L’uso della montagna-oggetto

Scrivo quello che sai cosa dire ma non sai come dirlo. La vita è un gioco di parole, perché non scriverle? (Martina Guglielmi)”.

Intervista ad Alessandro Gogna
di Martina Guglielmi
(22 novembre 2024)

Dal genere all’ego, dalla spettacolarità all’umiltà, dalla storia alla speranza: l’alpinismo rivela ancora questioni irrisolte e anche se il passare del tempo ha portato cambiamenti positivi, c’è ancora una parte di questo mondo che si potrebbe dipanare… o forse no. Sta di fatto che il mistero, le domande, la ricerca, sono ancora al centro dell’attenzione di molti. A volte ci pensiamo e altre abbiamo voglia di parlarne. Io ho sempre voglia di parlarne e ho chiesto a Alessandro Gogna se volesse rispondere a qualche mia domanda. Sarò sincera: pensavo mi rispondesse di no, che non aveva tempo o non gli sarebbe interessato. E invece…

Martina Guglielmi

Innanzitutto grazie, del suo tempo e della sua attenzione. Avrei centinaia di domande, ma so che non posso impegnarla ore, quindi inizio subito con uno dei temi. Secondo lei è solo un riflesso della società o è il mondo alpinistico a essere particolarmente incentrato sull’uomo?
No, è un riflesso della società sicuramente. Io credo che innanzitutto dobbiamo fare distinzioni tra l’arrampicata sportiva e l’alpinismo. Nell’arrampicata sportiva (*) il numero di praticanti si è abbastanza pareggiato: di donne ce ne sono veramente tante, non è più come una volta. Nel campo sportivo, è vero, abbiamo Adam Ondra che ha salito il 9c e sta preparando il 9c+, mentre ancora una donna non ha salito il 9c. Ma mi sembra una differenza così minima che non deve assolutamente giustificare nessun tipo di preclusione. Quando io dico che è una situazione in miglioramento è perché ogni anno vediamo un aumento di numero e prestazioni da parte delle donne.

Nell’alpinismo ci sono state diverse donne che hanno rappresentato figure molto importanti in questo ambiente. Il cammino è stato lungo, ma secondo me non è stato altro che lo specchio dei tempi e della società, perché l’alpinismo era visto come qualcosa di rischioso e quindi più adatto agli uomini: la questione virile dell’ottocento per cui la donna doveva stare a casa badare ai figli. E questo vale anche per gli inizi del novecento; la strada, come dicevo, è stata lunga. Poi però i risultati si sono visti, tant’è vero che le donne hanno raggiunto dei traguardi seriamente paragonabili a quelli dei migliori degli uomini. Certo i numeri sono ancora diversi: le percentuali di maschi e femmine non sono di certo 50 e 50, questo non so perché, ma forse riguarda anche dei tabù ancora presenti. Ci sono cordate unicamente femminili che stanno facendo attività, io credo che basti aspettare. A mio parere le percentuali si pareggeranno.

(*) Arrampicata sportiva, boom di praticanti e la metà è donna è il titolo del portale SPORT E SALUTE datato 12 settembre 2023. Nel 2023, infatti, circa il 40% dei tesserati è donna: sono 24.323 su 63.541.)

“Al maschio è lecito soffrire per l’inutile, alla femmina no. Il limite dell’uomo è la vita stessa; per la donna ci si deve fermare prima: la sua natura si deve conservare intatta.” Lo ha scritto (nel 1970) nel suo articolo A proposito della donna in montagna, pubblicato nel 2018. È ancora d’accordo su queste parole?
No, non sono più d’accordo su quanto ho scritto e nell’articolo sono stato chiaro nell’ammetterlo. È possibile anche cambiare idea, giusto?

Certo! Ed è molto interessante vedere l’evoluzione: il fatto che lei non sia più d’accordo con quella frase a mio parere è un aspetto positivo, perché significa che almeno una parte dell’intero cambiamento è stata fatta, equivale ad affermare che c’è stato un cambiamento.
Sono stato abbastanza chiaro: non sapevo neanche se pubblicarlo o meno quell’articolo, perché avrei potuto fare brutta figura, ma poi mi sono detto “questo è quello che pensavo e ora non lo penso più, e lo dico”.

C’è stato un evento particolare che le ha fatto cambiare idea?
No, nessun evento particolare. Basta guardarsi intorno, vivere nella società, per capire l’evoluzione, i cambiamenti che ci sono stati nel tempo.

“L’uomo è già andato ben oltre” e ancora “se oggi una donna compie una prima ascensione di grado estremo su roccia, è perché ormai questo tipo di salite non è più il vero estremo”. Lo ha scritto nel suo articolo, per quanto riguarda le prime ascensioni e altre imprese.
Questo è ancora vero, ma non vorrei che le mie parole fossero travisate. Sono convinto sia possibile che il margine, la differenza, si riduca sempre di più.

Le donne non possono, non vogliono o non riescono a prendere un’iniziativa alpinistica?
Assolutamente le donne prendono l’iniziativa alpinistica. Il punto è che sono in quantità inferiore a quella degli uomini, quindi necessariamente la punta della piramide che loro rappresentano è leggermente più bassa rispetto a quella maschile, tutto qui. Sono due piramidi che hanno una base diversa: il quadrato della base della piramide maschile è 100 per 100, quella della donna è in questo momento 20 per 20. In teoria può raggiungere la stessa altezza di quella degli uomini, ma in questo momento non è ancora così. Che ci siano state delle donne che hanno fatto delle imprese meravigliose è fuori dalla discussione, ma se tu guardi la premiazione del Piolet d’Or (*), i premiati sono nella quasi totalità uomini.

Quello che io vorrei sottolineare è la possibilità che questa differenza nei numeri, nell’alpinismo ancora piuttosto marcata, pian piano si riduca grazie all’aumento delle praticanti.

Sai, nella storia ci sono stati degli esempi in cui addirittura la donna è andata oltre. Esempi che probabilmente si contano sulle dita di una mano, ma sono state grandi imprese. Guarda ad esempio quella di Mira Marko Debelakova (**), alpinista slovena purtroppo poco citata in articoli e libri, donna che negli anni ’20 ha compiuto imprese al limite del sesto grado. Anzi, ci tengo a dire che a lei non è stato dato secondo me il giusto valore nella comunicazione delle sue attività alpinistiche.

(*) in italiano ‘Piccozza d’oro’, premio sportivo assegnato dalla rivista francese Montagnes e dal Groupe de haute montagne all’inizio dell’anno per la migliore impresa alpinistica dell’anno precedente)

(**) Mira Marko Debelakova, “protagonista di ascensioni condotte da capocordata o a comando alternato, è stata una figura di riferimento assoluto nell’alpinismo femminile (e non solo), in quanto prima donna a scalare in completa autonomia”, Linda Cottino

“Ma il fenomeno di quel tempo fu una donna, Mira Marko Debelak (1904-1948), che il 5 e 6 settembre 1926 salì interamente da capocordata assieme a Stane Tominšek la via diretta alla parete nord dello Špik (V+, 900 m). Ma la Debelak non era sola ad aprire vie nuove in un mondo maschile. Pavla Jesih (1901-1976) le rispose con un’altra via nuova sulla stessa parete. È un fatto storico, che in quegli anni le donne fossero in netto anticipo sui tempi (dall’articolo L’Est più vicino – 1 di Alessandro Gogna).”

Mi viene in mente anche Alison Hargreaves, che ha compiuto diverse attività alpinistiche di grande valore e successo, oltre alla scalata della parete nord dell’Eiger quando era incinta (*)…
Esempi incredibili davvero.

(*Ero incinta, non malata”, rispondeva Alison Hargreaves, mamma di Tom Ballard, a chi la criticava per aver salito in solitaria la Nord dell’Eiger incinta di sei mesi.)

Ho una curiosità: ho sempre immaginato il mondo dell’alpinismo come privo di regole, ovviamente nei limiti del rispetto delle persone e della propria vita, e questa assenza di regole mi fa dubitare che la mentalità e i comportamenti nell’alpinismo siano un riflesso della società, caratterizzata da regole imposte, positive o negative che siano…
Faccio due osservazioni. È vero che pare l’alpinismo non abbia regole, o perlomeno non le ha scritte, ma in realtà, nel profondo, qualche regoletta ce l’ha. Le ha cambiate nel tempo, questo sicuramente, ma le regole ci sono: nel momento in cui si dice ‘stile alpino’, ‘free solo’… insomma: se ti vedono in parete con una corda penzolante a fianco, il free solo non te lo danno. Sono regole non scritte, non classificate (come invece, ad esempio, accade nell’arrampicata sportiva). Quindi non è proprio vero che l’alpinismo non ha regole. E poi non vedo perché in un’attività che è libera, non possa comunque esserci l’influenza di una società civile: una persona porta con sé e dentro di sé le regole della società dove è cresciuta e vive. Nulla vieta che l’individuo appassionato di alpinismo abbia determinate convinzioni nel modo di ragionare e vedere le cose.

L’alpinismo è libertà, uno stile di vita, e con questa libertà mi sembra strano che gli uomini portino con sé dei retaggi culturali provenienti dalla società. Ma ha ragione, è anche vero che la società plasma le persone e per quanto poco un po’ di questa la porti nell’alpinismo…
Ci siamo dentro. Dovremmo fare un eremitaggio totale per poter dire che non siamo influenzati dalla società. Se tu sei nato in un ambiente dove c’è ancora oggi questo modo di pensare (vedi il CAI, ad esempio, dove ancora oggi molte sezioni sono chiuse o fanno fatica ad aprirsi alle donne), questa mentalità uno che va in montagna se la porta dietro. Poi sarà libero di fare quello che vuole, ma non è una libertà al 100%. I trend sono comunque positivi: aumentano le donne praticanti, migliorano le prestazioni, aumenta la qualità. Andiamo avanti, perché questa è la strada giusta.

Posso chiederle un suo pensiero rivolto alle donne che intraprendono l’attività alpinistica?
Io auguro a loro qualcosa che in generale auguro anche agli uomini: di seguire sempre il proprio istinto. Sembrerebbe che la donna sia più facilitata rispetto all’uomo, il quale avrebbe qualche regola in più che gli è stata imposta. Quello che la donna sente è quello che poi lei fa. Accade più spesso all’uomo di incaponirsi per la volontà di compiere determinate azioni in montagna e dimostrarlo, e questa volontà potrebbe anche rischiare di portare a conseguenze gravi. A mio parere se si seguisse, se si ascoltasse l’istinto, ciò porterebbe comunque a grandi imprese, ma forse un po’ meno spericolate e pericolose.

Seguire l’istinto sempre, senza lasciarsi influenzare o convincersi da statistiche, ragionamenti, da quelli che sembra ne sappiano più di te: questo è il mio augurio, a tutti.

Vorrei farle ora alcune domande sulla bellissima “Intervista ad Alessandro Gogna” di Maurizio Oviglia. Come si distingue un alpinismo genuino, tradizionale, onesto da un’operazione di marketing?
Vedi, esistono alpinisti più furbi degli altri. A volte all’apparenza può sembrare un comportamento genuino, ma dietro c’è una strategia per cui “mi comporto in questo modo per sembrare così e poi li frego tutti”, del tipo “parto e non dico a nessuno cosa vado a fare, ma solo il luogo”: ci sarà qualcuno che apprezza il comportamento schivo, l’umiltà, ma qual è la verità? Uno può non dire niente ed essere della stessa pasta di chi vuole che la sua impresa abbia rilevanza mediatica, perché sa che sui media la sua impresa uscirà comunque poi. Sarebbe bello che fosse il diretto interessato a farsi queste domande, perché è lui che alla fine decreta quello che è: quel che dice dopo, quanti post sui social fa, su quanti articoli appare…

Oggi è tutto abbastanza complicato: guarda ad esempio quel giovane alpinista, Stefano Ragazzo, cha ha fatto la prima solitaria di Eternal Flame alla Trango Nameless Tower in Pakistan. Poco prima di partire era stato escluso dalla North Face perché era uno che faceva pochissime apparizioni social. Quindi io dovrei fare per forza apparizioni social per far risaltare imprese che hanno un valore storico importante? Bisogna non cadere nel ridicolo: non dico di non pubblicare post sui social, ma c’è modo e modo e soprattutto quantità e quantità. Per fortuna qualcuno si è dato una regolata, ma davvero c’è stato un periodo di sovrabbondanza, di post e immagini alquanto inutili.

C’è ancora qualcuno che pratica l’alpinismo per se stesso e non per dire che ha fatto qualcosa?
Sarei meno duro nel condannare questa esigenza di promozione. Prendi un Hervé Barmasse, ad esempio, o un Simone Moro, professionisti attuali che è vero sono spesso presenti nei media, ma non me la sento proprio di dire che il loro sia un alpinismo di facciata, di marketing, non lo dirò mai, perché quello che hanno fatto l’hanno fatto in modo genuino, a volte rischiando anche la vita.

È spesso una questione di interpretazione, di come la vivi, di come la racconti, e poi uno ti può essere più simpatico o meno. Affermare che ci sia qualcuno che lo fa solo per la rilevanza mediatica secondo me è sbagliato, perché ricordati che in questi casi la questione è spesso tra la vita e la morte. Davanti a questo argomento anche i discorsi sulle sponsorizzazioni crollano. Può esserci chi esagera, ma sono certo che l’acqua non è inquinata. Poi tutto può succedere.

Vorrei che fosse chiaro che bisogna fare attenzione a non essere troppo duri nel giudicare in modo immediato persone che non conosciamo davvero: in queste imprese il dialogo è tra la vita e la morte ed è un dato di fatto. Questo dialogo lo conduce solo il diretto interessato: quello che tu puoi dire da fuori è sempre zoppo.

Nella sua intervista parlava del ritorno della montagna protagonista rispetto a un abbondare dell’io alpinista. Ma le chiedo: è mai stata la montagna protagonista? Da Preuss a Auer, c’è sempre stato l’io alpinista prima di tutto. È corretto?
È chiaro che l’io alpinista c’è sempre stato, ma c’è una cifra molto differente nei vari casi. Ci sono individui che hanno fatto alpinismo formidabile praticamente accontentandosi di dirlo alla propria sezione del CAI, senza aver mai fatto pubblicità, tanto che sono stati perfino sottovalutati.

Nel dialogo tra uomo e montagna oggi posso vedere un’esagerazione di competizione, dove l’ego vuole misurarsi con gli altri ego, l’ego contro l’ego. La competizione c’è sempre stata. Il rischio è che in tutta l’organizzazione e lo svolgimento di queste salite competitive, la montagna si metta sullo sfondo, non sia più partner, non si è più ‘io e la montagna’, ma io contro un altro io, una tenzone che si fa sulla montagna. La montagna come sfondo è proprio quello che io pavento, una situazione che oggi è reale. Con tutto il rispetto per gli atleti che fanno sport in montagna, è fuori discussione che se tu fai una gara, la fai contro i tuoi simili, contro i tuoi concorrenti. Ma la montagna lì a cosa serve? Dov’è il rapporto con la montagna? Non c’è più, sei solo interessato al cronometro. Questo è il pericolo attuale nell’alpinismo. Non dico che non si debbano fare competizioni, ognuno è libero di fare quello che vuole, ma il rischio c’è e lo dobbiamo fronteggiare, perché è concreto, è realtà che la montagna sia messa in secondo piano. Stiamo per scivolare pian piano verso l’uso della montagna intesa come oggetto.

L’alpinismo rischia questo?
Sì, lo sta rischiando. Sono dentro il pericolo tutti i vari concorrenti delle tante competizioni.

In arrampicata il confronto tra un alpinista e quello di un’altra cordata nella conquista di una cima, di una prima ripetizione o della prima libera di una via: è competizione? Anche qui la montagna va in secondo piano?
Non essendoci le famose regole nell’alpinismo, o almeno dei parametri oggettivi e concordati, abbiamo sempre difficoltà a stabilire di quanto ci siamo allontanati dalla montagna.

Nei tempi passati eravamo più legati alla montagna?
Secondo me sì, perché nel secolo scorso c’erano meno occasioni di confronto diretto. Adesso c’è questa mania del record: quello che sale l’Everest a 65 anni, quello che scala ipovedente, poi quello che è ipovedente ed è più anziano…

Basta, non ne posso più, è ridicolo, perché tutte queste varie imprese che vengono fatte sull’Everest o su qualche altro 8000, completamente attrezzati e addomesticati dagli Sherpa, non ha tanto senso paragonarle alle precedenti: in questi casi dev’esserci sempre il confronto di più o meno tende, più o meno portatori, più o meno o ossigeno, più o meno corde fisse… e allora come fai a paragonare in modo corretto?

Essere ipovedenti e compiere un’impresa a 65 anni non è un record, è una sfida personale. Nel momento in cui facciamo questa lista dei record, io non sono più d’accordo. Le prime ascensioni, le prime invernali, le prime cordate femminili… queste cose le abbiamo vissute, ma erano ancora una forma accettabile. Oggi accetto molto meno la mania dei record, perché davvero non ci si capisce più.

Insomma, non possiamo paragonare certe azioni di oggi con la storia.

Oggi si cerca di stupirsi e stupire, ma ormai…
Quello che la gente oggi non capisce è che l’impresa straordinaria non puoi più misurarla: se tu tenti di farlo, ti metti nel ridicolo sentiero che ormai abbiamo intrapreso, quello dei record di cui accennavo prima.

E quindi?
Bisogna praticare un alpinismo che, vissuto e raccontato in un certo modo, possa dare emozioni particolari a chi ascolta. Non siamo soli: a qualcuno lo diremo che abbiamo fatto qualcosa, ma l’impresa è ormai valutabile con criteri che non sono più quelli di un tempo, come quelli dei gradi o dei cronometri. Oggi ci sono criteri di ecologia, ad esempio.

Quindi mi sta dicendo che forse oggi piuttosto che in una rivista internazionale, è meglio comparire in una storia raccontata a un bambino, insegnando valori e rispetto…
Se il bambino ascolta, sicuramente.

Lei parlava di indifferenza da saturazione: ormai non c’è più sorpresa perché di imprese ne vengono fatte talmente tante che non ci si stupisce più.
È questo che vorrei evitare: la volontà di sorprendermi. A me non dovrebbe importarmi di essere sorpreso. Io credo invece che sia ancora sorprendente il modo di fare e raccontare un’impresa, riesco ancora a vedere giovani e meno giovani che mi sorprendono non con il 9c o con il cronometro. È la globalità del vissuto che conta e questo vissuto, se sei in grado di trasmetterlo, mi emoziona.

Avrai sentito parlare del progetto delle ragazze per festeggiare i 70 anni del K2: ecco, senza nulla togliere alle capacità di queste alpiniste, io ad esempio avrei preferito che si festeggiasse su una montagna, anche più bassa, ma magari vergine, con un’apertura di una via nuova o altro. Non su un 8000 storico oggi addomesticato, dove sono allestiti i campi, ci sono corde fisse e dove l’ossigeno è a portata di mano. A mio parere è stato quasi un affronto alla storica spedizione del 1954 e lo sbaglio è dell’organizzazione, che avrebbe dovuto pensare e riflettere su questo.

Lei che conosce la storia e l’ha fatta può riconoscere e comprendere queste situazioni. Ma per un giovane, ignaro di tante informazioni, è diverso, non sa cogliere la differenza.
Perché oggi l’informazione è dominata dal marketing, al limite della menzogna anche se in buona fede. Se non sai che stai raccontando una menzogna, sei un ignorante, perché queste cose dovresti saperle. Se invece sai che stai raccontando una menzogna, allora sei un disonesto.

Mi spiace che le ragazze non siano riuscite ad arrivare in vetta, ma non è questo che mi fa dire quanto ho affermato. E non sto di certo asserendo che salire oggi il K2 sia una passeggiata, ma ribadisco che è ben diverso da una volta e che non è questo il modo di festeggiare una tale prima salita.

“Alpinismo di ricerca non significava soltanto ‘esplorazione’. Significava anche ricerca dentro se stessi.” Anche questa frase l’ho trovata all’interno dell’intervista a lei di Maurizio Oviglia. La mia domanda, un po’ provocatoria, è: perché allora studiare il passato se la ricerca è in noi stessi?
Studiare il passato aiuta a indebolire il proprio ego. Tu vedi l’ego degli altri, la loro visione, e impari a essere più umile. Devi cercare di capire cosa hanno fatto realmente i grandi alpinisti della storia per essere tu più umile nell’affrontare ciò che fai e nel raccontarlo. Solo così la ricerca di noi stessi porta a buoni risultati. Perché se la ricerca dentro di noi portasse a un’inflazione dell’ego, allora sarebbe un lavoro sprecato.

E ricordati che nell’alpinismo anche la gradualità conta: a volte bruciare le tappe porta a bruciarsi le ali!

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L’uso della montagna-oggetto ultima modifica: 2025-01-21T05:38:00+01:00 da GognaBlog

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33 pensieri su “L’uso della montagna-oggetto”

  1. 29. Expo come al solito butti la palla in tribuna. Cosa c’entra Pogacar, che è un atleta, al pari di Sinner e di qualsiasi altro sportivo professionista, con l’argomento di cui si sta parlando? Ovvero l’alpinismo, ad esempio, di Steck o di Berhault? Nulla ovviamente, ma tant’è. 
     

  2. Antonio, hai ragione. Mi correggo: un alpinista può diventare un montanaro.

  3. In un intervista Cesare Maestri dichiarò, che quando non avrebbe più avuto la capacità di fare alpinismo ai massimi livelli, avrebbe smesso di andare in montagna ad arrampicare. Non condivido questa visione. Un alpinista estremo, nel suo futuro,  può diventare un montanaro.

  4. @ Regattin
    .
    Su questo argomento  ho dei dubbi : anche Pogacar  “ama” la bicicletta e gli dedica allenamenti estenuanti , ma  fara’ lo stesso quando non avra’ più un riscontro cronometrico e sarà  il miliardesimo ciclista in classifica ?
    .
    .
     
    Il mio amare rocce fiumi e boschi non dipende dalla mia performance attuale.

  5. Non condivido la preoccupazione per il rischio che la montagna diventi esclusivamente sfondo per le prestazioni cronometriche degli alpinisti attuali. Non ci si improvvisa velocisti senza una preparazione meticolosa e impegnativa. E se non si ama profondamente la montagna questa preparazione diventa impossibile, ci si dedica ad altro. Correre in salita, o arrampicare velocemente, costa molta fatica ed energia, e spesso lo si fa con il meteo sfavorevole. Chi te lo fa fare se il tuo rapporto con la montagna è superficiale? La competizione, il record di velocità sulla tal via, sono solo la punta dell’iceberg di un duro e costante lavoro e che richiede enormi sacrifici, fisici e mentali. E un profondo e sincero amore e dedizione alla montagna. No, la montagna non è un oggetto, suggerisco su questo tema di intervistare Killian Jornet, o chi come lui vive per la montagna e che può condividere qualcosa di interessante su questo tipo di approccio “cronometrico”.

  6. Se una mamma vuole scalare incinta una montagna (qualunque essa sia), è libera di farlo e noi, certo, siamo liberi di dare la nostra opinione

    Ci possono essere e ci sono,  regole che non sono fatte di buon senso. Una mamma in cinta può anche scalare l’Eiger, non c’è una regola che glielo vieta, e magari vuole fare il record: sono la prima donna in cinta sulla nord dell’orco. Ma il buon senso e l’amore di quello che porta dentro dovrebbe farla ragionare. La nord dell’orco può anche aspettare.

  7. Anche il mare al tramonto mi emoziona, ma è semplicemente un mare e un sole. 

    Semplicemente??
    Due meraviglie, per altro piene di misteri come il mare il sole, che c’erano prima di noi e, ci saranno dopo di noi,  come possono essere solo SEMPLICEMENTE…?!?!?
     

  8. @ 20 Tengo a precisare che, di qualunque cosa io parli, non mi permetto di giudicare l’interiorità,  la coscienza e le intenzioni degli altri. Non ne ho il diritto e le capacità. Quello che faccio è ragionare sui fatti in sé ed eventualmente esprimere un giudizio limitatamente ad essi.

  9. @ 20 Grazie per le tue considerazioni Martina. Riguardo al nascituro portato sull’Eiger senza poterlo interpellare a riguardo, non vorrei ora all’allargare l’orizzonte uscendo forse dal contesto della discussione. Aggiungo soltanto che questo senso di rispetto per chi non può dire la sua, riguarda anche gli uomini alpinisti, siano essi compagni, mariti, padri. È una riflessione che faccio innanzitutto su me stesso. Ho apprezzato molto la tua sensibilità su alcuni temi, che condivido. Grazie a te.

  10. @16 Ratman, ribadisco. Le differenze sono meravigliose, se queste non diventano il pretesto per giudicare e trattare una persona inferiore.
    E sono d’accordo con te nell’espressione ‘nuova inquisizione’. Siamo ancora qui a discutere su uomini e donne: qualche rimasuglio del passato c’è. Ma confido nell’evoluzione.
     
    @12 Giuliano Bosco, condivido. Siamo tanto, tanto condizionati dalla società e questo è inevitabile. Ma la nostra forza sta nel potere dell’interpretazione e qualunque sia il risultato di questa, la cosa importante è che sia un pensiero nostro, un risultato nostro.

  11. La montagna oggetto? La montagna è roccia. Una roccia meravigliosa in un ambiente straordinario. Ma è roccia. Siamo noi a riconoscerle il valore quando riesce a trasmetterci sensazioni. Anche il mare al tramonto mi emoziona, ma è semplicemente un mare e un sole. È così difficile ammettere che siamo noi esseri umani (purtroppo a volte ingrati e disumani, ma anche questa è un’altra storia) a dare un valore alle cose. È così difficile ammettere che abbiamo un’ ‘anima’, una sensibilità che è più accentuata in alcuni e meno in altri, va bene. Ma anche gli uomini più valorosi hanno versato una lacrima e non per questo valgono meno (eh sì, non solo le donne sanno piangere).

  12. @18 Marco Angelo E grazie, hai proprio ragione: le donne non devono essere spinte a fare qualcosa, questa è costrizione e imposizione. A loro non deve essere ‘permesso’, sarebbe un’espressione dell’inferiorità. La parità non deve essere ‘concessa’ alle donne, è un dato di fatto. Che non venga riconosciuta è un’altra questione. Che le donne abbiano dovuto ‘lottare’ per i propri diritti è storia, che subiscano ancora una differenza di opportunità è purtroppo un dato di fatto. Ma, da donna, affermo che se sento qualcun altro dirmi che mi vengono concessi diritti o opportunità, lo mando a quel paese; se qualcuno mi viene ancora a dire che le donne sono uguali agli uomini, gli risponderei che amo le mie differenze e come un uomo sono rispettata con tali caratteristiche. Siamo persone, siamo esseri umani, questo sì.

  13. @18 Marco Angelo ciao, sono Martina, l’autrice dell’intervista. 
    Sai, io penso che a volte siamo troppo concentrati su certi ragionamenti, come regole o non regole. La mia domanda proprio su questo a Alessandro Gogna e ad altri che ho intervistato vuole essere un po’ una provocazione, e magari mi piace sentirmi dire quello che mi fa stare bene: che alpinismo, arrampicata, è libertà. Vogliamo dare un unico nome al buon senso e al rispetto e li chiamiamo ‘regole’? E vabbè, chiamiamole come vogliamo, chi se ne frega!
    Se una mamma vuole scalare incinta una montagna (qualunque essa sia), è libera di farlo e noi, certo, siamo liberi di dare la nostra opinione. Insomma, diciamolo, ci scandalizziamo davvero per questo con tutto quello che succede al mondo?

  14. @18 concordo in pieno. Non devono esistere limitazioni o pregiudizi sulle donne alpiniste. Completa libertà di decidere se diventare o meno alpiniste. Se poi emerge che, per svariati motivi, l’attività alpinistica attrae meno le donne degli uomini, no problem. Anche nella danza classica il 90% dei praticanti appartiene al genere femminile e non mi risulta che ci sia mai stato alcun movimento di opinione teso a riequilibtare la situazione tra i due generi.

  15. La montagna è un oggetto? Certo, ma  è pure  un bene che attrae la nostra interiorità, la quale, a contatto con le vette, sviluppa una spiritualità, produce bellezza e  cultura. Anche l’alpinismo è storia e cultura. L’alpinismo non ha regole? In realtà le possiede. Scaturiscono dal buon senso e dalla responsabilità verso sé stessi e verso gli altri. Il punto fermo è “tornare a casa” e non accorciare la vita, sapere come si comporta o si potrebbe comportare la montagna, conoscere i propri limiti. L’alpinismo non è uno sport, non può avere regole comunemente intese, per la libertà che offre, perché tende alla scoperta e all’esplorazione. Per questo trovo deplorevole la scelta di Alison Hargreaves. Essa non poteva chiedere a suo figlio se volesse scalare l’Eiger, non ha rispettato la sua condizione, mettendo a rischio la sua vita a sua insaputa. Deplorevole errore anche da un punto di vista alpinistico. Quando si scala in due lo si fa liberamente e coscientemente, mettendo l’uno nelle mani dell’altro la propria vita: questa è una cordata, non quella della Alison. Il discorso vale anche se si decide di scalare assieme ma slegati.  Le donne e l’alpinismo! Perché bisogna raggiungere per forza la parità, stigmatizzata nel cinquanta percento? Perché tornare a forzare le donne, ora si dice per il loro bene, a diventare alpiniste, e grandi alpiniste, a rischiare la vita, quando non sappiamo se ne hanno veramente interesse? Le vogliamo condizionare di nuovo? Chi vieta loro di documentarsi, allenarsi, entrare in un negozio e acquistare il necessario? Dobbiamo dirglielo noi uomini? Le consideriamo così stupide? D’altronde, mi pare, che in questa conversazione siano intervenuti solamente degli uomini. Come mai?

  16. “Sono la terra
    I miei occhi sono il cielo,
    le mie membra gli alberi.
    Sono la roccia,
    la profondità dell’acqua,
    non sono qui per dominare la Natura.
    Io stesso sono natura.”
    Indiani Hopi

  17. @15
    Nel 1970 Gogna aveva 24 anni. Poiché non è ne Leopardi ne Holderlin e neppure Mozart,  era al massimo un universitario  saputello come si usava allora, tra l’altro, visto i tempi, un filo reazionario: ma oggi si è redento.
    La sessualizzazione degli individui, e la conseguente negazione delle differenze, è funzionale alla loro usabilità indifferenziata nel sistema produttivo. La genialità sta nello spacciare come emancipazione una ulteriore tappa dello sfruttamento degli individui: maschi e femmine alla stessa stanga.

  18. della totale e completa utilizzabilita pretesa ormai da ognuno di noi.

    14@  è proprio qui il problema, la pretesa utizzabilità. 

  19. Sassi, mucchio di
    In effetti le montagne sono ciò che rimane di rocce sgretolatesi nel tempo, nulla più. Materia inerte il cui senso è assegnato dalla cultura  dall’azione antropica: insomma senza l’uomo che da loro un senso sono sassi.
    Maschi e inutilità 
    Interessanti i contorcimenti dialettici per riabilitarsi davanti al tribunale della nuova inquisizione: paradossalmente a testimonianza della totale e completa utilizzabilita pretesa ormai da ognuno di noi.
     
     

  20. … e cmq le montagne nn sono solo “un mucchio di sassi” come diceva Bonatti (che in qsto mostrava una certa ingratitudine verso l’ambiente che lo ha reso celebre e immortale). Le montagne sono anche scenari, emozioni, flora, fauna, esperienze di vita, stupende località, borghi sperduti, attività economiche, luoghi di riflessione religiosi, genti, cultura … come si può sincopare tutto ciò in “un mucchio di sassi” ?

  21. Siccome, come dice il Capataz, siamo condizionati dalla società in cui viviamo e siccome la società di oggi vede il crollo delle ideologie, nn si può pretendere di vedere tanta spiritualità nei frequentatori delle Terre Alte. Noi da giovani vivevamo immersi nell’ideologia e ce la portavamo pure in montagna. I giovani di oggi vivono il mondo di oggi. Ad ognuno il suo.

  22. Agli stessi,  i sentimentalismi degli alpinisti, non interessano, perché non li capiscono.

    peggio per loro.

  23. Un bell’oggetto. L’oggetto dei desideri. Ma sempre oggetto resta.
    Per ogni alpinista è qualcosa di intimo e personale, ma per la stragrande degli esseri umani resta un oggetto. Agli stessi,  i sentimentalismi degli alpinisti, non interessano, perché non li capiscono.

  24. Vai in montagna per una vita, ne fai uno stile di vita, ci metti in gioco la vita, ci crei una relazione, ti fa provare delle emozioni…come fai a considerarla, solo un oggetto?!?!?

  25. L’ egoismo di pochi per il danno di tutti.

    Antonio, purtroppo una grande verità. 

  26. Un tempo per tanto tempo.
    Rispettata, temuta, casa per gli Dei.
    Solo guardata.
    Pascoli e nutrimento.
    Poi misurata , esplorata censita e salita…nominata e alpinisticizzata. Insomma attraente,una calamita. 
    La montagna è oggetto?forse.
    Come vera femmina sa fare trasforma e partorisce; da acqua ,legno ,pietra e minerali e respiro a tutti noi.La Montagna ,la Parete e anche IL Monte un tempo era LA monte …”pra’ de la monte” è  che ci piaccia o meno E’ femminile!
    Polverizzare e spianarla, staccarla pezzo dopo pezzo , sbancarla  erodendo i suoi segreti a colpi di dinamite sacrificandola a pasta dentifricia.
    Sottomessa.
    L’ egoismo di pochi per il danno di tutti.
    per Alberto Benassi

  27. La montagna è un oggetto!Non capisco cos’altro possa essere.

    Allora spianiamola. Fanno bene con le Apuane. Facciamoci dentifricio e marmettola.

  28. In senso stretto la montagna è un oggetto, un rilievo orografico, un raggrinzimento della crosta terrestre, un mucchio di sassi (Bonatti dixit). 
    Ma è pure un luogo simbolo. Simbolo di che? Simbolo di ciò che ciascuno di noi vuole che sia (Bonatti dixit).

  29. Ormai solo i mussulmani pensano che le donne siano differenti.

    Uno dei maggiori ostacoli (se non il maggiore) che impedisce il completo raggiungimento della parità e l’eliminazione delle discriminazioni, non solo nei confronti delle donne, è proprio la negazione (quando non addirittura il dileggio o l’inversione) del problema.

  30. Stiamo per scivolare pian piano verso l’uso della montagna intesa come oggetto.

    Ci siamo già scivolati, anzi precipitati.

  31. Ormai le donne sono dovunque, non solo in montagna ma anche in guerra. Per esempio in questi giorni è morta in combattimento una soldatessa bielorussa nei ranghi dell’esercito ucraino. Ormai solo i mussulmani pensano che le donne siano differenti.

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