L’Italia crea campioni della ricerca che poi lascia scappare all’estero

I ricercatori italiani sono un fiore all’occhiello dell’accademia europea. Ottengono una quantità significativa di finanziamenti europei, ma pochi scelgono di spenderli nelle università e nei centri di ricerca del paese. Manca una visione di lungo periodo: la porterà Draghi?

L’Italia crea campioni della ricerca che poi lascia scappare all’estero
di Salvatore Bragantini
(pubblicato su Domani, 8 febbraio 2021)

C’è nel campionato mondiale una grande squadra che non corre per lo scudetto, ma fa da vivaio alle altre, allevando i grandi campioni di domani per poi cederglieli; gratis però.
La squadra si chiama Italia Ricerca.

Se fosse un club sportivo, dopo pochi anni di investimenti su campioni che regala agli altri, fallirebbe. Siccome è, invece, la branca, essenziale, di un paese sovrano, può continuare così, senza che l’indignazione dilaghi; ogni anno, grazie alle imposte e alle tasse d’iscrizione agli Atenei, produce i suoi campioni.

È un bocchettone aperto da cui esce sempre acqua, pur se la pressione del getto diminuisce pian piano. Sul Corriere della Sera del 3 febbraio, Roberto Sitia e Anna Rubartelli han richiamato l’attenzione sui bizzarri criteri con cui Italia Ricerca gestisce i suoi campioni. A dicembre 2020 lo European Research Council (Erc) ha pubblicato dati significativi sui progetti finanziati.

La sostanza è presto detta: nella classifica, le nostre istituzioni stanno nella “media classifica”.

Sono 327 i bandi di ricerca finanziati nel 2020 dal ERC, l’European Research Council. FONTE
ERC.

Esse hanno ottenuto fondi in 17 casi su 327, come Israele (10 milioni di cittadini contro i nostri 60), mentre la Francia ne ha il doppio, 34. Germania e Regno Unito ne hanno 50 ciascuno, ma la Spagna ne ha 22. Quanto alle discipline, i nostri progetti riguardano per metà le Scienze Umane, per metà Fisica, Matematica e Scienze della vita. Negli altri paesi citati, sono molto più numerose le ultime. È bene che un paese con la nostra tradizione di studi classici abbia grandi risorse nelle Scienze umane, utilissime in ogni campo, ma la ricaduta economica delle scienze “dure” è ben maggiore.

Questi dati generano malinconia per il grande paese che potremmo essere e non abbiamo la costanza di essere. La malinconia diventa di botto ottimismo quando si passa alla statistica per i soggetti che han vinto. Qui vediamo che certi affrettati giudizi sulla misera Italietta sono remoti dalla realtà. Al primo posto c’è l’Italia, con 47 vincitori, di cui quasi metà, 23, sono vincitrici, contro i 45 della Germania (12 donne).

Perché siamo indietro come istituzioni ma avanti come persone? Perché le persone, formate a spese nostre, se non trovano qui occasioni all’altezza delle loro aspettative, vanno all’estero a fare ricerca. Sitia e Rubartelli stimano mediamente in 500mila euro il costo per formare chi può vincere un progetto Erc, i campioni del vivaio che esportiamo gratis. Ciò avviene per imprevidenza e per imprevedibilità.

Sulla prima, stranota, non merita indugiare; meno nota e più insidiosa è la mancanza di programmazione di lungo termine.

Quando chi fa ricerca si programma la vita, professionale e personale, non s’accontenta del finanziamento di un anno o due, sperando nella benevolenza dei vertici dell’istituzione dove lavora. Serve un orizzonte che consenta di redigere e attuare programmi con un capo e una coda. Non si può fare come con certi tratti autostradali, di cui usiamo finanziare un primo tratto (per il resto Dominus providebit).

I limiti delle istituzioni Oltre all’imprevedibilità, conta la paura di giudicare il rendimento delle persone, facendo una graduatoria di merito; se invece Caio lavora bene, e Tizia meglio, bisogna puntare su di lei, anche se è più giovane.

I giudizi di valore esigono il faticoso approfondimento del lavoro di chi fa ricerca, causano infinite recriminazioni; vuoi mettere la misura oggettiva dell’anzianità, che fa grado? Meglio scansare le responsabilità, il che aiuta nel piccolo potere accademico; così il baroncino spesso conta sulla fedeltà, dote suprema dei barboncini che alleva. Chi fa ricerca preferisce appoggiarsi ad istituti capaci di dare garanzie vere, purtroppo precluse spesso ai nostri istituti e Atenei; per questo su 47 nostri campioncini, solo 17 hanno appoggiato la ricerca ad enti italiani. Dare a questi giovani spazi, mezzi e tempi certi non è magnanimità, ma astuto calcolo, non spesa, ma investimento. Senza il quale non c’è sviluppo, economico o sociale. Visto che lo respingiamo, lo sviluppo se lo godranno, in vece nostra, i paesi che ospiteranno i campioncini, senza aver dovuto seminare per raccoglierli.

Siamo un paese troppo teso a rimirarsi.

Qui si vive bene, ma paesaggio, buon cibo e famiglia non esauriscono gli obiettivi di vita dei giovani; a differenza di tanti fra noi, essi sanno che c’è un mondo là fuori. Stiamone certi, pochi come Mario Draghi han chiara l’urgenza di invertire tale scialo, per tornare a investire sul capitale umano; anche le sue prime parole pubbliche lo confermano.

Pare arrivato il tempo della competenza senza arroganza, della determinazione paziente, del coraggio senza iattanza.

Dell’Italia migliore, dove uno non vale uno, ma ognuno conta.

Servono risorse per questo investimento di lungo termine? Se il nuovo governo nascerà (l’articolo è stato scritto poco prima dell’insediamento di Draghi, NdR), troverà tanti miliardi rivedendo drasticamente il progettato “Patrimonio Rilancio”, una nuova Iri ma senza Alberto Beneduce e Donato Menichella. Potrà anche fermare questo Bateau Ivre da 44 miliardi prima che salpi. Faremmo bingo: danno cessante e lucro emergente!

L’Italia crea campioni della ricerca che poi lascia scappare all’estero ultima modifica: 2021-05-06T04:14:00+02:00 da GognaBlog

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13 pensieri su “L’Italia crea campioni della ricerca che poi lascia scappare all’estero”

  1. Comunque meglio di Draghi che da del dittatore a Erdogan e incensa quello tripolitano

    e che ti aspetti da uno che da sempre frequenta un certo mondo bancario….

  2.  E’di oggi l’ipotesi di Biden di sospendere i brevetti sui vaccini  Rna. . A parte il fatto che tecnicamente non sara’con uno schioccar di dita che  sorgeranno nuovi opifici , perche’  considerare disdicevole che abbiano un profitto anche  ricercatori  e giovani, pure Italiani o  Turchi, o Polacchi emigrati come Sabin, mentre non si riesce a fermare vendita e produzione di armi e munizioni nella stessa nazione e pure resto del mondo??Un ricercatore deve, nell’imaginario essere uno  “sfigato” che lavora per poco e non ha altro scopo nella vita e parco come un  eremita,, mentre a farci la grana devono essere produttori di gadgets elettronici , del lusso  ed altri ammenicoli pagati a caro prezzo, spesso a obsolescenza programmata.

  3. Alberto. La mia era una battuta. Ovviamente. La mia generazione, quella di Draghi, ha un passato invasivo e narcisista. Facciamo fatica a farci da parte e ad assumere il ruolo di mentore e facilitatore del futuro che ci compete in questa fase della vita. Se vogliamo lasciare un buon ricordo. Ci sono tuttavia lodevoli eccezioni e con un po’ di sforzo magari possiamo farcela anche noi piccolini ad emendarci. Il paradiso può attendere. Per ora almeno.

  4. Sinceramente credo che ci sia proprio poco da rimproverare a Fedez stavolta…
    certo non mi rispecchio in lui (e non credo nemmeno che fosse il suo obbiettivo) ma ha fatto qualcosa di cui personalmente sentivo un gran bisogno: far venire allo scoperto il modo di agire tipico dell’Italia.
    Il non ti censuro, ti sconsiglio. Non devi adeguarti a un sistema, ma certe cose è meglio se non le si dice. Ci sono modi e tempi, magari puoi schierarti, ma non troppo. Non far dondolare la barca.
    Eccetera.
    Comunque meglio di Draghi che da del dittatore a Erdogan e incensa quello tripolitano

  5. lasciamo perdere Grillo che è semplicemente un rinnegato che ha preso per il culo un monte di persone che gli hanno dato fiducia. Adesso fa il democristano opportunista.
    Patriarca maschilista io????  Ti sbagli.
    Ma se ci dobbiamo rispecchiare  in figure alla Fedez , allora preferisco il 74enne Draghi. E mi costa tanto ammetterlo.
     

  6. Ecco la conferma. Vedi Alberto, sei un patriarca maschilista 🤪 su un piano più tragico, il video di Grillo padre a difesa del suo piccolo col pisello fuori è un esempio lampante di come il patriarcato sia diffuso anche dove meno te lo aspetti. Io non mi indigno istericamente ma provo solo imbarazzo e una gran tristezza, per il suo valore emblematico dei fiumi sotterranei che girano nella nostra società civile, spesso non esplicitati in pubblico, ma che emergono nei momenti di rottura.

  7. Massimo rispetto per Draghi ma siamo costretti a puntare su un uomo di 74 anni.

    c’è sempre la giovane alternativa FEDEZ.

  8. PS. Certo il capitalismo patriarcale ha i suoi vantaggi. Altrimenti non starebbe in piedi e la gente si rivolterebbe.  Storie di vita come quelle che si vedono in Nomadland da noi sono impensabili o molto rare. Le persone hanno comunque piu’ margini, anche quando cadono verso il basso. Le banche sono piene di contante depositato sui conti, non solo dei ricconi. E c’è la famiglia, che se appena può compra la casa ai figli, magari vicino a quella dei genitori.

  9. Noi viviamo in un capitalismo “patriarcale” dominato dai maschi anziani e finalizzato alla stabilità e alla continuità non allo sviluppo e al cambiamento. Siamo ben lontani da un neo-capitalismo liberale. Poi siccome siamo dei bravissimi commedianti, uno dei più noti esponenti del patriarcato a suo tempo si disse portatore di una “rivoluzione liberale”. Si sta bene da vecchi. Massimo rispetto per Draghi ma siamo costretti a puntare su un uomo di 74 anni. 

  10. Inutile sperare nel futuro di un paese dove l’anzianità conta più della competenza e dove i privilegi di casta o corporazione sono garantiti a vita. Mi vi sempre in mente la scena dell’esame universitario di Luigi Lo Cascio nel film “La meglio gioventù”: l’Italia è un paese bello, ma inutile, da distruggere…

  11. Se il problema si riducesse a tre o quattro teste da cambiare forse non esisterebbe nemmeno il problema.

  12. All’estero appena arrivano si fregano le mani dalla contentezza : hanno speso poco in formazione e  se ne ritrovano fatti e finiti e basta loro fornire mezzi e paga adeguata. Tanto ormai per le rimpatriate  poche ore di aereo.Poi a noi tocca pagare brevetti , accogliere multinazionali .Me se non riusciamo nemmeno a produrre gli shoppers, le mascherine, i microchip.. ! Tra giovani che lavorano..due al giorno se ne vanno per incidenti sul lavoro…Un giovane mi ha raccontato di esperienza di lavoro in Danimarca: orari definiti , niente extra non pagati e   giusto spazio per vita  ed interessi  personali.  Altra conoscente dopo 6 mesi di Erasmus :agli esami universitari in Finlandia, niente domande trabocchetto su parti di programma non affrontate nel corso…niente paginate di argomenti da  studiare  sparati via e-mail la sera prima di una sessione..lingua usata  in materie tecniche -scientifiche:Inglese.

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