2043 c.c., «è necessario, sulla base dei principi generali, che il danneggiato provi l’esistenza di condizioni di pericolo della pista che rendano esigibile (sulla base della diligenza specifica richiesta) la protezione da possibili incidenti, in presenza delle quali è configurabile un comportamento colposo del gestore per la mancata predisposizione di protezioni e segnalazioni, mentre sul gestore ricade l’onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta situazione di pericolo» (98).
7. I professionisti della montagna: la guida alpina e il maestro di sci
I professionisti della montagna innevata sono le guide alpine ed i maestri di sci (99). Nell’ambito che qui si approfondisce si possono prefigurare due ipotesi di responsabilità soprattutto con riferimento alla guida alpina. La prima relativa al sinistro che può verificarsi sul percorso indicato dalla traccia online, la seconda rispetto all’eventualità in cui la guida interagisca aggiornando le condizioni della traccia tramite la piattaforma online, magari fornendo informazioni che potrebbero poi rivelarsi incomplete, non di facile lettura, o addirittura errate.
7.1 La guida alpina
7.1.1 La legge n. 6 del 2 gennaio 1989 recante il titolo “Ordinamento della professione di guida alpina”
La legge n. 6 del 2 gennaio 1989 recante il titolo Ordinamento della professione di guida alpina detta i principi fondamentali per la legislazione regionale in materia di ordinamento della professione di guida alpina. La legge è composta da 26 articoli.
Ai sensi dell’art. 2, guida alpina è colui che svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo, le seguenti attività: a) accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio oppure in escursioni in montagna; b) accompagnamento di persone in ascensioni sci-alpinistiche oppure in escursioni sciistiche; c) insegnamento delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche con esclusione delle tecniche sciistiche su piste di discesa e di fondo.
L’art. 3 opera una distinzione tra “aspirante guida” e “guida alpina-maestro di alpinismo” individuando i diversi livelli di competenza (100).
L’esercizio abusivo della professione è punito ai sensi dell’art. 348 c.p. nonché dell’art. 18 della legge professionale di cui si tratta.
Oltre all’aspirante guida e alla guida alpina-maestro di alpinismo, sono previste altre due figure professionali: gli accompagnatori di media montagna e le guide vulcanologiche.
L’art. 21 prevede la figura dell’accompagnatore di media montagna. Si tratta, in pratica, di una guida che svolge la medesima attività di accompagnamento della guida alpina – e, dunque, non quella di insegnamento, – ma in situazioni potremmo dire meno pericolose e che non richiedano l’utilizzo di attrezzature particolari (“esclusione delle zone rocciose, dei ghiacciai, dei territori innevati e di quelli che richiedono comunque, per la progressione, l’uso di corda, piccozza e ramponi”) (art. 21). Lo scopo dell’accompagnatore è di illustrare alle persone le caratteristiche dell’ambiente montano percorso.
La legge nazionale si limita, però, a dare una definizione dell’attività di accompagnatore di media montagna e a fissarne gli elementi tipici della libera professione, vale a dire l’obbligo di formazione, abilitazione e iscrizione all’Albo, demandando alle regioni non solo il compito di occuparsi della formazione e della abilitazione degli accompagnatori (devono frequentare anch’essi appositi corsi teorico-pratici e superare un esame che provi l’idoneità tecnica e la conoscenza delle zone in cui sarà esercitata l’attività), ma anche la scelta in merito alla previsione o meno di tale figura nel proprio ordinamento.
Le regioni, in altre parole, non sono obbligate a istituire tale figura professionale, ma qualora lo facciano devono rispettare le norme di principio contenute nella legislazione nazionale.
La dimensione regionale della professione è confermata dal fatto che l’iscrizione nell’elenco abilita all’esercizio della stessa limitatamente al territorio della Regione e che, qualora l’accompagnatore sia interessato, debba egli stesso chiedere l’iscrizione anche negli elenchi di altre regioni, previo conseguimento della relativa abilitazione tecnica.
Delle guide vulcanologiche si occupa l’art. 23, ma in questa sede non saranno oggetto di approfondimento.
I doveri della guida sono disciplinati dall’art. 11, il quale stabilisce che le guide alpine – maestri di alpinismo e gli aspiranti guida iscritti negli albi professionali, sono tenuti ad esercitare la professione con dignità e correttezza, conformemente alle norme della deontologia professionale. Essi sono altresì tenuti, in caso di infortuni in montagna o comunque di pericolo per alpinisti, escursionisti o sciatori, a prestare la loro opera individualmente o nell’ambito delle operazioni, compatibilmente con il dovere di mantenere le condizioni di massima sicurezza per i loro clienti.
7.1.2 Le responsabilità della guida alpina
Nell’ambito del contratto il problema più delicato e più importante è quello di far carico alla guida di garantire l’incolumità del cliente comprendendo fino a che punto debba rispondere dell’incidente e del danno subito dal cliente.
Si deve riconoscere, in termini del tutto generali, che una responsabilità esiste.
Nel senso che, nell’ambito del contenuto del contratto che si stipula fra guida e cliente, vi è certamente anche un obbligo di “garantire” l’incolumità del cliente (101). Il problema maggiore sta proprio nel comprendere quale sia il limite di questa garanzia di incolumità. Le norme del codice civile che possono aiutare a sciogliere questo nodo sono poche, si tratta di clausole generali, contenitori che devono essere “riempiti” in funzione della particolarità dell’attività posta in essere in montagna dalla guida.
Come è noto, l’articolo 1175 c.c. dispone che debitore e creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza, un principio generico ma importante.
Che cosa sia la correttezza astrattamente non è facile da spiegare, ma è possibile “riempire” questo concetto caso per caso, stabilendo se quel determinato comportamento della guida sia stato corretto o scorretto (102).
L’articolo successivo, il 1176 c.c., stabilisce al primo comma che nell’adempimento delle obbligazioni il debitore — e quindi nel nostro caso la guida — deve usare la diligenza “del buon padre di famiglia”. Quindi una diligenza massima, sotto un certo profilo (103).
E l’articolo 1176, co II, c.c. è ancora più preciso in merito all’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale – come è quella della guida alpina – stabilendo che nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di una certa attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata (104).
Quindi, in sintesi, si può dire che già dalla mera lettura di due articoli del codice civile emerge come le guide, che sono dei professionisti, devono operare secondo le regole della correttezza, secondo la diligenza, e che questa diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. L’attività di accompagnamento della guida alpina comporta ontologicamente rischi per il cliente, con la conseguenza che alla guida deve per forza richiedersi un livello di diligenza estremamente alto per scongiurare il verificarsi di sinistri (105).
La terza regola fondamentale dettata dal nostro codice civile è rinvenibile nell’art. 1218 c.c. che, come è noto, tratta il problema dell’inadempimento. Cioè, che cosa succede se non si usano i dovuti metri di correttezza e se la diligenza non è adeguata all’importanza della prestazione.
L’articolo 1218 c.c. stabilisce che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta — è il caso della guida che non si è preoccupata di organizzare in modo adeguato l’ascensione — è tenuto al risarcimento del danno, ovviamente in quanto si sia verificato un incidente, e se non prova che l’inadempimento è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Partendo dal dato letterale della norma, bisogna stabilire quando la prestazione è impossibile, quando la causa del sinistro è imputabile o no. È una clausola generale, uno strumento che il giudice, ancora una volta, può riempire caso per caso verificando le prassi adottate nel settore di riferimento.
Perché la guida possa andare esente da responsabilità, bisogna che ci sia la possibilità di evitare l’incidente, sempre che non ci sia una causa a lui imputabile.
E così, l’incidente avvenuto al cliente durante l’ascensione perché non segue le indicazioni della guida e cade rovinosamente dalla parete rompendosi una gamba, ci pare – a patto che non siano comunque riscontrabili responsabilità della guida – difficilmente imputabile alla guida: sarebbe per lui impossibile evitare incidenti di questo tipo. A meno che ciò non derivi da una causa a lui imputabile, cioè ad esempio aver utilizzato una corda difettosa che si è allentata autonomamente (106).
Oppure l’aver portato nel corso di una bufera un numeroso gruppo di bambini su un ghiacciaio e in tale contesto si verifichi un sinistro. Questo evidentemente sarebbe motivo di responsabilità dettata da colpa grave della guida.
In altri termini, la valutazione della responsabilità della guida dovrebbe essere limitata a quelle ipotesi in cui, tenendo conto delle regole della correttezza, dei principi di diligenza relativi proprio a questo tipo di attività, si possa dire che la guida ha violato le c.d. buone pratiche, quelle norme di buon senso e di equilibrio, che garantiscono l’incolumità del cliente. Mentre è chiaro che la guida non dovrebbe rispondere se l’incidente non poteva essere da lui evitato e se non era a lui imputabile il suo verificarsi.
Per esempio, ci possono essere norme regionali, ovvero provvedimenti comunali che indicano il numero degli allievi che la guida può accompagnare per una determinata ascensione: certo, se le norme sono tali per cui la guida può accompagnare 4 allievi e invece ne accompagna 10, è la stessa guida che si mette in una posizione critica. Quindi, si può dire che, forse, se i clienti fossero stati meno si sarebbe potuto seguirli meglio. Ciò non toglie, in ogni caso, che ci deve essere anche un nesso di causalità tra l’incidente e queste particolari circostanze (107).
Altra questione riguarda il problema se la guida debba o non debba valutare le capacità del proprio cliente: evidentemente un certo tipo di controllo delle capacità ci deve essere, ma va interpretato, ancora una volta, con le regole della diligenza, della correttezza. Il problema dello stato di salute: in certi casi la situazione è evidente, ma spesso un infarto può colpire anche una persona che si presenta come un ottimo alpinista; peraltro anche la guida stessa potrebbe rimanerne vittima.
La responsabilità della guida è limitata – rectius dovrebbe essere limitata – a quello che egli può prevedere non certo a garantire che chiunque torni vivo da una spedizione in montagna. Certamente si tratta di una professione che comporta dei rischi. E così, il cliente che vuole salire sulla vetta del Monte Bianco, ad esempio dal Pilastro Rosso, o vuole “aprire” una nuova via delle Grandes Jorasses, compie un tipo di alpinismo che è diverso dall’ascensione sul Petit Capucin o anche sul Dente del Gigante per la via classica.
La componente rischio è insita nell’attività alpinistica, ma essa può notevolmente variare di gradazione e conseguentemente anche il livello di responsabilità addebitabile alla guida.
In passato, l’onere di provare l’adempimento della guida ricadeva sull’accompagnato e la colpa costituiva il criterio per giudicare la qualità della prestazione e, dunque, l’esistenza stessa dell’inadempimento (108).
Ciò significava che se non veniva fornita prova della colpa della guida, non poteva sorgere il diritto al risarcimento a favore del cliente.
Quindi, se durante un’escursione uno degli accompagnati subiva una lesione o, comunque, un danno, il cliente stesso, al fine di conseguire il relativo risarcimento, doveva dimostrare: a) di aver subito un danno; b) che la guida si era resa inadempiente al contratto tenendo un comportamento negligente od imprudente o di scarsa perizia o, comunque, colposo (109).
Oggi il cliente danneggiato – che lamenta una lesione a seguito dell’inesatto adempimento da parte della guida – deve provare unicamente il danno subito, il nesso di causalità tra quest’ultimo e l’inesatto adempimento, la fonte del proprio diritto (l’esistenza del contratto), limitandosi ad allegare l’inadempimento della guida, cui graverà l’onere di provare il fatto estintivo della pretesa altrui rappresentato dall’avvenuto corretto adempimento, ovvero che l’inadempimento sia stato determinato, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dalla sopravvenuta impossibilità della prestazione per fatto a lui non imputabile (110).
La guida non potrà limitarsi a dimostrare la propria condotta diligente, sia pure qualificata, dovendo in aggiunta individuare la specifica causa che ha reso impossibile l’esecuzione della prestazione, quale, ad esempio, il fatto del cliente che ha riportato il danno (fatto del creditore), la caduta di pietre in parete causata in maniera imprevedibile da altro alpinista, ovvero la riconducibilità del sinistro ad esempio alle imperfette condizioni della parete di roccia dovute a scarsa o inadeguata manutenzione da parte dell’ente predisponente (fatto del terzo). Solo la dimostrazione di uno di tali fattori, unitamente alla prova della diligenza, varrà infatti ad esonerare il debitore da responsabilità, consentendo di acclarare con certezza che l’impossibilità della prestazione esulava dalla sua sfera di controllo.
Il grado di diligenza della guida, trattandosi infatti di un professionista, andrà valutato ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata (111).
Lo standard di diligenza richiesto, pertanto, non potendosi predeterminare ex ante, dovrà essere valutato caso per caso ed in base ad alcuni fondamentali indici di valutazione, quali l’età e l’esperienza dei clienti, la natura delle vie che si intendeva percorrere, le condizioni meteorologiche, ecc…
Ai fini di tale indagine, verrà in rilievo l’osservanza delle regole di condotta previste da eventuali protocolli, le c.d. good practice, nonché le prescrizioni contenute nella legge professionale, ove acquista particolare rilievo l’art. 11, rubricato “Doveri della guida alpina” secondo cui “Le guide alpine-maestri di alpinismo e gli aspiranti guida iscritti negli albi professionali sono tenuti ad esercitare la professione con dignità e correttezza, conformemente alle norme della deontologia professionale.” e ancora, la norma al secondo comma prevede che: “Tutte le guide alpine-maestri di alpinismo e gli aspiranti guida iscritti negli albi sono tenuti, in caso di infortuni in montagna o comunque di pericolo per alpinisti, escursionisti o sciatori, a prestare la loro opera individualmente o nell’ambito delle operazioni di soccorso, compatibilmente con il dovere di mantenere le condizioni di massima sicurezza per i propri clienti”.
7.1.3 Ipotesi di responsabilità della guida alpina in caso di aggiornamento delle condizioni della traccia caricata online
Il comportamento maggiormente esposto a rischio informativo riguarda soprattutto i soggetti la cui particolare posizione professionale (c.d. status) suscita di per sé affidamento in ordine alle situazioni da essi rappresentate.
La giurisprudenza riconduce tra le fonti innominate di obbligazione anche i rapporti contrattuali di fatto o da “contatto sociale qualificato” v. Cass. 13 ottobre 2017, n. 24071, che si hanno allorquando un’attività normalmente prestata in esecuzione di un contratto viene effettuata in assenza di esso (si pensi ad es., all’attività di istruzione e vigilanza svolta dall’istituto scolastico e dall’insegnante nei confronti dell’alunno, seppure quest’ultimo non abbia stipulato con essi alcun contratto, mentre un accordo negoziale si ha solo tra i suoi genitori e la scuola, cui, per di più, rimane totalmente estraneo l’insegnante (112).
Potrebbe essere il caso della guida alpina che aggiorna le condizioni del tracciato sulla app dopo averlo percorso. Al contatto sociale è stata ancorata la responsabilità della guida in sede penale per la morte di un partecipante ad una cena notturna in un rifugio, invocando la posizione giuridica di garanzia della guida (113), ed è stato poi adoperato in sede civile per espandere l’area della responsabilità agendo sull’elemento della colpa (114).
7.2 L’accompagnatore del CAI
La l. n. 6/1989 all’art. 20 ha riservato al CAI la facoltà di organizzare scuole e corsi di addestramento per attività alpinistiche, sci alpinistiche, escursionistiche, per la formazione dei relativi istruttori, purché “a carattere non professionale”. Si tratta delle medesime attività riservate tassativamente alle guide alpine, demandate anche al CAI a patto che non vengano esercitate professionalmente.
Ciò significa che vi sono attività alpinistiche riservate (art. 2) alle guide professioniste, che però possono essere svolte anche da altri soggetti purché operanti senza il carattere della professionalità (art. 20).
Si è introdotta una deroga ad una professione protetta che consente, dunque, lo svolgimento parallelo delle medesime attività alpinistiche da parte di soggetti sia inseriti in un ordinamento professionale, sia estranei ad esso di difficile comprensione giuridica.
Di fatto, colui che organizza e svolge corsi di formazione alpinistica esercita un’attività del tutto corrispondente a quella della guida alpina che svolga il medesimo incarico. Si tratta, in entrambi i casi, di trasmettere ad allievi nozioni tecniche di alpinismo sul territorio o ambiente montano; il che avviene presumibilmente con i metodi e i contenuti di insegnamento utilizzati dalle stesse guide.
Tuttavia, soltanto lo svolgimento di tali attività a titolo professionale comporta l’iscrizione all’Albo, ma è ben difficile svolgere corsi di alpinismo “a carattere non professionale” (art. 20), cioè in modo non professionale.
È il genere stesso di attività, ad alto contenuto tecnico, che impone anche per il CAI l’adozione dei metodi e delle forme della libera professione o lavoro autonomo, come la predisposizione di programmi didattici, l’insegnamento nei corsi con allievi esterni, la corresponsione di una quota d’iscrizione, la predisposizione stabile di un elenco di istruttori, di un programma esteso a varie discipline, con aspetti teorici e pratici, la previsione di direttive e responsabilità interne, l’organizzazione di gite aperte anche a non soci con l’accompagnamento su ambiente alpinistico, anche severo di un numero elevato di persone dietro pagamento di una quota (115). Questa previsione, se forse è comprensibile sotto l’aspetto di favorire l’attività del CAI di avvicinamento alla montagna di un maggior numero di persone, si presta tuttavia dal punto di vista giuridico a critiche, e ciò senza considerare i possibili abusi da parte di soggetti qualificati istruttori del CAI nell’accompagnamento ed insegnamento.
7.3 Il maestro di sci
Per il maestro di sci il discorso non si discosta molto da quello proposto per la guida alpina, i criteri di imputazione sono pressoché i medesimi e in questa sede si cercherà di approfondirli calandoli nelle specifiche attività che gli competono.
La Legge quadro 8 marzo 1991 n. 81 denominata “Legge quadro per la professione del maestro di sci (…)” ha regolamentato in maniera coerente la professione del maestro di sci, eliminando i vari dubbi che dottrina e giurisprudenza nutrivano, facendo venir meno la necessità della licenza di P.S. di cui all’art. 123 t.u. cit.(art. 19 L.q. n. 81/1991 cit.).
Secondo la legge quadro del 1991, è maestro di sci chi insegna professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, a persone singole o a gruppi di persone, le tecniche sciistiche in tutte le loro applicazioni, esercitate con qualsiasi tipo di attrezzo, su piste di sci, itinerari sciistici, percorsi di sci fuori pista ed escursioni con gli sci che non comportino difficoltà richiedenti l’uso di tecniche e materiali alpinistici, quali corda, picozza, ramponi (art. 2 L.q. cit.).
La professionalità e la retribuzione (onerosità della prestazione a carico del singolo) sono gli elementi che distinguono i maestri di sci e gli “accompagnatori”, dagli istruttori del CAI (Club Alpino Italiano) che, precisa la legge all’art. 21, “svolgono la loro opera a carattere non professionale e non possono ricevere retribuzioni” (116). Come ha sottolineato la Corte Costituzionale, si tratta di un’attività differente da quella di guida alpina. Il maestro di sci, diversamente dalla guida alpina, svolge funzioni prevalentemente circoscritte al campo in cui il suo insegnamento si esplica, prevalendo il “profilo didattico e ricreativo, legato al corretto insegnamento della sicurezza e incolumità personale di quanti intendano ricorrere alle prestazioni della guida.” Per l’attività di maestro è comunque necessario assicurare (con norme che, per l’interesse generale che mirano a soddisfare, si impongano anche alle regioni e provincie autonome) “standard minimi di bagaglio tecnico-culturale e condizioni basilari per l’accesso ad attività di larga diffusione”: a maggior ragione se si considera sia “l’importanza turistica dello sci, divenuto sport di massa che implica non trascurabili interessi economici”, sia la necessità di “contatto tra maestri e giovani che, per la possibile pratica agonistica, richiede ai primi una spiccata capacità di selezionare le attitudini” (117).
La responsabilità attribuibile ai maestri di sci, per gli eventi lesivi subiti dagli allievi nel corso della lezione, può avere un fondamento sia contrattuale che extracontrattuale.
È evidente che un maestro di sci può rispondere a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. sulla base del principio del neminem laedere anche se investe casualmente un soggetto che sta sciando per proprio conto, che non ha nulla a che fare con la sua scuola, e dovrà risarcire il danno del quale sarà responsabile, ma non in virtù della sua qualifica professionale di maestro di sci, bensì per il fatto di essere semplicemente uno sciatore.
Il maestro di sci però può rispondere anche di responsabilità contrattuale nei confronti dell’allievo o del cliente in quanto soggetto legato da un rapporto giuridico secondo il contenuto e la disciplina giuridica del contratto che si instaura nel momento in cui il cliente decide di prendere lezioni di sci.
Con il contratto che il maestro di sci stipula con il proprio allievo o cliente, vengono assunti essenzialmente due tipi di obbligazioni: in primis l’insegnare a sciare al proprio cliente e cioè un’obbligazione di mezzi, in cui il maestro si impegna a dedicare il tempo e le energie necessarie per un certo risultato, ma non può garantirne il raggiungimento. In giurisprudenza non vi sono casi in cui il cliente si sia lamentato della scarsa professionalità del suo maestro di sci perché non gli ha impartito sufficienti nozioni. La ragione che spinge più frequentemente il cliente a far causa al maestro o alla scuola di sci è il fatto che sia stata messa a rischio la sua incolumità.
E proprio quello dell’incolumità del cliente è il problema più delicato e importante (118).
Fino a che punto il maestro risponde dell’incidente o del danno subito dalla persona che si è affidata a lui per imparare a sciare? L’opinione maggioritaria sostiene che una certa responsabilità esista almeno nei termini generali. Nel senso che nell’ambito del contratto che viene stipulato tra maestro e allievo, vi è certamente anche un obbligo di “garantire” l’incolumità del cliente. Bisogna però stabilire se quest’obbligo sia di tipo morale, personale o anche un problema di tipo giuridico.
Il contenuto del contratto presuppone un certo obbligo di garanzia prima e di assistenza poi, ma bisogna stabilire il limite di questa incolumità.
Nel momento in cui un cliente prende una lezione di sci, stipula un contratto con il maestro che si assume l’obbligo di impartire l’insegnamento tecnico verso un corrispettivo pagato dal cliente.
È necessaria un’indagine caso per caso, per stabilire se un determinato comportamento di un maestro di sci sia stato corretto o meno, che accerti l’eventuale violazione di quei criteri di buona fede e correttezza ai quali dovrebbe essere informata la sua attività, nell’adempimento dell’obbligazione che il maestro stesso si è assunto. L’art. 1175 c.c. non impone al solo debitore (maestro di sci) di comportarsi secondo le regole della correttezza, bensì anche al creditore (cliente).
La rilevanza data alla natura dell’attività esercitata nella valutazione della condotta del debitore fa sì che il diligente adempimento, da parte del maestro di sci, alle proprie obbligazioni sia analizzato tenendo conto del fatto che lo sci è uno sport e come tale esso presenta rischi ineliminabili, necessariamente accettati da chi lo pratica (119). Il danno subito dall’allievo sciatore non potrà essere imputato al maestro in tutti quei casi in cui questo appaia come conseguenza di un evento che si sarebbe potuto verificare comunque, a prescindere o meno dalla presenza del maestro (120). Se è vero che il maestro deve essere competente, corretto, diligente e preparato, è anche vero che il cliente deve essere persona seria, in qualche modo preparata, corretta nei confronti della guida e deve avere l’attrezzatura adeguata. Sotto tre aspetti in particolare è necessaria una certa correttezza del cliente: i problemi di salute del cliente, che devono essere conosciuti dal maestro, le capacità o le eventuali paure (è il cliente che conosce i suoi limiti), e l’attrezzatura, che deve essere adeguata.
È certo che il maestro debba informarsi e controllare che l’allievo sia preparato ad affrontare la lezione, ma deve sempre esserci la collaborazione del cliente, proprio in virtù di quella correttezza imposta ad entrambi i contraenti (anche perché l’art. 1227 c.c. prescrive una diminuzione del risarcimento del danno cagionato al creditore qualora il creditore stesso abbia concorso nella produzione del danno, secondo l’entità della colpa e delle conseguenze che ne sono derivate). Nel giudizio di responsabilità del maestro di sci si devono evidenziare le regole di creazione legislativa che disciplinano lo svolgimento dell’attività professionale, cosiddette norme deontologiche, sia quelle relative alla metodologia d’insegnamento ed alle tecniche da utilizzare nelle varie situazioni, quelle relative alla condotta da tenere in pista, sugli impianti. Spesso nelle sentenze si fa riferimento al modello ideale del “buon professionista” e nel caso di specie del “maestro di sci”, o del professionista mediamente accorto, prudente e diligente (121).
Riguardo alla cosiddetta colpa professionale del maestro di sci si evidenzia il fatto di come la diligenza richiesta per l’adempimento, data l’atipicità del contratto d’insegnamento sciistico, vada valutata, in prima approssimazione, secondo i criteri indicati dagli articoli 1218 e 1176 comma 2 c.c. La responsabilità sarà dunque individuata comparando il comportamento che il professionista (in questo caso il maestro di sci) avrebbe dovuto tenere in relazione alla natura della sua prestazione ed alla particolare situazione considerata con il comportamento effettivamente tenuto. Nel caso in cui, a seguito di detta comparazione, si riscontri una difformità, un’inesattezza nell’adempimento della prestazione professionalmente dovuta, si avrà responsabilità del professionista e spetterà a quest’ultimo provare che l’esatto adempimento della prestazione è divenuto impossibile per causa a lui non imputabile.
Questi obblighi accessori vanno ad aggiungersi alle tre figure di inadempimento che obbligano il debitore a risarcire i danni causati al creditore: l’inadempimento tout court, l’adempimento inesatto e il ritardo nell’adempimento.
Se un maestro di sci non si presenta alla lezione, si presenta in ritardo, o per qualunque ragione non tiene la lezione come da contratto, dovrà risarcire il danno al cliente ex art. 1218 c.c.; e tutte le volte in cui violi i suddetti obblighi di protezione accessori sarà soggetto alla medesima disciplina.
Poniamo il caso in cui un maestro di sci durante la lezione convinca il cliente a sostare per qualche momento al rifugio sulle piste, ed una volta lì si trattenga, nonostante le sollecitazioni del cliente, a chiacchierare oltre il tempo pattuito: potrebbe configurarsi un’ipotesi di violazione della buona fede. Se il maestro trascura il cliente, non gli fornisce informazioni sufficienti per espletare gli esercizi che gli consentono di progredire, non tiene una velocità adeguata alle capacità del cliente, tanto da impedirgli di osservare quale sia la maniera corretta di esecuzione dell’esercizio, rischia di incorrere nella responsabilità per inadempimento ex art. 1218 c.c., e di dover risarcire il danno eventualmente causato al cliente (122).
Oltre a queste ipotesi estreme di inadempimento, però, è molto difficile determinare in che limiti la lezione risponda a canoni dell’adempimento esatto, in quanto l’obbligazione del maestro di sci, in qualità di professionista, è un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Non è possibile determinare il contenuto preciso dell’obbligazione e di conseguenza neppure il limite tra adempimento esatto ed inesatto.
Anche a questo soccorre la buona fede, insieme agli obblighi accessori: se il maestro si comporta, comunque, secondo buona fede, dedicando al cliente il tempo adeguato alla situazione, nella maniera che a lui sembra più corretta per le caratteristiche psicofisiche del soggetto, non potrà in questo caso parlarsi di inadempimento o di violazione del dovere di correttezza.
Ma siccome l’attività del maestro è attività che può comportare dei rischi per il cliente o per lui e per il cliente, è necessario stabilire fino a che punto sia tenuto all’incolumità del cliente sulla base del contratto che con questi abbia stipulato.
È il giudice che, caso per caso, deve stabilire quando vi sia una responsabilità, quando, cioè, ci sia stata la possibilità di evitare l’incidente. Il maestro di sci non può rispondere di un incidente, di un avvenimento che non poteva evitare, che esula completamente da quelli che sono i suoi compiti nell’espletamento della attività che esercita.
Il maestro, ad esempio, è tenuto a valutare il livello tecnico e le capacità di apprendimento del cliente, la sua conformazione fisica, è tenuto ad informarsi su eventuali incidenti subiti precedentemente dall’allievo e, sulla base di una valutazione globale di queste informazioni, può decidere come organizzare la sua lezione, quali piste scegliere, che esercizi fare eseguire agli allievi, che velocità tenere quando scia con i clienti al seguito. Non rientra nei suoi obblighi evitare che l’allievo cada, perché questo è un rischio insito nell’attività sciistica che il cliente decide liberamente di intraprendere, assumendosene il rischio.
Quindi, ad esempio, l’incidente accaduto ad uno sciatore durante una lezione di sci perché questo cade e si procura una lesione, difficilmente potrebbe essere imputato al maestro, perché sarebbe per lui impossibile evitare incidenti di questo tipo.
7.4 Considerazioni conclusive. Maestro di sci e guida alpina a confronto: chi, quando e come può effettuare lo scialpinismo e il freeride.
Il progetto oggetto del presente approfondimento porta a doversi chiedere se possano accompagnare i propri clienti sui percorsi tracciati online dal Comune sia le guide alpine che i maestri di sci.
Il criterio differenziale principale ed evidente fra le competenze della guida alpina e del maestro di sci è dato dalla riserva in favore delle guide alpine e dalla corrispondente espressa esclusione per i maestri di sci, della necessità “dell’uso di tecniche e di materiali alpinistici”.
L’art. 2 Legge quadro Maestri di sci elenca fra i materiali alpinistici tre strumenti tipici della Guida Alpina e cioè corda, piccozza e ramponi, ma si tratta evidentemente di elencazione esemplificativa e non tassativa sia perché preceduta da “quali”, sia perché deve essere letta in relazione al corrispondente art. 2 Legge quadro guide alpine, che richiama le tecniche e attrezzature alpinistiche (123).
Quindi deve intendersi che anche l’uso di altri materiali tradizionalmente legati all’ascensione, quali ad esempio le pelli di foca o i rampant (che sono ramponi da fissare agli sci nel caso le pelli di foca non fossero sufficienti per la progressione in salita) sia di competenza delle Guide Alpine e precluso ai maestri di sci nello svolgimento dell’attività professionale.
Non così per le attrezzature di sicurezza quali Artva pala e sonda o altri ausili quali zaino airbag posto che si tratta di dispositivi necessari anche solo nella fase di discesa.
Ma vi è un’altra differenza, forse meno evidente, che è quella che consente (art. 2 c.1 lett. b L. 6/89) l’accompagnamento solo alle Guide Alpine, mentre l’attività del Maestro di sci è comunque limitata (art. 2 L. 81/1991) all’insegnamento delle tecniche: a volte può essere difficile distinguere in fatto l’accompagnamento dall’insegnamento in quanto anche durante l’accompagnamento può avvenire l’insegnamento della tecnica o il suo perfezionamento, ma deve escludersi che il Maestro di sci possa solo accompagnare ad esempio in una gita senza insegnare al cliente le tecniche di discesa.
La Guida invece può oltre che insegnare anche “solo” accompagnare il proprio cliente in ascensioni e/o escursioni.
Del resto sotto tale profilo la differenza è evidente dalla stessa terminologia che distingue le due professioni.
Deve anche escludersi che il Maestro di sci possa risalire i pendii coi propri clienti, posto che da una parte non può accompagnare e dall’altra non gli compete l’insegnamento delle tecniche scialpinistiche o alpinistiche fra cui rientra tutto ciò che è necessario per l’ascensione, e quindi la sua attività sia limitata alla sola discesa, e per la risalita debba fare affidamento sugli impianti di risalita.
Solo la Legge Regionale della Valle d’Aosta consente al Maestro di sci, con disposizione dubbia ed in contrasto con la Legge quadro nazionale, la risalita di pendii anche su nevi perenni, con pelli di foca o racchette da neve, purché tale risalita non comporti l’uso di tecniche ed attrezzature alpinistiche quali corda piccozza e ramponi. Ma appare evidente che la risalita di pendii con pelli di foca o racchette da neve possa essere effettuata solo con l’utilizzo delle tecniche alpinistiche, che sono di competenza delle Guide Alpine. Per di più se su nevi perenni! Concludendo, il freeride è certamente sempre di competenza della Guida Alpina, mentre il Maestro di sci può esercitarlo per l’insegnamento delle tecniche sciistiche solo ed esclusivamente ove non sia richiesto l’uso di tecniche e materiali alpinistici; ed è evidente che fra le tecniche alpinistiche rientri principalmente la capacità di valutazione delle condizioni del manto nevoso e la conoscenza approfondita di tutta la materia riguardante la nivologia e ricerca di sepolti da valanga, che rappresentano materie di insegnamento e di esame specifiche della professione delle Guide Alpine, e non di quella di maestro di sci che deve invece conoscerne solo le nozioni di base.
Il Maestro di sci quindi proprio per le ridotte competenze professionali, potrà insegnare da solo le tecniche di discesa in freeride in casi piuttosto limitati e residuali, mentre lo potrà fare negli altri casi, se a sua volta accompagnato dalla Guida Alpina (124).
Sul punto si precisa come in Valle d’Aosta la Legge regionale 31 dicembre 1999, n. 44, che disciplina la professione di maestro di sci e delle scuole di sci, all’art. 2 prevede che: “È maestro di sci chi, per professione, accompagna e/o insegna, anche in modo non esclusivo e non continuativo, a persone singole o a gruppi di persone la pratica dello sci nelle varie discipline, esercitate con qualsiasi tipo di attrezzo, nell’ambito di comprensori sciistici attrezzati, piste di sci, itinerari sciistici, pendii e percorsi sciabili, anche di neve perenne ed anche se non serviti da impianti di risalita, percorsi di sci fuori pista ed escursioni con gli sci, con risalita dei pendii anche mediante l’uso di pelli di foca o racchette da neve; la suddetta attività non deve comunque comportare difficoltà richiedenti l’uso di tecniche ed attrezzature alpinistiche, quali corde, piccozze e ramponi”).
Da ultimo, un accenno all’eliski che, per le sue caratteristiche, non può che essere di competenza della Guida Alpina involgendo difficili valutazioni nivologiche e di scelta del percorso più sicuro, anche per i cambiamenti delle condizioni della neve che possono trovarsi lungo il percorso, nonché per la possibilità di dover affrontare situazioni critiche (passaggi su rocce, calate ecc.) che si trovassero impreviste sul percorso, tutte rientranti nelle competenze e nella specifica formazione della Guida Alpina (125).
Tanto che la stessa Legge Regionale Valle d’Aosta (126), pur più permissiva nei confronti dei Maestri di sci avendo consentito loro la risalita di pendii con pelli di foca o racchette da neve, ha stabilito espressamente la competenza delle Guide Alpine per l’eliski (127).
(93) Cfr. Riccardo Frau «La responsabilità civile sportiva» in La responsabilità civile, collana Diritto Privato nella Giurisprudenza a cura di Paolo Cendon, vol. X, p. 307 e ss. Cfr. altresì sul “rischio sportivo” e la sua incidenza sul regime della Responsabilità Civile, Giuseppe De Marzo «Accettazione del rischio e responsabilità sportiva » in R.D.S. 1992 p. 8, A.A.V.V. «Sport e rischio» VI 1985, Federico D. Busnelli e Giulio Ponzanelli «Rischio sportivo e responsabilità civile» in Resp. civ. e prev. 1984, p. 283, Paola D’Addino Serravalle «I cosiddetti atti di disposizione del proprio corpo e la tutela della persona umana», Napoli, 1984, L. Scarlattini «La responsabilità nell’attività sportiva» in Riv. dir. e prat. nell’ass., 1980, p. 330, Vittorio Frattarolo «In tema di responsabilità per l’esercizio di attività sportive» in Foro Padano, 1985, p. 375.
(94) P. Dini, L’organizzatore e le competizioni: limiti della responsabilità, in Riv. Dir. Sport., 1971, p.416.
(95) Cfr. Margherita Pittalis, La responsabilità in ambito sciistico, in Dir. sport., 2015, p. 45. V. anche Riccardo Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., p. 119.
(96) T. Bari, 9.5.2013.
(97) Cass., 19 febbraio 2013, n. 4018, in Rassegna di dir. econ. sport, 2014, p. 165 ss. con nota di Giovanni Berti De Marinis.
(98) Analoghi principi ha espresso T. Avezzano, 23 aprile 2009, in Giur. merito, 2009, 9, p. 2146, con nota di G. D’angelo, che ha affermato che l’obbligo di controllo del gestore delle piste da sci riguarda i pericoli atipici, cioè quelli che lo sciatore non si attende di trovare, «diversi quindi da quelli connaturati a quel quid di pericolosità insito nell’attività sciistica».
(99) La normativa è costituita dalle Leggi quadro n.6 del 2/1/1989 Ordinamento della professione di guida Alpina e dalla Legge quadro n 81 del 1991 per le professioni di maestro di sci e ulteriori disposizioni per la professione di guida alpina.
La Legge quadro n. 6 del 1989 all’art 2 stabilisce che: “1. È guida alpina chi svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, le seguenti attività: a) accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio o in escursioni in montagna; b) accompagnamento di persone in ascensioni sci-alpinistiche o in escursioni sciistiche: c) insegnamento delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche con esclusione delle tecniche sciistiche su piste di discesa e di fondo.
2. Lo svolgimento a titolo professionale delle attività di cui al comma 1, su qualsiasi terreno e senza limiti di difficoltà e, per le escursioni sciistiche, fuori delle stazioni sciistiche attrezzate o delle piste di discesa o di fondo, e comunque laddove possa essere necessario l’uso di tecniche e di attrezzature alpinistiche, è riservato alle guide alpine abilitate all’esercizio professionale e iscritte nell’albo professionale delle guide alpine istituito dall’articolo 4, salvo quanto disposto dagli articoli 3 e 21.
3. Le regioni provvederanno a individuare e a delimitare le aree sciistiche ove è consentita l’attività dei maestri di sci.” La Legge quadro Maestri di sci n. 81 del 1991 all’art. 2 definisce l’oggetto della professione di Maestro di sci come segue: “1. È maestro di sci chi insegna professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, a persone singole ed a gruppi di persone, le tecniche sciistiche in tutte le loro specializzazioni, esercitate con qualsiasi tipo di attrezzo, su piste di sci, itinerari sciistici, percorsi di sci fuori pista ed escursioni con gli sci che non comportino difficoltà richiedenti l’uso di tecniche e materiali alpinistici, quali corda, piccozza, ramponi.
2. Le regioni provvedono ad individuare e a delimitare le aree sciistiche ove è prevista l’attività dei maestri di sci.”.
Dalla lettura delle norme che definiscono le due professioni emerge che il punto di vicinanza fra i due ambiti professionali riguarda “le escursioni sciistiche, fuori dalle stazioni sciistiche attrezzate o dalle piste di discesa” (L. Guide Alpine) “ gli itinerari sciistici e i percorsi fuori pista ed escursioni” L. Maestri sci.
Tuttavia la normativa riserva alle Guide Alpine lo svolgimento delle attività di accompagnamento e insegnamento delle tecniche scialpinistiche “per le escursioni sciistiche, fuori delle stazioni sciistiche attrezzate o delle piste di discesa o di fondo, e comunque laddove possa essere necessario l’uso di tecniche e di attrezzature alpinistiche,” mentre consente al Maestro di sci di operare professionalmente lungo percorsi di sci fuori pista ed escursioni con gli sci che “non comportino difficoltà richiedenti l’uso di tecniche e materiali alpinistici, quali corda, piccozza, ramponi”.
(100) L’aspirante guida può svolgere le attività indicate dall’art. 2, con esclusione delle ascensioni di maggiore impegno, come definite dalle leggi regionali con riguardo alle caratteristiche delle zone montuose. Tale esclusione non opera se l’aspirante guida fa parte di comitive condotte da una guida alpina-maestro di alpinismo; l’aspirante guida può esercitare l’insegnamento sistematico delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche solo nell’ambito di una scuola di alpinismo; deve conseguire il grado di guida alpina-maestro di alpinismo entro il decimo anno successivo a quello in cui ha conseguito l’abilitazione tecnica all’esercizio della professione come aspirante guida. In mancanza decade di diritto dall’iscrizione all’albo professionale.
Per poter essere abilitati all’esercizio dell’attività è necessaria la frequentazione degli appositi corsi teorico-pratici ed il superamento dei relativi esami. L’esercizio professionale, invece, non comporta necessariamente la continuità e l’esclusività della professione, che può quindi essere svolta anche saltuariamente o stagionalmente.
L’esercizio stabile della professione di guida alpina, nei due gradi sopra descritti, è subordinato (art. 4) all’iscrizione in appositi albi professionali, articolati per Regione e tenuti, sotto la vigilanza della Regione stessa, dal rispettivo collegio regionale delle guide. L’iscrizione all’albo professionale delle guide alpine-maestri di alpinismo o degli aspiranti guida di una Regione, abilita all’esercizio della professione in tutto il territorio nazionale.
Le guide alpine e gli aspiranti guida possono, inoltre, conseguire, mediante la frequenza di appositi corsi e il superamento dei relativi esami, le specializzazioni di “arrampicata sportiva in roccia o ghiaccio” e “speleologia” (art.10), nonché di altre eventuali specializzazioni definite dal collegio nazionale delle guide alpine.
(101) Cfr. Giuseppe Sena, Profili civilistici in I limiti della responsabilità del maestro di sci e della guida, in Quaderni della Fondazione Courmayeur, Montagna rischio e responsabilità, 3, 1994, Aosta, pp. 35-36.
(102) Il significato normativo del principio di correttezza coincide, sostanzialmente, con quello della buona fede in senso oggettivo (art. 1375 c.c.), anche se la regola di correttezza ha una portata più ampia, con riferimento alla generalità dei rapporti obbligatori e non solo a quelli derivanti da contratto cfr. Vincenzo Roppo, Il contratto, in Tratt. Iudica–Zatti, Milano, 2011, 2a ed., p. 177.
(103) La «diligenza del buon padre di famiglia» costituisce un criterio generale di valutazione dell’esecuzione della prestazione riferibile soltanto al debitore, a differenza dell’altro criterio generale, quello della buona fede o correttezza (1176 e 1375 c.c.), che si applica, invece, sia al debitore che al creditore (Umberto Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica, Zatti, Milano, 1990, pp. 230, 356; Adolfo Di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1173-1176, Bologna-Roma, 1988, p. 230). La “diligenza” indica in astratto la misura dell’attenzione e della cura che il debitore deve adoperare per eseguire la prestazione esattamente nel modo stabilito (Ugo Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, II, in Tratt. Cicu, Messineo, XVI, Milano, 1984, p. 81). In base alla relazione al codice civile, la figura del bonus pater familias non si dovrebbe risolvere nel concetto di «uomo medio» «ricavabile dalla pratica della media statistica», ma dovrebbe essere l’espressione di un «concetto deontologico frutto di una valutazione espressa dalla coscienza generale»; più specificamente, la figura suddetta dovrebbe corrispondere al «modello di cittadino e di produttore, che a ciascuno è offerto dalla società in cui vive; modello per sua natura mutevole secondo i tempi, le abitudini sociali, i rapporti economici e il clima politico» (Relazione al codice civile, n. 559).
(104) Cfr. sul punto Alberto Predieri, Introduzione in I limiti della responsabilità del maestro di sci e della guida, in Quaderni della Fondazione Courmayeur, Montagna rischio e responsabilità, 3, 1994, Aosta, pp. 12-15. La diligenza in senso tecnico di cui all’art. 1176, 2° co., si applica soprattutto nel settore del contratto d’opera professionale (ove vi è anche un riferimento normativo espresso all’art. 2236 c.c.), ed in questo ambito la diligenza viene in considerazione in particolare come misura dell’esattezza dell’adempimento contrattuale, nel senso che, pur di fronte all’avvenuta esecuzione della prestazione, il cliente può dimostrare che la prestazione è stata eseguita inesattamente, ossia non in conformità a quelle regole tecniche cui fa riferimento l’art. 1176, 2° co. (Giovanna Visintini, Inadempimento e mora del debitore, in Comm. Schlesinger, Milano, 1987, p. 191), salva peraltro in questo caso la prova del professionista che l’inesatto adempimento è dovuto ad impossibilità della prestazione per causa non imputabile (Umberto Breccia, Le obbligazioni, cit., p. 490; Adolfo Di Majo, Delle obbligazioni in generale, cit., p. 479).
(105) Giuseppe Sena, Profili civilistici in I limiti della responsabilità del maestro di sci e della guida, in Quaderni della Fondazione Courmayeur, Montagna rischio e responsabilità, 3, 1994, Aosta, pp. 37-38.
(106) Sotto quest’ultimo profilo può ricordarsi la sentenza emessa dal giudice istruttore di Trento il 6 dicembre 1949 (in Riv. dir. sport., 1950, 119), con riferimento ad un’escursione organizzata dal CAI in alta montagna, durante la quale due partecipanti erano caduti in un crepaccio e uno di loro aveva perso la vita. “Gli imputati hanno potuto dimostrare che essi avevano posto in essere quanto era loro consentito di fare, mediante reiterati richiami ed avvertimenti, soprattutto in ordine al pericolo di fuoriuscita dalla pista percorsa in salita; che soprattutto i due giovani ebbero a rivelarsi i più indisciplinati ed insofferenti ai richiami suddetti e, non preoccupandosi degli stessi, procedettero per conto loro, staccando gli imputati che di necessità vennero a trovarsi arretrati con il grosso del gruppo. Fu così che i due giovani, percorrendo un tracciato diverso dalla suddetta pista, caddero in un crepaccio mascherato dalla neve, nel quale la ragazza trovò la morte”.
(107) Giuseppe Sena, Profili civilistici in I limiti della responsabilità del maestro di sci e della guida, in Quaderni della Fondazione Courmayeur, Montagna rischio e responsabilità, 3, 1994, Aosta, p. 37.
(108) La distinzione è stata a lungo accolta dalla giurisprudenza, che aveva elaborato uno schema di distribuzione dell’onere della prova in forza del quale, muovendo dalla premessa per cui il mancato ottenimento del risultato atteso non concreta, in tale categoria di obbligazioni, di per sé inadempimento, si faceva gravare sul creditore dell’obbligazione di mezzi l’onere di provare il mancato dispiegamento, da parte del debitore della prestazione, della diligenza e della competenza tecnica necessarie in relazione all’attività svolta (Cass., 25 novembre 1994, n. 10014; Cass., n. 6109l, 5 dicembre 1985; Cass., 5 agosto 1985, n. 4386). In tal modo veniva introdotto un differente regime giuridico della responsabilità debitoria, nel quale la responsabilità del debitore di una prestazione “di mezzi” veniva assimilata piuttosto al regime generale della responsabilità aquiliana, in cui la colpa rientrava tra gli elementi costitutivi dell’obbligazione risarcitoria, e dunque ricadeva sul creditore l’onere del darne la prova. Il criterio anzidetto è stato in particolare applicato con riferimento al contratto d’opera professionale, inducendo parte della dottrina a ravvisare in ciò un residuo di un antico, e ormai immotivato, privilegio a favore degli esercenti le professioni liberali rispetto a prestatori di servizi organizzati in forma di impresa.
(109) Con la sentenza a Sezioni Unite del 30 ottobre 2001, n. 13533, la Cassazione civile ha definitivamente stabilito che in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione).
(110) Conseguenza di questo orientamento lo si può scorgere nella pronuncia del Tribunale di Udine, 19 novembre 2015, n. 58 il cui testo è rinvenibile sul sito internet www.lawtech.jus.unitn.it secondo cui “È onere della guida alpina professionista, impegnatasi contrattualmente all’accompagnamento nell’escursione, dimostrare di aver adempiuto alla sua prestazione con diligenza, prudenza e perizia, ovvero che l’eventuale incidente è dovuto a fatto a lui non imputabile o a caso fortuito o forza maggiore. La guida alpina professionista, obbligata contrattualmente ad accompagnare in un’escursione alpinistica delle persone, risponde del danno occorso a queste ultime durante l’escursione, ove il verificarsi dell’incidente sia causalmente ascrivibile a un errore tecnico da lui compiuto nel curare l’accompagnamento (nella specie, l’incidente occorso alle persone accompagnate era determinato dal cedimento di un sistema di ancoraggio, allestito dalla guida, che aveva collocato un “friend” nella roccia e aveva sfruttato un chiodo rinvenuto in loco già infisso nella roccia, senza ribatterlo adeguatamente, perché il professionista non risultava provvisto di un martello da roccia).
(111) In questo senso, pertanto, «l’inadempimento dell’avvocato o del medico non è configurabile nella perdita di una causa o nell’esito negativo di una cura, bensì nell’inadeguatezza della difesa o nella deficiente assistenza». Cfr., in proposito, Luisa Riva Sanseverino, Del lavoro autonomo, in Comm. Scialoja e Branca, Sub artt. 2222-2238, Bologna-Roma, 1963, p. 241; Carlo Lega, Le libere professioni intellettuali, Milano, 1974, pp. 842 e 853 ss.
(112) Cfr. Cass. 28 aprile 2017, n. 10516.
(113) Cass. pen., 4 luglio 2007, n. 25527, in Cass. pen., 2008, pp. 995 ss., e in Dir. pen. Proc., 2008, 748 ss., con commento di C. Piemontese, Fonti dell’obbligo giuridico di garanzia: un caso enigmatico, tra contratto e fatto.
(114) Cfr. Cass. 25 gennaio 2011, n. 1737.
(115) Cfr. Mario Ulisse Porta, La Guida Alpina e la legge: alcune considerazioni sugli aspetti giuridici della professione di Guida Alpina, cit., p. 6.
(116) Per un esame della legislazione nazionale e regionale, sulle guide e portatori alpini, sulle competenze del C.A.I. vedi Marco Pradi, Guide e portatori alpini, voce in Digesto disc. Pub.., VIII, Torino, 1993, p. 58 ss.
(117) Cfr. Corte Cost., 18 luglio 1991, n. 360, in Riv. Dir. sport., 1991, p. 319.
(118) Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile – Sentenza del 2014, n. 3612– nella quale ha affermato che è di tutta evidenza che l’affidamento di un minore ad una scuola di sci perché gli siano impartite lezioni – il che concretizza la ricorrenza di un contratto – comporti a carico della scuola l’assunzione di obbligazioni di protezione volte a garantirne l’incolumità. La scuola, ed il maestro devono adempiere le obbligazioni volte a garantire la sicurezza dell’allievo, tenuto, in ogni caso conto delle peculiarità dell’oggetto del contratto, v. anche Cass.3.2.2011 n. 2559.
(119) Massimo Viola op. cit. p. 89.
(120) Usando le parole di Pietro Trimarchi si potrebbe dire che il danno non sarà imputato al maestro qualora, “eliminando o modificando taluni elementi nella descrizione della condotta, senza introdurre cause di giustificazione e senza modificare sostanzialmente gli elementi rilevanti nel processo causale che ha determinato il danno, è possibile ottenere un atto lecito che avrebbe ugualmente cagionato l’evento dannoso”, così Pietro Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1967, p. 72. Di conseguenza “deve escludersi la responsabilità contrattuale di una scuola di sci per le lesioni che un allievo subisca nel corso di una lezione ad opera di terzi che lo investa su una pista aperta a tutti ove il maestro del quale la scuola si avvale, si trovi nella materiale impossibilità di evitare l’evento dannoso e nel suo comportamento esulino profili di colpa” Cass. Civ. Sez. III, 25 maggio 2000 n. 6866.
(121) Massimo Viola «La responsabilità civile nell’incidente sciistico» 2002, Forlì, p. 89.
(122) Un quadro sufficientemente preciso delle specifiche regole in cui si deve sostanziare la diligenza richiesta al maestro di sci è stato delineato dall’inedita sentenza del T. Torino, 28 maggio 1994, n. 3824, richiamata da Mauro Ambrosio – Marco Bona, Responsabilità dei maestri di sci, cit., p. 906, secondo la quale il maestro di sci: è tenuto a garantire, per la sua stessa funzione, l’incolumità degli allievi; deve risultare in possesso di quelle cognizioni tecniche che sono richieste per l’esercizio della sua attività; deve agire con prudenza; deve essere in grado di valutare la preparazione, la capacità e la resistenza fisica dei suoi allievi ad affrontare una determinata discesa; è tenuto a valutare le condizioni atmosferiche in relazione alla capacità dei suoi allievi; deve valutare l’opportunità, in particolari situazioni, di astenersi dalla lezione.
(123) Sul punto si richiama il bel pezzo di Mario Ulisse Porta, La Guida Alpina e la legge: alcune considerazioni sugli aspetti giuridici della professione di Guida Alpina, cit., p. 6.
(124) Il comma sopra citato è stato così modificato dall’art. 1, comma 1, della L.R. 13 novembre 2007, n. 29.
(125) V., anche per questo aspetto, le considerazioni formulate da Mario Ulisse Porta, La Guida Alpina e la legge: alcune considerazioni sugli aspetti giuridici della professione di Guida Alpina, cit., p. 6.
(126) Cfr. Legge regionale Valle d’Aosta 31 dicembre 1999, n. 44.
(127) L’art. 1 c. 1 della Leggere regionale Valle d’Aosta 31 dicembre 1999, (come sostituito dall’art. 1, c. 1, della L.R. 12 ottobre 2009, n. 33), tra le diverse competenze, prevede quella esclusiva delle Guide alpine per l’“accompagnamento di persone in escursioni sciistiche, sci-alpinistiche e in itinerari eli-escursionistici”.
Aggiornamento della Redazione, 31 marzo 2021
A cura dell’Avv. Francesco Persio (Commissione Governativa Riforma Sport)
Oggi la nuova normativa è cambiata e, ricordiamo, è già entrata in vigore Decreto_legislativo_40_2021 (art. 26 D.L. n.40 del 28.2.2021: “Sci fuori pista, sci-alpinismo e attività escursionistiche”).
Attualmente la materia è disciplinata dall’art. 26 del D.lgs n.40 del 28.2.2021.
Con l’introduzione delle nuove disposizioni normative viene di fatto, sostanzialmente integrato l’art.17 della Legge 363/03 con l’aggiunta del comma 3 e del comma 4.
Riguardano rispettivamente l’obbligo dei gestori di esporre quotidianamente il bollettino delle valanghe.
E la facoltà dei gestori di destinare all’interno dell’area sciabile attrezzata appositi percorsi per la risalita con gli sci di alpinismo.
In particolare, la nuova normativa al comma 2 disciplina le attività escursionistiche anche mediante le racchette da neve.
Con ciò differenziandosi dalla precedente normativa che riguardava soltanto lo sci-alpinismo e lo sci fuoripista.
Sempre al comma 2 la nuova normativa provvede a individuare quali ulteriori strumenti di segnalazione, la “pala “e la “sonda da neve” che, pertanto, si aggiungono ai sistemi elettronici di segnalazione già previsti dall’art. 17 della L.363/03.
Il comma 2 dell’art.26 prevede una prescrizione molto importante. Rimette allo sciatore la valutazione circa “le condizioni climatiche e della neve” che possano comportare “evidenti rischi di valanghe”.
Con ciò lasciando piena libertà di decisione in merito all’opportunità di premunirsi o meno dell’apposito sistema elettronico.
Invero, in caso di “evidenti rischi di valanghe”, si auspica che gli appassionati evitino a priori di mettere in pericolo la propria incolumità. E quella dei soccorritori! In ogni caso l’obbligo di premunirsi di sistemi elettronici (cd dispositivi ARVA “apparecchi di ricerca in valanga) costituendo una “precauzione minima” potrebbe essere generalizzato in modo da consentire sempre un pronto intervento. Evitando così all’utente di correre inutili rischi ed al contempo evitando dispendiose attività di ricerca e soccorsi.
Continua con https://gognablog.sherpa-gate.com/liberta-e-orientamento-giuridico-5/
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Io ci aggiungerei un leggerissimo cordino antivalanga alla moda d’antan colorato con numerazione e pure un pallone gonfiato ad elio con spago lungo 8-10 metri, che costano pochissimo.Pala non c’e bisogno di dirlo, strumentazione elettronica solo perche ‘ obbligato. Anche amuleto napoletano antisfiga.L’air bag costa troppo, meglio un canotto da spiaggia per bambino gia’ gonfiato, costa meno e nemmeno devi tirare lo strap. Anche il boccaglio a valvole invenzione di ditta Italiana.
Oggi la nuova normativa è cambiata e, ricordiamo, è già entrata in vigore Decreto_legislativo_40_2021 (art. 26 D.L. n.40 del 28.2.2021: “Sci fuori pista, sci-alpinismo e attività escursionistiche”).
Attualmente la materia è disciplinata dall’art. 26 del D.lgs n.40 del 28.2.2021.
Con l’introduzione delle nuove disposizioni normative viene di fatto, sostanzialmente integrato l’art.17 della Legge 363/03 con l’aggiunta del comma 3 e del comma 4.
Riguardano rispettivamente l’obbligo dei gestori di esporre quotidianamente il bollettino delle valanghe.
E la facoltà dei gestori di destinare all’interno dell’area sciabile attrezzata appositi percorsi per la risalita con gli sci di alpinismo.
In particolare, la nuova normativa al comma 2 disciplina le attività escursionistiche anche mediante le racchette da neve.
Con ciò differenziandosi dalla precedente normativa che riguardava soltanto lo sci-alpinismo e lo sci fuoripista.
Sempre al comma 2 la nuova normativa provvede a individuare quali ulteriori strumenti di segnalazione, la “pala “e la “sonda da neve” che, pertanto, si aggiungono ai sistemi elettronici di segnalazione già previsti dall’art. 17 della L.363/03.
Il comma 2 dell’art.26 prevede una prescrizione molto importante. Rimette allo sciatore la valutazione circa “le condizioni climatiche e della neve” che possano comportare “evidenti rischi di valanghe”.
Con ciò lasciando piena libertà di decisione in merito all’opportunità di premunirsi o meno dell’apposito sistema elettronico.
Invero, in caso di “evidenti rischi di valanghe”, si auspica che gli appassionati evitino a priori di mettere in pericolo la propria incolumità. E quella dei soccorritori!
In ogni caso l’obbligo di premunirsi di sistemi elettronici (cd dispositivi ARVA “apparecchi di ricerca in valanga) costituendo una “precauzione minima” potrebbe essere generalizzato in modo da consentire sempre un pronto intervento. Evitando così all’utente di correre inutili rischi ed al contempo evitando dispendiose attività di ricerca e soccorsi.
Personalmente sono molto attento al problema trattato dall’articolo. Io penso che “l’indurimento” della giurisprudenza sia solo parzialmente la causa. Nel corso del tempo ho visto un progressivo allentarsi sia delle misure di sicurezza (liberi tutti) che un innalzamento dei livelli di rischio delle attività. Due esempi: un tempo, nello sci alpinismo, il più esperto faceva la traccia e il gruppo lo seguiva. Oggi i pendii vengono letteralmente arati ed ognuno vuole fare la propria traccia con ovvio sovraccarico del pendio ( ma vi sono moltissimi i esempi simili ). In alpinismo al 4° o 5° grado si arrivava molto lentamente non come ora, con ovvia mancanza di “occhio” ed esperienza. Procedendo in maniera opposta le velocità relative si sommano rendendo il fenomeno molto evidente. Farsi le ossa sul 3° grado o seguire la traccia del più esperto non sono dei “minus”, sono per come la penso io, una preparazione seria a ciò che poi in seguito con l’esperienza si potrà affrontare.DinoMarini
Altra bella “mappazza”, la cui lettura non è certo di facile digeribilità, ma che (nel suo insieme dei successivi capitoli) andrebbe memorizzata da ogni praticante delle più svariate discipline sportive in montagna, anche al di là di quelle “innevate”.
Il tema giuridico è “il” problema cardine dell’andar in montagna, almeno ai nostri giorni e sarà destinato a infittirsi/appesantirsi. Ciò non perché, in futuro, le norme giuridiche diventeranno più severe in assoluto, ma perché l’aumento di incidenti, conseguente ad un aumentato numero di praticanti, si riverserà in tribunale con un maggior numero di processi. E la ripetitività di sentenze di condanna sarà percepita, dalla massa, come un trend verso una montagna più severa anche sul piano giuridico.
In realtà il fenomeno è leggermente diverso da quella che sarà la percezione epidermica. L’applicazione degli stessi principi giuridici (che, nel nostro ordinamento, valgono senza distinzione dal livello del mare fino alla vetta del Bianco, anzi del Monte Bianco di Courmayeur, visto che la vetta vera e propria è in Francia) porta inevitabilmente a sentenze di condanne. I principi giuridici generali sono troppo severi per i fatti d’alta quota, ma il “diritto più mite” (auspicato dallo stesso Avv.to Maurizio Flick e dai suoi collaboratori) è ben al di là da concretizzarsi. Secondo la mia modesta opinione, ciò non accadrà mai, a maggior ragione con la situazione di duplice profonda crisi (pandemia-economia) in cui versa il Paese: nessun politico ipotizzerà di destinare risorse umane, organizzative e finanziarie per redigere una apposita “legge quadro per i frequentatori amatoriali della montagna”. Per cui mettiamoci il cuore in pace: almeno nell’arco dei prossimi decenni (che è il tempo utile per una nostra frequentazione della montagna) resterà in vigore l’attuale modello, che estende in automatico i principi giuridici anche ai fatti di montagna. Fra camminare su un marciapiede cittadino e tagliare un pendio innevato non c’è differenza e questo concetto non è affatto di dominio pubblico fra i frequentatori della montagna. Anzi capita di verificare quasi ad ogni gita che la montagna è considerata “il regno della libertà” e quindi si è portati a dare per scontato che lassù non valgano le regole della pianura. Se si pensa così, il risveglio sarà brusco.
Può esserci speranza nella progressiva presa di coscienza, da parte della massa di frequentatori della montagna, che, a praticare le discipline della montagna, si rischi di subire severe condanne penali e/o di vedersi arrivare ingenti richieste di risarcimento: questo può fare da deterrente e contribuire a smagrire le fila della folla che assale le montagne.
Una montagna più “scomoda”, cioè più severa, meno antropizzata (pochi rifugi, pochi impianti, poche paline segnaletiche…) e più impervia (anche figurativamente: niente soccorso…), fa selezione automatica alla fonte. Chi pensa di andare a “divertirsi” come se entrasse in un Luna Park, si disincentiverà e si dedicherà ad altre attività e frequenterà altri luoghi. In questo senso, la prospettica presa di coscienza (da parte della massa dei frequentatori della montagna) della consistenza dei rischi giuridici, costituisce un ulteriore tassello di “scomodità” della montagna. Forse lasceranno perdere la montagna, pensando “ma chi me lo fa fare di rischiare la galera?”.