Lunghi cammini e TransLagorai
di Giacomo Lanaro
Premessa 1
L’articolo è l’elaborazione di una ricerca svolta per una tesi di Laurea Magistrale in Management della Sostenibilità e del Turismo presso l’Università di Trento. La ricerca consiste principalmente in 20 interviste semistrutturate di natura qualitativa a professionisti del turismo, membri di associazioni ambientaliste, SAT ed altri professionisti legati alla montagna.
Premessa 2
La vita in montagna è una necessità per l’Italia, data da diversi motivi (1).
Se le fonti di reddito che permettono la vita in montagna oggi sono principalmente agricoltura/allevamento e turismo, è opportuno evidenziare gli elementi che questi due settori devono garantire, per essere il più possibile sostenibili. In particolare si analizza il prodotto turistico “lungo cammino” e le sue condizioni d’esistenza per offrire una fonte di reddito, tale per cui sia più sostenibile vivere in montagna.
Premessa 3
Esistono differenti modelli di sviluppi economici nelle valli di montagna. Senza entrare nel dettaglio ci sono valli molto infrastrutturate che hanno prosperato su un modello turistico di massa, altre valli che non hanno mai visto flussi di turisti e che hanno optato per la zootecnia o l’agricoltura, altre che sono dei mix delle due. Il prodotto “lungo cammino” si rivolge, primariamente, alle valli di montagna con scarse infrastrutture, paesaggio poco antropizzato e attività tradizionali ancora rilevanti per l’economia della comunità.

Con l’espressione “lunghi cammini” si intendono delle esperienze in cui l’attività principale della vacanza è il camminare, associato generalmente ad una o più notti nel territorio attraversato. Il cammino permette di esplorare montagne e pianure, colline e deserti, fiumi e laghi, con una cadenza data dalla luce della stagione, adagio, avendo il tempo per gustarsi il paesaggio che cambia. Il cammino mette in relazione le persone, la condivisione della fatica è una piattaforma che mette tutti sullo stesso piano. Il cammino riporta l’uomo alle origini, al contatto con la natura e all’ascolto del silenzio. Camminare è un’attività antica, mai abbandonata, ma che in questi ultimi anni sta ricevendo particolare attenzione, anche da persone meno interessate a esperienze nella natura. Da qui è interessante chiedersi come i comuni alpini o appenninici possano sfruttare questa novità del mercato turistico, se con coraggio e intraprendenza o paura e diffidenza.
Non conviene rimanere indifferenti rispetto alla crescita del mercato outdoor: in particolare per questo articolo ci interessa il target relativo ai trekking lunghi di montagna, una nicchia dal valore variabile a seconda di che parametro decidiamo di utilizzare per calcolarlo.
– Si può guardare ai dati sui volumi di vendita. L’European Outdoor Group nel suo report annuale State of Trade conta 12,3 miliardi di euro del retail a livello europeo per il 2017. Cresciuto del 7,2% in valore rispetto all’anno precedente (2);
– Si possono contare i numeri degli iscritti ai canali Youtube legati ai trekking. Decine di influencer che raccontano con materiale audiovisivo le loro camminate, seguite da un numero variabile tra i 400 (nuovi influencer) e i 40.000 (i più amati);
– Si può guardare alla statistica di Terre di Mezzo editore, difficile da mettere in relazione con la TransLagorai, ma in ogni caso indicativa di un fenomeno. Nel 2018 32.338 italiani hanno chiesto le credenziali per un cammino in Italia, per la prima volta maggiori di quelle richieste per il cammino di Santiago, 27.009 italiani. Sono numeri esigui, che indicano però un cambio di tendenza e di gusti.
Durante queste esperienze la maggioranza dei camminatori spende tra i 30 e i 50 euro al giorno.
Queste informazioni permettono di avere un quadro generico ma, cercando di entrare più nel dettaglio, ecco alcuni dati riguardo al concetto di sostenibilità declinata nel suo triplice significato: economico, ambientale e sociale.
Sulla sostenibilità economica i dati più interessanti e inerenti al caso di studio sono stati raccolti riguardo al Palaronda Trek, che si sviluppa nelle Pale di San Martino e dal 2010 viene proposto ai turisti come pacchetto. Sono stati messi in rete cinque rifugi ed è stata semplificata tutta la procedura di prenotazione in modo che il turista possa comunicare con un solo interlocutore, l’Azienda di Promozione Turistica locale. Negli anni le proposte di trekking hanno subito variazioni e oggi ci sono diverse possibilità tra soft e hard. Il trend di vendita del pacchetto ha registrato graduali incrementi. Nel 2010 sono stati venduti 75 pacchetti, fino ad arrivare nel 2019 a 815 pacchetti venduti.
Il fatturato di vendita dei pacchetti, per la stagione 2019, ammonta a poco meno di 150.000 euro, ma si stima un indotto di 25.000 euro, dato anche dall’effetto “notte prima, notte dopo”: infatti molti turisti decidono di fermarsi a dormire in valle la notte precedente la partenza e/o la notte di fine trekking. Tedeschi, austriaci, svizzeri hanno sempre rappresentato la maggioranza, ma nell’ultimo anno gli olandesi sono stati i più numerosi mentre il mercato italiano rimane in terza posizione (3).
Per quanto riguarda la sostenibilità sociale è interessante notare il caso del Lebanon Mountain Trail, 470 km di sentiero, attraverso 75 villaggi: attira ogni anno tra i 25.000 e i 30.000 visitatori. L’associazione che ha ideato il trail lavora su tre progetti per coinvolgere le comunità e i residenti nello sviluppo e manutenzione del sentiero (4).
– “Adotta un trail”: una persona oppure un gruppo, famiglia, scuola adotta un trail e ne è responsabile nella manutenzione (sfalcio erbacce, controllo segnali, ecc.) per un anno, in cambio riceve dei crediti che valgono sponsorizzazioni;
– Programmi di sviluppo della comunità: corsi di formazione per i locali in cooperazione con i tour operator. Nei corsi si imparano competenze nel guidare le persone e conoscenze sulla storia e la natura, regole da rispettare in ambiente e bisogni dei camminatori;
– Programmi di educazione: laboratori sull’ambiente per bambini e studenti in cooperazione con il ministero dell’istruzione, per comunicare consapevolezza sulle tematiche ambientali attraverso il cammino sui sentieri.
Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale il caso del rifugio Casera Bosconero, in provincia di Belluno, può rappresentare un interessante esempio di gestione sostenibile. Dal 2006, attraverso l’impianto di biodepurazione, le acque reflue e i rifiuti solidi di bagni e cucina vengono convertiti in sostanze utili. Tramite fitodepurazione, grazie a vasche con specie vegetali, si ottengono acque pulite per l’acqua di scarico del wc; tramite digestione anaerobica, grazie a un apposito digestore, si ricava biogas.

Purtroppo non esistono scelte in assoluto sostenibili. La sostenibilità è un triangolo, i cui vertici ne rappresentano le tre facce: economica, ambientale e sociale. Esistono, insiti al concetto di sostenibilità, alcuni trade-off (5). Quindi non si può affermare che un “lungo cammino” sia sostenibile o no. Partendo da una visione globale occorre chiedersi quali siano le scelte da compiere per far vivere tutte e tre le componenti della sostenibilità, il più possibile allo stesso livello.
Il progetto “TransLagorai” riunisce differenti esigenze, perché provenienti da territori con diversi bisogni (Valsugana, Val di Fiemme, Primiero), tuttavia la necessità di trovare nuove possibilità di sviluppo sostenibile è comune a tutti e tre gli ambiti.
Ecco perché è fattibile e auspicabile un’idea di prodotto turistico “TransLagorai”, con una visione ampia a 360 gradi, che per avere un futuro sostenibile deve presentare queste condizioni:
– Limiti: vanno stabiliti i limiti che questo prodotto deve presentare affinché rimanga sempre attrattivo nel suo essere selvaggio e avventuroso. Ad esempio, no impianti di risalita e basta strade in quota potrebbe essere un punto di partenza per mettere un filtro a un target che non apprezza la fatica e la pazienza nell’arrivare in quota;
– Facilità di informazione: deve essere chiaro a chi rivolgersi per eventuali prenotazioni e avere informazioni sul percorso, sapere quali sono le difficoltà, l’allenamento da preparare;
– Commerciabilità: deve esserci un ritorno economico per le comunità satellite al Lagorai, che può essere dato sia da un “effetto notte prima, notte dopo”, ma anche da altri servizi complementari al trekking (es: accompagnamento, trasporto);
– Partecipazione della comunità. Le comunità residenti devono essere coinvolte durante la fase di progettazione e pianificazione per attivare un’idea di corresponsabilità che è fondamentale per questo tipo di esperienza turistica. Per un’accoglienza autentica e genuina e per poterne beneficiare in prima persona. Il progetto TransLagorai è partito con un’ampia partecipazione, che nella fase finale purtroppo è stata interrotta;

– Sicurezza: la sicurezza in montagna è responsabilità individuale che dipende sia da fattori soggettivi (es: preparazione fisica e tecnica) sia da fattori oggettivi (meteo, pericoli). Il progetto della SAT propone degli interventi (copertura telefonica), che non stravolgono il paesaggio, tali da dare più tranquillità per gli escursionisti di poter chiamare i soccorsi;
– Esperienzialità o design del prodotto: dev’esserci dietro le quinte un’organizzazione ed una progettazione di tutta l’esperienza, che focalizzi i dettagli di ogni momento della giornata del turista, tematizzando il percorso sotto i valori dell’avventura, dell’epicità e dell’incognito.
In conclusione credo sia necessario cambiare il corso del dibattito, senza processare le intenzioni future, ma discutere su quali strumenti stabilire, affinché siano presenti limiti precisi alle eventuali minacce che un turismo di massa potrebbe portare.
Certamente il progetto non è perfetto, ci può stare la preoccupazione di un turismo di massa sul Lagorai e ci può anche stare il clima di sfiducia. Proprio per questo c’è bisogno di fare lobby, creando gruppi d’interesse costruttivi e, attraverso gli strumenti della democrazia mettere dei limiti e formulare delle proposte. Consapevoli che in democrazia se si è in minoranza non si decide. La buona fede si dimostra costruendo compromessi, non con le etichette e le stigmatizzazioni.
Note
(1) Protezione biodiversità, manutenzione servizi ecosistemici (protezione idrogeologica, regimazione delle acque stoccaggio di carbonio, servizi ricreativi), qualità della vita e del cibo, funzione laboratorio, manutenzione del paesaggio.
(2) Il report segue una quarantina di marchi outdoor nel mercato Europa.
(3) Fonte dati APT San Martino.
(4) Fonte UNWTO.
(5) Situazioni che implicano una scelta tra due o più possibilità, in cui la perdita di valore di una costituisce un aumento di valore in un’altra.
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Io penso si dovrebbe tornare a incentivare attività di tipo tradizionale, pur inserite e innovate nel contesto economico regionale o nazionale. Il turismo, per restare sostenibile in queste zone, non ancora massificate, deve restare una voce del PIL locale.
Agricoltura, allevamento, artigianato e altre attività penso possano essere l’elemento portante di una “nuova” economia che restituisca luoghi agli abitanti “reali”. Il turismo e le attività di servizio connesse dovrebbero tornare ad essere un corollario di promozione e arricchimento trasversale alle azioni di cosiddetta tradizione.
Attualmente normative vigenti e fiscalità rendono complesso un ritorno della ” tradizione ” (passatempi il termine, ma credo abbiate capito a cosa mi riferisco).
In caso contrario, un pesante impatto lo avrà proprio il “grande” turismo strutturato, illudendo miglioramenti economici delle condizioni locali non certo generalizzati.
La. Chiave di sviluppo che ha adottato il sistema paese temo sia al momento poco compatibile, per mentalità, filosofia e metodiche di rendimento, con un duraturo sviluppo di matrice sostenibile, come si auspicherebbe.
per Marcello Cominetti: giusto, ma quando è la SAT ad avallare questi progetti, anzi peggio a farne parte, c’è da preoccuparsi due volte!
Certamente il progetto non è perfetto, ci può stare la preoccupazione di un turismo di massa sul Lagorai e ci può anche stare il clima di sfiducia. Proprio per questo c’è bisogno di fare lobby, creando gruppi d’interesse costruttivi e, attraverso gli strumenti della democrazia mettere dei limiti e formulare delle proposte. Consapevoli che in democrazia se si è in minoranza non si decide. La buona fede si dimostra costruendo compromessi, non con le etichette e le stigmatizzazioni.
Direi che il finale dice tutto !
E sono pessimista per l’ambiente da quelle parti.
Siamo troppi pochi ormai a rifarci ai veri valori delle cose. Della montagna, in questo caso. Oggi l’utente (si chiama così in luogo del più antico appassionato) vuole sicurezza e percorsi codificati con nomi, tabelle e segnale per il telefono. Costoro ignorano (e quindi sono ignoranti) cosa si perdono davvero e se lo scoprono…. cambiano immediatamente “passione”. Purtroppo chi dirige, organizza e predispone, fa parte di quegli ignoranti che portano solo allo sfacelo culturale e ambientale che sono davanti agli occhi di tutti.
ottime risposte che condivido totalmente.
I servizi, le infrastrutture per la ricettività vanno create nei paesi di fondovalle . Le zone in quota vanno lasciate più selvagge possibile. L’arricchimento, il valore da difendere è la diversità ambientale, non l’omologazione turistica. Di questa ce ne è anche troppa.
Ho fatto parte degli intervistati, la tesi è evidentemente favorevole al progetto Translagorai, per questo metto le mie risposte alle domande: https://docs.google.com/document/d/1A8t_UfSBvJ1wRyWFqv_isgbEHv9aSAdD-aw-iYwwcxU/edit?usp=sharing
Di riffa o di raffa, si punta allo sfruttamento turistico del Lagorai. Certo all’inizio potrebbe sembrare una cosa soft, ma è come la crepa nelle diga. Poi tutto sarà travolto.