Luca Giupponi
di Guido Sassi
(pubblicato su corrieredeltrentino.corriere.it il 2 giugno 2024)
Il centro addestramento alpino di Moena della Polizia di Stato viene utilizzato per la formazione degli operatori di polizia che operano in montagna, ospita il gruppo sportivo Fiamme Oro — in cui militano anche Stefano Ghisolfi e Laura Rogora — e la squadra cinofili. Luca Giupponi, istruttore di alpinismo del centro, è uno scalatore che ha attraversato il mondo dell’arrampicata sportiva dagli albori a oggi e capace di realizzazioni di altissimo livello anche sulle vie lunghe in quota.
Gli esordi
Gli inizi di Luca sono stati del tutto casuali. «I miei non andavano in montagna, ho scoperto l’arrampicata a Trento, mentre passavo in bicicletta sotto i piloni della ferrovia. C’era gente che scalava lì e ho provato. Inizialmente si andava alla Vela o ai Bindesi, poi anche in Busa. Ho conosciuto Roberto Bassi, ho arrampicato parecchio con lui. E poi con Rolando Rolly Larcher. A Nomesino, nel 1988, ho fatto il mio primo 8a: erano i primi strapiombi su quelle difficoltà. Poi, quando Rolly ha liberato Maratona al Pueblo di Massone, io l’ho ripetuta, il mio primo 8b. Ancora oggi è un tiro fantastico. Continuiamo a scalare insieme molto».
Le nuove aperture
E le nuove aperture non mancano, rigorosamente dal basso: la più recente è la Giupponi-Larcher, alla Punta Emma del Catinaccio. «Era un po’ che guardavo di là, c’era spazio alla destra della Eisenstecken, ma gli ultimi 70-80 metri di giallo strapiombante non si capiva bene se erano fattibili. Gli ultimi due tiri in effetti sono un po’ duri, quello più difficile è 7b+, l’obbligatorio è di 7a». Per Luca, al giorno d’oggi non ha tanto senso aprire in artificiale. «Con tutto quello che è stato fatto, ma soprattutto per i mezzi tecnici che ci sono oggi, non vedo la necessità di aprire nuove vie a ogni costo. La nostra ultima si può ripetere con una serie di friend per integrare e anche se impegnativa non è lunga: ha uno sviluppo di 200 metri circa. E poi ne abbiamo aperta anche un’altra, alla Torre est del Vajolet. Si chiama Tokyo 2021, meno bella ma più dura. Il tiro più difficile è 7c+, l’abbiamo dedicata ad Alex Tonioli, un nostro collega che è scomparso due anni fa».
I tempi del free climbing
Giupponi ha iniziato in falesia quando ancora l’arrampicata non si chiamava sportiva, ma free climbing. La palestra e le competizioni sono arrivate dopo: «Mi hanno chiamato a Moena nel 1992, mi hanno chiesto se volevo fare le gare e ho partecipato alla Coppa del Mondo per quasi vent’anni. Lead, boulder, speed, ho provato tutto. Nel 2016 sono diventato direttore sportivo della nazionale, è stata una conseguenza naturale. Ho continuato fino alle Olimpiadi».
Per Luca, l’esperienza a cinque cerchi è stata positiva, anche se per certi versi ha deluso le aspettative. «In qualche modo bisognava debuttare, anche se non è stato il massimo: praticamente niente pubblico, tutte le discipline riunite insieme e una tracciatura che ha lasciato a desiderare». Il mondo della scalata sportiva è cambiato completamente negli ultimi anni. «Si sono aggiunte tante nazioni che prima non facevano parte del giro ed è cresciuto in misura esponenziale il numero di praticanti. Il livello, di conseguenza, si è alzato tanto. Anche lo stile è cambiato parecchio, quando ho smesso io il boulder iniziava a essere più dinamico, con più lanci e oggi è quasi un altro sport».
«Oggi piste da sci come biliardi»
Oggi Luca è istruttore della scuola alpina della polizia di Stato. L’istituto opera da più di quarant’anni e la sua apertura è stata lungimirante, andando di pari passo con una fruizione diversa della montagna da parte di un numero sempre più elevato di utenti. Iniziarono tutto Bepi de Francesch, Emiliano Vuerich e Quinto Romanin. «Hanno gettato il seme e questo ufficio ora fa soccorso, corsi interni di montagna e scialpinismo, oltre a preparare gli operatori per le piste da sci in inverno. Il mondo del soccorso è cambiato tanto: le piste da sci sono diventate dei biliardi, tutti vanno veloce, anche quelli che non hanno tanta tecnica. Con gli sci odierni sono tutti sugli spigoli, c’è un traffico incredibile. E anche in montagna, non c’è più vergogna. Si chiama l’elicottero per una caviglia slogata; un tempo andavi con una certa preparazione, cercavi di cavartela sempre».
Le spedizioni nel cuore
Giupponi ha scalato molto in Dolomiti e la sua via del cuore non poteva che essere in Val di Fassa. «Lo spigolo della Vallaccia, aperta da Toni Gross e Toni Rizzi (dall’1 al 4 agosto 1961, NdR). Al tempo era una via di artificiale, ora si fa in libera. I primi sono stati Tom Ballard e Bruno Pederiva. Io l’ho fatta due anni fa, veramente bella» Luca ha anche viaggiato, arrampicando negli angoli più remoti e nascosti del pianeta. «La mia spedizione alpinistica più bella è stata l’apertura di Escalador selvatico (7c+ max, 7a+ obbligatorio, 630 m). Era il 2014, siamo andati in Amazzonia a scalare l’Acopan Tepui, in Venezuela. Già arrivarci è stata una bella avventura, vicino al Salto Angel. Ci hanno accompagnato gli indigeni, abbiamo aperto una via di 630 metri su una parete con una roccia incredibile: è stata davvero una grande esperienza».
Il commento
a cura della Redazione
Ha proprio ragione Giupponi quando esclama “Non c’è più vergogna. Si chiama l’elicottero per una caviglia slogata; un tempo andavi con una certa preparazione, cercavi di cavartela sempre”.
Questo giudizio è ampiamente giustificato dalle cronache e da episodi come quello del video in cui due genitori, impegnati sulla via ferrata Bepi Zac, sono stati ripresi da un escursionista mentre procedono in modo incerto sulla cresta attrezzata che dal Passo delle Selle si snoda lungo le cime della Catena di Costabella (zona del Passo di San Pellegrino).
Nel video, diffuso in questi giorni dal quotidiano online ildolomiti.it e anche pubblicato su youtube, quindi presto diventato virale, prima si vede la mamma che accompagna la figlia tenendola per mano, poi il papà con un bambino molto piccolo in braccio. Con equipaggiamento approssimativo e senza utilizzare alcun sistema di assicurazione. Niente cordini con moschettone, né caschi.
Nel video non succede nulla di significativo, ma le immagini sono davvero preoccupanti perché ritraggono una condizione di incoscienza sempre più diffusa, sulla quale riflette il giornalista Luca Andreazza: “Sembra quasi che il desiderio (o la foga) di vivere esperienze adrenaliniche, magari ammirate decine e decine di volte sui social network, spinga a bruciare le tappe, esponendosi così a rischi che potrebbero tranquillamente essere ridotti o addirittura evitati”.
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Un anziano alpinista inglese mi ha detto stamattina che anche loro chiamano “cannibals” quelle persone che vanno in montagna privi di cognizione.
Agli uffici guide si richiedono accompagnamenti su via ferrata dopopranzo nonostante il meteo prometta temporali pomeridiani.
Le fila degli incapaci aumentano ogni stagione e io credo che le guide (quelle fatte a libro) andrebbero riscritte tenendo conto dell’inattitudine odierna.
Un’escursione da sempre considerata facile, oggi potrebbe risultare estremamente impegnativa per certi odierni cannibali.
Non conosco personalmente Luca ma ne ho sentito molto parlare oltre a sapere delle sue notevoli realizzazioni ma la cosa più’ importante che lasciano trasparire queste poche parole e’ che vive l’arrampicata non è solo uno sport ma uno stile di vita.
Bravo.
Purtroppo la montagna è uno dei contesti forgiati apposta per fornire, quasi quotidianamente ormai, sistematiche conferme delle tesi del prof Cipolla (vedere articolo T&T di qualche gg fa).
Grande Gippo!!!
Nella mia zona ci sono già stati 5 morti e svariati feriti in montagna.
Speriamo il bilancio staguonale (anche dell’idiozia) resti basso.
Sono totalmente d’accordo con il commento di Enri.
Per quanto riguarda l’episodio della ferrata, mi viene quasi da credere alla buona fede dei genitori, dovuta a completa ignoranza, nel vero senso della parola. E mi chiedo: ma se li’ non ci fosse stata la ferrata sarebbe mai accaduto un episodio simile?
Fra tutte le cose dì dubbio senso fatte nella storia dell’alpinismo, le ferrate sono quella che dì senso ne ha veramente poco, forse nessuno.
Certamente sono maggiormente biasimabili tutti coloro che invece, si dicono esperti e conoscitori e poi chiamano l’elicottero per una storta.