L’urrah della vittoria
(scritto nel 1998)
Lettura: spessore-weight*, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**
Ad Lancei Valles brevis lusus poëticus è il titolo di un poemetto in latino che il teologo Gian Giacomo Bricco scrisse ai primi dell’800 sulle sue valli natie, le Valli di Lanzo. Altrettanto importanti per la conoscenza di queste vallate così selvagge ed ignorate furono le Lettres sur les vallées de Lanzo del conte Luigi Francesetti (1823).
Risalendo la Valle di Ala, appena oltrepassata la Cappella di Pian Soulet, ecco l’Uja di Mondrone apparire e dominare interamente la scena, in modo imperioso come solo le vette di classe sanno fare. Questo monte privo di ghiaccio, è così bello, così attraente per un alpinista ed ha un atteggiamento così fiero, che par che lo sfidi a calcargli la bruna fronte. Visto da Ala, esso si presenta come una roccia colossale acuminata, selvaggia e sinistra, e poche sommità, anche fra le elevatissime, posseggono una fisionomia così altera e caratteristica. Così la descriveva Luigi Clavarino nel 1874. Il primo a salirla fu l’ingegner Antonio Tonini con il portatore Ambrosini, nel 1857, ma sempre sull’Uja, come familiarmente viene chiamata dagli alpinisti torinesi, fu l’inizio, il 24 dicembre 1874 con Luigi Vaccarone ed Alessandro Martelli, dell’alpinismo invernale italiano.
Oltre Balme, si apre il Pian della Mussa, un’oblunga pianura erbosa spesso devastata dal torrente Stura, lunga circa tre km e larga uno. Da qui appaiono le altre grandi due vette della valle, la Bessanese 3632 m e l’Uja di Ciamarella (o Ciamarella) 3676 m.
Chiedere a qualcuno che non sia proprio un abitante delle valli di Lanzo o un alpinista torinese della vecchia guardia che cosa sono Bessanese e Ciamarella è un rischio: pochi infatti lo sanno. Le informazioni viaggiano alla velocità di Internet, a volte ci sembra di essere soffocati dalla quantità di notizie che abbiamo a disposizione. Eppure, se si guarda attentamente, le informazioni riguardano quasi sempre le stesse cose. A proposito di montagne, tutti parlano di Monte Bianco o di Dolomiti o del Cervino, qualche volta del Monte Rosa. Su questi argomenti possiamo riempire intere biblioteche di libri fotografici, storici, descrittivi. Le stazioni turistiche sono sempre le stesse, più o meno dove lo sci la fa da padrone o dove si è affermato nel tempo un turismo d’élite. Nella nostra agenzia fotografica, avessimo solo foto di quelle località che tutti conoscono potremmo già sopravvivere. E allora? Allora bisogna crederci, e insistere nel far conoscere anche altro, ciascuno nel proprio campo d’interessi.
La Bessanese si presenta come un largo bastione roccioso dalla lunga cresta dentellata, solcato da costole poco profonde. Un assaggio della ben più forte verticalità sul versante francese. L’ascensione fu tentata da Antonio Tonini il 31 agosto 1857 con un addetto catastale: i due, giunti ad un intaglio della cresta sud, poco sotto alla vetta, dovettero arrestarsi, costruirono un “segnale” e dichiararono la salita impossibile. Tale verdetto fu accettato da tutti, date le credenziali alpinistiche del Tonini, perfino da Antonio Castagneri, detto Toni dei Tuni, nativo di Balme, che sarebbe diventato in seguito la più grande guida delle Valli di Lanzo e non solo. Così, dopo molti altri tentativi, solo 16 anni dopo vi fu la vittoria. Il 26 luglio 1873, Martino Baretti con la guida di Usseglio Giuseppe Cibrario detto Volpot ed il portatore Pertus raggiunsero in meno tempo del previsto il Segnale Tonini. Pur impressionati dall’aspetto del torrione estremo, ne intuiscono il punto debole dopo attenta osservazione e il Volpot si porta innanzi, fa levare le scarpe al Pertus e lo spinge in alto… per le parti nobili che presentano ampia superficie, mentre questo ultimo punta i piedi nudi contro la roccia; sollevato ad una certa altezza arriva ad aggrapparsi ad un qualche cosa che gli sembra solido e, sempre sospinto dal Volpot, viene a porre il ginocchio sul ciglione superiore del canale…, raccontò il Baretti, proseguendo poi a descrivere l’identico sistema con il quale anch’egli fu sollevato dal Volpot. Subito dopo, tremando dall’emozione, non attende neppure i compagni e si slancia di corsa verso la vetta: un urlo indescrivibile mi erompe dal petto, è l’urlo selvaggio sul caduto nemico, è l’urlo del soldato quando supera la breccia… è l’urrà della vittoria! A questa ben giustificata felicità segue però la soddisfazione maligna di essere riuscito là dove altri più esperti non avevano neppure tentato: L’impressione che mi rimase dell’ascensione fu di non poter credere come uomini famosi nei fasti alpinistici, avessero tentato e non scalato la Bessanese; le difficoltà furono al di sotto di ciò che mi era figurato. Le urla liberatorie mal si conciliano con la posteriore visione riduttiva delle difficoltà superate: e da qui si vede che i tempi cambiano ma gli uomini son sempre gli stessi.
Uja di Bessanese (a sinistra) e Albaron di Savoia
Frasi come queste fanno pensare a poca saggezza. La qualità della nostra esperienza in montagna ha senso quando possiamo dire di averla vissuta pienamente. A volte basta una escursione ben fatta e ben condotta per appagare appieno le nostre esigenza di vita. Tanta fantasia ed umiltà, e fatica quanto basta, sono gli ingredienti essenziali per aprire il proprio cuore alla vera esperienza personale. Ciò è inutile però se non si rispetta l’esperienza altrui. Copiare, comprare, ripetere e collezionare sono i meschini verbi relativi alle cose. La montagna non è una cosa e non la si dovrebbe usare come tale.
Ma la Bessanese fu anche teatro della tragedia dell’aeronauta Charbonnet e compagni, quando vennero ad urtare, vero naufragio aereo, col loro aerostato sulle rocce della parete est. Partito da Torino con la moglie ed un amico, dopo aver volato qua e là per il Piemonte, si lasciarono inesplicabilmente cogliere dalla notte e dalla bufera nelle alte regioni dell’aria; non si accorsero della grande parete e vi si sfasciarono contro. I tre trovarono rifugio nel pallone ormai inservibile, ma Charbonnet era gravemente ferito al capo. Il mattino dopo poterono scendere sul ghiacciaio e nella traversata Chardonnet, stordito e barcollante, precipitò in un crepaccio trovandovi la morte. Dopo una lunga odissea i sopravvissuti riuscirono a giungere a Balme. Per molto tempo si videro ancora i lembi dello sfortunato pallone sventolare al vento trattenuti dalle rocce della Bessanese.
Uja di Ciamarella e via normale
L’altra grande cima che incombe sul Pian della Mussa, la Ciamarella, fu salita dal solito Tonini, che nel 1857 soggiornava a Balme come ingegnere catastale. Il 31 luglio egli costrinse il suo addetto Ambrosini, pena il licenziamento, ad accompagnarlo fino alla vetta.
Un illustre nome della storia dell’alpinismo, quello di Guido Rey, doveva suggellare la conquista della parete sud della Ciamarella, la via delle Lance (o Lanze). Questo imponente versante, alto circa 1500 metri, è formato da una quantità di crestine e canali paralleli, disposti a canne d’organo, simili a “lance” appunto, che dalla vetta scendono direttamente sul Pian della Mussa. L’ascensione, ben notevole per la sua lunghezza e per la qualità della roccia, fu compiuta da Guido Rey con Antonio Castagneri ed il fratello Giuseppe l’11 settembre 1883 e non fu ripetuta che vent’anni dopo. E il 4 giugno 1922 Eugenio Ferreri e M. Walter Levi salirono la glaciale parete nord per un itinerario assai diretto e con un’attrezzatura assai poco progredita. L’itinerario è uno dei più classici, assai ripetuto a dispetto del grande isolamento della parete al fondo del selvaggio Vallone di Sea. Il 26 giugno 1972 Yves Anselmet, dopo aver salito la parete, la discese con gli sci in 10 minuti.
Curiosità. Nel 1872 il rev. Henry Richard Budden pubblicò un codice di comportamento della guida e dell’accompagnatore in montagna, che possiamo qui riassumere in 12 punti:
1) essere onesto, gentile, di buon umore, forte ed esperto dei luoghi; 2) non fumare, non bestemmiare, non dire parolacce; 3) essere responsabile dell’attrezzatura necessaria al cliente; 4) dare attenzione alle signore: offrire loro fiori, fragole, aiutarle nei punti più difficili; 5) non interrompere mai i discorsi, non essere fanfarone; 6) non lamentarsi della propria miseria e non piangere sulla durezza delle condizioni di vita montanara; 7) essere moderato nella richiesta di provvigione ad alberghi, osterie e trasporti; 8) essere utile nelle piccole cose; 9) non cedere al cliente quando questo vuole andare avanti ad ogni costo, anche se offre soldi o minaccia, una volta sceso in valle, di giudicarlo un vile di fronte a tutti; 10) legarsi quando c’è bisogno, anche contro il volere del cliente; 11) non importunare il cliente allorché questo è appena arrivato al villaggio, ma attendere di essere cercato; 12) verificare che la forma fisica del cliente sia adeguata.
In particolare quest’ultimo punto era assai importante, perché sottolineava la necessità di un giudizio sull’idoneità “fisica” del cliente, che in qualche modo però si riferiva anche al dovere della guida di essere un buon psicologo e di accertarsi in definitiva dell’equilibrio mentale dei propri assistiti.
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Avvincente il racconto, intriganti il paesaggio ed i percorsi descritti ma veramente interessante constatare come già nel 1872 erano ben definite le regole dell’accompagnamento in montagna.
Io sono un toscano, che conosce però sia la Ciamarella (salita due volte, una volta la normale, una volta la traversata) che la Bessanese (Murari). Al Gastaldi, la sera prima del Murari, due guide si mostrarono molto stupite che due toscani conoscessero l’esistenza di queste montagne. Ma io ho i miei Agenti all’Avana, o piuttosto in val Chisone e a Corio Canavese, carissimi amici di lunghissima data che mi hanno fatto scoprire quel mondo.