Lo scrittore e alpinista sul crollo del ghiacciaio della Marmolada: «Atroce pensare a quelle persone, il nuovo clima non permette più di affrontare alcuni tracciati».
Al momento attuale (ore 19 del 5 luglio 2022) i morti accertati sono 7, i feriti 8, mentre i dispersi da 13 sono scesi a 5.
Marmolada, l’opinione di Mauro Corona
di Michela Nicolussi Moro
(pubblicato su corrieredelveneto.corriere.it il 4 luglio 2022)
A seguire con apprensione la tragedia della Marmolada c’è anche Mauro Corona, alpinista, scrittore, scultore ligneo ma soprattutto amante della montagna. Ha scalato numerose vette italiane ed estere, aprendo oltre 300 vie di arrampicata sulle Dolomiti friulane. «Conosco molto bene il tracciato travolto dal crollo di un pezzo di ghiacciaio — rivela — l’ho attraversato almeno quaranta volte, anche con gli sci, con le pelli di foca e i ramponi è bellissimo. Il ghiacciaio ormai è un po’ impolverato e sporco, ma quanto è accaduto non si poteva prevedere. Sabato scorso quel percorso era ancora più affollato e nell’estate 2021, pur con le stesse condizioni climatiche, non era emersa alcuna avvisaglia di ciò sarebbe potuto succedere».

Cosa si è «tecnicamente» verificato?
«Il ghiacciaio, stressato dal caldo eccessivo, ha ceduto e se ne è staccata una parte, che non sarà l’ultima. Un altro pezzo è pericolante e impedisce ai soccorritori di salire a cercare i dispersi. E’ una situazione da film dell’orrore, mi fa paura pensare che ci siano sopravvissuti ma non si riescano a portare in salvo perché potrebbe venire giù un altro pezzo di ghiacciaio. Penso a quelle trenta macchine vuote lasciate dalle persone di cui ora non si sa più nulla: e parliamo di due o tre per auto. E’ atroce».
L’ennesima testimonianza della distruzione dell’ecosistema ad opera dell’uomo?
«Sì, abbiamo fatto le cicale per anni e adesso la terra ci presenta il conto. In montagna ci sono anche le rocce che si sgretolano, bisogna cambiare radicalmente il modo di affrontarla, abbandonando i vecchi, dolci, ricordi di un tempo. E questo vale per tutto, la natura si sta ribellando allo sfruttamento totale dell’uomo, l’abbiamo visto con Vaia, con la siccità, con le alluvioni».

Partiamo dalla montagna: come cambiare il modo di avvicinarsi?
«Non si può più andare sotto qualcosa che sovrasta le nostre teste, sia un ghiacciaio sia una roccia. Bisogna rinunciare a determinati tracciati, per esempio io adesso non andrei più sull’Adamello (a cavallo tra Lombardia e Trentino Alto Adige, in Val Camonica, è il più vasto ghiacciaio delle Alpi italiane, NdR), perché fa troppo caldo e potrebbe crollare. E poi bisogna essere più prudenti».
Affidarsi sempre agli esperti, anche per i tragitti più semplici?
«Sì, l’italiano ha un po’ la mania del fai da te, ma in montagna è pericoloso. Si deve usare cautela, rivolgersi alle guide alpine per decidere il percorso da affrontare. Magari si sceglie un tratto a rischio di caduta pietre, ed è frequente, e un esperto ti può consigliare il casco, per esempio. Bisognerebbe produrre e distribuire dappertutto, nelle scuole, negli uffici turistici, nei Comuni, un libriccino scritto dalle guide alpine con le modalità di accedere alla montagna nel terzo millennio».
Si parla di numero chiuso in montagna. Il Trentino Alto Adige ha già sperimentato una sorta di Ztl sul Passo Sella e al Lago Braies. Che ne pensa?
«Sono contrario, è una dittatura intollerabile, non è giusto che sia privilegiato chi può pagare, la montagna dev’essere di tutti. Il numero chiuso può andare bene sulle Tre Cime di Lavaredo, dove già devi versare un pedaggio (20 euro per la moto, 30 per l’auto, 60/120 per pullman e autobus, NdR). Anzi, io li farei andare a piedi».

Corona, lei che ama la natura, ci vive in mezzo da 70 anni, abbraccia gli alberi, è arrabbiato?
«Ma sì che sono arrabbiato. C’è un nichilismo da terzo millennio, un’anarchia che porta la gente a dire: io me la godo, sto bene, sfrutto tutto quello che posso, faccio i soldi e chi se ne frega di chi viene dopo di me. Non abbiamo fatto progetti per le generazioni future, le persone usano e gettano la terra, la natura, l’ecosistema, pensando: tanto quando sono morto, che mi importa del resto. Se anche si cominciasse oggi a cambiare registro, ci vorrebbero almeno vent’anni per assistere ai primi miglioramenti, perché ormai c’è lo sfacelo».
Il primo segnale, però ignorato da chi decide i destini della Terra, è stato il cambiamento climatico.
«Esatto, parlo per l’Italia: siamo passati da un mite clima mediterraneo al clima tropicale. Io abito a 700 metri d’altezza e in questi giorni il termometro ha raggiunto i 39 gradi. Ogni sera c’è un violento temporale, c’è la grandine, la tempesta Vaia tornerà. Abbiamo voluto scaldare l’ambiente all’inverosimile e adesso tornare indietro è difficile. Anche perché non gliene frega niente a nessuno».

Comunicato delle Guide Alpine Italiane
(comunicato stampa n. 3 del 4 luglio 2022)
In merito alla tragedia avvenuta ieri sulla Marmolada, il presidente delle Guide alpine italiane Martino Peterlongo, rilascia il seguente commento:
“Per prima cosa vorrei fare le più sentite condoglianze da parte mia e di tutte le Guide alpine italiane alle famiglie dei colleghi e di tutte le vittime coinvolte nella tragedia avvenuta in Marmolada. L’evento catastrofico di ieri era altamente imprevedibile, anche perché se così non fosse stato non si spiegherebbe come mai c’erano sul posto tante persone, fra cui diverse Guide alpine. La salita alla Punta Penia è l’itinerario classico di alta montagna delle Dolomiti, sulla cima più alta, quindi gode di una popolarità e di una frequentazione molto elevate. Si è verificata una terribile coincidenza di un evento imprevedibile capitato su un itinerario ad alta frequentazione. Se il distacco fosse avvenuto di notte avremmo avuto probabilmente solo un report e nessuna persona coinvolta.
Dobbiamo tenere presente che l’alta montagna è soggetta, a cadenza assolutamente imprevedibile, a eventi catastrofici come questo, eventi che si verificano anche (ma certamente non solo) su cime famose e molto frequentate. Ma altrettanti distacchi capitano anche su montagne poco frequentate e in momenti in cui non ci sono persone.
Questo per dire che non è ragionevole abbandonare la frequentazione delle montagne in senso assoluto, mentre bisogna se mai pensare alla frequentazione con i criteri della prudenza, della conoscenza delle condizioni degli itinerari, ecc. Il caso della Marmolada tuttavia non rientrava nelle situazioni di prevedibilità, nessuno avrebbe potuto sospettare l’eventualità di un incidente di questa portata.
Infine, l’incidenza dell’innalzamento delle temperature sulle montagne è cosa nota da tempo alle Guide alpine, che hanno ben presente il problema e, nei limiti delle conoscenze possibili, valutano le condizioni e prendono decisioni di carattere puntiforme e puntuale (sugli specifici itinerari e sul momento preciso) per minimizzare i rischi, trovando vie d’accesso alle cime delle montagne al riparo dai pericoli più evidenti”.
In fondo a questo comunicato stampa, le guide alpine informano anche della presenza, tra le vittime, di due guide alpine. Si tratta di Davide Miotti (51 anni che era in compagnia della moglie Erica Campagnaro ( 45 anni, ancora dispersa), e di Paolo Dani (52 anni, che era in compagnia di Tommaso Carollo).


Il commento
di Carlo Crovella
Se da un lato è immaturo pretendere che qualche autorità intervenga a priori per vietare l’accesso a luoghi “pericolosi”, dall’altro non possiamo più pretendere, in montagna, di fare tutto quello che vogliamo in nome della libertà individuale. Tutto l’ambiente (di cui le montagne sono una parte) è in evidente sofferenza e reagisce con situazioni imprevedibili. Imprevedibili nel timing preciso, ma non nelle probabilità che accadano. In questo quadro, la “responsabilità” che deve intervenire, oggi, è quella individuale. Sintetizzabile in due punti a prova di bambino dell’asilo:
1) saper scegliere quando e dove andare;
2) saper rinunciare o all’uscita nella sua totalità o, quanto meno, a “quella” specifica uscita (optando per un’alternativa più idonea).
Nella più calda fase climatica da circa 200 anni a questa parte, andare su ghiacciaio è davvero inopportuno. Occorre esser pazienti e lasciar transitare la fase critica, che potrebbe durate qualche settimana, ma magari anche qualche anno, magari dei decenni. L’immaturità è pretendere che sia tutto dovuto e al brucio. La Natura non guarda in faccia a nessuno: non si può approcciare un’escursione su ghiacciaio (anche tecnicamente semplice come la Marmolada da Nord) come se si andasse a fare una corsetta al Parco Sempione in centro a Milano. A dire il vero questa considerazione vale per qualsiasi itinerario outdoor, su ghiaccio, su roccia, su sentiero. Ma in questo frangente climatico è chiaro che il ghiacciaio con temperature esterne di 10 gradi centigradi è una delle scelte con il maggior rischio implicito. In montagna occorre mettere la testa, non la pancia. Oppure: si preferisce agire di pancia, in nome della libertà individuale che in montagna trova la sua massima espressione? Ma per carità, facciamolo pure. Nessun vincolo di nessun tipo, né giuridico né esistenziale: non voglio però sentire, il giorno dopo, i soliti piagnistei sulla “montagna assassina”…
Il commento
della Redazione
L’assoluta eterogeneità delle vittime di questa catastrofe (di parte delle quali ancora non si conoscono i nomi) e il bilancio finale ancora in sospeso non consentono un giudizio a caldo su quanto questi alpinisti abbiano sbagliato e su quanto al contrario siano stati il bersaglio di un tragico destino.
Il nostro invito è, in questo momento così disperato, a non lasciarsi andare a facili commenti, siano essi di condanna (se la sono andati a cercare, non si va sotto i seracchi con questo caldo, ecc.) siano di parziale o totale assoluzione (evento completamente imprevedibile, ecc.).
L’invito è, al contrario, a riflettere su cosa avremmo davvero fatto noi (dalla guida alpina che non dice di no al cliente, all’escursionista sufficientemente preparato che mira alla vetta per passione o per emulazione). Le scene di questo nostro processo mentale possono essere tante, almeno quante possono essere le motivazioni diverse che ci spingono a prendere le decisioni.
In tutto questo c’è però una cosa che può aiutare: prendere sempre più coscienza delle opportunità di giudizio di cui ci potrebbe dotare un generale atteggiamento di umiltà e di rispetto nei confronti della Natura, oggi pressoché assente.
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