Lupi e umani

Lupi e umani
di Carlo Crovella
(scritto il 7 aprile 2019)

Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(2)

Proprio nei primi giorni del mese di aprile 2019 il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha reso noto il nuovo Piano di conservazione del lupo in Italia.

Il documento ha rasserenato le associazioni ambientaliste perché il nuovo Piano, a fronte di 22 azioni ipotizzate per perseguire l’obiettivo strategico, ha escluso in modo categorico gli abbattimenti selettivi.

Il punto non era affatto assodato, un po’ perché gli abbattimenti erano previsti nella precedente versione (2017) del Piano, un po’ perché nell’opinione pubblica stava montando una crescente richiesta in tal senso, al seguito di recenti episodi che confermano l’ampliamento della diffusione del lupo in Italia.

Ė bene precisare che, in Italia, il lupo era giunto sull’orlo dell’estinzione all’incirca negli anni ’70 (per caccia indiscriminata, bracconaggio, trappole, investimenti stradali, ecc). In tale contesto il lupo era stato dichiarato specie protetta e ciò ha successivamente permesso una progressiva crescita della popolazione sul territorio italiano. Per maggiori approfondimenti sull’evoluzione storico-cronologica invito gli interessati a consultare il documento: http://www.lifewolfalps.eu/il-lupo-nelle-alpi/

Secondo il recentissimo Piano Ministeriale, il censimento dei lupi nelle Alpi italiane ha registrato la presenta di 293 esemplari (contro i 100-130 del censimento 2015), mentre negli Appennini è stata confermata la presenza complessiva di 1580 capi. Questi dati sono significativi: la popolazione italiana di lupi (prossima ai 2000 capi) rappresenta il 10% di quella europea (esclusa la Russia) e sale addirittura al 17-18% della popolazione comunitaria.

Il ripopolamento del lupo in Italia va considerato quindi un evento di successo, specie in alcune zone (come l’arco alpino nordoccidentale e le valli cuneesi in particolare) dove la concentrazione di branchi è particolarmente fitta.

L’eccesso di popolazione di lupi li sta portando ad allargare i lori territori, cioè li spinge a scendere a quote collinari o addirittura a infilarsi in zone abitate. Per l’elevato numero di branchi registrato in Piemonte, negli ultimi tempi il fenomeno si è rivelato particolarmente eclatante proprio in questa regione.

Alla luce di alcuni episodi del recente passato risulta più comprensibile l’apprensione con la quale le associazioni ambientaliste attendevano il nuovo Piano ministeriale. Infatti, in particolare in Piemonte, si sono registrati frequenti episodi di attacchi a capi di bestiame sia d’allevamento (pecore, capre) che di selvaggina (caprioli, piccoli cervi) e l’opinione pubblica ha facilmente montato un’onda mediatica contro i lupi. Occorre mettere un po’ d’ordine nel dibattito, illustrando gli interessi di tutte le parti coinvolte (in primis gli allevatori), ma con pacatezza di toni.

Innanzi tutto riportiamo alcuni episodi oggettivi. Nelle pagine di cronaca metropolitana del quotidiano La Stampa del 23 gennaio 2019 è apparso un articolo il cui taglio si rivela immediatamente “allarmante” agli occhi di qualsiasi lettore. Titolo: I lupi scendono fino in pianura. Due caprioli sbranati a Piossasco (Nota: Piossasco si trova sulla direttrice Torino-Pinerolo ed è alla base delle ultimi propaggini delle Alpi).

Sottotitolo: La denuncia di cacciatori e agricoltori: “Stanno abbandonando le montagne”. Ma le istituzioni frenano: “Potrebbe essere opera di un branco di cani randagi”. L’appello di etologi e studiosi: “Non creare facili allarmismi”.

Cerco di sintetizzare l’articolo: Le carcasse di due caprioli sono stati trovate nei pressi delle abitazioni proprio sotto il Monte San Giorgio (che domina Piossasco, ndr). Secondo le associazioni venatorie non ci sono dubbi circa i responsabili della mattanza (testuale, ndr): i lupi continuano ad avvicinarsi sempre più ai centri abitati. Si citano altri episodi dei mesi precedenti: i residenti di Sangano (altro centro nelle vicinanze, ndr) hanno filmato la passeggiata (testuale, ndr) di un lupo vicino alla strada provinciale. L’articolista afferma che episodi del genere hanno alzato l’allerta nelle cintura sud-ovest di Torino. Ci mancava solo che scrivesse: ATTENTI AL LUPO!

Significativo però che l’articolo riporti un risvolto non secondario: la diffusione della notizia del ritrovamento delle carcasse di caprioli è avvenuto mediante la pagina Facebook di un’associazione venatoria. Appassionati cacciatori, dunque, la cui posizione sull’argomento è viziata da un profondo conflitto di interesse. Infatti la diffusione dei lupi, attraverso le predazioni, sottrae esemplari di selvaggina alla caccia degli umani. Per irrobustire le proprie richieste, l’associazione venatoria pare abbia scritto su FB che “le case abitate distano poche decine di metri dal punto di ritrovamento delle carcasse. Ormai ci troviamo di fronte ad un problema di cui in molti ignorano le dimensioni”.

Il giornalista riporta che i lupi in precedenza avevano già “attaccato” (chi? immagino la selvaggina, ndr), nei dintorni di Chivasso (ultime propaggini della collina torinese in direzione Milano) e nelle Valli di Lanzo. Tra l’altro a Germagnano, proprio vicino a Lanzo, nell’autunno 2018 è stata trovata appesa ad un cartello stradale una testa mozzata di lupo, sintomo che la situazione rischia di sfuggire di mano.

Sempre dall’articolo apprendiamo che secondo Network Lupo Piemonte, che ha condotto un censimento nel biennio 2017-18 con criteri scientifici, i lupi presenti nell’intero territorio piemontese (ovviamente si intende nelle valli montane, ndr) risulterebbero prossimi alla cifra di 200. Secondo le stesse statistiche, nelle sole valli del torinese risulterebbero 77 lupi suddivisi in 13 branche e una coppia. Però secondo agricoltori e cacciatori i numeri sarebbero molto più alti e il problema decisamente più critico.

L’articolo si conclude sottolineando che proprio in quei giorni (cioè fine gennaio 2019) la Regione Valle d’Aosta aveva aderito al progetto Life Wolfalps: l’obiettivo è la diminuzione dei conflitti fra il predatore e le popolazioni alpine, soprattutto agricoltori (allevatori e pastori, preciso io) e cacciatori.

Mia considerazione personale: per puntare insieme ad un obiettivo del genere è però necessario che il dibattito si svolga secondo canoni di reciproco rispetto. L’assunzione di posizione radicali o di veri e propri allarmismi non aiuta in tal senso. Purtroppo la nostra società è portata in generale ad estremizzare ogni risvolto e ogni considerazione. Si rischia però che a farne le spese siano i lupi.

Vediamo un esempio di alimentazione del “fuoco polemico”, poco utile al sano dibattito. Nella colonna a fianco dell’articolo citato sopra, viene riportata l’intervista ad un esponente di Federcaccia Piemonte, al quale vengono attribuite sostanzialmente tre affermazioni: 1) già negli anni scorsi lui stesso in prima persona aveva rintracciato carcasse, sia di prede che di lupi, nei pressi di centri abitati, ma il problema a suo dire è in vistoso aumento; 2) egli tende a disconoscere la tesi per cui gli attacchi alla prede possano essere ricondotti non a lupi ma a cani randagi, mentre afferma che la Citta Metropolitana ha confermato che sono state trovate tracce di lupi sulla collina torinese; 3) circa il rischio di attacchi all’uomo, inizialmente se la cava dicendo che non è in grado di rispondere con certezza, ma aggiunge poi che “di certo il lupo non si nutre di crocchette o verdura”, concludendo che “ci sono diversi indizi inequivocabili del problema e serve un piano adeguato perché la situazione non si aggravi”.

Questo è un esempio di come il dibattito sia confuso e teso, perchè spesso inquinato da posizioni sottese ad interessi di parte.

Innanzi tutto occorre precisare bene i due principali risvolti del problema: una cosa è il rischio di attacchi all’uomo, un’altra è la tematica dei danni registrati dagli allevatori, cioè da imprenditori che vengono penalizzati dal divieto di “difendere a fucilate” il loro bestiame contro i predatori. Circa gli interessi dei cacciatori confesso che personalmente sono del tutto insensibile, poiché non appoggio e non condivido l’attività della caccia ai giorni nostri.

Per quanto riguarda il rischio di attacchi all’uomo, anche un “non scienziato” come me sa che il lupo è un animale tendenzialmente schivo, furtivo, riservato, cioè non è un attaccabrighe. Nel rapporto uomini-lupi, a rischiare sono di più i secondi. Dal sito Life Wolfalps si apprende che, nella sola Regione Piemonte, risultano ben 27 i lupi trovati morti nel periodo maggio 2018-febbraio 2019 (10 mesi). Di questi, 13 lupi risultano investiti e uno avvelenato. Continua il report: “Imbattersi nella carcassa di un lupo è un evento fortuito: solo una minima parte dei lupi morti viene recuperata, di solito perché ritrovata in prossimità di strade o luoghi frequentati. La percentuale di lupi investiti o bracconati indica comunque che le cause antropiche sono tuttora uno dei primi fattori di mortalità del lupo. Il periodo dell’anno in cui si concentrano i ritrovamenti è l’inverno – inizio della primavera, complice il fatto che la copertura nevosa incoraggia gli animali ad utilizzare piste e strade battute. Inoltre questo è il periodo tipico della dispersione dei lupi giovani, che lasciano i propri branchi e territori conosciuti, alla ricerca di un nuovo luogo dove stabilirsi e per questo sono più vulnerabili”. Insomma, ne possiamo dedurre che il numero di lupi morti è approssimato per difetto.

Lo conferma poco dopo lo stesso documento: “Con 33 branchi e due coppie stimati in Piemonte (dati maggio 2018) e le prime attestazioni di presenza nelle zone pedemontane e collinari, perde senso dare rilievo a ogni singolo ritrovamento di un lupo morto, salvo nel caso di episodi di particolare rilievo”. Il numero delle vittime animali è quindi elevato: pertanto è molto più rischioso per un lupo imbattersi in un uomo che viceversa.

In tema di rischi per l’uomo, più che i lupi sono pericolosi i cani da guardania (di cui parlerò un po’ più diffusamente poco sotto), specie se non addestrati a perfezione: nel loro ruolo di custodi di greggi e mandrie, i cani (in genere pastori maremmani o abruzzesi) fanno trascorrere dei veri quarti d’ora di paura agli improvvidi escursionisti che si sono troppo avvicinanti agli animali al pascolo.

Decisamente più complesso e articolato è il problema dell’impatto dei lupi sull’allevamento di animali in altura. Su questo tema riporto interessanti concetti e informazioni prelevati dal numero 98 (primavera 2018) di Alpidoc, il prezioso periodico diretto da Nanni Villani per conto dell’Associazione Le Alpi del Sole, cioè l’associazione che raggruppa le Sezioni CAI della provincia cuneese. Abbiamo già verificato che nella valli della Provincia Granda si registra un’intensa presenza di lupi, per cui non c’è da stupirsi se Alpidoc, che cura l’informazione delle “sue” montagne a 360 gradi (dal risvolto alpinistico a quello storico, a quello etnografico), abbia dedicato un numero pressoché monografico alla numerose sfaccettature del tema lupo (chi fosse interessato a procurarsi l’arretrato può rivolgersi al sito: www.alpidoc.it).

Ebbene in tale numero di Alpidoc si riporta quanto esposto da Arianna Menzio (veterinaria di Life Wolfalps) nell’ambito del convegno Lupi e Zootecnia montana, organizzato a Torino (10 marzo 2018) su iniziativa del Gruppo Grandi Carnivori del CAI. La Menzio ha esposto i tre capisaldi fondamentali nella prevenzione degli attacchi al bestiame: 1) costante presenza umana in alpeggio (e dintorni); 2) cani da guardiania (perfettamente addestrati, è ovvio!); 3) recinzioni elettrificate di contenimento.

In un altro articolo, sempre pubblicato – a nome Giuliano Bruno – sul numero 98 di Alpidoc, viene intervistata in modo approfondito proprio la stessa Arianna Menzio, la quale enuncia alcune tesi che meritano attenzione. Quando è tornato il lupo, ormai diverso tempo fa, dominava un modello di allevamento brado o semi-brado. Con la presenza del predatore, occorre modificare le tecniche di allevamento: gli animali vanno ricoverati per la notte dentro recinti di protezione, la presenza umana deve essere costante, etc. Tutto ciò comporta maggiori costi: gli alpeggi vanno resi abitabili e confortevoli (o tornare ad essere tali), i pastori devono procurarsi personale aggiuntivo per il controllo anche al pascolo, i cani da guardania devono essere ben addentrati e non presi a casaccio pur di minimizzare i costi. Questo nuovo modello ha “sconvolto” il precedente modo di fare allevamento in quota: molti pastori hanno abbandonato, altri si sono riconvertiti all’allevamento di bovini (meno attaccati dal lupo e più redditizi in generale), altri ancora hanno mantenuto l’allevamento ovino-caprino, ma con maggiori difficoltà economiche. Insomma, aggiungo io, serpeggia un crescente malcontento, con l’aggravante della sensazione di essere abbandonati dalle autorità: ecco spiegato perché, in certe situazione, si ricorre alle fucilate contro i lupi.

Tornando all’intervista su Alpidoc, la veterinaria Menzio specifica che i veri danni economici alla pastorizia in altura non derivano tanto del lupo, ma da una sbagliata PAC (Politica Agricola Comunitaria), che favorisce le “grandi” aziende, spesso di pianura, le quali con un’ottica “speculativa” salgono in quota per sfruttare il territorio (e gli annessi sostegni economici di origine politico-burocratica), mettendo progressivamente ai margini i pastori e i margari tradizionali.

Inoltre va segnalato che i rimborsi per i capi, oggetto di predazione dei lupi, innescano spesso profonde delusioni, appesantendo il malcontento sul tema. Con l’aggancio dei rimborsi ad una assicurazione prevista dal COSMAN (Consorzio per lo smaltimento dei rifiuti di origine animale), si è aggiunta una difficoltà in più. In parole povere i pastori, che perdono capi di allevamento per “colpa” dei lupi, ottengono i rimborsi solo se rispondono a particolari requisiti burocratici: per esempio devono avere la residenza anagrafica della stessa regione, devono essere inquadrati come imprenditori agricoli e poi devono pure aver sottoscritto la citata assicurazione. Alla fine molti pastori hanno desistito dal richiedere i rimborsi e alcuni, esasperati, ricorrono alla doppietta.

Non è quest’ultima la soluzione ottimale al problema del rapporto con i lupi: vedremo se il Piano Ministeriale appena varato risulterà efficace. Pescando nei giorni scorsi da vari quotidiani nazionali (Corriere della Sera, Repubblica, etc), trascrivo qui alcune dichiarazioni del Ministro Costa: “Con questo piano ribadiamo che non servono gli abbattimenti, ma una vera strategia, che abbiamo delineato in 22 azioni. Questo non toglie che occorra un continuo aggiornamento delle linee guida del Piano e che altre iniziative verranno prese anche parallelamente, in sinergia col Piano”.

Personalmente mi permetto di concludere con una considerazione che riguarda tutti i soggetti coinvolti, ma in particolare i mezzi di informazione, nonché il mondo dei social: occorre ponderare con attenzione i termini che si utilizzano nella gran cassa mediatica. Infatti affermare che si sono ritrovati dei caprioli “sbranati” (all’interno di una vera “mattanza”) significa attribuire ai predatori carnivori (che non sono solo lupi) una volontà di efferatezza che non appartiene alla loro natura. I predatori “fanno” i predatori perché “sono” dei predatori e proprio per questo si pongono al vertice della catena alimentare. Ma tutto ciò fa parte di un “unicum” che è la Natura: se vogliamo continuare ad esistere anche noi in prima persona, dobbiamo imparare ad inserirci armonicamente nella Natura e non possiamo pensare di modificarla secondo logiche “umane”.

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Lupi e umani ultima modifica: 2019-04-14T05:47:50+02:00 da GognaBlog

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13 pensieri su “Lupi e umani”

  1. Solo per amore di precisione ripeto che TUTTE le fonti  UFFICIALI (sia ministeriali che accademiche , cioè universitarie, spesso con collaborazioni internazionali ) parlano di 2000 lupi totali sul territorio nazionale. Quindi non sto riferendomi agli articoli di giornale, di cui io stesso spesso sottolineo le imprecisioni e gli errori.
    In ogni caso il problema non è tanto nel numero totale nazionale di lupi, bensì nella loro concentrazione nelle diverse aree geografiche: se guardate la tavola inserita nell’articolo, si vede chiaramente che la concentrazione di lupi nel nord ovest e e in particolare nelle valli cuneesi è fittissima, mentre è più rada nel resto delle Alpi. Diversissimi sono quindi (da area a area) i problemi pratici e la sensibilità dell’opinione pubblica.

  2. ps: anche il termine “ripopolamento” è ambiguo e si presta ad equivoci. Molti infatti sono convinti che i lupi siano stati immessi sul territorio, come è accaduto per gli orsi in Trentino. Cosa che invece, per i lupi in italia, non è mai accaduto

  3. @Crovella: gli “organi di stampa” scrivono spesso stupidaggini. Il termine “censimento” induce a pensare che sia stato svolto effettivamente un censimento, cosa non vera. La “gestione del problema” non credo possa essere la stessa se i lupi sono 1800 o 2500: la differenza è del 39%! Una gestione seria di qualunque problema implica una conoscenza preventiva più accurata possibile. Cosa che in questo momento non sembra realistica, perché la gestione “politica” della fauna, tutta di pancia come si fa soprattutto in Italia, soprattutto per scopi elettorali, non è una cosa seria. ciao

  4. Preciso che il termine “censimento” (dei lupi, ndr) è esplicitamente utilizzato dagli organi di stampa con riferimento sia all’ultimissimo Piano Ministeriale (aprile 2019) sia al precedente (2017, che faceva riferimento alle “stime”  – chiamiamole così – del biennio 2015-17). In ogni caso si “balla” a cavallo dei 2000 individui sull’intero territorio italiano. Che poi siano 2500 o 1800 poco rileva ai fini della gestione del problema. Sarebbe diverso se le cifre totali fossero sui 4-5000 esemplari, ma nessuna fonte ufficiale (ministeriale o accademica) avanza numeri di tale portata. 

  5. Crovella scrive “Secondo il recentissimo Piano Ministeriale, il censimento dei lupi nelle Alpi italiane ha registrato la presenta di 293 esemplari (contro i 100-130 del censimento 2015), mentre negli Appennini è stata confermata la presenza complessiva di 1580 capi. Questi dati sono significativi: la popolazione italiana di lupi (prossima ai 2000 capi) rappresenta il 10% di quella europea (esclusa la Russia) e sale addirittura al 17-18% della popolazione comunitaria”.a me non risulta nessun censimento. Il numero di 2000 lupi in Italia è semplicemente una stima, fatta da esperti come Boitani. Difficile dire quanto questa stima sia attendibile, perché altre cifre che si leggono in giro (da 1170 a 2600) sono molto differenti. La grande incertezza sulle cifre dimostra che non si conosce con precisione il fenomeno dell’espansione del lupo, quindi non si capisce su quali basi qualcuno vorrebbe adottare piani di “abbattimenti selettivi”. Poi il problema è cavalcato, e aggravato, dai media e dai politici. In Alto Adige per esempio si è montato un can can incredibile nonostante, ad oggi, non vi sia nessun branco stanziale! 

  6. Pienamente d’accodo con Carlo Crovella.
    Ho avuto l’occasione di presenziare all’incontro “Farmers and predators” organizzato a Castelnuovo D.B. dalla Fondazione Capellini che fa capo alla soc. AlmoNatura (produttore di alimenti per cani e gatti). Sono venuta a conoscenza di progetti molto interessanti dove la Fondazione interviene a sostegno degli allevatori fornendo cani da guardiania (che mantiene per tutta la loro vita fornendo le crocchette gratuitamente) e assistenza sulle modalità di realizzazione di recinzioni a protezione delle greggi. I cani forniti dalla Fondazione in Italia sono ad oggi 600 e tutti sono all’interno di progetti di ampio respiro. In particolare è stato presentato il progetto  del Parco dell’Antola in provincia di Genova, che si sviluppa su 12 comuni per un totale di 50.000 ettari. Il progetto, iniziato nel 2015, parte proprio a causa della guerra  portata avanti da allevatori e popolazione locale, intimiditi da una visione distorta del lupo.  Non mi dilungo più di tanto sulle cose interessanti che ho avuto modo di ascoltare,ma in sintesi  la convivenza è possible proteggendo gli animali domestici con le opportune recinzioni (che devono essere fatte con tecniche precise e consolidate) e con i cani da guardiania (maremmani,abruzzesi, pirenei). Dove è stato attuato l’abbattimento selettivo (per esempio nel Mercantour) si è assistito ad un incredibile aumento delle aggressioni, causato dal fatto che il primo lupo che si riesce ad abbattere è generalmente il più coraggioso, ovvero il maschio o la femmina alfa. Mancando loro il branco si sfalda ed entra nella più totale anarchia, generando per anni uno scompiglio totale.
    Molti gli allevatori presenti all’incontro, che hanno portato la loro testimonianza sull’efficacia di questo progetto di gestione del lupo.
    E’ stato sottolineato che si parla di guerra al lupo, di aggressioni alle greggi ecc, ma il vero nemico degli allevatori non è il lupo, ma piuttosto la Grande Distribuzione che non cautela i piccoli produttori, i cui prodotti ,sottopagati, non permettono la sopravvivenza. Ma questa è tutta un’altra storia……

  7. Le sciocchezze che afferma Paolo bastano da sole a capire quanto sia inadeguato e strumentale l’approccio che abbiamo oggi di fronte al non-problema lupo; giustificare la caccia alla volpe come necessaria ai fini “sanitari” o per limitarne la dannosissima popolazione non è solo sbagliato, ma anche intellettualmente disonesto. 

  8. Altrove vengono introdotti i predatori in zone ormai senza di loro per riequilibrare la fauna presente troppo cresciuta… cervi, daini, castori…La Natura secondo me non dovrebbe essere modificata dall’uomo secondo le sue idee, al massimo dovrebbe essere osservata e studiata per imparare la convivenza.Ma l’uomo è il predatore più feroce e famelico.

  9. Quello che tutte queste analisi, pacate o meno, sembrano dimenticare è che la popolazione italiana è triplicata dall’unità (1861) ad oggi e che viviamo, nostro malgrado, in uno dei paesi più densamente popolati della vecchia Europa. Un paese in cui le montagne prevalgono sulle pianure e costituiscono sempre di più un miraggio, una valvola di sfogo per i troppi abitanti di queste ultime. La connivenza fra lupi, orsi ed esseri umani non è mai stata idilliaca. La storia si ripete. 

  10. Il numero di 2000 lupi “italiani” risulta anche dall’ultimo documento del Ministero (inizio aprile 2019). Piu’ o meno anche le altre fonti convergono su tale cifra. Io non li ho contati uno per uno, ma reputo difficile che i lupi, allo stato attuale, siano addirittura il doppio di quanto affermato dai documenti ufficiali e da quelli scientifici.
    Le considerazioni generali dell’intervento non valgono “solo” per il lupo, ma per qualsiasi altro animale.

  11. Molto interessante. Temo però che il documento sottostimi pesantemente il numero di lupi (2000 capi) perchè riporta dati vecchi. Ad oggi si parla di almeno il doppio di capi. Ciò detto, credo che il problema vada affrontato con razionalità, mentre il lupo è per molti un totem. Faccio un esempio: nessuno si scandalizza per gli abbattimenti (controllati e legali) delle volpi. La popolazioni di volpi viene gestita, sia per ragioni di impatto su altri specie che per ragioni sanitarie. La fauna va gestita secondo criteri scientifici, non emotivi. I tecnici diano i numeri e su questa base si decida se la popolazione deve crescere o diminuire. In Francia, Slovenia, Svizzera anche per i lupi è previsto un certo numero di abbattimenti. Sia chiaro, non sono a priori favorevole agli abbattimenti. Vorrei però che se ne discutesse laicamente.

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