Lo scacco di Cima Meluzzo

Metadiario – 249 – Lo scacco di Cima Meluzzo

Nello svolgimento di Save the Glaciers capitava spesso d’essere invitati a manifestazioni e uscite del gruppo dei glaciologi, grazie soprattutto all’amicizia con Claudio Smiraglia. Il 14 settembre 2002 salimmo alle nevi estive dello Stélvio. Guya e Petra sarebbero rimaste a prendere il sole e giocare all’arrivo dell’impianto mentre Elena ed io salivamo al Monte Cristallo 3434 m assieme ad un folto gruppo di glaciologi.
Ovviamente ero eccitatissimo all’idea che Elena, che aveva compiuto otto anni due mesi prima, potesse salire per la cresta est su una vera vetta con tanto di neve e crestina affilata finale. Salimmo senza ramponi (non ce n’era bisogno) e quando io scattavo qualche foto era l’amico Guido (del quale purtroppo non ricordo il cognome) che in particolare badava alla bambina. La quale si comportò benissimo ed ebbe affettuosi complimenti da tutta la comitiva.

Elena in salita al Monte Cristallo

Non ricordo più per quale motivo Guido Daniele ed io ci trovavamo il 22 settembre al rifugio Pordenone, così distante da casa nostra e senza altri impegni collaterali nelle vicinanze. Mauro Corona a suo tempo mi aveva magnificato una salita da quelle parti, il gran diedro ovest dell’Anticima Sud di Cima Meluzzo 2188 m. In effetti con i suoi 400 m fa la sua bella figura salendo dal rifugio al Campanile di val Montanaia. La via era stata aperta da Mario Micoli e Oscar Soravito il 12 ottobre 1967 e godeva di buona fama sia per la qualità della roccia che per la bellezza dell’arrampicata. Soravito era quello che assieme a Celso Giberti il 29 agosto 1932 aveva aperto la via sul gigantesco spigolo nord del Monte Agnèr: quando con il 42enne Micoli salì la Cima Meluzzo aveva già 59 anni.

In effetti l’arrampicata è magnifica, nella parte superiore assai esposta. Purtroppo con Guido la trovammo molto bagnata: evidentemente il diedrone fa da bacino di scolo all’intera parete. Non c’era neppure una bava di vento che avrebbe aiutato ad asciugare la roccia. E il percorso segue integralmente il fondo del diedro, dunque non c’era scampo. Arrivati al passo chiave, un netto strapiombo, lo trovammo così fradicio che riuscì a scoraggiare il mio tentativo. Avrei potuto anche riuscire se avessi ancora avuto la mentalità di qualche decennio prima… Anche Guido era per scendere, il tempo minacciava… Insomma, era destino. Avevamo salito sette tiri e ce li scendemmo tutti a corde doppie.

Elena in salita al Monte Cristallo

Vita di K3
Il 31 ottobre 2002 ricevetti dal mio socio Marco Milani una mail assai spinosa che metteva il dito nella piaga della convivenza con i nostri collaboratori:

«So che non si fa, mi sento un po’ una merda, tuttavia non ho resistito a spulciare nel computer di Riccardo (Martinelli, NdR) alla ricerca di qualche informazione in più (in fondo i soldi con cui lo paghiamo mentre scrive mail sono nostri).
Eccoti una sua mail del 21 ottobre:

Devo dire che mi comunica una malinconia infinita, tuttavia non mi dice molto di nuovo.
Dal momento che non vendiamo armi o spazi pubblicitari su Mediaset, il nostro settore è per sua costituzione “povero”, quindi mi sembra comunque impossibile che un collaboratore ultimo arrivato prenda come una segretaria che è con noi da un decennio. Inoltre, considerato culo e rischi, anche noi non abbiamo di che smarginare.
Fai comunque le tue considerazioni e decidi con tranquillità».

Elena in salita al Monte Cristallo

Risposi immediatamente, lo stesso giorno:

“Ciao Marco, ti rispondo a caldo e ancora un po’ agitato da quanto ho letto. Prima di tutto hai fatto benissimo a controllare le mail private: non me ne frega un cazzo del politically correct, se si riesce a sapere qualcosa in più di quanto ti viene detto in faccia, è importante. Credo proprio che questo weekend rifletterò molto e rileggerò più volte quella mail così triste e veritiera sullo stato di cose.

Quanto al decidere non possiamo che decidere quello che riteniamo giusto: quelli che fanno la parte delle vittime e ci provano un masochistico gusto vanno presi per quello che sono. Se “il lavoro non è interessante” la colpa non è certo nostra, ma di chi affronta ogni giorno la vita con l’atteggiamento di chi può essere investito da un momento all’altro, e la troppa musica, come il troppo alpinismo, non ha mai redento nessuno. Le magre 12.000 lire sono il più che giusto corrispettivo per chi, invece di dare, vuole prendere (anche solo nel culo) e basta, per chi in fin dei conti vive così fuori dal mondo da essere una specie di Ivan Guerini del fotoritocco. Grazie per queste notizie procurate con senso di colpa. Non me ne farò accorgere, ma lunedì affronterò l’argomento con le idee assai più chiare di quanto lo fossero se si trattasse di una mera questione di soldi”.

Elena in salita al Monte Cristallo

Con Riccardo ci mettemmo in qualche modo d’accordo, ma questo non esentò Marco dal compiere saltuariamente pignoli controlli sull’operato del nostro collaboratore. Il 19 novembre mi scrisse:

So che faccio la parte del cerbero, ma guardando il report di Riccardo per la prima quindicina di novembre c’è qualche cosa che non mi convince:

– 13,5 ore a fare siti web mi sembrano un’esagerazione. A parte una paginetta con le immagini dei poster, nulla è stato fatto dal 30 ottobre fino a oggi, malgrado la mia mail del 28 ottobre. Ho controllato bene le date dei file lo scorso sabato quando ho cominciato a lavorarci sopra. Si riferisce a qualche altro sito, forse gallerie pubblicate in alta risoluzione? Comunque vorrei sapere che cosa in particolare ha fatto in 13,5 ore. In ogni caso, appena ha finito con lo scheletro delle ultime due-tre nuove pagine vorrei che smettesse; aggiornamenti e variazioni li posso curare io.

– Sulle ore di scansioni solo a fine mese potrò fare un calcolo mediato attendibile, ma per ora siamo sui 45 min. a foto scansita e sistemata.

Se ci parlo io si offende (cazzi suoi) e finisco per litigarci, quindi evito. Se vuoi, politicamente come solo tu sai fare, accennagli qualcosa.

P.S.
Ieri Matteo (Pellegrini, NdR) è stato licenziato in tronco e da oggi è a casa. Purtroppo il mondo va così.
Senza arrivare a questi eccessi, io sono sempre più perplesso ad impegnarci con una forma contrattuale forfettaria di qualsiasi tipo, ma piuttosto di pagare un fisso a scansione di 4 euro e lo sviluppo sito accordandosi di volta in volta preventivamente in base ai lavori da fare come ad un fornitore esterno. Impaginazione e posta restano orari. Mi rendo conto che è un casino, ma non mi fido. Se non gli va sono sicuro che è sostituibilissimo. Con una persona di maggiore fiducia e velocità probabilmente la penserei diversamente.

Parete Calva

E a questa mail ne fece seguire un’altra il 12 dicembre:

Riccardo a novembre ha fatto e finito 78 foto, quasi tutte in alta risoluzione (vedi allegato), presentandoci un totale di 56,5 ore, cioè 43 minuti a foto, un tempo per mia esperienza alto dal momento che io ne impiego la metà e non passo così tante ore al pc a ritoccare foto (quindi ho meno pratica).

Ogni tanto penso alla questione e alla fine la soluzione che avevi proposto di 120 scansioni minime al mese per 516,45 euro, oltre a tutto il resto, mi sembra l’unica praticabile.

Se noi consideriamo 40 minuti a foto siamo generosi (del resto lui ne ha impiegati circa lo stesso a novembre). Poi occorre dire che:

– il pc che ha adesso è 2-4 volte più veloce del precedente;

– ci sarà un corso di colorimetria a livello fotolito professionale, investimento per noi e formazione per lui. Inoltre questo renderà più rapido il processo di trattamento dei colori;

– siamo contenti della qualità del suo lavoro;

– il mobiletto reggiforno nel cesso è una bellissima idea (non scherzo!);

– i 40 minuti sono per fotografie scansite, pulite e bilanciate; le 24×36 scansite a 4000 dpi e le grandi formato a 2500 dpi. Per tener conto delle sue scansioni può salvare una copia delle stesse in una cartella a parte sul suo disco locale. Foto di formato minore vanno conteggiate a parte o in maniera cumulativa, tipo 3 basse risoluzioni = 1 alta risoluzione”.

Come si può vedere, la vita quotidiana in ufficio era piena di menate e la lotta era sempre serrata. Con l’aiuto di Roberto Serafin iniziai il mio iter per poter diventare pubblicista (e magari, in un secondo tempo, giornalista). Lo interruppi dopo qualche settimana, scoraggiato da una burocrazia il cui unico scopo era quello di difendere la casta e i privilegi ad essa connessi.

In arrampicata su Free Dolcino. Foto: da internet.

La varietà dei nostri lavori ci impose di dividere in vari settori il marchio base “K3”. Nacquero così K3LavoriVerticali e soprattutto KappatreComunicazione. Questo settore doveva trovare un suo nome, soprattutto a causa della presenza, ormai importante, dei lavori portati da Katja Roediger. E’ di questo periodo l’acquisizione del nuovo cliente “Città di Innsbruck”. La compilazione dei testi e l’organizzazione dei viaggi stampa, come quello che facemmo allo Stubaigletscher il 9 e 10 novembre 2002, mi assorbivano parecchio.

In arrampicata su Free Dolcino. Foto: da internet.

Arrampicate
In tutta questa agitazione lavorativa le uscite arrampicatorie erano per forza di cose abbastanza limitate. Più spesso andavo a fare monotiri, ma ci furono tre salite e un tentativo che mi fecero riassaporare la qualità dello scalare in montagna.

Il 6 ottobre andai con Lorenzo Merlo alla Parete Calva, in Valsésia. Questo risalto rossastro di 270 metri è posto proprio al di sotto del famoso Pian dei Gazzari, l’altopiano dove trovarono rifugio l’eretico Fra Dolcino e i suoi seguaci nei primi anni del secolo XIV. La via Free Dolcino era stata aperta da Fabrizio Fratagnoli e Maurizio Pellizzon nel marzo 2001. Sono sette lunghezze bellissime, impegnative per la difficoltà (fino al 6c+, con 6b obbligatorio) su tratti tecnici ma anche alcuni davvero atletici. Con Lorenzo ci alternammo e fui contento di aver fatto solo qualche resting.

Il 20 ottobre andai con Giovanni Alfieri alla Rocca del Prete (nell’Appennino Genovese, nei pressi del Monte Maggiorasca): lì salimmo le sei lunghezze della via Chiara, che arrivano al 6c. C’eravamo già stati, ma quel luogo è davvero bello, poco frequentato e isolato. La via era stata aperta da Lucio Calderoni e Carlo Peveri nel 1989. Gli stessi erano poi tornati con Enrico Aspetti nel 2000 per allungare la via con una parte bassa. Al termine delle sei lunghezze dovemmo uscire per gli ultimi due tiri di Doppio Rhum (Calderoni-Peveri, 1987).

Ancora, il 26 ottobre mi trovai con Lorenzo Merlo alla Sentinella (Gole di Gondo); provammo a salire Mister Magoo (6b+), ma non andammo oltre i primi due tiri.

L’8 dicembre Lorenzo ed io portammo Elena alla Gronda del Vaccarese e assieme a lei salimmo la bella Via della Pera, tre tiri su una fessura ben appigliata.

In arrampicata sulla via del Gran Diedro ovest della Cima Meluzzo. Foto: da internet.

Controscuola
L’autunno fu anche caratterizzato dallo svilupparsi di Controscuola, fondata da Lorenzo Merlo e da me, il primo tentativo di condivisione di contenuti culturali con amici e personaggi di rilievo. Purtroppo lo scambio di mail allora era l’unico modo per far girare i file: diciamo che whatsapp avrebbe facilitato le cose. Così era tutto molto farragginoso. Ma c’era buona volontà, e questo era la cosa più importante.

Inviai un totale di una ventina di testi, alcuni anche molto lunghi, e sarebbe qui troppo lungo elencarli. Ovvio, non tutti i presenti in lista, destinatari dei vari messaggi, erano così collaborativi. Qualcuno neppure ringraziava e presto ci prese il sospetto che ne fosse infastidito.

In compenso, altri erano molto attivi ed entusiasti. Prendiamo Alberto Peruffo, con una sua mail del 27 giugno 2002:

Ciao Alessandro, ho letto il tuo testo Ritorno al mistero. E’ una riflessione importante che innesca nella mente di ogni persona sensibile all’evoluzione della storia pensieri su cui meditare (già io, in un articolo che dovrebbe uscire sul prossimo annuario se non sarà censurato per la feroce critica sugli ultimi sviluppi dell’alpinismo, o presunto tale, torno su alcuni argomenti da te sollevati). Ti avanzo la prima proposta. Possiamo pubblicarlo su intraisass.it? Se sì, indicaci anno di composizione testo ed eventualmente dove è già stato pubblicato. Ciò non preclude la pubblicazione del testo su Intraisass cartaceo e questo vale anche per futuri testi. Ovviamente, caro Alessandro, non nascondo che sarebbe grande motivo di lustro averti tra i nostri autori”.

Gli risposi in giornata:
“Caro Alberto, mi ha fatto molto piacere la tua risposta. Ovviamente sì, puoi pubblicare su intraisass.it (ma anche sul cartaceo) Ritorno al Mistero.

I primi 2/3 erano stati pubblicati su Alp nel 1996 (in un reportage sul Romanticismo), poi ripresi nel 1997 in un capitolo del volume VII della nostra collana I Grandi Spazi delle Alpi. L’ultimo terzo, conclusivo, è ancora non pubblicato.

Credo che questo tipo di idee debba circolare di più, quindi via libera massima.

Nell’ambito di Controscuola, il buon funzionamento vorrebbe che chiunque scrivesse qualcosa a qualcuno lo facesse circolare anche agli altri. Sei d’accordo? Per questo ti mando la lista completa degli aderenti e ti chiedo il permesso di rimbalzare il tuo messaggio agli altri”.

In arrampicata sulla via del Gran Diedro ovest della Cima Meluzzo. Foto: da internet.

Anche l’accademico Giovanni Rossi si dimostrò assai collaborativo.

Tra le più gradite ci fu la collaborazione di Franco Michieli, che ci propose un’intervista per la Rivista della Montagna.

Eccola:
«Nasce Controscuola, un movimento per riproporre la centralità del “sentire” e della “relazione” nella pratica della montagna. Ne parliamo con Alessandro Gogna e Lorenzo Merlo: “la capacità di agire in sicurezza dipende dalla profondità del rapporto con se stessi e con l’ambiente”.

Capita a tutti noi, al momento di partire per una facile escursione come per una ascensione impegnativa, di domandarci che cosa ci occorra per vivere al meglio l’esperienza. Spontaneamente, o con un certo sforzo mentale, ci elenchiamo il materiale necessario, pensiamo se possediamo sufficienti informazioni, ci facciamo un’idea di quale tipo di impegno ci aspetti; per qualcuno, è essenziale anche cogliere il proprio grado di sintonia (quel giorno) con quello che si propone di fare.
Quanti di noi si pongono automaticamente quest’altra domanda: siamo in relazione, oppure distratti, rispetto all’ambiente in cui vogliamo inoltrarci? Il quesito è fondamentale, non solo in montagna, ma in qualsiasi situazione quotidiana.

Se infatti consideriamo in quali condizioni ambientali nei passati milioni di anni l’essere umano e i suoi antenati hanno sviluppato le proprie attitudini a muoversi sul territorio, a trarne sostentamento, a difendersi dalle insidie, è facile intuire come proprio la capacità di aderire adeguatamente alla realtà con le modalità del proprio agire sia stata alla base della vita. In quelle epoche non c’erano attrezzature sofisticate in vendita, istruzioni scritte su come agire, agenzie di servizi. Perciò l’evoluzione naturale ci ha dotati della facoltà di entrare personalmente in relazione con l’ambiente e con la nostra condizione psicofisica, nonché di utilizzare i materiali a nostra disposizione, per dirigere e organizzare i gesti in modo efficace e non spericolato. Tuttavia i rapidissimi cambiamenti nelle condizioni di vita della società moderna rischiano di assopire questo atteggiamento che ci ha sempre fatto da guida, e che oggi non è meno necessario che in passato.

La constatazione di come quest’ultimo rischio si stia affermando ha spinto alcuni esperti alpinisti ad avviare sul tema una riflessione aperta a tutti, denominata Controscuola. A questo proposito scambiamo qualche battuta con due protagonisti, Alessandro Gogna, alpinista di fama mondiale che non necessita di presentazioni, e Lorenzo Merlo, guida alpina e responsabile dell’Ufficio Comunicazione Guide alpine Lombardia, cercando innanzitutto di capire il significato dell’iniziativa.“

In arrampicata sulla via del Gran Diedro ovest della Cima Meluzzo. Foto: da internet.

“È stato Alessandro a proporre il nome Controscuolacomincia Merlo – traendo spunto da un sottotitolo che io uso per descrivere la mia attività di guida alpina, cioè “controscuola di alpinismo”; l’ho chiamata così in quanto promuovo un lavoro centrato più sulla relazione con se stessi e col terreno che sull’apprendimento puro della tecnica. Mi spiego meglio con un esempio estraneo al campo della montagna: la massaia che prepara la pastasciutta non si scotta, perché in quel momento è “in relazione” con la sua cucina, sa come muoversi senza bisogno di leggere istruzioni; se si scotta, significa che probabilmente per un momento ha “perso la relazione”, magari perché ha portato all’orecchio il telefono che squillava. Quello che noi vorremmo valorizzare è dunque un’impostazione che tutti noi usiamo comunemente nella vita, che c’è già in noi, e che tuttavia sempre più spesso dimentichiamo per dare spazio a una fiducia totalizzante nell’attrezzatura, nella descrizione scritta dei percorsi, nelle regole generali di comportamento e così via. Quando ci affidiamo a queste cose, non ci accorgiamo di cosa sta avvenendo realmente a noi e all’ambiente, ed è più probabile perdere il controllo della situazione”.

“Certo, l’atteggiamento della relazione c’è sempre stato, più o meno apprezzato in epoche alterne – continua Gogna – Tuttavia bisogna ammettere che oggi averne coscienza è particolarmente difficile, perché siamo soggetti ad abitudini opposte. Per questo trovo giusto dedicare tempo ed energie all’argomento. In particolare, mi sembra che una delle cause scatenanti del problema sia l’idea diffusa che pensare e sentire siano la stessa cosa. Cioè, ad esempio, capita di studiare bene a tavolino un itinerario e di credersi con ciò nella giusta condizione, mentre è più importante sentire, una volta sul posto, se veramente noi siamo in sintonia col terreno che ci circonda. Se siamo capaci di sentire, sappiamo cosa fare molto meglio che ascoltando le parole di un istruttore.

Giovanni Alfieri verso la Rocca del Prete (Appennino Ligure), 17 novembre 2001.

Non vorrei che qualcuno ci fraintendesse – riprende Lorenzo Merlo – il nostro obiettivo non è quello di abolire tecnologia, descrizioni di itinerari e strumenti, ma di controbattere la fede cieca in questi mezzi. Se si afferma la coscienza che la migliore sicurezza sta nell’essere sempre in relazione col divenire dell’ambiente e di se stessi, anche il giorno in cui dimenticheremo a casa la bussola o l’orologio non sarà un dramma, sapremo comunque cosa fare. Così come eviteremo imprudenze anche se l’evoluzione reale del tempo si rivelerà assai diversa dalle previsioni meteo del giorno prima”.

Ma la capacità di relazione di cui stiamo parlando è qualcosa che si può acquisire in modo definitivo?

“Assolutamente no, tanto è vero che anche per noi, che siamo qui a parlarne, è qualcosa di variabile, è l’oggetto di una continua ricerca ribattono quasi a una voce i miei interlocutori. Anzi, spesso capita la giornata in cui ci si sente estranei all’ambiente, alla salita– chiarisce Gogna – Quello che non bisogna perdere, è la coscienza di come ci si sente: non sono in sintonia? Per oggi torno a casa, o scelgo una meta molto semplice. Se invece ignoro questa coscienza e continuo a pensare razionalmente alla meta prefissata e persevero, alzo di molto il rischio cui mi espongo. Nel mio caso, considero il pensiero razionale come la maggiore causa di distrazione dalla realtà.

E aggiunge Merlo: «Penso che tutti abbiamo sperimentato il fatto che incidenti anche minimi, come inciampare sul sentiero, avvengono proprio nell’attimo della distrazione, e non hanno nulla a che vedere con la perfezione dei materiali che abbiamo con noi. Tuttavia la fede in questi ultimi rappresenta oggi la tendenza che ci influenza più o meno tutti: se vogliamo recuperare il valore che ci sta a cuore non possiamo volgerle le spalle; dobbiamo calarci in essa per cambiarla. Né l’obiettivo è scontrarci con attività basate proprio sulla fiducia nell’attrezzatura e nelle informazioni pronte. È invece fondamentale ricordare che la relazione è ricchezza della persona, non dell’attività. Tanto che si può anche dire: io oggi non voglio entrare in relazione con niente, non voglio sentire, voglio solo svagarmi’. Ma è indispensabile la consapevolezza che quel giorno si è scelto di fare così.

Ci rendiamo conto che Controscuola propone un tema così vitale per la frequentazione della montagna e in generale di ogni ambiente da richiedere approfondimenti pressoché inesauribili. Dunque ci torneremo su, invitando da subito i lettori a inviare i loro contributi».

Gronda del Vaccarese

Convegni
Da un po’ di anni, accanto all’attività di conferenziere, ero sempre meno saltuariamente chiamato a partecipare a convegni di vario genere. Per esempio, per il 30 novembre l’Associazione Culturale Terra Insubre mi aveva invitato a tenere una relazione al Convegno Montagne di Insubria: alle origini di una identità, a Lecco. Mi avevano chiesto se il titolo del mio intervento La Montagna nell’esperienza di un alpinista insubre potesse andarmi bene. Risposi che insubre non ero per nulla, anche se da 34 anni vivevo a Milano. L’Insubria per me era stata ed era una grande terra ospitale, ma il titolo forse occorreva cambiarlo. Suggerii, che data la mia qualifica di storico dell’alpinismo, avrei potuto fare un intervento legato al significato per l’alpinismo in generale delle montagne insubriche, con aggiunte esperienze e riflessioni di ordine personale. E così fu…

Il 12 dicembre invece ero a Cimolais per il centenario (indetto con qualche mese di ritardo…) della prima salita del Campanile di Val Montanaia (17 settembre 1902).

Natale
Le pietre sono sempre nove
e mai può importare dove.
Invece tu sai sempre quando
se un gatto davvero amando
di pietre vorrai adornarti
sì che lui possa sempre amarti
che sia in terra che sia in cielo
d’un amore eterno come pietra
senza inganno, parola o velo
che di fronte a nulla arretra,
perché i simboli sono nove
per cui l’amor si muove
e nove pur sempre ancora
quando ogni dì ci si innamora.
Sempre nove, anche a Natale,
per questo il dove a nulla vale
(Natale 2002, per Guya).

Accanto a questa bella poesia che composi di getto e senza spendere un euro, ritrovo un file excel con riportate tutte le spese che con Guya avevamo affrontato per i regali di Natale: euro 1.719,10. Preoccupante anche l’aumento che c’era stato rispetto al 2001, dove avevamo “limitato” il carico a euro 1.280,03 (tradotto da 2.478.500 lire).

Lo scacco di Cima Meluzzo ultima modifica: 2024-12-06T05:05:00+01:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Lo scacco di Cima Meluzzo”

  1. Nel giorno di Sant’Ambrogio,  prestando il dovuto omaggio ad una chiesa dedicata al Santo ma in Liguria, ricordo degli anni di esilio degli arcivescovi milanesi in fuga dalle persecuzioni longobarde pre-conversione, mi ha messo allegria leggere il ricordo del ritrovamento del file Excel con i costi dei regali di Natale del 2002, religiosamente conservato e confrontato con le spese purtroppo in aumento rispetto al 2001. Belin! La Liguria rimane sempre nel cuore (e nel DNA) anche a quasi 25 anni di distanza, ho pensato da immigrato piemontese/meneghino  che non si integrerà mai visto che manco mi ricordo cosa ho regalato l’anno scorso. Mission impossible 😀 

  2. Non vedo perché pubblicare questa diarrea encefalica, ma poiché l’avete fatto pubblicamente accetterete commenti da chiunque: che pensieri meschini, che gente piccola (mi riferisco al leggere la corrispondenza privata altrui e fare considerazioni da stronzi e in pubblico). 

  3. Ma perchè pubblicate il contenuto di mail private oltretutto ” sbirciate”, su un sito pubblico? 1- rischiate penalmente. (a meno che l’autore non abbia consentito la diffusione) 2 – lo trovo tristissimo e poco corretto. 3- le beghe da ufficio anche no, dai, ne viviamo anche troppe in diretta.

  4. Neppure Gogna, nelle vesti imprenditoriali, è stato esentato dal dover gestire risorse umane poco trasparenti, con tutti i problemi che tali risorse si portano dietro. Quando ero contitolare della società di consulenza aziendale, ho deliberatamente installato dei software di controllo nei pc del collaboratori, ovviamente alla luce del sole e comunicandoglielo esplicitamente. Tali software erano installati perfino nei pc dei tre titolari, a iniziare dal mio. Da noi la regola è sempre stata (a cominciare da noi tre titolari): “ci si può anche prendere un quarto d’ora di evasione, cazzeggiando per i fatti propri, ma si viene qui per lavorare e se l’evasione diventa dominate, significa non si lavora più per l’azienda.” In circa 20 anni, abbiamo avuto problemi solo con due soggetti, che in effetti non avevo scelto io e che non mi convincevano fin dall’inizio. La gente la devi saper scegliere e in genere basta un semplice colloquio per focalizzare i dati salienti delle persone. Cmq non ho mai avuto rimpianti sulle persone che, non convincendomi al primo colloquio, non ho coinvolto.  in un quarto d’ora di colloquio, capisci subito se la persona è adatta al ruolo e soprattutto alla filosofia della casa. Se, una volta coinvolto, l’individuo si sente demotivato o addirittura umiliato, non è l’imprenditore che deve cambiare modo di lavorare dell’azienda, ma è il soggetto che deve cercarsi un contesto più idoneo alla sua mentalità. Oltretutto stiamo parlando di ruoli assimilabili al concetto di libero professionista, e non a operai e uomini di fatica, che spesso non hanno valide alternative di lavoro (nel senso che, se anche trovano un altro posto in un’altra azienda, sempre “quello” fanno…). E cmq in 40 anni di consulenza a aziende, di operai seri e dedicati al lavoro e affezionati all’azienda ne ho conosciuti a vagonate, a dimostrazione che amare il proprio lavoro non è prerogativa di chi esegue solo lavori di “alto” profilo in termini di contenuto e di remunerazione.

  5. Questo l’avrei chiamato: appunti di vita milanese.
    È bello fuori di testa, se visto da fuori della cerchia meneghina.
    Ma si sa, la maggior parte delle persone vive nelle città,  e da lì vede e considera tutto il resto.

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