Libertà e orientamento giuridico – 5
(Skialp, studio giuridico e comparato Italia-Svizzera – 5)
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Il Progetto Skialp@gsb è uno studio giuridico comparato Italia-Svizzera sulla promozione della pratica dello scialpinismo tra la Valle del Gran San Bernardo (AO) e la località svizzera di Verbier. E’ coordinato e diretto da Waldemaro Flick, Fondazione Courmayeur Mont Blanc.
La serietà con la quale in questo studio viene affrontata la complessità dell’argomento ne fa una lettura di interesse ben al di là dell’ambito locale. Abbiamo suddiviso Il Progetto Skialp@gsb in dieci puntate, nella certezza che ciascuna di queste risponderà a parecchie delle domande che da anni si fanno molti appassionati della neve.
Lo studio è articolato in tre diversi capitoli: Profili di diritto civile, Profili di diritto penale e Svizzera parte generale.
Profili di diritto penale – 01 (paragrafi 01-02)
a cura di Riccardo Crucioli (giudice, Tribunale di Genova*)
(Collana “Montagna, rischio e responsabilità”, n. 24)
*Il presente elaborato è redatto dal Dr. Riccardo Crucioli per “Fondazione Courmayeur Mont Blanc – centro internazionale su diritto, società e economia” esclusivamente quale contributo scientifico all’attività dell’ente, nell’ambito della collaborazione di carattere istituzionale con “Fondazione Montagna Sicura”, anch’essa istituita dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta. In particolare costituisce contributo, senza alcun compenso, all’analisi del compendio dottrinario e giurisprudenziale al fine di diffondere la conoscenza dei temi giuridici dello specifico settore anche con riferimento al progetto Skialp@Gsb ed all’accordo specialistico sottoscritto tra le predette fondazioni.
“Oggi è una bella giornata, qui in città. Domani lo sarà anche lassù, in valle. Diamo un’occhiata al bollettino valanghe, al meteo e all’attrezzatura. Ci prepariamo per invadere la casa di Arturo, che ci ospiterà nel centro del paese; l’obiettivo è un’escursione programmata in un “territorio aperto”: ci hanno indicato un sito internet con mappe, descrizioni, link ad applicazioni di previsioni meteo.
Tutto organizzato; rischio mitigato.
Abbiamo deciso di seguire le indicazioni e di provare.
Arriviamo in serata, una bella cena, un’occhiata alla mappa scaricata dal sito istituzionale del comune.
Sveglia presto, il sole splende. Attacchiamo il sentiero, con le ciaspole, poi con i ramponi seguiamo la traccia. Saliamo verso la vetta, il pendio aumenta, il caldo anche. È un attimo.
La valanga scende sugli ultimi, che vengono presi in pieno.
Alla fine siamo tutti salvi, ma qualcuno si è fatto male. Ci raggiunge il Sagf.
Danno i numeri: 590, 426 e 449. Scopriamo cosa sono i delitti di valanga e di lesione colposa. Ma noi non vogliamo essere imputati. Noi siamo le vittime. Noi vogliamo accusare. Chi ci ha dato quelle tracce, quelle previsioni, quella possibilità“.
Premessa
Per poter comprendere la realtà che ci circonda è necessario avere conoscenze.
Più è complessa la prima, maggiori devono essere le seconde.
Da tale ovvia valutazione deriva la necessità di spiegare come si è giunti a teorizzare la responsabilità in casi che parrebbero completamente estranei all’area dell’illecito penale.
Si tratta – citando esempi da una lunga lista – dell’“accompagnatore di fatto”, di chi provoca una valanga lontano da zone abitate, di chi indica ad amici un tracciato da seguire in zone pericolose (e lo convince ad affrontare l’escursione) ma anche del gestore di aree sciistiche che non fornisce adeguate informazioni ai clienti che scelgono di seguire percorsi fuori dai tracciati gestiti e, per giungere al tema centrale del presente lavoro, degli amministratori degli enti locali che pubblicizzano una zona sciabile per il free ride.
Solo seguendo un tracciato dottrinario e giurisprudenziale certamente non agile sarà possibile comprendere le ragioni – in parte anche non condivisibili, ma giudizialmente accertate – che hanno condotto alla condanna di molti imputati nei casi sopra citati.
Cercherò dunque di condurre – come un accompagnatore di fatto, appunto – il lettore lungo le tortuose curve del diritto penale, principiando dalla definizione terminologica di “valanga”, passando (o meglio dire: volando) sulla tematica della colpa, dell’omissione, della posizione di garanzia per poi giungere, toccando la complessa tematica delle ordinanze, al profilo della responsabilità dei gestori di aree sciistiche e degli amministratori pubblici.
Preciso però che verranno trattati unicamente questioni di diritto penale (128). Le tematiche della colpa, della prova liberatoria, delle presunzioni e soprattutto delle regole di giudizio di responsabilità nel diritto civile (più probabile che non, nel civile, oltre ogni ragionevole dubbio, nel penale), solo per citare alcuni ambiti di discrasia, rendono differenti gli angoli prospettici del giudice civile e di quello penale.
(128) Molti elementi rendono differenti i due rami del diritto. Solo per citarne alcune: – in ambito civile l’onere della prova incombe normalmente su chi aziona il diritto, pretendendo un risarcimento del danno basato sulla prova di determinati fatti (onus probandi incumbit ei qui dicit); il principio cardine del diritto civile è quello della c.d. vicinanza della prova che spesso sconfina in alcune presunzioni.
– per il nesso di causa (e cioè del criterio materiale prima ancora che logico in base al quale un evento di danno discende da un fatto o da una omissione, che ne costituisce appunto la causa), in ambito civile si è soliti parlare di “criterio del più probabile che non” mentre in ambito penale è noto il principio per il quale anche il nesso di causa deve essere provato “oltre ogni ragionevole dubbio”.
– la prova liberatoria in ambito di danno civile è spesso limitata al “non aver potuto impedire il fatto” che viene a sua volta declinato nella ardua prova di aver fatto tutto il possibile e di aver adottato tutte le precauzioni volte ad evitare la causazione del danno. Inoltre in ambito penale la valutazione da parte del Giudice è sempre libera mentre in ambito civile sono presenti presunzioni, vincoli e prove a fede privilegiata che imbrigliano la discrezionalità del giudicante.
– la competenza territoriale degli organi giudicanti in ambito civile appartiene normalmente alla residenza del danneggiato o comunque del consumatore (tale essendo il cliente degli impianti sciistici cfr Cass. 6.2.2007 n. 2563), mentre in ambito penale le regole – dettate dall’art. 8 cpp – impongono la competenza territoriale del luogo in cui il reato è stato consumato. Da ciò discende una notevole specializzazione dei Tribunali e delle Procure siti in prossimità delle piste da sci o delle montagne.
– la fonte dell’obbligo di garanzia spesso discende da elementi di diritto civile, come si vedrà in seguito. È cioè il codice civile che indica alcuni principi, generali e fondamentali, nell’ambito di nostro interesse ad es. gli artt. 2050 e 2051 cc. Tali norme indicano dunque una specifica fonte di responsabilità che travalica i limiti del diritto civile per creare un obbligo rilevante anche per il diritto penale.
1. I reati: valanga; omicidio; lesione
I reati che possono essere commessi in montagna non differiscono da quelli realizzabili in ogni altro contesto umano.
Pertanto le lesioni colpose e l’omicidio (dolosi o colposi) non presentano particolari problematiche se non in relazione al profilo della colpa ed in particolare di quella omissiva, soprattutto in rapporto ai soggetti sui quali graverebbe la c.d. “posizione di garanzia”. Ma di ciò si dirà infra.
Un solo delitto è “tipico” della montagna: il reato di valanga.
Trattasi di un unicum nel panorama legislativo europeo. Solo la legislazione italiana prevede i reati di valanga, doloso all’articolo 426 cp (129) (e dunque prevista e voluta come conseguenza della propria azione) e colposo all’articolo 449 cp (130) (e dunque un “delitto colposo di danno”, modellato sul richiamo ai casi dell’art. 426).
Al riguardo, nel richiamare quanto detto nei numerosi scritti che trattano la materia (131), si deve ricordare che per “valanga”, in lingua italiana, si intende una massa di neve che, staccatasi dall’alto di un pendio e rotolando verso il basso, assume dimensioni sempre maggiori trascinando e sommergendo quanto incontra lungo il percorso. Il termine ben definisce un concetto che non è però corretto dal punto di vista giuridico.
Se è infatti vero che il codice non spiega cosa si debba intendere con il termine “valanga”, si deve notare che l’art. 449 cp parla espressamente di “disastro”: un evento che deve necessariamente assumere dimensioni notevoli (si deve trattare di una caduta di neve significativa).
Non solo: il Titolo VI del libro II nel quale è inserito il reato reca la dicitura “delitti contro l’incolumità pubblica”. Il bene giuridico (e cioè il valore fondamentale) che si vuole tutelare è dunque chiaramente individuato: si tratta di preservare l’integrità fisica di un numero indeterminato e rilevante di persone (132), considerate non nella loro individualità ma in una dimensione collettiva.
Si tratta dunque di un reato di pericolo astratto, anche se non presunto (133) per l’esistenza del quale è richiesto un evento potenzialmente in grado di esporre al pericolo un numero indeterminato di persone con effetti gravi.
(129) Chiunque cagiona un’inondazione o una frana, ovvero la caduta di una valanga è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
(130) Chiunque… cagiona per colpa… un altro disastro preveduto dal cpo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Trattasi del capo I (dei delitti di comune pericolo mediante violenza), Titolo VI (dei delitti contro l’incolumità pubblica) del libro II (dei delitti).
(131) Cfr ad es. Stefania Rossi e Carlo Busato “Sinistri in fuori pista e responsabilità penale” in Rivista di Diritto sportivo 1/18.
(132) Cass. 18 gennaio 2012 n. 15444.
(133) Sul punto si veda la recente Cass. sez IV n. 14263/19 del 14.11.2018 dep. Il 2.4.2019 secondo la quale il reato non è da considerare di pericolo concreto, non essendo necessario accertare il sorgere di una situazione di effettivo pericolo per la incolumità pubblica derivante da uno degli accadimenti.
Non è però corretto neanche parlare di pericolo presunto, poiché tali reati si pongono in irrimediabile contrasto con il principio di offensività e correlativamente con il principio di colpevolezza. È allora necessario individuare elementi che diano concreta attitudine offensiva alla condotta. Si giunge così a parlare di pericolo astratto “nel senso che il pericolo non può essere insindacabilmente ritenuto solo che si realizzi il fatto conforme al tipo ma è conforme al tipo solo il fatto che esprima davvero una potenzialità offensiva dei beni tutelati…dovrà essere il giudice ordinario a garantire che il fatto concreto esprima almeno una minima offensività sicché il pericolo va accertato, alla luce degli elementi concretamente determinatisi, dell’espansività e della potenza del danno materiale, verificando se fosse o non fosse in grado di esporre a pericolo per l’integrità fisica di un numero potenzialmente indeterminato di persone. Siffatto giudizio va condotto secondo una prospettiva ex ante, ovvero verificando se alla luce dei fattori conosciuti e conoscibili da parte dell’agente al momento del compiersi della condotta o a quello del verificarsi dell’evento, quest’ultimo si presentava, ove realizzato, in grado di esporre a pericolo la pubblica incolumità”.
Non è invece necessario né che il danno si verifichi né che sia accertato in concreto il pericolo per la vita o per l’incolumità di un numero rilevante di persone: è sufficiente che tale pericolo sia astrattamente configurabile. Dunque per valanga, dal punto di vista giuridico, si intende:
– un evento anche non eccezionale o immane ma tale da comportare conseguenze gravi, complesse ed estese; un “macroevento di immediata manifestazione esteriore, che si verifica in un arco di tempo ristretto (134)”;
– “un accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità di numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile (135)”.
Proprio tale ultimo elemento assume un notevole valore, poiché il reato – sia doloso (136) che colposo (137) – ricorre unicamente nel caso in cui la massa nevosa coinvolge o rischia di coinvolgere zone antropizzate, nelle quali cioè si svolgono usualmente attività umane ovvero in luoghi nei quali transitano normalmente esseri umani. Per tale motivo è certamente “valanga” giuridicamente intesa quella che coglie o rischia di cogliere una zona abitata o una strada o ancora un tracciato delle piste da sci; non lo è invece quella che cade in zone montuose disabitate e non frequentate.
La questione è di notevole rilievo per la soluzione del quesito posto dallo sciatore all’inizio del presente lavoro.
Se infatti la valanga è stata causata da altri scialpinisti che stavano precedendo il suo gruppo, è necessario chiedersi se per il nostro ordinamento si può parlare di “valanga” oppure no.
In altri termini, è ben possibile ipotizzare che il passaggio di escursionisti, irrispettosi delle regole cautelari, abbia provocato il distacco di una valanga. Se però tale massa nevosa non è caduta in luogo antropizzato, nessuno sarebbe chiamato a risponderne dal punto di vista del diritto penale.
(134) cfr. Cass. 19 novembre 2014 n. 7941.
(135) Cass. 13 marzo 2015 n. 14859.
(136) Art. 426 cp.
(137) Art. 449 cp.
Come è agile comprendere, il problema (non solo semantico) si sposta sull’antropizzazione dell’area interessata, essendo possibile secondo alcune sentenze enucleare tale elemento dalla frequentazione abituale da parte di escursionisti o dalla possibilità che siano presenti altre persone (138).
Seguendo le motivazioni di alcune decisioni di merito, inoltre, l’antropizzazione sarebbe fornita dal fatto che sul luogo erano presenti gli stessi soggetti che hanno provocato la valanga; si tratta di decisioni che suscitano più di una perplessità dando per provato un elemento essenziale del reato (il pericolo anche solo astratto per una pluralità di persone) sulla base della semplice causazione della valanga da parte del soggetto agente che finisce per essere punito sulla base di una presunzione legata però alla sua presenza (139).
Sul punto è dunque bene proporre una soluzione chiara, per quanto derivante da una opinione personale suffragata unicamente da una parte della copiosa giurisprudenza.
Punto rilevante può al proposito essere la recente “direttiva valanghe” (DPCM 12.8.2019) (140) che reca una definizione di area antropizzata: “per aree antropizzate si intende l’insieme dei contesti territoriali in cui sia rilevabile la presenza di significative forme di antropizzazione, quali:
– la viabilità pubblica ordinaria (strade in cui la circolazione è garantita anche nei periodi di innevamento);
– le altre infrastrutture di trasporto pubblico (es. ferrovie e linee funiviarie);
– le aree urbanizzate (aree edificate o parzialmente edificate, insediamenti produttivi, commerciali e turistici) asservite comunque da una viabilità pubblica ordinaria;
– singoli edifici abitati permanentemente (ancorché non asserviti da viabilità pubblica ordinaria);
– aree sciabili attrezzate come definite dall’art. 2 della legge 24 dicembre 2003, n. 363, di seguito «aree sciabili» (contesti appositamente gestiti per la pratica di attività sportive e ricreative invernali)”.
Alla luce di tale testo normativo e delle sentenze sopra citate si può affermare con ragionevole certezza che il reato di valanga sussiste nel caso in cui una massa nevosa di ragguardevoli proporzioni cada:
– su cittadine, borghi, rifugi;
– su aree sciabili come sopra definite;
– su strade, ferrovie e altre vie di trasporto.
Non sussiste invece il reato allorché la valanga viene causata in luoghi lontani da ogni insediamento umano, come sopra descritti.
(138) Per casi di assoluzione basati sull’assenza di antropizzazione, cfr Trib. Bolzano 9 novembre 2010 n.529 e Trib. Modena 7 aprile 2011 n. 16.
(139) Scelta peraltro in linea con quella di alcune sentenze (cfr tra tutte Trib. Bolzano, sez. distaccata di Silandro 25 marzo 2002 n. 23) che ritengono superflua la effettiva pericolosità per le persone, classificando il delitto in esame come di pericolo presunto, per il quale dunque non potrebbe essere ammissibile la prova contraria sulla insussistenza del pericolo.
(140) Avente lo scopo di “delineare gli «Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale e per la pianificazione di protezione civile territoriale nell’ambito del rischio valanghe». Il documento include due allegati tecnici che ne costituiscono parte integrante: il primo allegato attiene alle procedure operative del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio valanghe ed il secondo definisce le procedure operative per la predisposizione degli indirizzi regionali finalizzati alla pianificazione di protezione civile locale, nell’ambito del rischio valanghe” cfr articolo 1.
Rimane invece il dubbio per la caduta della massa nevosa lungo pendii montani non del tutto disabitati o situati in zone assolutamente non frequentate.
Per tali ambiti, non valutati espressamente dalla direttiva valanghe, pare corretto distinguere:
1) sono comunque zone antropizzate i percorsi abitualmente frequentati da appassionati della montagna (scialpinisti, ciaspolatori, escursionisti, ecc…); recentemente la Suprema Corte (141) ha affermato che per valanga si deve intender anche la massa nevosa che cade lungo zone potenzialmente frequentate da sciatori: “a nulla rileva la circostanza secondo cui il versante dove si produsse la valanga non era antropizzato, il che avrebbe comunque impedito anche la sola eventualità di recare danno ad altri. E ciò perché una siffatta possibilità non è esclusa dall’assenza di costruzioni, strade o altre piste, posto che altri sciatori o praticanti altri sport o semplici passeggiate sulla neve, che avessero, come gli imputati, impegnato il pendio fuori pista, avrebbero potuto subire gravi danni, trovandosi al di sotto del livello di distacco della neve”.
2) non sono zone antropizzate i percorsi estranei a tratte usualmente frequentate a meno che l’escursionista non si avveda della presenza (evidentemente eccezionale) di altre persone.
Dalla suddivisione di cui sopra resta estranea la presenza della persona che provoca la valanga, che non può rientrare nel concetto di antropizzazione.
Resta da osservare che con il delitto di valanga colposa concorrono certamente i reati di omicidio colposo e lesioni colpose, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici differenti, con oggettività giuridica distinta.
Si può avere valanga senza lesioni od omicidio: è sufficiente provocare una caduta di neve (con le modalità di cui sopra) in una zona antropizzata per consumare il reato di valanga. Se la massa nevosa non colpisce alcun individuo, non vi saranno altri reati ipotizzabili.
Se invece un essere umano riporta lesioni o muore in conseguenza della valanga, il reato p. e p. dall’art. 449 cp concorrerà con quello di lesioni o di omicidio colposo.
(141) Cass. 4 sez pen. sentenza n. 14263 del 14.11.2018 dep. 2.4.2019.
2. Il reato colposo
Appurato dunque che chi provoca una valanga, nel senso sopra inteso, risponde di un reato ben preciso, eventualmente in concorso con altri delitti, è ora il caso di notare che non si sta parlando di reati dolosi.
È astrattamente ipotizzabile che qualcuno possa prevedere e volere come conseguenza delle proprie azioni la causazione di una valanga (ed il reato è stato inserito nel nostro codice proprio per tale ragione (142) e persino che possa volere che dalla caduta del manto nevoso derivi la morte o la lesione di qualche persona. In tali casi si tratterà di delitti dolosi, come tali puniti dagli artt. 429, 575 e 582-585 cp.
(142) Ed infatti il delitto di valanga è stato inserito nel codice penale “Rocco” proprio dopo l’osservazione dei cannoneggiamenti austroungarici nelle zone di montagna: impossibilitati a colpire le nostre trincee, i soldati dell’esercito imperialregio miravano ai pendii siti sopra le prime linee, causando la caduta della neve che copriva le nostre truppe. Del resto è noto che l’inverno 196/1917 è stato uno dei più rigidi del secolo XIX e che la caduta delle valanghe ha causato più morti di quanti ne hanno provocato gli eserciti in lotta. È la c.d. “morte bianca” che reso praticamente impossibile mantenere postazioni sulle vette più elevate, ma non di lasciare presidi fissi in luoghi magnifici ed al tempo stesso terribili come l’Adamello (con Cresta Croce, il Corno di Cavento, cima Payer) o il massiccio dell’Ortles e il Cevedale (con il Vioz, scavato per consentire il passaggio delle teleferiche).
Si tratta però, come comprensibile, di aspetti che non riguardano il presente lavoro, concentrato unicamente sulla colpa: id est sulla condotta violativa di regole cautelari (generiche o specifiche) oppure sull’assenza di condotta doverosa dalle quali è derivato un evento previsto dalla legge come reato.
Non è in questa sede possibile né opportuno esporre tutte le problematiche proprie dei delitti colposi (143). Sia sufficiente richiamare la necessità di individuare un nesso di causalità tra una condotta o un’omissione colposa (la guida inattenta di una vettura, l’uso imperito di uno strumento medico, la conduzione negligente di un gruppo di escursionisti sul pendio innevato prossimo al distacco o l’assenza di intervento perito, diligente e prudente) ed un evento di danno (la morte o la lesione del passante, del paziente, dell’escursionista).
In ordine alle cause dell’evento sono enucleabili problematiche connesse a:
– la causalità omissiva (allorché viene violato un comando) e commissiva (allorché viene violato un divieto): non ho tenuto la condotta doverosa (ho omesso la condotta) o ho agito in un certo modo (ho tenuto la condotta) violando le regole cautelari;
– l’obbligo di garanzia, riguardante unicamente la causalità omissiva: ero tenuto a porre in essere la condotta doverosa, impeditiva dell’evento;
– i poteri impeditivi: avevo il dovere ma anche il potere di impedire l’evento; perché se avevo il dovere di impedire un evento ma non ne avevo i poteri, non posso rispondere dell’evento;
– la causa sopravvenuta ex art. 41,2 cp: se la causa sopravvenuta è stata da sola sufficiente a determinare l’evento, ciò che è avvenuto prima non si inserisce nel rapporto causale o meglio, anche se è collegata a tale rapporto, non rileva dal punto di vista penale a meno che non costituisca di per sé reato;
– l’individuazione, in concreto, del nesso eziologico.
Si tratta, come intuitivo, di questioni giuridiche tra le più complesse e studiate di tutto il diritto penale.
In ordine, invece, all’elemento soggettivo si deve valutare:
– la violazione delle regole cautelari (che promanano da fonti speciali o da fonte generica) in relazione anche alla figura del c.d. agente modello;
– la prevedibilità dell’evento (con una valutazione necessariamente ex ante, attenendo quella ex post alla corretta ricostruzione eziologica dell’evento);
– la possibilità di un comportamento alternativo lecito con conseguente evitabilità dell’evento dannoso.
(143) Cfr, tra le varie impostazioni dei manuali di diritto penale, Giovanni Fiandaca ed Enzo Musco, op. cit. pag. 563 ss.
Da tempo la giurisprudenza ha abbandonato la qualificazione della colpa come “condotta antidoverosa della volontà” per giungere ad una connotazione più concreta dell’elemento soggettivo, individuando la colpa in violazione di regole di prudenza (144), diligenza (145), perizia (146) o nell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini (147) o discipline (148).
Sarà dunque necessario non solo valutare l’animo del soggetto agente ma soprattutto il risultato della volizione e del pensiero nel mondo reale, verificando se le azioni (o le omissioni) siano colpose nel senso anzidetto.
A tutte tali problematiche hanno fornito risposte alcune sentenze davvero pregevoli e ben argomentate alle quali si rimanda per una lettura preziosa (149).
Le questioni connesse a tali delitti sono assai numerose ed impossibili da vagliare in questa sede. Ad esempio è molto interessante l’esame delle condotte tenute dagli sciatori e/o escursionisti in rapporto alla causazione di valanghe e di lesioni ad altri soggetti. In questi casi si è in presenza di condotte e dunque di colpa commissiva.
Pare però doveroso concentrarsi unicamente sugli aspetti connessi alla responsabilità dei gestori di impianti sciistici e degli amministratori pubblici. In particolare dei profili derivanti dalla conoscenza dei luoghi e da tutto ciò che riguarda gli ambienti da loro gestiti o ad essi prossimi.
Innanzi tutto bisogna chiedersi se si è in presenza di colpa commissiva od omissiva.
Normalmente si afferma che la colpa è commissiva quando l’agente viola un divieto (agisce ugualmente o agisce trasgredendo regole cautelari) mentre è omissiva quando viola un comando (non agisce, lasciando che l’evento si compia).
La Cassazione più volte affermato (150) che in tema di reati colposi, quando l’agente non viola un comando (omette di attivarsi quando il suo intervento era necessario) ma trasgredisce ad un divieto (agendo quindi in maniera difforme dal comportamento impostogli dalla regola cautelare) la condotta assume natura commissiva e non omissiva.
(144) Per imprudenza di intende l’avventatezza, la scarsa ponderazione: ad esempio percorrere un pendio esposto a placche a vento o notevolmente sovraccaricato, pur essendo consapevole di tali fatti; oppure la scelta di un percorso più breve ma maggiormente rischioso; si ha imprudenza quando si agisce pur in presenza di un regola di condotta che impone di non agire o di farlo adottando particolari cautele invece omesse.
(145) Per negligenza si intende la trascuratezza, la scarsa attenzione (non porsi neppure il problema se un sentiero è scivoloso a causa del ghiaccio); si ha negligenza se la regola di condotta prescriveva una regola positiva.
(146) Per imperizia si intende carenza nelle capacità tecniche o nelle nozioni indispensabili per svolgere una determinata attività (ad es. non essere in grado di interpretare bollettini niveo metereologici); per imperizia si intende una forma di negligenza o imprudenza qualificata nello svolgimento di attività che esigono particolari conoscenze tecniche.
(147) Si pensi alle ordinanze sindacali contingibili ed urgenti che vietano lo sci fuori pista; od ancora i divieti posti a bordo pista dai gestori degli impianti.
(148) Come ad esempio i disciplinari del CAI.
(149) In particolare Cass. 11 marzo 2010 n. 16761 (sulle c.d. “colate di fango” a Sarno) e la ormai notissima Cass. SSUU 10 luglio 2002 n. 27, Franzese.
(150) Cfr ad esempio Sez. 4, Sentenza n. 15002 del 01/03/2011 Ud. (dep. 13/04/2011) Rv. 250268 – 01 in Italgiureweb.
La distinzione non deve essere sopravvalutata, dal momento che è ormai pacificamente riconosciuto che i due tipi di comportamento sono in realtà strettamente connessi e per così dire l’uno speculare all’altro, dato che nel violare le regole di comune prudenza il soggetto non è evidentemente inerte ma tiene un comportamento diverso da quello dovuto; peraltro essi sono sottoposti a regole identiche in ordine all’accertamento della responsabilità e la distinzione attiene soltanto alla necessità, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso per verificare la sussistenza del nesso di causalità, ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico (dandosi per verificato il comportamento invece omesso), anziché fondato sui dati della realtà nonché alla necessità di individuare la posizione di garanzia come fonte dell’obbligo di attivarsi.
Appurato quanto sopra, la risposta è ovvia: i reati che ci occupano sono di natura colposa, omissiva per i gestori e mista per gli amministratori.
Ai gestori viene sempre addebitata la mancata assunzione di cautele volte ad evitare l’evento (151): tipicamente l’assenza di paline che segnalano il dirupo o le rocce oppure il mancato posizionamento di protezioni.
Agli amministratori di enti pubblici invece non risultano ancora addebitati eventi in questo particolare ambito, ragione per la quale si può solo cercare di applicare i principi generali in tema di colpa approfonditamente esaminati in casi analoghi (alluvioni e frane).
Certo è che per entrambi è necessario individuare la c.d. posizione di garanzia.
Infatti per i reati colposi commissivi è sufficiente individuare la condotta che ha causato (o concorso a causare) l’evento. La difficoltà consiste unicamente nell’individuare la condotta e provare che l’evento è stato causato proprio dall’azione individuata. Si tratta di approfondire la questione del c.d. “nesso di causa”.
Per i reati colposi omissivi, invece, è necessario valutare – preliminarmente – se il soggetto che non ha posto in essere l’azione doverosa avesse l’obbligo di attivarsi.
Solo in caso di risposta positiva sarà poi necessario esaminare il “nesso di causa”, con la particolarità però che il giudizio dovrà necessariamente essere controfattuale; cioè contro i fatti: se il soggetto avesse agito, l’evento sarebbe stato evitato? La posizione di garanzia ed il giudizio controfattuale sono i due elementi tipizzanti il reato colposo omissivo.
Limitiamoci al primo dei due aspetti, essendo il secondo assai complesso e comunque molto studiato in giurisprudenza (152).
Secondo il capoverso dell’art. 40 c.p., non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (153). Per poter ritenere un soggetto responsabile di un evento in conseguenza di una sua omissione è necessario individuare, a suo carico, un obbligo giuridico di impedire l’evento o, se si vuole, per accertare su quale soggetto gravava l’onere di agire per impedire il verificarsi dell’evento (e non l’ha fatto) è necessario determinare la “posizione di garanzia”.
(151) Cfr da ultimo Cass. Sez. IV 8110/19 ud.13.12.2018 (dep. 25.2.2019) in Ced Cassazione.
(152) Cfr da ultimo Cass. Sez. 4, Sentenza n. 17491 del 29/03/2019 Ud. (dep. 24/04/2019) Rv. 275875 – 02 in Italgiureweb: “In tema di reati colposi omissivi, la condotta alternativa diligente ha funzione preventiva e non deve assicurare “ex ante” alcuna certezza di evitare l’evento, purché sia certo che una condotta appropriata abbia significative probabilità di evitarlo; pertanto, la sua mancata adozione da parte dell’agente è idonea a determinarne la responsabilità, senza che occorra stabilire il momento esatto in cui l’evento si è prodotto in modo irreversibile, essendo sufficiente che il dato scientifico affermi che il decorso del tempo ha inciso, aggravandole, sulle conseguenze della condotta omissiva” (Fattispecie in tema di lesioni conseguenti alla mancata tempestiva esecuzione di parto cesareo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna del medico ostetrico di turno ospedaliero che aveva omesso di attivarsi tempestivamente per il parto cesareo, nonostante il tracciato cardiotocografico fosse indicativo di sofferenza fetale, essendo invece irrilevante accertare in quale momento le lesioni da ipossia avessero assunto carattere irreversibile).
(153) Spesso peraltro i problemi connessi all’esistenza di una posizione di garanzia fondata sul precedente agire illecito o nello svolgimento di una precedente attività pericolosa sono privi di rilievo concreto perché, anche se si escludesse l’assunzione di una posizione di garanzia, l’agente non andrebbe comunque esente da responsabilità, mutando unicamente la natura della causalità da omissiva a commissiva; si potrebbe dunque trattare di causalità attiva dato che l’agente, con la propria condotta inosservante, ha cagionato l’evento dannoso (ed anche se non fosse suo obbligo rimuovere successivamente la situazione di pericolo).
Con tale termine si intende l’obbligo giuridico, che grava su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente forniti degli adeguati poteri giuridici, di impedire eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di adeguatamente proteggerli (154).
Secondo una prima teoria, gli obblighi del terzo possono derivare unicamente da una fonte formale (155). L’art. 40,2 cp individuerebbe la fonte dell’obbligo esclusivamente nella legge e nel contratto (sia tipico che atipico).
Secondo altre teorie (156), invece, gli obblighi possono derivare anche da criteri sostanzialistici, essendo possibile individuare come fonte anche la precedente condotta illecita o pericolosa, la negotiorum gestio e la consuetudine.
Ciò che però accomuna le varie teorie è il necessario rispetto dei principi di tassatività e determinatezza (individuazione certa dei titolari dell’obbligo di garanzia e determinazione oggettiva degli obblighi, con esclusione dei doveri morali) nonché la fondamentale presenza in capo all’onerato dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi.
Sotto il primo profilo la giurisprudenza di legittimità ha precisato che la posizione di garanzia non deve avere necessariamente una base normativa di diritto pubblico essendo possibile rinvenire l’origine dell’obbligo anche in una fonte di natura privatistica, per quanto non scritta. È, anzi, possibile che l’obbligo tragga origine da una situazione di fatto, da un atto di volontaria determinazione (157) e da una precedente condotta illegittima. Tali situazioni di mero fatto fondano il dovere di intervento e il corrispondente potere giuridico, o di fatto, che consente al soggetto garante, attivandosi, di impedire l’evento (158).
(154) Si veda Giovanni Grasso, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983; Ferrando Mantovani, Diritto penale, pt gen. Padova 2001; Francesco Palazzo, Corso di diritto penale, pt. Gen., Torino, 2006; Carlo F. Grosso, Marco Pellissero, Davide Petrini, Paolo Pisa, Manuale di diritto penale Giuffrè 2013 pag. 228 ss; Giovanni Fiandaca, Enzo Musco, Diritto Penale pt gen. VII ed Pag. 615 ss.
(155) Tenuto conto del fatto che l’art. 40,2 cp indica “l’obbligo giuridico” di impedire l’evento.
(156) Cf ad es. Carlo F. Grosso e altri cit. Cfr anche Cassazione 29 gennaio 2013, n. 18569 nella quale viene effettuata una pregevolissima disamina delle questioni, non solo giuridiche, sottese all’individuazione della fonte dell’obbligo di garanzia (richiamando anche la nota sentenza Cass. 22 maggio 2007 n. 25527, Conzatti, Rv. 236852 nella quale veniva affrontato il caso di una guida, cliente di un rifugio, che accettava di condurre a valle alcuni altri clienti con slittini; nel corso della discesa uno dei clienti moriva, dopo l’impatto con un albero, avendo imboccato una pista sbagliata.
(157) Cfr Cass. Sez. 4 Sentenza n. 24372 del 09/04/2019 Ud. (dep. 31/05/2019) Rv. 276292 – 01: “In tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può derivare, oltre che da una fonte normativa, sia di diritto pubblico che di natura privatistica, anche da una situazione di fatto, cioè dall’esercizio delle funzioni tipiche del garante, mediante un comportamento concludente consistente nella presa in carico del bene protetto” (Fattispecie di affermata sussistenza della posizione di garanzia in capo ai medici sportivi di due squadre di calcio, estranei all’apparato di soccorso presente sul campo e tuttavia intervenuti durante una partita in soccorso di un giocatore colpito da malore, in ragione della materiale instaurazione della relazione terapeutica consistita nel prestare i primi soccorsi ripristinando la pervietà delle vie aeree).
(158) cfr. Cass., 22 ottobre 2008 n. 45698, Fonnesu, rv. 241759-60, con riferimento al caso dell’ospite di un albergo annegato nel corso di un bagno in piscina in orario in cui non era garantita l’assistenza; 12 ottobre 2000 n. 12781, Avallone, rv. 217904; 1 ottobre 1993 n. 11356, Cocco, rv. 197354; 21 maggio 1998 n. 8217, Fornari, rv.
Come si vede, vengono utilizzati sia i criteri sostanziali che quelli formali: la posizione di garanzia può nascere non solo in forza di un contratto ma anche da una assunzione volontaria ed unilaterale di compiti di tutela al di fuori di un preesistente obbligo giuridico con la presa in carico del bene accrescendone la possibilità di salvezza (159).
Sotto il secondo profilo è indispensabile che il garante sia dotato di poteri impeditivi tali da consentire di influenzare il corso degli eventi. L’“influenza” può essere anche diversa rispetto a quella di evitare il verificarsi dell’evento, essendo sufficiente che a carico del garante fossero presenti, ed esigibili, anche meri obblighi di attivazione.
Come acutamente osservato (160): “l’agente non può rispondere del verificarsi dell’evento se, pur titolare di una posizione di garanzia, non dispone della possibilità di influenzare il corso degli eventi. Per converso chi ha questa possibilità non risponde se non ha un obbligo giuridico di intervenire per operare la modifica del decorso degli avvenimenti”.
Appurato quanto sopra è possibile operare una distinzione abbastanza netta.
Il gestore degli impianti sciistici ha certamente una posizione di garanzia in forza della quale può essere chiamato a rispondere dei reati di omicidio o lesioni colposi, per non aver impedito il verificarsi di un evento lesivo che aveva l’obbligo giuridico di impedire, sempre che sia possibile muovergli un rimprovero a titolo di colpa, derivante dalla violazione di una o più norme cautelari sia generiche che specifiche, queste ultime da individuare anche sulla base delle due direttrici di cui all’art. 3, comma 1, della legge 24 dicembre 2003 n. 363, rappresentate dall’obbligo di consentire lo svolgimento delle attività sportive e ludiche in condizioni di sicurezza e dall’obbligo di utilizzare adeguate protezioni e segnalare situazioni di pericolo (161).
Si vedrà nel capitolo seguente se tale posizione di garanzia copre solo gli eventi accaduti all’interno delle piste (e quali) o anche quelli occorsi fuori dalla pista.
Per gli amministratori, invece, il discorso è assai più complesso e poco scandagliato. Per tale ragione verrà esaminato nei § 5 e 6.
Traiamo allora le conclusioni connesse alla natura del reato colposo omissivo.
Perché sia configurabile la responsabilità è necessario:
– aver omesso una condotta attiva indicata come doverosa da norme positive o da regole generali;
– la presenza di obbligo giuridico in capo al soggetto che non ha tenuto tale condotta;
– la prevedibilità ed evitabilità dell’evento lesivo;
– la presenza di un nesso di causa tra l’omissione e l’evento, da provarsi mediante il c.d. giudizio controfattuale.
(159) Cfr Cass. 29 gennaio 2013 n. 18569 “si esclude l’imputazione causale quando il contratto è perfezionato ma vi è un inadempimento contrattuale, come nel caso della guida alpina che non si fa trovare al rifugio nel giorno convenuto ed il cliente, anziché rinviare, affronta la scalata in solitaria…la mancata presa in carico del bene o della cosa fonte di pericolo costituisce inadempimento del contratto ma non dell’obbligo di garanzia giacché tale obbligo insorge al momento del trasferimento di fatto dei poteri impeditivi. Quindi la guida alpina risponde dell’inadempimento ma non della morte dello scalatore. Sulla base del medesimo ordine concettuale, invece, l’imputazione ha luogo quando, pur in presenza di un contratto invalido, vi è stata la presa in carico del bene protetto; anche se in tale caso non è indifferente la causa dell’invalidità del negozio”.
(160) Cfr Cass. 11 marzo 2010 n.16761.
(161) Cfr in termini la recente Cass. Sez. 4, Sentenza n. 18333 del 18/01/2019 Ud. (dep. 03/05/2019) Rv. 275801 – 02 in Italgiureweb.
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Vedo molti escursionisti con ciaspole o sci e pelli, accompagnati dal loro fidato amico cane che sale zampettando senza fatica ..Ci sara’ qualche norma di legge pure per questa pratica??Scommetto che si trova..ad esempio un qualche divieto di lasciare i cani sguinzagliati nei parchi di montagna. Se non c’e’, qualcuno prendera’spunto per metterlo in un qualche paragrafo o sottocomma.Altrimenti occhio a controlli a sorpresa in alta quota sulle comuni regole valide sul territorio nazionale( sacchetto, paletta, e certificati di vaccinazione e microchip, certificato di assicurazione )..che ansia!
Piero.po. Io capisco quello che scrivi perché è simile alla lingua dei miei nonni. Penso che il 90% non capisca. Cuntent ti, cuntent tucc, cara al me ninin …diceva appunto la nonna…..suggerisco alla redazione di chiedere a Calvi di tradurre i tuoi interventi in finlandese per metterli a disposizione di tutti.
Giust. car ul me albert ga giunti tut cul ca ta vorat..però la tastiera rispund mia al tudesc..figurat al dialet..Tranchil..ul blogghe..l’è mai na roba seria..seri in i libar da test.. e po i resucunt da vita vissuta..ul cruella..par fa n’esempi i a cita spess i so sperienz e ghe da credagh..po al svariuna..su quai valutaziun ,ma ga stà.Ciao Albert mai diventà trop seri cunta ul blog..o mej in ti relazion storich.. e da vita visuda Ok. Po (e chi par esempi la tastiera..ved un po ti) sui massimi sistemi va beh! si può inventarsi di tutto. E lascia il tempo che trova.
No l’e’che “che as fa ciamà l’albert”..l’e’propi el so nom. Zontaghe na “o” final.
Poi un blog mica e’ un trattato giuridico , e’ anche un passatempo e si possono sparare opinioni strampalate o in gergo.O si deve aver paura di finire alla “gogna”? Sara’ per evitare grane giuridiche,molto praticata la solitaria in questi giorni , con frequenti notizie di soccorsi, incidenti e deceduti di escursionisti e sciatori. Almeno si togono la preoccupazione di essere denunciati o di essere tentati di farlo.
Altri invece ,con tutte le costose attrezzature sciistiche all’avanguardia, artva, zaino aibag ecc, stanno sul piu’sicurio e risalgono le piste battute industriali e quasi mai frequentate, evitando accuratamente la neve ghiacciata col crostone , ventata, ed i canaloni..e con la direzione indicata dagli impianti chiusi..Poi la raccontano come grande impresa…basta dare alle foto lo sfondo giusto. Beati quanti residenti in comuni con meno di 10mila cittadini, entro il raggio dei 30 km, hanno tutto e non stanno a commentare , ma fanno.. C’e’pure qualche benemerito sito che calcola e mette mappa .
https://napo.github.io/pat30cappa/
La tecnicissima descrizione forse porta a perdere di vista il nocciolo del problema…Per quel che può interessare, l’ipotesi di un nesso tra le valanghe causate nella grande guerra e il codice Rocco sembra un pò un volo dell’autore (che non indica fonti), perché i lavori preparatori raccontano una storia molto più grigia (un ragionamento tecnico sviluppato in particolare in un parere della corte d’appello di Firenze!). Chi sia interessato può guardare l’allegato con la versione estesa di quello che avevo scritto in questo blog https://gognablog.sherpa-gate.com/il-codice-penale-e-le-valanghe/
E brau ul crovella.da solit pica al nas n’po’ dappartutt..ma ad esi ,disi mia giust ma quasi unest..beh.. stavolta la centrada..ga va da (c) che al ga la so età.. e cuma as dis l’esperienza le scola d’vita..nduma avanti..l’albert le cuma l’erburin.. le mia se tal metat ,dappartutt..po al ga n’sens..sa veg parchè le verd…ma se tal metat mia.. le po la stesa roba.A menu che sia mia ul cogh..cul da la pentula che as fa ciamà l’albert
Ulteriore tassello a cura del gruppo di lavoro di cui avevo già letto e ascoltato con attenzione le tesi di pertinenza. Meritevoli della massima attenzione. Volenti o nolenti, quello descritto è il quadro in cui è ormai assodato ci si muove anche in montagna: altro che “libertà sconfinata”. Il contesto giuridico esiste da sempre (da sempre per noi, cioè per chi ha iniziato cmq nei decenni successivi alla II Guerra), solo che un tempo accadevano meno incidenti (= grazie a pochi fruitori). Negli ultimi decenni, in particolare dal 2000 (che in montagna è uno spartiacque non da poco sotto molti profili: tecnico, storico, comportamentale, ideologico, culturale…), l’aumento esponenziale dei fruitori della montagna ha comportato un fisiologico aumento degli incidenti, con relativo aumento delle cause in tribunale. La sensazione epidermica percepita dal grande insieme dei fruitori (specie da chi già andava in montagna prima di tale fenomeno, cioè ben prima del 2000) è che il diritto si sia incattivito con noi alpinisti/scialpinisti, ma non è così: le norme di legge sono le stesse di un tempo, solo che vengono applicate un numero maggiore di volte e i processi, o meglio le “condanne” (quasi inevitabili applicando le generali principi del diritto a ciò che accade su in quota, magari nella bufera o fra accumuli enormi di neve…) finiscono nella gran cassa mediatica e quindi vengono conosciute dalla massa dei fruitori. Io mi aspetto che il quadro giuridico non cambierà in futuro, specie nel medio-breve termine (cioè quello in cui noi frequenteremo ragionevolmente la montagna), io temo che il fenomeno che ho descritto si accentuerà ulteriormente nei prossimi anni. Di conseguenza conoscere le norme giuridiche, specie per uno scialpinista (perché, inutile negarlo, l’incidente da valanga è quello più complicato da prevedere e da gestire fra gli incidenti che possono capitare in montagna) diventa più importante che saper pennellare nella polvere… Altro che andar di pancia, in montagna si va con la testa. L’ho sempre sostenuto (anche prima di tale trend), ma in questo frangente storico vale ancor di più. Se si lascia la testa a casa, a volte proprio per rilassarsi dalla settimana lavorativa cittadina, ci si espone a dei rischi incalcolabili sul piano giuridico. Scusate il gioco di parole, ma non resisto a costruirlo: per il fenomeno che ho descritto sopra, ora come ora (rispetto a 30-40 anni fa) la mia sensazione è che in montagna siano più “rischiosi” i rischi giuridici di quelli effettivi proposti dal terreno e dalle proprie capacità tecniche. Come dico sempre, i compagni che in questo momento stanno ridendo con te in vetta, domani potrebbero essere i tuoi più acerrimi avversari in Tribunale. Se non loro, i loro eredi.
Allora per chi va in allegra compagnia, meglio predisporre un modulo che tenga conto della legislazione e liberi i compagni da qualsiasi responsabilita’. In modo che per la legge si configuri una situazione di tutti escursionisti autonomi single, capitati per caso nella stessa zona.
Un altro modulo per le guide alpine con esercizio professionale.Tipo consenso informato per intervento chirurgico.
Sempre ogni escursionista munito di telecamerina rotante a 360°con memoria capiente per fornire documentazione a scanso di equivoci.Magari anche un drone che esplori preventivamente il percorso e mandi la ripresa entro un visore per realta’ aumentata, abolendo la vecchia e sorpassata ammirazione del paesaggio con occhio protetto solo da antiquate lenti filtranti anti UVA.