Allerta Artva. Se non lo fanno, qualcuno deve farlo.
Lo faccio io
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 29 gennaio 2024)
Per la gita del giorno dopo ho verificato a casa il funzionamento dell’Artva. Era perfetto: trasmetteva e riceveva.
Il giorno seguente, al parcheggio della partenza per la gita, l’ho attivato nuovamente. Morto. Nessun segnale. Display vuoto. Siamo partiti e l’ho ugualmente mantenuto in posizione On. Passata circa una mezz’ora ho sentito i tre segnali acustici dell’avvio. Il display funzionava e anche in trasmissione era a posto. Tanto meglio. A fine giornata, di nuovo alla macchina, l’ho spento.
Poi l’anomalia si è ripetuta in occasione della gita della settimana successiva, nonostante a casa avessi fatto più verifiche di accensione, sempre andate a buon fine.
Il lunedì dopo la prima avaria, avevo scritto all’importatore, alla persona che anni prima lo aveva avuto in mano per una manutenzione, se non ricordo male “obbligatoria” al fine della garanzia di funzionamento. O qualcosa del genere.
Gli descrivevo il problema e chiedevo il suo parere. A suo tempo – anni prima – si era dimostrato gentile e disponibile.
Niente. Ad una settimana, nessuna risposta.
Riscrivo. Niente. Ad un’altra settimana, ancora nessuna risposta.
Telefono (oggi) all’importatore o referente italiano per Barryvox. L’apparecchio in questione è infatti un Opto3000 della casa svizzera, tra l’altro, mai sepolto, mai caduto, urtato o affogato. Apprendo però che il signor Jakob non lavora più presso di loro e che è stato sostituito dal signor Josef.
Il signor Josef non fa cenno alle mie mail. Evidentemente hanno buttato via l’account del signor Jakob, nonostante fosse del reparto tecnico/manutenzione degli Artva.
Segnalo gli estremi del problema al signor Josef, il quale trova normale che l’Opto3000 non funzioni più o funzioni male. Gli faccio presente che ho un Fitre, ben più vecchio del mio Opto, che funziona perfettamente.
Nella discussione mi chiede cosa pretendo da loro visto che Barryvox ha cessato la manutenzione degli Opto3000. Rispondo “serietà”. Come non comunicare che per un apparecchio ritenuto scaduto non ci sia una specifica allerta?
Mi propone allora di andare dalla concorrenza, ma era un consiglio che poteva risparmiarmi. So occuparmi di me stesso. La cosa interessante era un’altra: trovava normale che l’Opto3000, in quanto apparecchio datato, non funzionasse più. Non è questo il punto, gli rispondo.
Gli chiedo come mai in occasione della revisione, effettuata nel 2018, non era stata segnalata la bassa aspettativa di vita della mia macchina.
Josef ha pensato utile citare che avevo speso solo 35 euro. Come dire “non sono niente”.
Ho provato a fargli capire l’assurdità della sua affermazione, ma ho subito rinunciato, per passare a chiedergli di farmi avere 35 euro dei suoi. Al che, il signor Josef ha preferito glissare.
Visto che io non sono stato informato che mi stavo affidando a una macchina da buttare, la mia più grave mancanza è stata quella di non chiedergli se gli altri possessori di Opto 3000 sono stati informati, se qualche campagna stampa è stata realizzata per informare il popolo degli scialpinisti, quello dei cascatisti, e pure quello dei ciaspolatori oppure se spazi pubblicitari siano stati acquistati per la medesima ragione.
A dire il vero, credo non mi sia venuto in mente perché la risposta è scontata. Nessun possessore di Opto3000 sospetta di andare in gita con un problema in più.
Quindi, prima che accada il peggio lo faccio io, almeno nei confronti di coloro che leggeranno queste righe. Per gli altri, che si arrangino, o come dice il signor Josef, è normale.
Coloro che normale non lo trovano, forse trovano normale essere informati della durata della vita del proprio apparecchio e della cessata manutenzione, quando questa avviene, nonché affidare le loro speranze di sopravvivenza a una macchina da buttare, infine, di andare pure alla concorrenza. Forse pensano sia meglio essere sepolti con un apparecchio che trasmette e anche meglio ricercare qualcuno con un apparecchio che riceva, invece che trovarsi ad avere a che fare con una macchina in avaria.
Comunque, oggi, ho nuovamente scritto alla Socrep, al generico info, la mail a suo tempo inviata all’account del signor Jakob.
La risposta è arrivata in meno di un’ora.
Eccola:
“Buongiorno,
purtroppo non siamo in grado di esprimere un’opinione su quanto da Lei segnalato.
Dalla verifica della pratica risulta che l’apparecchio è di oltre 20 anni fa (anno di produzione 2001)!!
Mammut non garantisce più su questo tipo di apparecchio assistenza (comprensibilmente) e dunque da parte nostra non possiamo esserLe d’aiuto.
Per SOCREP S.R.L.
Paolo Prinoth p.prinoth@socrep.it
Via Arnaria 13
39046 Ortisei (BZ), ITALIA
Tel +39 0471 797022
www.socrep.it – info@socrep.it
P.I. / C.F. IT00596810218“.
Qui sotto, la mail trasmessa due volte, a circa una settimana una dall’altra, al signor Jakob:
Egregio, signor Jakob lo scorso 14 gennaio le ho scritto la seguente mail.
Ha potuto considerarla?
Grazie
Lorenzo Merlo
Egregio signor Jakob,
le scrivo per chiedere la sua opinione in merito al fatto che il mio Barryvox Opto 3000, come da immagine allegata, nonostante le batterie nuove e nonostante il nullo uso dalla revisione effettuata presso Socrep intorno al 22 gennaio 2018 OQQOPTO3000 – CANADA 34871021670 (vostra catalogazione 77 13/B), non si accendeva nonostante i ripetuti tentativi di attivarlo e la pulizia dei contatti-batterie, per poi a circa una mezz’ora dall’ultimo tentativo di accensione, avendolo lasciato in posizione acceso-trasmissione, si è acceso con funzionamento perfetto.
Le chiedo se ha idea da cosa dipenda tale comportamento, nonché la indicazione su come procedere al fine di disporre di uno strumento efficiente.
Grazie
Cordiali saluti
Lorenzo Merlo
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Ora che la ” valanga” dei commenti si è quasi arrestata ed essendo di medio piccola entità non ha fatto vittime , provo a dire la mia …
Bene a fatto Lorenzo Merlo a mostrare e innescare l elettronico argomento.
Personalmente credo che anche se solo uno su mille dovesse cavarsela sotto una slavina o valanga come chiamiamo noi il scivolamento della neve su pendio varrebbe la pena di averlo e ben funzionante nello zaino.
Ma ha straragione Marcello Cominetti nel dire che la neve per quanto la si frequenti è e rimane aliena.
Quel venditore a Torino farebbe meglio a spiegare al neofita che la polvere diventa acqua nei polmoni, la fresca soffoca e le lastre ghiacciate comprimono e schiacciano fino alla morte e quella si che e’ cannibale e non c’è ARTVa che dia certezza !
In realtà sei tu che non capisci le metafore altrui, in questo caso fraintendi quella di Platone per forzarla alle tue ossessioni
C’è sempre qualcuno che non focalizza mai le mie metafore, inutile insistere a ri-spiegare
Guarda che del mito della caverna di Platone non hai capito proprio nulla.
La “caverna” non è un ricettacolo di idee astratte e non ci sono proprio “idee appese come pipistrelli”: è una metafora della nostra possibilità di conoscenza del reale.
I cannibali poi c’entrano anche meno della ridondanza dei sistemi di controllo e comando su un aereo!
“ Questa tecnica (ridondanza) la usano anche sugli aerei, ma non ti dò ulteriori dettagli su come fanno altrimenti smetti di prenderli ????”
Un po lo so, se non altro per aver volato una ventina d’anni come tecnico di elisoccorso, ma gli areei continuo a prenderli. 🙂
quanto al cambio periodico, è opinione che condivido e che – pur senza pensare all’obsolescenza programmata (che è altra faccenda) – è condotta che adotto da qualche tempo per quegli attrezzi nei quali il deterioramento, e quindi l’affidabita diminuita, anche senza traumi, è difficilmente verificabile ma plausibile, ovvero corda e casco (anche da moto).
Rapidamente una precisazione su idee-persone. Non credo che il GognaBlog sia una specie di caverna di Platone di idee astratte. Le idee sono espresse da individui. Per cui le idee cannibalesche non esistono in quanto tali, appese lassù nella caverna come pipistrelli, ma esse esistono come espressione dei cannibali.
Di conseguenza è corretto stigmatizzare i cannibali, nonché tutti quei “fenomeni” che, da ogni antro del mondo, si allineano a loro.
Rapidamente una precisazione su idee-persone. Non credo che il GognaBlog sia una specie di caverna di Platone di idee astratte. Le idee sono espresse da individui. Per cui le idee cannibalesche non esistono in quanto tali, appese lassù nella caverna come pipistrelli, ma esse esistono come espressione dei cannibali.
Di conseguenza è corretto stigmatizzare i cannibali, nonché tutti quei “fenomeni” che, da ogni antro del mondo, si allineano a loro.
Tutto ciò premesso, poi ci vuole buon senso all’atto pratico. Dipente tutto dalle situazioni. Quanto ho scritto nel commento precedente è l’insegnamento ufficiale che diamo agli allievi (noché che seguiamo in gite collettive, anche se non ufficiali), viceversa nel kit da scialpinsmo che sta di stanza in montagna ho un Fitre anni ’80. Funziona ancora perfettamente e per le mie gite private uso quelle. Su in valle quasi sempre faccio gite da solo e sinceramente l’artva ce l’ho dietro solo per farlo vedere al carabiniere nel caso mi fermassero. Ma non è certo quell’apparecchio che determina le mie scelte sul terreno.
Senza esser Einstein dell’elettronica, basta adottare criteri di ragionevolezza e di prudenza, secondo i quali dopo tot tempo si sostituisce per sicurezza un certo tipo di materiali montagna. Quelli più sensibili sul tema sicurezza individuale. Quindi non necessariamente scarpini o sci, ma corde, fettucce et simili, fra cui inseriamo gli artva. Se uno, senza saper né leggere né scrivere, cambia questi apparecchi ogni 5-7 anni, sta sempre dalla parte della ragione.
Non parliamo poi di usura specifica per un evento singolo, cosa che impone la sostituzione immediata. Esempio classicissimo: corda che ha subito la sberla di un mega volo. Da sostituire senza pensarci un secondo. Il corrispondente evento per un artva non è tanto l’esser davvero finito In una valanga, ma l’uso prolungato e frequente. Quante gite a stagione. Fra sudore, umido esterno, batti qui, batti la’, io penso che 5 anni siano il limite di ragionevole prudenza, anche un assenza di danni evidenti. Inoltre per gli artva vale il concetto che siamo in un trend di evoluzione tecnica per cui se lo uso tanto, tanto vale sostituirlo che ne prendo uno di classe superiore. Nel passato ho visto gli arva digitali a due antenne diventare concettualmente obsoleti nel giro di pochissimo.
Non ricordo con assoluta certezza, ma mi sembra che nelle polizzone assicurative del CAI, già una 15.ina di anni fa circa le compagnie abbiano inserito delle condizioni (in caso di incidente) tipo che corde, cordini e fettucce coinvolte non devono esser più vecchi di 5 anni. Questo è il limite in cui i materiali invecchiano anche tenendo corde ecc sempte chiuse in un cassetto senza usarle mai (figurati a usarli). L’inserimento di tali clausole in polizza significa che uno potrebbe non esser coperto in caso di incidente. Se non ricordo male l’inserimento derivo’ da sinistri dove i materiali erano presumibilmente vecchi, ma la compagnie dovettero pagare lo stesso perché fino a quel momento non c’erano le suddette clausole. Ebbene, allo stato attuale non mi risulta che ci siano analoghe clausole per gli artva, ma io penso che si tratta solo di tempo e prima o poi saranno inserite.
Questo per chi crede ciecamente nella tecnologia come talismano che gli consente, in montagna, di fare tutto quello che vuole. Chi come me crede invece che la cosa più bella dell’andar in montagna sia andarci con consapevolezza e maturità, l’artva sarebbe addirittura superfluo. Non è l’artva che mi fa fare o non fare certe scelte in montagna, ma la mia testa. In più, cioè in aggiunta, ho anche l’artva per quei maledetti casi in cui magari commetto un errore o scatta la fatalità assoluta. Ovviamente avere dietro l’artva significa implicitamente saperlo usare a occhi chiusi e difatti ormai in ogni scuola di scialpinismo gli allievi fanno le esercitazioni artva in OGNI gita. Preferiamo fare solo 1200-1300 m ma tenerci tempo per le esercitazioni (tra l’altro non solo artva, ma l’artva c’è sempre ogni volta), che fare gite più lunghe e sacrificate le esercitazioni. Tenendo conto che un ciclo didattico dura 3-4 stagioni (8-9 gite a stagione) un nostro allievo si diploma avendo fatto una trentina di esercitazioni artva sul terreno (nei Corsi di perfezionamento, le esercitazioni sono delle vere e proprie simulazioni con prove a tempo ecc). Titto questo vale molto di più che avere l’artva ultimissimo modello, ma certo se ce l’hai è meglio.
@56
“[…] vale anche per i circuiti di un aereo”
“li gioca l’imponderabile (che qualcuno chiama culo) o potrebbe essere utile una qualche routine?”
L’imponderabile gioca sempre: non esiste sistema che possa essere considerato come sicuro in senso assoluto.
Ci sono tuttavia delle tecniche per ridurne il campo di gioco: una è la ridondanza di cui hai fatto un ottimo esempio citando computer subacquei affiancati a orologio + tabella.
Questa tecnica (ridondanza) la usano anche sugli aerei, ma non ti dò ulteriori dettagli su come fanno altrimenti smetti di prenderli 🙂
Quanto all’ARTVA, non credo che una “qualche routine” possa essere utile più di tanto per migliorare l’affidabilità, salvo farne un uso diligente ed essere consapevoli che l’affidabilità inevitabilmente cala nel tempo (anche se inutilizzato).
Più che dire di farlo riparare o sostituirlo al minimo segno di malfunzionamento non scriverei. Sta alla sensibilità di ciascuno decidere se cambiarlo o no (pur funzionante e senza difetti manifesti) e dopo quanti anni (come per il resto dell’attrezzatura, peraltro).
Mia opinione, naturalmente.
——— TERMINATOR ———
“Ascolta e cerca di capire. Quel Terminator è la fuori. Non si può patteggiare con lui, non si può ragionare con lui. Non conosce pietà né rimorso né paura. Niente lo fermerà. Capito? Non si fermerà mai.”
grazie Balsamo, riflessioni interessanti.
mi fanno venire in mente un attrezzo diverso ma non dissimile come rischiosità: dagli anni 2000 si sono sempre più diffusi i computer subacquei, con i quali oggi l’immersione è enormemente facilitata e resa più sicura. tuttavia sono aggeggi la cui funzionalità/affidabilità è legata a parametri imponderabili e spesso non verificabili e allora si continua ad andare anche con un orologio e una tabella (anche se poi non so quanti ancora vi abbiano dimestichezza).
certo è che a differenza di un imbrago usurato o di un rampone incrinato un arva non lo vedi se può mollarti sul più bello (ma quello vale anche per i circuiti di un aree…).
li gioca l”imponderabile (che qualcuno chiama culo) o potrebbe essere utile una qualche routine?
mi scuso con gli altri lettori e con il capo per essermi fatto pendere da venti minuti di polemica inutile
“come […] rendersi conto che un circuito integrato di un arva è moribondo o morto, soprattutto quando il produttore glielo ha revisionato e reso come buono?”
E’ difficile (se non impossibile) anche per un tecnico specializzato (e bravo), che conosca alla perfezione circuito e componenti, predire, in linea generale, il verificarsi di un guasto qualsiasi.
Alcuni tipi di guasto possono essere (ragionevolmente) predetti o su base statistica (e da queste considerazioni derivano i periodi di garanzia e il concetto di manutenzione programmata), oppure da misurazioni/osservazioni/prove eseguite sul singolo dispositivo. Ma non tutti i possibili guasti, purtroppo.
Per quanto riguarda la revisione, credo occorra discriminare in base all’intervento eseguito: se sostituzione di componenti oppure semplice verifica di corretto funzionamento (conformità).
Nel primo caso concordo che ci si possa aspettare sempre una qualche forma di garanzia, mentre nel secondo non è detto che il superamento dei test oggi garantisca l’assenza di un guasto domani.
Inoltre, a mio parere, occorre avere ben chiaro il concetto di dispositivo funzionante e dispositivo affidabile (che non sono la stessa cosa).
E verificare cosa c’è scritto in merito nel contratto di revisione.
“La manutenzione del materiale alpinistico-scialpinistico non può che fare riferimento alla maturità e alla consapevolezza di ciascuno…Caso “strano”, questo andazzo quasi sempre si associa a comportamenti sul terreno che, quando li osservo, mi fanno concludere che si tratta di cannibali. ”
parlando di idee e contenuti, aldilà dei postulati sabaudi che continui ad elargire a piene mani senza alcuna motivazione e delle ciabatte e zanzare (che poi ti vorrei vedere dal vivo a fare il ganzo…), puoi ad esempio spiegare come il non cannibale caiano adopera la sua consapevolezza per rendersi conto che un circuito integrato di un arva è moribondo o morto, soprattutto quando il produttore glielo ha revisionato e reso come buono? oppure anche al consapevole caiano uscito dalla titolata scuola ove Crovella insegna qualcuno gli deve dire che quell’arma dopo tot anni è da buttare?
perché il tema dell’articolo sarebbe questo.
Crovella, poi ti lascio al tuo brodo, ma continui a confondere idee e persone. io ho commentato le idee che esprimi e il modo, tu commenti (e offendi) la persona.
non che mi importi granché, ma è differenza non lieve che ti qualifica.
La manutenzione del materiale alpinistico-scialpinistico non può che fare riferimento alla maturità e alla consapevolezza di ciascuno. I criteri di prudenza impongono un ulteriore margine di sicurezza nella gestione del materiale. Vale per la fettuccia cui ti appendi alla sosta come per l’ARTVA. Guardandomi in giro, noto anche io una certa superficialità nella gestione del materiale (come segnalato da Dino). Caso “strano”, questo andazzo quasi sempre si associa a comportamenti sul terreno che, quando li osservo, mi fanno concludere che si tratta di cannibali.
Io non ho nessun problema di nessun tipo. Quando una zanzara mi infastidisce, cerco di spingerla ad uscire dalla finestra. Se proprio lei non “capisce” e persiste nell’infastidirmi, alla fine io mi rompo e la schiaccio contro il muro con la ciabatta. Così io mi sono tolto il fastidio, ma la zanzare è finita spiacciccata. Molto meglio starmi alla larga: la zanzara evita il rischio finale e io me ne sto tranquillo senza fastidi.
A questo punto, ripetendo alla noia le stesse cose, sei tu che incappi nel vizio che mi rinfacci. Infatti continui noiosamente a ripetere che (nella sostanza) ti sto sulle palle. Embhè? pensi forse di essere l’unico al mondo? pensi forse che la cosa mi condizioni? Ma cosa vuoi che me ne freghi delle opinioni di un leguleio del Levante… A ripetere ormai quotidianamente che ti sto sulle palle, non aggiungi nulla di nuovo al dibattito e invece, a questo punto, sei proprio tu che lo inabissi. Scrivi i tuoi commenti nel merito, senza continuamente riferirti a me, e lascia che io scriva i miei: tu giudichi i miei contenuti come delle cazzate né più né meno come io giudico i tuoi scritti delle cazzate megagalattiche. Abbiamo ormai definitivamente assodato tutto ciò, inutile continuare a tornarci sopra.
@43
Matteo, i DPI sono una categoria particolare di oggetti a cui si applicano normative (e procedure di manutenzione) ben definite.
Infatti, i rilevatori elettronici di gas da te citati, per poter essere essere usati come DPI in ambienti rischiosi devono essere conformi a normative di sicurezza specifiche (apparati intrinsecamente sicuri, ecc…).
Per quanto “strano” possa sembrare, ripeto che non mi risulta che agli ARTVA vadano applicate normative di sicurezza particolari o che debbano essere progettati con particolari accorgimenti di sicurezza (tipo ridondanza funzionale, sicurezza intrinseca, sicurezza reattiva, ecc…) come invece avviene, ad esempio, per sistemi automotive.
Ma, ripeto ancora, potrei sbagliarmi (comunque basta prendere un certificato di conformità di un ARTVA e controllare l’elenco delle normative: se vedi qualcosa di diverso dalle ETSI o dalla sicurezza elettrica, fammelo sapere).
“Non può e non deve essere il produttore a dirci quando un attrezzo è obsoleto: dobbiamo essere noi che con lo studio, l’informazione e l’esperienza dobbiamo capirlo.”
concordo in parte, sui materiali citati certamente si, perché l’inidoneità deriva anche dalla storia personale di quella’ttrezzo, se ha preso colpi, quali sollecitazioni ha avuto, quanti voli ha tenuto, etc. ciò non toglie che si vedano persone calci su note in falesia su moschettoni consumati a metà, senza minimamente preoccuparsene.
saranno cannibali? forse, o forse talvolta si è più fiduciosi del dovuto nei riguardi del fato, perché l’ho visto fare anche a gente di provata esperienza.
Sull’apparecchiatura elettronica, come un arva, diventa più difficile valutare l’obsolescenza o la inadeguatezza a svolgere il proprio compito, salvo sostenere che debbano necessariamente essere cambiati ogni tot anni, in quel caso è il produttore che dovrebbe indicarlo?
e se un produttore nel 2018 mi ha fatto una revisione positiva, è tenuto a dirmi quanto vale? (come per le bombole del metano auto)
vedi caro sabaudo, il tuo problema è vivere pensando di asfaltare qualcuno.
a me invece non importa nulla e, finché sarò su un luogo virtuale o reale che consente di commentare liberamente, dirò altrettanto liberamente quello che penso.
non vedo nessuna competizione in questo né intendo far prevalere il mio pensiero né ho avresti da eliminare, ma se uno ripete per la trecentomilionesima volta il solito concetto (tagliato con l’accetta e spesso in luoghi in cui c’entra nulla), talvolta mi diverte dirlo.
come quando scrive neofito e poi si erge a intellettuale e letterato (si, ok il correttore, la fretta, i mille altri articoli che stai scrivendo con le altre nove dita delle mani e dieci dei piedi, forse più con queste ultime).
se questo ti rompe i coglioni è un problema tuo.
quanto al riuscire ad appesantire quello che scrivi, stento a credere che ciò sia possibile.
stai bene 🙂
Mi scuso se nel mio intervento al 25 ho dimenticato la sonda; è ovviamente indispensabile. Però il discorso sui materiali e sul consumismo “alpinistico”può a mio avviso essere esteso alla scarsa conoscenza che le persone hanno sull’usura e durata dei materiali. Vedo in giro corde in condizioni pietose, imbraghi sfilacciati e usurati, vecchi freni ormai obsoleti per le attuali corde ect etc il tutto esibito come “vanto”. Si spendono decine di euro per le birre al bar, per la maglia alla moda ma …. per sostituire una piastrina ruggine o un moschettone usurato NO. Quanti sanno che una corda bagnata e ghiacciata perde il 50% delle sue caratteristiche? Quanti sanno che a 300 kN un moschettone in radiale si spezza ? Quanti sanno che il carico sui primi spit può arrivare a 600 e più kN? Potrei portare decine di esempi in cui gli “esperti” ignorano queste semplici informazioni e continuano a usare materiali da buttare o a usare male i materiali a disposizione. Non può e non deve essere il produttore a dirci quando un attrezzo è obsoleto: dobbiamo essere noi che con lo studio, l’informazione e l’esperienza dobbiamo capirlo.
@38 la frase finale del mio 34 non è riferita a te, ma all’autore del 41 ecc
nel precedente leggasi @41 e non @45
@45 ti ho già detto più volte che ognuno si esprime secondo la sua natura e i suoi gusti. Assodato che i miei parametri non ti piacciono (e viceversa), procedi tranquillamente per la tua strada e lasciami esprime senza rompermi i coglioni, Così come io ti lascio esprimere anche se mi è palese la tua natura di cannibale irrecuperabile (e non solo su temi di montagna). Inoltre, a ripetere all’infinito la tue stucchevoli litanie sul tema, da me non ottieni nulla e anzi stuzzichi perfino il desiderio di appesantire appositamente i concetti e i termini, visti i tuoi nervi scoperti, pur di infastidirti. Vuoi vedere che alla fine ti asfalto io e non viceversa?
“Non mi risulta tuttavia che debbano essere conformi a normative di sicurezza intese in senso stretto”
E questo mi pare alquanto strano, visto che secondo me dovrebbe rientrare a buon diritto nel novero dei DPI, che comprendono anche attrezzi elettronici come i rilevatori di gas.
Comunque se l’invecchiamento dei componenti elettronici non è facilmente rilevabile pe/o definibile, il costruttore dovrebbe segnalare chiaramente la durata del periodo di garanzia di buon funzionamento e l’assenza di possibilità di estensione.
Se invece fa opera di revisione, dovrebbe essere ovvio che deve definire un nuovo periodo di garanzia accettandone la responsabilità
Tutto questo dovrebbe essere chiaramente specificato nel Manuale di Uso ie Manutenzione, parte integrante della dichiarazione CE obbligatoria per poter essere commercializzato n Europa.
@33 @40
Qualsiasi apparato elettronico (che abbia o no funzioni di sicurezza) deve essere conforme a normative internazionali che dipendono dal tipo di apparato. Altrimenti non può essere commercializzato.
L’elenco delle normative applicate è riportato nella dichiarazione di conformità sottoscritta dal costruttore (di solito è presente nel manuale utente e nessuno ci fa caso).
Nel caso degli ARTVA, si applicano sia normative generali (compatibilità elettromagnetica e sicurezza elettrica, ad esempio) sia specifiche (alcune ETSI, dato che funziona in radiofrequenza).
Non mi risulta tuttavia che debbano essere conformi a normative di sicurezza intese in senso stretto (come le c.d. “SIL”, che possono essere estremamente restrittive).
Ma potrei sbagliarmi: non mi occupo di questo genere di apparati.
Comunque, allo scadere del periodo di garanzia (per la cronaca, per l’Opto3000 la garanzia del costruttore era di 5 anni) mi sembra che finiscano le responsabilità del costruttore e l’uso dell’apparecchio sia a rischio e pericolo dell’utilizzatore, ovvero: use it at your own risk.
L’articolo segnalato da Genoria è molto interessante, in particolare la frase “aging electronics may not be detectable in a hands-on inspection or through an electronic diagnostic check“, che è esattamente ciò che intendevo @29 quando parlavo di malfunzionamenti subdoli e di (esito della) revisione.
@crovella il problema non è il termine usato. è l’infarcire ogni post su qualunque argomento con le tue tautologiche osservazioni e la tua scadenza perenne e quasi sempre fuori luogo. Li potresti anche chiamare Ugo o rossicci. il problema non cambierebbe.
E’ l’etichettare sempre e comunque qualunque cosa secondo i propri parametri autoreferenziali, buoni per tutto. é il partire sempre con “io…”.
Non ce la fai proprio, manco a capire….
quanto all’avere sempre APS perché così posso salvare qualcuno o qualcuno può salvare me, anche se sono solo… invoco la libertà di scelta 🙂 , soprattutto in quelli luoghi ove ho la certezza quasi matematica che non possa staccarsi nulla.
Cominetti dice che l’articolo qui sopra “mette l’accento su come il consumismo tratti alla stessa stregua oggetti comuni e/o spesso inutili e oggetti Salvavita (…) argomento di estrema importanza (che) può essere recepito solo se si è abbastanza intelligenti”.
Decisamente non sono abbastanza intelligente e ho preferito concentrarmi sul commento di Matteo (33), perché secondo me è proprio quello il punto.
A questo riguardo, ho trovato un articolo pubblicato nel 2011 su “The Avalanche Review”. Il titolo è “Is your beacon ready to retire?” e link è questo (è in inglese): https://www.mountwashingtonavalanchecenter.org/wp-content/uploads/2015/12/Beacon-Retirement.JLane_.29.4.pdf
In un passaggio di questo articolo (che bisognerebbe però leggere per intero) l’autore scrive di avere posto la domanda a vari fornitori, e riporta che “Mammut recommends electronic diagnostic checks (…) every two years for the Opto 3000” ma “does not have a set age after which one should retire the beacon”. Altri produttori invece hanno dato risposte differenti: Ortovox raccomanda di cambiare l’ARTVA alla fine del periodo di garanzia (5 anni), Pieps raccomanda di cambiarlo dopo 10 anni.
La personale raccomandazione dell’autore, in questo caso, è questa: “when in doubt, retire it”. Una raccomandazione di buon senso, accompagnata da un dettagliato schema di verifica di tutte le funzionalità dell’ARTVA.
Trattandosi di una pubblicazione del 2011, mi viene da dire che il Gognablog renderebbe un servizio più che gradito alla comunità dei suoi lettori, se si prendesse la briga di rifare il giro dei produttori di ARTVA, riproponendo la più che legittima questione. Sono certo che i vari signor Joseph e signor Jacob si darebbero la pena, nel caso, di fornire risposte un po’ più professionali di quelle che hanno dato al povero Merlo.
Volereste su un aereo del 2001 che non è stato revisionato negli ultimi 6 anni? Perché allora pensate che sia accettabile usare un ARTVA con le medesime caratteristiche?
A me sembrano davvero surreali i commenti che leggo sotto sulla (presunta) critica al capitalismo. Stiamo parlando di un dispositivo che costa, nelle versioni base, circa 250€. Non volete/potete spendere 250€ ogni VENTIDUE anni per qualcosa che potrebbe salvare la vostra vita e quella di altri? Adesso va di moda il paddel, pensateci!
“Non cambio mica le mie terminologie solo perché non piacciono agli altri. Ognuno tiri dritti per la sua strada, senza rompere les pelotas, please.”
Guarda che tu hai dei problemi: nessuno, ma proprio nessuno, ha preteso che tu cambiassi alcunché. Stavolta almeno.
Forse un filino di autoreferenzialità e complesso di persecuzione…
… e comunque la ditta Mammut, al vertice del mercato di alta gamma, in questo caso è stata proprio una delusione… non si considera obsoleto solo l’apparecchio, va in obsolescenza programmata pure il cliente!
32) Matteo
direi un imbecille di meno, farebbe di molto bene.
Mi permetto di inserirmi in una discussione che è quanto mai opportuna, per una serie di motivi, che tento di riassumere.
Il primo: è obbligatorio per legge avere con sé il kit Artva-sonda-pala “in particolari condizioni di innevamento”. Ma la legge (con le sue varianti regionali) è stata scritta all’italiana: è come se si affermasse che sulle autostrade è obbligatorio avere l’automobile, senza obbligo di avere la patente.
Il secondo, che deriva dal primo: che senso ha criticare un’attrezzatura che può rivelarsi determinante per salvare una vita? Tutti abbiamo automobili con svariati air-bags e non ce ne lamentiamo.
Terzo e ultimo: il kit ASP (lo cito nel corretto ordine di utilizzo) non salva la nostra vita perché, come correttamente è stato ricordato, non è un talismano portafortuna, però può salvare un’altra vita, di un nostro compagno di escursione o di uno sconosciuto, se assistiamo a un incidente.
E ci pare poco? Ma è fondamentale usare correttamente queste tecnologie, quindi esercitarsi e anche parecchio. Una precisazione tecnica: non ci sono incompatibilità fra apparecchi analogici e digitali, la frequenza radio è la medesima. Quello che cambia, e di molto, è il tempo necessario per la ricerca. Posseggo ancora un vecchio Fitre (quello rosso, anni ’80) che uso per didattica, ma non mi sognerei di utilizzarlo in montagna. E non dimentichiamo la sonda, questo oggetto misconosciuto. Chi non la nomina non ha idea di cosa significhi cercare davvero una persona sepolta in valanga.
Avendo lavorato un paio d’annoi a Milano, conosco perfettamente il termine baluba che non è perfettamente uguale a cannibali, ma ci si avvicina molto. Non mi interessa, almeno in questa sede, approfondire le similitudini e le differenze di significato fra i due termini. In ogni caso, ognuno parla come è abituato 8anche per abitudini familiari) e soprattutto come gli piace. Non cambio mica le mie terminologie solo perché non piacciono agli altri. Ognuno tiri dritti per la sua strada, senza rompere les pelotas, please.
P.S.: a mio parere il fabbricante dovrebbe stabilire i limiti di funzionalità garantita di un apparato di sicurezza…credo sia norma di legge, ma di sicuro un’azienda seria dovrebbe pensarci per conto suo!
E non i pare cosa cosa strana, avviene per i caschi o le corde per esempio
@24 MG, video terribile e sintomatico del rapporto perverso con la natura…immagina cosa succederebbe se il povero lupo, evidentemente terrorizzato, si trovasse senza via d’uscita, si voltasse e aggredisse l’imbecille sugli sci!
@Crovella: a Milano si chiamavano Baluba
Consumismo sostituire un ARTVA difettoso vecchio di oltre vent’anni ? Mah…
Comunque, essendo l’ARTVA di Merlo, non può che essere quantico: finchè non lo accendi può essere sia funzionante che non funzionante. Come il famoso gatto 🙂
caminetti, che anche sul gogna blog abbia preso campo l’ia che formula risposte non ponderate?
perche se uno sapesse di cosa parla, come dice benassi, non parlerebbe di scarso innevamento più pericoloso ma di prati, quelli che attualmente ci sono in Apuane e Appennino.
sulla sensibilità: personalmente mi fido molto di me stesso e dei luoghi che vivo sempre (dove larva serve probabilmente tre volte in un decennio) e sono sempre andato più a orecchio che ad arva (anche perché a far giri di scialp vado sempre solo, quindi semmai servirebbe a trovare la salma).
fuori, da qualche decennio , ho assai più fifa di cascate e valanghe perche non ho sufficiente sentire.
sul senso dell’articolo, concordo con te. si continua a parlare di altro.
Da come viene descritto sembra un problema legato alla temperatura, probabilmente causato da invecchiamento del dispositivo (visto che “prima” non lo faceva).
Questi apparati contengono componenti elettronici che, con il tempo, modificano le loro caratteristiche. Anche se non vengono utilizzati.
Ciò può generare malfunzionamenti come quello descritto o anche più subdoli, difficili se non impossibili da prevedere in fase di progettazione.
Non è quindi detto che il costruttore fosse a conoscenza del problema (ma ora lo è, e – indubbiamente – poteva gestire meglio la cosa), così come non è detto che tutti gli Opto3000 finiranno, prima o poi, col comportarsi in questo modo.
Quanto alla revisione, relativamente recente, non è detto che possa rilevare l’insorgere di questo genere di problematiche (bisogna vedere in cosa consiste: sono state fatte sostituzioni di componenti o solo verificato che il funzionamento, in quella data, fosse nei parametri ?).
Il succo del discorso è che, quando un dispositivo elettronico manifesta un malfunzionamento, o lo si fa riparare (se possibile) o lo si sostituisce. Specie se ad esso è affidata una funzione importante.
Nel caso specifico, se il difetto si manifesta alla partenza di una gita, valutare attentamente se svolgerla ugualmente o rinunciare.
Certi commenti, non tutti ovviamente, sembrano frutto di una risposta automatica che viene ingenerato dal solo toccare un un’argomento. Un indottrinamento così rigido sul tema neve e valanghe lo trovo pericolosissimo perché mette l’utente in una situazione di falsa sicurezza.
Muoversi sulla neve e conoscerla non è per niente una scienza esatta e l’unico aiuto concreto viene dallo starci sopra il più possibile. Spalarla dal tetto e davanti a casa. E non sarà mai abbastanza.
Anni fa mi aveva colpito una frase di Tone Valeruz: comprati l’Arva più costoso se vuoi finire sotto a una valanga.
Verissimo!
Comunque l’articolo di Merlo mette l’accento sul consumismo usando come metafora un vecchio Artva.
Al mio paese, se mi lamentò dove il caffè costa 2.50 € mi rispondono: perché? Non hai un euro in più per pagare il caffè???
25 DM
In Apuane ad oggi non c’è un filo di neve, se non qualche pezzo di pochi cm ghiacciato!!
Sono i fatti davanti agli occhi che parlano, non le interpretazioni personali.
Quindi in queste condizioni a cosa serve arva, pala e sonda?
Vogliamo essere seri oppure no?
Mi meraviglia molto che non si riesca a cogliere il senso dell’articolo.
È CERTO CHE AVERE UN ARTVA EFFICIENTE E SAPERLO USARE (!) È LA COSA PIU IMPORTANTE. È OLRREMODO STUPEFACENTE CHE CI SIA CHI SFORNA DATI CERTI SU TEMPISTICHE E RIUSCITE. LO TROVO PREOCCUPANTE PERCHÉ COLLEGSTO SOLO A STATISTICHE E NON A SINGOLI CASI. SEGNO DI UNA CONOSCENZA ACCADEMICA DELLA MATERIA TOTSLMENTE SLEGATA DALLA REALTÀ.
PORSI DUBBI, FORSE, SAREBBE SINONIMO DI AVERE CERVELLO.
L’intera operazione di salvataggio (ricerca e scavo) richiede in media 40 min con una profondità di seppellimento medio di 80cm; la maggior parte del tempo (2/3) viene impiegata nello scavo e dipende dal tipo di neve. Con questi tempi le possibilità di sopravvivenza sono del 16%. Riducendo i tempi a 10 o 20 min le probabilità di sopravvivenza sono del 80% o 60% ; ogni secondo è fondamentale. Avere un ARTVA obsoleto, non avere in zaino una pala o averla in plastica o inefficiente o non avere idea di come e dove scavare è molto grave. Tutti i dati sono facilmente reperibili su AINEVA. Condizioni di scarso innevamento non sono assolutamente indice di minor pericolo per i motivi che si possono facilmente studiare. Lo sci alpinismo è altamente rischioso e pertanto andrebbe affrontato con la massima prudenza.
ecco uno che si meriterebbe, più che una arva obsoleto, un paio di legnate
ennesima prova di stupidità dell’animale uomo.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/02/17/sciatore-insegue-un-lupo-sulle-piste-in-trentino-lanimale-finisce-nelle-reti-di-protezione-il-video/7450005/?utm_content=fattoquotidiano&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR0FFUIvOB_cnqMXUiO0dzpXyoRA2vEDFWiOXlnoANP59f–GD7dbmtnlWw#Echobox=1708178187
Neofito perche usava l’arva in giardino?
Forse non è di sapere comune che, a Torino, il termine cannibali non è stato inventato con specifico riferimento alla montagna. Parlo dell’accezione che se ne da’ a Torino, o meglio che ne da’ una certa parte di torinesi. È un termine generico che indica “individuo inadeguato, fuori posto, incivile”. Con l’andare in montagna, quei torinesi lo hanno esteso anche alla montagna, ma si usa in ogni risvolto dell’esistenza. Lodiciamo quotidianamente. Io lo uso forse anche cinquanta volte al giorno. C’è uno che parcheggia in doppia fila? Quello e’ un cannibale. Uno mi passa davanti nella fila? Quello è un cannibale. Uno non raccoglie la cacca del suo cane dal marciapiedi? Quello è un cannibale. Lo usiamo così spesso che per noi è naturale estenderlo amche alla montagna e usarlo ogni volta.
Poco prima di Natale sono passato in uno dei negozi di sci della città. Ho assistito a un bel siparietto. Un commesso (improvvisato in termini montanari) ha detto a un giovane, evidentemente neofito: “questo ARTVA costa di più degli altri perché è più sofisticato, ma ti garantisce più sicurezza in caso di seppellimento” Che cannibali, ho pensato io.
Giornate/stagione sulla neve sicuramente meno di quelle che vorrei, per la mia scarsa intelligenza invece me ne dolgo.
Vista l’alta densità di esperti (che vorrei vedere quante giornate/stagione passano sulla neve) mi astengo da fare commenti tecnici.
Dico però che l’articolo di Merlo mette l’accento su come il consumismo tratti alla stessa stregua oggetti comuni e/o spesso inutili e oggetti Salvavita. L’argomento è di estrema importanza e può essere recepito solo se si è abbastanza intelligenti. Scusate la (voluta) presunzione.
A Crovella segnalo che anche i camosci finiscono sotto le valanghe.
Aspettiamoci una obsolescenza programmata anche nelle persone, del tipo: ti faccio vivere 123 anni ma decido io in anticipo quando muori.
Zot!
Benassi, hai ragione. non si vedeva dalle nostre parti un inverno così misero da secoli. Eppure se vai al lago squincio ti serve l’arva o potrebbero multarti: magari cadono valanghe di foglie….
“cannibali dei giorni nostri”. Gente forte, magari fortissima, che macina migliaia di metri di dislivello in giornata e scia su pendenze sostenute, ma che non ha creato nella sua testa, e non vuole proprio creare, la corretta mentalità della montagna.”
è basta con sta litania da caiano retrivo “sui cannibali” in ogni luogo e a qualsiasi proposito. Riesci a rendere indigeribile qualunque riflessione.
Pensa che mio padre, ed è termine che mi è rimasto appiccato addosso in quella accezione e anche io uso, in montagna chiamava cannibali quelli come te (e forse non aveva tutti torti…).
la tua ennesima estrazione sui cannibali, buona per le piste di bob i mono tiri in falesia e gli arVa balordi non c’entra nulla nè con il tema dell’articolo nè con la fila dei commenti.
Sei bravo sei ganzo sei illuminato sei istruttore, sei espertissimo. lo sappiamo tutti e ti ammiriamo.
Dale mie parti però c’è un detto: la valanga non lo sa quanto sei bravo, ferrato, esperto, calano, nivologo, indovino, etc.
E puoi aver studiato qualunque scienza che talvolta si stacca lo stesso, dove meno te lo aspetti. Oppure semplicemente sottovaluti, come talvolta accade a chiunque, Crovelli compreso.
allora un arva recente e funzionante magari fa la differenza.
Ma, soprattutto, qui la differenza la fa non vedere sempre lenzuolate dei soliti tre concetti (miseri) ripetuti all’infinito.
E belin.
C’è stato un equivoco. Io NON ho mai detto che si può andare in giro con ARTVA obsoleti. Nella mia scuola, dove insegno da oltre 40 anni, siamo sempre stati a favore della diffusione degli apparecchi (fin dal 1980, primi in Italia). Siamo stati anche i primi a elaborare il meccanismo di affitto stagionale, non ricordo l’anno preciso, ma penso verso la fine degli ’80. proprio per dotare tutti (allievi e istruttori) dell’apparecchio, non solo per le uscite ufficiali, ma anche per quelli private. Ovviamente abbiamo seguito l’evoluzione tecnologica dei vari modelli succedutesi nei decenni e il relativo know-how.
Ma, senza fare riferimento a commenti di questa sequenza, noto spesso che, nel mondo degli scialpinisti 8specie di giovane età), c’è una notevole faciloneria di approccio al tema. Capita in particolare a chi non frequenta scuole o neppure il CAI. In pratica si pensa che la propria sicurezza in valanga si acquisti al negozio dove ci si procura l’apparecchio. In tale impostazione, l’ARTVA viene inconsapevolmente considerato come un talismano che ci apre ogni possibilità di movimento in montagna. Il consumismo si insinua in termini di falsa certezza che più spendo per l’ARTVA e più l’apparecchio è sofisticato, per cui mi garantisce maggior sicurezza ancora…
Il discorso più ampio è per un altro ancora: assodato che è necessario l’ARTVA e il saperlo usare, ciò non implica saltare a piè pari la cultura individuale sul tema. Ovvero prima di studia la nivologia, poi la valangologia e solo dopo si affronta l’autosoccorso in valanga. Mi pare invece, guardandomi in giro, che sia molto diffusa la falsa credenza per cui comperare l’ARTA consenta di saltare i primi due (“pallosi”) punti.
Da vecchio scarpun quale sono, ricordo infine che la cosa più importante è imparare a non finire sotto alle valanghe. Anche per un risvolto che spesso non è chiaro a tutti. Ovvero che una certa percentuale dei decessi in valanga NON avviene per asfissia, ma per altre cause, fra cui traumi (si viene sbattuti contro ostacoli rigidi) e infarti (= reazione alla paura del momento). Non ho tempo per ricercare la percentuale in questione, ma è piuttosto alta. Mi ricordo di aver letto di un tipo che, seppur dotato di ARTVA e addirittura di zaino con airbag, ha tagliato il pendio “sbagliato” e il flusso nevoso lo ha mandato a sbattere contro un masso (o un albero), purtroppo con esito fatale.
Il tipo di cultura della montagna, che ho tratteggiato sinteticamente, io lo considero infinitamente più importante che rinnovare l’ARTVA in modo spasmodicamente frequente. A me pare invece (mi riferisco all’approccio generale, non a quanto scritto qui) che si tenda a concambiare l’importanza dei due punti.
i vecchi ARTVA , tutti, non sono più validi perchè è completamente cambiata la tecnologia di trasmissione ricezione elaborazione delle tre antenne + software: non è compatibile con gli altri ARTVA recenti. tieni conto inoltre che lo scialp lo fai indipendente dallo strumento, proprio perche devi evitare in tutti i modi di essere travolto completamente. appunto non è un totem.
Ho parlato di evoluzione tecnica. Non ho minimamente inteso l’ARTVA come un talismano, l’esempio era per dire quale evoluzione ci sia stata.
Il suo discorso su consumismo etc in questo caso non centra nulla ed è anche fuorviante, non è responsabile fare scialpinismo con un ARTVA analogico del 2001. Può, se vuole, confrontarsi con gli istruttori della sua scuola. Proponga l’affitto, l’uso condiviso, il leasing, quello che desidera ma faccia attenzione a non giustificare l’uso di attrezzatura pericolosa ed obsoleta.
Se invece desidera affrontare il discorso sull’ educazione alla frequentazione della montagna condivido le sue osservazioni ma non è il tema di cui stiamo trattando.
@Matteo
5 Anni fa ho cambiato auto, da allora non ho mai più comprato le invernali: ho preso le catene che non ho mai dovuto usare.
“Ma che ci faccio???
…
Ci siamo proprio bevuti il cervello.”
Alberto, ma sopratutto non dimenticarti di fare il cambio gomme e usare le invernali, che se in pianura padana non siamo mai andati sottozero dalle tue parti invece!
Ma allora l’ eaperienza È
“Trasmissibile”…
????
Ma certo che in montana possono morire anche gli esperti e i “capaci”. Chi ha mai sostenuto il contrario? Per un semplice motivo: in montagna il rischio è inevitabile, si può “anche” morire. Fa parte del gioco. ecco cosa differenzia l’andar in montagna da un semplice sport.
Correttissimo sostenere didatticamente l’uso obbligatorio dell’ARTVA: figuratevi che la scuola cui appartengo introdusse obbligatoriamente gli allora PIEPS nella stagione 1980! Dei veri pionieri.
Viceversa è sbagliato pensare all’ARTVA come a un “talismano” che consenta a tutti (anche ai principianti, cfr intervento 5) di andare ovunque e comunque, “tanto la tecnologia ti leva dai pasticci in pochi minuti”… Idem con patate per le considerazioni sulla necessità consumistica di cambiarle l’ARTVA frequentemente per correre dietro all’evoluzione. Sono modi di ragionare che io definisco da “cannibali dei giorni nostri”. Gente forte, magari fortissima, che macina migliaia di metri di dislivello in giornata e scia su pendenze sostenute, ma che non ha creato nella sua testa, e non vuole proprio creare, la corretta mentalità della montagna. Quest’ultima ci deve essere, come “base”, e poi, in più, hai anche l’ARTVA e lo sai usare.
Mi scuso per i refusi:
– Analogico è superato
– Analogico deve restare a casa
L’apparecchio in questione (Mammut – Barryvox Opto 3000) rappresentò alla fine degli anni ’90 un primo tentativo di passaggio dall’analogico al digitale, da una sola antenna a due antenne e al tempo fu considerata una grande innovazione. Però nel giro di poco tempo ci si rese conto che le cose non stavano andando nella direzione giusta in quanto la ricerca era più complicata rispetto ad un apparecchio analogico con una sola antenna. Per fortuna nel giro di qualche tempo le aziende iniziarono a fare ricerca e a produrre gli apparecchi digitali a tre antenne e la Barryvox (Mammut) giustamente smise di produrre l’Opto 3000 a partire dal 2007. A mio modesto parere penso che già nel 2018 la Socrep avrebbe dovuto astenersi dal fare la revisione dell’apparecchio e consigliare di acquistarne un altro modello digitale a tre antenne di nuova generazione. Che ci piaccia o no, “oggi” un Artva deve essere digitale e con tre antenne, esercitarsi nella ricerca, aggiornare il software e fare la revisione come prescritto dalla casa produttrice.
Ps, in risposta ad uno dei commenti…
Darei per assodato che le guide alpine conoscano molto bene l’ambiente in cui operano, la materia nivo-valanghiva ecc ecc.
Eppure, clienti di guide alpine e guide alpine stesse sono rimasti sepolti (e morti) sotto valanghe.
Quindi, benissimo seguire le orme dei camosci, ma se siete scialpinisti che magari vanno a fare gir anche fuori dalle classiche attorno casa, ascoltate un cretino totale (il sottoscritto), e l’artva vedete di averlo, sia voi che i vostri compagni di uscita. E se non siete già rodati, fatevi un pomeriggio di prove di ricerca (alla fine sono anche divertenti) e prove di disseppellimento (e capirete perché serve avere con se una pala).
@Paolo Romano scambi continuamente i termini “analogico” e “digitale”.A me non confonde, ma uno poco pratico alla fine non capirebbe cosa è meglio:
– davvero stiamo parlando di un analogico del 2001
– il digitale non solo è superato, ma è pericoloso per gli altri
– il segnale analogico disturba la ricerca di altri possibili sepolti
– concludo, gli apparecchi digitali vanno lasciati a casa
Un po’ “pepe e sale”…
Giusto pensare all’economia, al consumismo e tutto il resto. Sbagliato certamente che si rifiutino di fare assistenza e dare una spiegazione della problematica. Ma suvvia una macchina del 2001 secondo me non merita tutta questa filosofia, se non per quanto riguarda l’attaccamento sentimentale che una persona può avere con un oggetto. Non stiamo mica parlando di un paio di scarponi, qui la materia é la sicurezza, e se una macchina é datata e non funziona bene, per quanto possa rompere le scatole, si cambia (o si fa senza, alla fine mica si é obbligati ad averlo).
Buongiorno,
ma davvero stiamo parlando di un analogico del 2001?
Tralasciando l’aspetto commerciale che poco mi interessa parliamo di sicurezza, il digitale non solo è superato, ma pericoloso per gli altri. In caso di seppellimento il segnale analogico disturba la ricerca di altri possibili sepolti e i nuovi digitali potrebbero anche bloccarsi perché non riconoscono il segnale. Non stiamo parlando di un auto nuova più carina ma di un attrezzo dal quale può dipendere la nostra vita e dei nostri compagni. I nuovi apparecchi hanno raggiunto un progresso tale che in 5/6 minuti anche un principiante può localizzare più di un sepolto, infatti negli ultimi anni ci si è concentrati molto sul perfezionamento dello scavo ( tempi di 13/15 minuti).
Se posso permettermi, e concludo, gli apparecchi digitali vanno lasciati a casa e tenuti come ricordo al pari delle macchine da scrivere, la montagna è libertà ma se la tua libertà mette a rischio la mia vita si supera il limite.
Apuane : ZERO neve.
Appenico Tosco-Emiliano: un FILO di neve e non dappertutto.
Ma c’è l’obbligo di portare artva-pala e sonda.
Ma che ci faccio???
Con l’artva ci potrei giocare a nascondino.
Con la sonda ci potrei fare una canna da pesca per le trote.
Con la pala una gratella per arrostircele.
Ci siamo proprio bevuti il cervello.
Orbite..
Esattamente la stessa cosa capitata a me e stesso modello
Senza scrivere alla casa un omino mammut mi ha detto: buttalo.
Ero affezionato, nessun modello successivo così contenuto nelle dimensioni.
L’episodio consolida la mia diffidenza verso la società tecnocratica e consumistica. tale società si affida alla tecnologia come fosse un totem divino e dà per scontato che sia il consumatore (“consumista”) a farsi parte attiva nel sostituire gli apparecchi. Capita per i cellulari, come non potete ragionare così anche per gli ARTVA? Così ragiona la società tecnocratica e consumista. sono gli scialpinisti che, ogni “top”, devono acquistare un ARTVA nuovo. Venti anni? Ma è un eternità. Probabilmente per loro è già incomprensibile usare un ARTVA di dieci anni fa, figurati venti!
Cmq, ottimo averlo accertato. Siamo tutti avvertiti.
Conclusione: la cosa migliore non è acquistare a manetta, tipo ogni 5 anni, un ARTVA nuovo, ma sapersi muovere adeguatamente in montagna. I camosci non usano l’ARTVA. la prevenzione, lo studio accurato e continuo della materia nivo-valangologica, l’ascolto sistematico dei bollettini, la prudenza, la consapevolezza, il saper rinunciare sono i migliori ARTVA che possiamo detenere. E non scadono mai.
Non mettete però l immagine del nuovo barryvox. Ma del modello in questione. Così si crede sia un problema dei nuovi barryvox