L’incantesimo
di Enzo Pennetta
(già pubblicato l’8 ottobre 2018 su enzopennetta.it)
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Ilaria Bifarini è una giovane scrittrice che nel corso di questo anno ha riscosso un notevole successo in seguito alla pubblicazione di “Neoliberismo e manipolazione di massa – storia di una bocconiana redenta”, un libro nel quale vengono mostrati i meccanismi psicologici e socioeconomici con i quali la società neoliberista viene edificata e fatta apparire senza alternative.
La vicinanza con quanto sostenuto in numerosi interventi qui su Critica Scientifica è molta, la grande accoglienza avuta dal libro testimonia quanto questo messaggio sia immediatamente riconosciuto come vero e necessario alla comprensione della società contemporanea e alla formazione di una corretta opinione sugli avvenimenti politici, sociali ed economici.
Quando nell’aprile di quest’anno è stato pubblicato “Neoliberismo e manipolazione di massa – storia di una bocconiana redenta” abbiamo assistito a un vero caso editoriale, un libro che senza nessuna promozione e senza una casa editrice alle spalle si è imposto all’attenzione con un considerevole successo. Cosa ha spinto Ilaria Bifarini a scriverlo e qual è il messaggio principale del libro?
La pubblicazione del libro ha rappresentato per me il punto di approdo di un cammino interiore, fatto di osservazione e presa di coscienza dei meccanismi manipolatori di cui siamo tutti, più o meno direttamente, vittime.
A seguito di esperienze lavorative e personali ho cominciato a percepire quanto fosse ingannevole la narrazione neoliberista, che io conoscevo molto bene e di cui ero inconsapevolmente imbevuta in ogni azione e scelta quotidiana. Così, in un percorso a ritroso, ho rielaborato tutti gli insegnamenti che avevo appreso nel corso del mio percorso formativo di tipo economico: laurea all’università Bocconi, master alla SIOI e corso di liberalismo presso l’Istituto Einaudi. Insomma, una formazione neoliberista doc., che mi ha consentito di individuare il “nemico occulto”, ossia l’ideologia attraverso cui opera il sistema.
Il processo è stato lungo e complesso, una vera redenzione dal pensiero unico dominante, che richiede una volontà ferrea per arrivare alla consapevolezza e allo smascheramento del processo manipolatorio su cui è basato l’intero sistema socio-economico. Per farlo è necessaria una conoscenza, almeno basilare, delle leve utilizzate per manipolare le masse e dell’uso della psicologia sociale ai fini economici e politici. Nel libro utilizzo quindi un approccio multidisciplinare, che spazia dalla sociologia alla storia e alla psicoanalisi, proprio perché per comprendere il neoliberismo bisogna andare oltre la semplice categoria economica.
La scelta dell’auto-pubblicazione, senza sponsor e senza case editrici, spesso politicizzate, è un segnale di dissidenza e contravvenzione alle regole del mainstream, e questo il pubblico lo ha compreso e apprezzato.
Ha avuto modo di analizzare quanto successo in questi mesi e dare un’interpretazione dei motivi di tanto interesse intorno al suo libro?
Sicuramente l’interdisciplinarietà e l’uso di un linguaggio semplice e accessibile a tutti hanno rappresentato la chiave del successo presso il pubblico. Siamo abituati a una complessità artificiosamente voluta nel trattare temi che ci riguardano nella vita di tutti i giorni. In particolare, come spiego nel libro, l’economia ha da tempo perso il suo connotato di scienza sociale, che si occupa dell’uomo e dei suoi bisogni, per essere trattata alla stregua di una scienza esatta, come la matematica, con l’utilizzo di un vocabolario e una metodologia per addetti ai lavori. Per molti si riduce alla finanza o alla contabilità ed è percepita come una materia complessa e impenetrabile: assistiamo all’uso della metodologia quantistica e a simulazioni econometriche, che in realtà sono solo ipotesi, per spiegare concetti spesso del tutto intuitivi anche al lettore medio, il cosiddetto uomo della strada. Questo ha fatto sì che la gente comune si allontanasse dalla scienza economica e che l’èlite del potere, quell’1% della popolazione che trae beneficio dal sistema neoliberista a discapito dei più, potesse continuare imperterrita e indisturbata a riproporre lo stesso modello economico palesemente fallimentare. Quello che faccio nel mio libro è spiegare l’economia in modo chiaro e diretto, riportandola a una dimensione umana.
Se dovesse dare un suggerimento su come contrastare a livello personale gli effetti negativi del neoliberismo e della manipolazione di massa, quali sarebbero i primi passi da fare?
Combattere innanzitutto l’apatia e il senso di impotenza sulla quale si fonda il sistema. Già la Trilaterale in un documento del 1975 aveva indicato come, per assicurare il preservamento del sistema, fosse necessario che una parte di popolazione rimanesse volutamente ai margini dalla partecipazione alla vita democratica attiva. Come in passato il diritto di voto era riservato a una minoranza, mentre una buona parte della popolazione non aveva possibilità di espressione, così oggi, attraverso la cosiddetta democrazia apatica, una parte della popolazione è totalmente alienata e disinteressata alla vita pubblica, per rassegnazione o senso di impotenza. Questo atteggiamento va combattuto in tutti i modi: oltre al voto dobbiamo utilizzare ogni strumento democratico (ancora) a nostra disposizione. Occorre informarsi, ma con consapevolezza e sviluppando il più possibile il senso critico, per non cadere nelle trappole occulte e onnipresenti della propaganda manipolatoria su cui si regge il sistema neoliberista.
Ritiene che a livello politico ci sia consapevolezza di questa realtà e, in caso affermativo, ritiene che ci sia da parte di qualche soggetto la volontà di contrastarla?
A differenza di alcuni sostenitori di una teoria del complotto generale, credo che solo una ristretta parte di chi prende le decisioni, ossia il vertice più alto della piramide globale, sia davvero consapevole di ciò che sta infliggendo alla popolazione. È sempre quella sparutissima fascia di persone, difficilmente identificabili dietro enti e istituzioni internazionali, per lo più finanziarie, che dal preservamento dello status quo trae tutti i benefici. Gli altri, compresi i politici, non fanno che attenersi alle linee guida da eseguire e per cui si trovano a ricoprire determinate posizioni. Purtroppo devo constatare come anche l’opposizione politica spesso non abbia chiaro il disegno complessivo e si trovi a replicare le stesse ricette liberiste che stanno portando l’economia al disastro. Questo avviene perché decenni di propaganda e d’indottrinamento al pensiero unico hanno sedotto, più o meno irreversibilmente, la mentalità di ognuno. Inoltre, ai pochi che dissentono davvero dall’ideologia dominante, viene concesso poco spazio di espressione e di carriera, anche perché la gente, nella fattispecie l’elettorato, tende istintivamente a diffidare da chi si discosta troppo dalla “normalità” cui è abituata e respinge inconsciamente chi mostra una verità dura da accettare.
La psicologia delle folle è un punto centrale su cui si gioca l’affermazione di un determinato modello socio economico, cosa potrebbe oggi spingere le folle a rifiutare i modelli attuali imposti come inevitabili e quali sono le contromisure che potrebbero essere prese per neutralizzare questa possibilità?
L’unica molla che potrebbe portare a una vera rivoluzione è lo stato di povertà e disperazione sempre più diffuse. Ma anche qui il sistema è stato abile a trovare dei rimedi, che sono solo dei meri palliativi. Un esempio sono i bonus una tantum concessi dal governo Renzi, oppure l’attuale progetto del “reddito di dignità”. Questi strumenti non offrono una reale soluzione ai problemi grave della disoccupazione e della povertà, sempre più diffusi a livello nazionale, ma spingono il cittadino a credere che si possa continuare ad andare avanti e sopravvivere, e per questo mostrarsi anche grato, o quanto meno mansueto, verso il governo “benefattore”, che in realtà lo deruba della dignità. Inoltre, con l’aumento della massa dei disoccupati disposti a lavorare a qualsiasi condizioni e dei problemi di integrazione che stanno sfociando in conflitti sociali, dalla lotta tra classi del passato si è passati a una lotta intra-classe, che distoglie la popolazione dall’individuare i responsabili dell’attuale decadenza socio-economica.
In che modo le politiche scolastiche e le nuove tecnologie possono essere impiegate per indebolire l’opposizione critica al sistema neoliberista ed è possibile invece usarle in senso contrario?
Sicuramente gli insegnanti, come i genitori, hanno un ruolo centrale nella costruzione delle difese di giovani e giovanissimi alla violenza del pensiero unico e del nichilismo imperante. Purtroppo non è un compito semplice, poiché la loro autonomia è sempre più marginale e la loro incisività compromessa dagli innumerevoli e ambigui messaggi esterni. Pensiamo alla sedicente “Buonascuola” caldeggiata da Renzi, per cui i giovani anziché dedicarsi appieno alla formazione e allo sviluppo delle competenze vengono catapultati in un ambiente lavorativo spesso non a loro consono, senza possibilità di scegliere o di sottrarsi, secondo una forma di nuovo schiavismo. Oppure alle parole del ministro Poletti, che invita i ragazzi a non dedicare troppo tempo allo studio ma piuttosto a sviluppare, tramite il calcetto, quella rete di relazioni oggi necessarie a trovare un lavoro.
Inoltre, la diffusione delle tecnologie e della rete tra i ragazzi rende il loro livello di attenzione e di concentrazione sempre minore, bombardati come sono da una moltitudine di stimoli e di messaggi manipolatori che non sono in grado di filtrare. La classe docente che voglia farsi portatrice di un cambiamento ha una sfida molto ambiziosa davanti: quella di “insegnare”, o meglio avvicinare, gli alunni a sviluppare un pensiero autonomo e un senso critico che li vaccini dall’accettazione passiva e dall’omologazione che li renderà dei cittadini “apatici”. La nuova tecnologia, se utilizzata in modo intelligente e sotto una guida, può rappresentare uno strumento utile che ormai è parte delle nostre vite.
Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro prossimo?
Molto dipenderà dalla capacità di repressione del dissenso da parte del sistema e dalla consapevolezza della popolazione di essere la stragrande maggioranza. Oggi, come ai tempi di Le Bon, la cosiddetta massa torna a farsi sentire e l’élite ne avverte la minaccia. Tuttavia, pur essendo numericamente sempre più ridotta e polarizzata, la classe dominante è più potente e meno identificabile, nascosta dietro l’anonimato del potere finanziario, che opera attraverso la finanza ombra, e presiede tutti i centri decisionali e di comunicazione tramite il sostegno del mainstream. Spetta ai cittadini sviluppare la cognizione dell’inganno universale di cui sono vittime e la consapevolezza di detenere una schiacciante superiorità: il 99% della popolazione, seppure molto frammentario e ancora poco coeso, contro il dominio di un misero un 1%.
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Vedo però che di solito più il politico è una persona ignorante, più fa danni e pensa di avere delle soluzioni per risolvere i grandi problemi economici (del vivere socialmente come individui e come evolversi).
Poi un’altro fatto nel quale ripongo la mia fiducia, anche se piove e i miei amici nell’Agordino non riesco a sentirli.
Il TUTTO è molto complesso, ma da anni si sta sviluppando, grazie a pochissimi uomini geniali (Boltzman per primo), la teoria della complessità in maniera matematica, quindi scientifica e non filosofica, e grazie alla sempre più grande capacità di calcolo dei computers ora il piccolo uomo riesce a simulare alcuni comportamenti caotici (l’apprendimento) e dall’altra parte, sempre grazie ai computers, riesce ad avere degli andamenti statistici e compararli (l’enorme forza di Google, FB,…).
I computers sono ancora dei bambini che stanno mettendosi le cose in bocca e diverranno sempre più quantistici (come il Tutto), ma ci stanno facendo capire moltissimo, grazie alla loro sterminata capacità di calcolo.
Però i loro algoritmi vengono pensati da uomini intelligenti e i computers non potranno mai inventare nuove idee come i grandi geni dell’umanità (i folli intelligenti creati dalla probabilità quantistica), i computers non possono essere folli, sono macchine (purtroppo 🙂 ).
Spero che l’uomo mantenga il suo spirito ricchissimo di pseudo scienza filosofica fantastica, e resti sempre capace di usarlo con creatività.
Penso però alla gente semplice ora col telefonino (prima erano le semplici cicche) che sempre più viene isolata e “coltivata” solo per consumare evolvendosi lentamente: l’uomo per me non è un “animale bello”, spesso è fantastico, ma raramente “bello”.
Il lupo è un individuo molto sociale: è un bell’animale!
E il lupo è un essere molto più “economico” dell’uomo… l’uomo è una brutta bestia 🙂
Oltre che indipendenza direi che la politica dovrebbe alla fine governare l’economia.
Il politic avrà il suo consigliere economico . Ma consigliere non padrone o complice.
Chi parla di “sociale” in economia, a mio avviso, sbaglia. Non è suo compito.
Io ho capito ed interpretato l’Economia come la scienza che aiuta ad allocare le risorse “scarse” in maniera più efficace possibile. Per efficace intendo che produca i migliori risultati.
Di per se l’economia deve essere pragmatica e quindi non è ne buona ne cattiva.
Sta poi al contesto politico prendere i risultati prodotti ed allocarli nel sociale.Quando politica ed economia si mescolano, nascono danni ingenti. Ciò che occorrerebbe salvaguardare è l’indipendenza della politica dall’economia cosa assai difficile.
Non entro nel merito delle affermazioni del post, non c’è la dimensione oggettiva/soggettiva spazio temporale direbbe l’autrice, cioè non c’è lo spazio qui e non ho il tempo io. Credo che per quantistica intendesse solo quantitativa.
Quanto alla scienza sociale o meno, l’economia è una scienza sociale, nel senso che studia le reazioni delle persone ai fenomeni economici. Se ha ragione Lanzavecchia a dire che a certe azioni conseguono certe reazioni, le interrelazioni sulle reazioni e controreazioni sono non dico imprevedibili, ma talmente complesse da non essere prevedibili con qualche accettabile grado di approssimazione. E a questa imprevedibilità l’economia neoclassica, o mainstream, crede di porre rimedio con un’estrema sofisticazione matematica (ecco il quantistico), cui spesso corrisponde, in realtà, il vuoto pneumatico, o la banalità. Tipo quelle ricerche econometriche che si presentano con grande accuratezza a dire che studi recenti mostrano che una persona che si butta dal 10° piano di un palazzo nel 99,9% dei casi decede all’impatto col suolo.
Non litigate, neh, che è pure brutto tempo…che infine ha ragione il Luca V. Però i progressisti devono cercare di capire come funziona il mondo hic et nunc, se vogliono non già rivoluzionarlo, (che al di là della splendida esaltazione del momento poi finisce regolarmente male), ma davvero cambiarlo almeno un po’, ma in meglio!
Per dirla semplice, c’è chi è reazionario e chi progressista.
Per dirla semplice: la realtà viene riconosciuta solo quando la si osserva, altrimenti non si può sapere cosa sia (Einstein non la pensava così e ha litigato con Bohr per tanti anni, ma ha perso, magari solo per ora)… e si può concludere un po’ da facilone che le fattucchiere hanno sempre avuto molto successo, più spesso fra i poveri di spirito (Einstein però non era una fattucchiera).
Quantistico forse allude alla duplice o molteplice natura dell’elemento considerato.
Ovvero all’implicazione dell’osservatore che non può estraniarsi dall’osservato, cioè che l’osservato è in funzione dell’osservatore.
È in questa misura che la realtà è quantistica.
L’economia è una scienza sociale, se non altro perché attiene alla socialità dell’animale uomo.
Di sicuro comunque l’economia è un campo in cui:
1 – non esiste una che sia una regola universale, condivisa e matematicamente comprovabile
2 – non esistono 2 esperti che facciano una previsione identica, ma nemmeno che forniscano la medesima spiegazione a un fenomeno avvenuto
3 – non esiste una definizione comune nemmeno delle variabili in gioco
(potrei andare avanti ancora ma qui mi fermo).
Credo si possa pensarla come un sistema caotico, come la metereologia ma con mooolte più variabili di questa. Ma con la pretesa di essere assoluta e di funzionare sempre (non le 24-48 ore al massimo della metereologia)
In realtà l’economia per come si è venuta imponendo è letteralmente diventata una religione, con i suoi dogmi, i suoi sacerdoti, i loro scopi e la loro propaganda (che è l’unica cosa che funziona benissimo).
Tanto bene, che difficilmente troverai qualcuno che dica che il libero mercato non esiste (prova a comprare in Turchia un cell che costa 1/4 che qui e a portarlo in Italia), che dica che il privato non è necessariamente sempre più efficiente e quindi preferibile al pubblico (su questo rinnovo l’invito a leggere Graeber, della London school of economics). O anche solo che alcune cose sono un “monopolio naturale” e perciò è giusto che debbano rimanere pubbliche, perché tutti dovrebbero parteciparne al controllo (a meno che si voglia la dittatura, ovviamente).
Questa religione, come tutte le altre, è falsa e sopratutto tesa In Khool’a ar meeh, come dice un antico detto arabo: va smascherata e combattuta. A meno di decidere di accontentarmi delle bricioline che il sistema mi concede e chi se ne frega del resto (etica, sostenibilità, futuro, ecc.). Bricioline, nota bene, sempre più misere ed in evidente diminuzione: prova della verità dell’affermazione “modello economico palesemente fallimentare”
P.S.: anch’io mi ero chiesto cosa volesse dire quantistico, ma invece della tua spiegazione complessa, ingegnosa, divertente (e un po’ paranoica) l’avevo archiviata alla voce “cazzata priva di senso”
L’abilissino e gran lavoratore Marchionne una volta mi aveva detto pressapoco così: se gli esperti di economia, stava parlando degli economisti, fossero veramente capaci di fare quello che vogliono insegnare agli altri, allora non avremmo tanti problemi economici, non esisterebbero e tutti loro sarebbero molto ricchi.
Il discorso era nato da una battuta sempre antipatica: chi sa fa e chi non sa insegna.
E poi si era scivolati sull’opportunismo degli incapaci e dei falliti, anche dei politici.
Ma il mondo va così, si muore e si dimentica.
Matteo… visto che hai individuato un periodo che ti pare interessante, quello io commento:
“l’economia ha da tempo perso il suo connotato di scienza sociale, che si occupa dell’uomo e dei suoi bisogni, per essere trattata alla stregua di una scienza esatta… Per molti si riduce alla finanza o alla contabilità ed è percepita come una materia complessa e impenetrabile: assistiamo all’uso della metodologia quantistica e a simulazioni econometriche, che in realtà sono solo ipotesi, per spiegare concetti spesso del tutto intuitivi… Questo ha fatto sì che l’èlite del potere potesse continuare imperterrita e indisturbata a riproporre lo stesso modello economico palesemente fallimentare””
L’economia non è, ne è mai stata una scienza sociale. La caratteristica fondamentale delle scienze sociali (non quella dirimente, ma quella che consegue dalla loro natura) è l’assenza della possibilità di collocarsi nello (scusa se mi allargo) spazio cartesiano della sperimentazione.
Sarà ben difficile ad esempio effettuare esperimenti sulla letteratura o sulla filosofia.
“assistiamo all’uso della metodologia quantistica e a simulazioni econometriche””
Ahi.
Questa arrossisce la cartina al tornasole della stupidera.
Premettendo che la parola “quantistico” abbonda nelle fauci di chi non ne conosce il significato… mi viene seriamente da chiedermi cosa sia la “metodologia quantistica”… temo una supercazzola brematurata. Si riferisce all’uso di computer quantici nel calcolo delle variabili complesse legate alle equazioni economiche? Temo di no. Si riferisce al fatto che le persone sono nei comportamenti economici come quanti di cui è possibile prevedere il comportamento collettivo e molto poco quello individuale? Sarebbe sintetico ma oscuro ed impreciso… visto che il “quantico” per sua natura è discreto mentre nella dimensione dei comportamenti economici non ha senso parlare di livelli discreti ma di un continuum. Oppure si gratifica ad usare un parolone a sproposito? 😉
Ai posteri l’ardua sentenza. Io leggo un metasignificato… ma potrei sbagliarmi. Detto come magni: “L’economia è cattiva e bruttona e stritola le persone.”
Sì? No? Forse sì? Forse no? Mbeh? E allora?
Purtroppo l’economia è quello che è. Nonostante le azioni economiche si collochino in uno spazio a molte dimensioni, e dalle medesime derivino effetti complessi, tutto sommato da un certo tipo di stimoli derivano un certo tipo di effetti. Non è ne bello ne brutto, e nemmeno un’espressione “idealistica” degli economisti, ma un fenomeno che si è potuto osservare in pratica, condizionato eccome dalla psicologia delle masse, ma tangibilmente molto materiale.
Le regole dell’economia non le fanno i potenti. I potenti le usano a loro vantaggio, ovviamente, ma le regole sono neutrali, come è neutrale la forza di gravità. Se ti butti in un pozzo cadi. Se ti indebiti, come paiono non capire i nostri fantasiosi sovranisti, cedi sovranità… e la potrai riottenere solo pagando il tuo debito… o mantenere a livello accettabile se ne onori gli interessi. Non è un complotto ma una banale realtà.
Tendo a diffidare di chi usa paroloni, specie a sproposito, ed è per quello che ho tirato in ballo Fusaro che è il vuoto pneumatico altisonante per eccellenza.
Nel secolo scorso Carlo Marx aveva ipotizzato che i sistemi capitalistici sarebbero crollati perché il plus valore avrebbe teso ad azzerarsi. E’ successo? No. Le rivoluzioni socialiste si sono verificate in paesi arretrati e feudali che del capitalismo non riuscivano a reggere la concorrenza. Quindi si sbagliava. Magari non in altri aspetti ma in questo indubbiamente. Poi magari tra dieci anni il capitalismo non esisterà più… allora magari si penserà che poteva anche avere ragione. L’economia di questo si occupa. Di descrivere l’Homo economicus nei suoi comportamenti collettivi. E l’Homo economicus è solo una parte dell’Homo sapiens… ma la mattina si alza alle 6 per andare a lavorare e avere del grano che gli consenta di comprare pane e fica… e non per la gloria (Adam Smith riveduto e corretto). L’economia non giudica il comportamento morale o etico degli uomini… non è appunto una scienza sociale.
Quando si fa l’errore di agire in campo economico sulla base di categorie morali o ideologiche nella stragrande maggioranza si ottengono dei disastri clamorosi, come la storia del socialismo reale insegna molto bene. E come l’azione economica, ad esempio dell’attuale governo, sta per ribadire come ce ne fosse ancora bisogno. Gli investitori levano le tende e vanno altrove. Sono uomini malvagi? Si sono riuniti in un complotto demoplutogiudaico ai danni di qualcuno? No. Si comportano in modo naturale e secondo leggi prevedibili.
Ci sono quelli che pensano che il prezzo di una cosa debba corrispondere al suo valore. Non è vero. E’ l’incontro della domanda e dell’offerta. E’ una cosa brutta e ingiusta? Non lo so… può darsi. E’ un fatto. Come è un fatto che abbiamo due gambe. C’è gente che fa fatica ad arrivare alla fine del mese e si compra una cornetta da 1200 €. E’ un bisogno eteroindotto? Certo. Ma chi vende quella cornetta ha l’interesse a farsela pagare il più possibile. E questo vale per ogni merce, forza lavoro compresa, ed è forse per questo che chi ha studiato economia e conosce bene le regole del gioco, è mediamente molto ben retribuito.
E poi la manipolazione delle masse è l’arte del governare e della gestione del potere.
Basta pensare alle varie chiese cristiane ormai millenarie o alle strutture di potere non statale che nascono dopo le grandi guerre.
Tutte queste tendono a tenere le masse ignoranti e ad istruire solamente gli elementi più dotati per potersi rinnovare e poter continuare.
Ma nella storia dell’uomo civilizzato e sociale è sempre stata così e finora non è apparsa nessuna alternativa intelligente, solo tante chiacchiere di denuncia direi da millenni… bisogna però ricordarsi da noi popoli cristiani il medio evo e poi il rinascimento.
La “bella giovin pulzella” mi sembra un po’ troppo sicura del poco che sa 🙂 , invecchiando le auguro di saperne sempre di più.
Se non si fa cultura e si insegna, ma si fa mobilitazione, le speranza sono poche: la gente resta per natura seduta e ignorante, è più comodo.
Mi pare diversa da Fusaro. Individua il problema – che esiste oggettivamente – ma non ne propina una soluzione in salsa sovranista o populista.
Non ho idea di chi sia Fusaro, ma diverse le affermazioni della Pennetta mi paiono assolutamente condivisibili ed evidenti (a chi non sia in malafede o obnubilato).
“l’economia ha da tempo perso il suo connotato di scienza sociale, che si occupa dell’uomo e dei suoi bisogni, per essere trattata alla stregua di una scienza esatta… Per molti si riduce alla finanza o alla contabilità ed è percepita come una materia complessa e impenetrabile: assistiamo all’uso della metodologia quantistica e a simulazioni econometriche, che in realtà sono solo ipotesi, per spiegare concetti spesso del tutto intuitivi… Questo ha fatto sì che l’èlite del potere potesse continuare imperterrita e indisturbata a riproporre lo stesso modello economico palesemente fallimentare”
Consiglio di leggere David Graeber, “Bullshit jobs”, Garzanti che descrive lo stesso fenomeno della falsa ineluttabilità e della mancanza di alternative dal punto di vista del lavoro.
Francamente non ho idea se le soluzioni prospettate dai due siano possibili o valide (in realtà nemmeno se esista una soluzione…) però penso che prendere coscienza della situazione sia positivo e essenziale
Fusaro in salsa economica. più o meno ho detto tutto. Piacerà a questo pubblico.