McNeill-Nott Memorial Route
(una nuova linea sulla parete sud del Mount Foraker)
di Will Mayo
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2007)
Stava cadendo il cielo? Il seracco era svalangato con un feroce fragore cacofonico. Il momento era surreale: la mente cercava di riconoscere la causa di quel ruggito immenso, il ritardo tra ciò che si vedeva e ciò che si udiva rendeva impossibile realizzare con prontezza ciò che stava succedendo. Eravamo scesi solo poche ore prima e adesso vedevamo un seracco spazzare la nostra via, per poi ricoprire l’intero circo alla base della parete sud del Foraker con una nuvola di polvere fatta esplodere dai detriti. Trenta minuti prima, Max e io eravamo rimasti a chiacchierare con Karen McNeill e Sue Nott proprio nel punto in cui erano caduta la scarica. Dopo che la nuvola si è diradata, abbiamo potuto vedere ancora una volta Karen e Sue, illese, due puntini alla crepaccia terminale alla base dell’Infinite Spur. Dopo molte imprecazioni ed esclamazioni, ma poi silenzio, abbiamo proseguito fino alla spalla, diretti al campo base. Erano le 8 del mattino del 14 maggio 2006.
Maxime ed io ci siamo riposati sulla spalla per più di un’ora. Mi sono seduto sotto il sole cocente, nauseato dall’ironia della nostra folle discesa per paura di una tempesta che non si era ancora materializzata, solo per mancare appena di essere polverizzati da una valanga di seracco. Ero sollevato per essere al sicuro, lontano dalla parete sud ma mi sentivo come se avessimo preso la decisione sbagliata; Maxime era deluso, dicendo che era come il “Magnifico Fallimento”. Mi sono scusato: eravamo scesi a causa della mia ambivalenza riguardo alla paura del brutto tempo. Maxime ha generosamente concesso che avrebbe potuto andare in entrambi i modi, la tempesta avrebbe potuto arrivare e inghiottire la montagna intera. Ci trovavamo di fronte a un paradosso alpinistico essenziale: “l’arrampicata alpina non riguarda le vette”, oppure “senza vetta una scalata alpina è incompleta”.
Nel marzo 2006, Maxime Turgeon e io abbiamo ricevuto il premio Lyman Spitzer Cutting Edge dell’American Alpine Club per un tentativo sulla parete sud del Mount Foraker. Abbiamo spinto una nuova linea fino alla Cresta dei Francesi lungo un canalone di ghiaccio innevato seguito da brillanti sezioni di ghiaccio sottile e arrampicata mista, inclusi due dei tiri di misto più difficili e pericolosi che abbia mai fatto in alpinismo.
Alle 6 del mattino del 12 maggio, mentre superavamo la crepaccia terminale alla base della parete a 2450 m, fui travolto dall’entusiasmo dell’essere “dentro”. Liquidatoo rapidamente il canalone iniziale, ci siamo spostati verso l’alto sul ghiaccio sottile e sublimato che scorreva lungo i ripidi canaloni e i diedri di granito. Stava succedendo davvero. Eravamo leggeri e in forma e ci muovevamo veloci su un terreno vergine su una bellissima parete selvaggia, realizzando tutti i sogni e il duro lavoro che significano l’aver dedicato la propria vita all’arrampicata. Il tonfo di un attrezzo ben posizionato nel ghiaccio, il graffio di un rampone che pattina su un bordo di roccia, i continui e regolari sussulti di respirazione profonda; qui è il distillato della mia esistenza, l’incontro tra passato, presente e futuro. L’odore bruciacchiato dell’acciaio che colpisce il granito intriso di sudore pieno di adrenalina lava i miei ricordi di euforia di montagna.
“Il passato e il presente appassiscono: li ho riempiti, svuotati.
E procedo a riempire la mia prossima piega del futuro.
…
Mi contraddico?
Benissimo, allora mi contraddico. Sono grande, contengo moltitudini (Walt Whitman)”.
Il culmine del tiro chiave ha richiesto una solida arrampicata in M6 con sulla schiena il mio zaino, poi un pendolo in un camino poco profondo pieno di scaglie mobili, poi ghiaccio e neve a meringa, e infine più niente da mettere fino alla sosta. Dopo avermi raggiunto, Maxime si è congratulato di cuore con me per quel tiro. Però l’euforia era scomparsa, mi sono voltato verso di lui e gli ho detto “Basta, scendiamo. Qui è troppo pericoloso. Ho figli”. Le labbra di Maxime si piegarono a sorriso incredulo. Immaginavo il suo pensiero inespresso: “E questo lo pensi solo adesso?”. Maxime replicò che il canalone di neve iniziale sarebbe stato troppo instabile a quell’ora del giorno per scendere in sicurezza. Mi ha incoraggiato, dicendo che pensava che avessimo superato il punto cruciale. Così abbiamo continuato verso l’alto; Maxime è andato avanti brillantemente negli ultimi due bellissimi tiri misti. Direttamente sopra, apparve un gigantesco seracco. Realizzai che avevamo passato tutto quel tempo proprio sotto di lui.
Dopo i primi 750 metri iniziali, il percorso era costituito principalmente da ghiaccio duro e neve abbastanza ben consolidata, con occasionali terreno misto moderato. Mentre salivamo sul ghiaccio duro del ghiacciaio sospeso che alimentava il seracco (ora per fortuna sotto di noi), mi sono sorpreso a canticchiare un’insistente melodia del musical West Side Story. Mi sento carina. Mi pulsavano le dita dei piedi. Mi sento carina. I miei piedi avevano i crampi. Mi sento carina, spiritosa e allegra. I miei ramponi erano usurati, le punte così spuntate che era difficile credere che fossero nuovi di zecca quella mattina. E provo compassione per tutte le ragazze che oggi non sono me. Avevamo ascoltato incessantemente West Side Story prima che partissi per l’Alaska: la mia ragazza, le mie due figlie e io. Sorrisi pensando alle foto che avevo scattato a Karen e Sue al campo base, mentre avevano sulle spalle un’aragosta di stoffa imbottita. Quell’oggetto (Lobby the Lobster) era la mascotte della classe di mia figlia maggiore, in terza elementare. Avevano mandato Lobby the Lobster con noi in Alaska come mascotte del nostro campo base. Non vedevo l’ora di mostrare alle mie ragazze le foto di Lobby con queste due donne fantastiche e stimolanti. In qualche modo, immaginavo che il solo fatto di avere quelle foto giustificasse il viaggio, indipendentemente da come fosse andata la nostra salita.
Dopo 40 ore in parete (comprese due soste lungo il percorso – una di notte e una di giorno), abbiamo raggiunto a 4100 metri il punto in cui la Cresta dei Francesi si salda alla massiccia struttura sommitale del Mount Foraker. Il vento soffiava e lo scuro minaccioso di una bassa pressione ad alta energia sembrava diventare prendere campo a sud-ovest, sul Golfo dell’Alaska. Avendo in passato già vissuto due tempeste di vento nella catena montuosa dell’Alaska a sud-ovest in due diversi campi alti, entrambe di quattro giorni, ed essendomi perciò terrorizzato a sufficienza, non ero disposto ad andare avanti. Portavo solo un sacco da bivacco estivo, nessuna tenda e nessuna pala. Non riesco a immaginare di sopravvivere a una tempesta come quelle equipaggiato in questo modo. Maxime fu sorpreso dalla mia valutazione del tempo: a lui sembrava abbastanza buono. Quindi abbiamo continuato. Poco dopo, intorno alle 22, il mio giudizio sul tempo e i venti in aumento riuscirono a convincere Max che era meglio scappare.
Ci siamo calati in doppia e abbiamo sceso l’intera parete in nove ore, abbandonando quindi un bel po’ di roba. Ci siamo mossi più velocemente che potevamo mentre calavamo in doppia i 750 metri inferiori, purtroppo esposti al seracco ancora una volta. In molte occasioni ci siamo calati da nut singoli, o singoli chiodi, e anche da abalakov ricavati in un ghiaccio da 10 cm. Abbiamo fatto la nostra ultima calata sopra alla crepaccia terminale poco dopo le 7 del mattino del 14 maggio, abbiamo recuperato le corde, le abbiamo infilate negli zaini e ci siamo allontanati di corsa da sotto alla parete, ancora indossando i nostri giacconi pesanti e sudando copiosamente.
Mentre scendevamo dal canalone, due figure si avvicinarono nel circo sottostante. Erano Karen e Sue, in procinto di tentare l’Infinite Spur. Le abbiamo raggiunte al centro del circo e abbiamo spiegato perché ci eravamo ritirati e perché ce ne stavamo andando. Karen guardava invidiosa i nostri zaini piuttosto leggeri, noi le prendemmo in giro bonariamente per le dimensioni dei loro. Abbiamo parlato un po’ del tempo. Karen si mise il berretto e prese in mano la piccozza, pronta a partire. Sue intanto diceva sorridendo e guardando l’Infinite Spur: “Beh, speriamo di vedervi tra 10 giorni!” Il suo tono era decisamente ottimista. Abbiamo loro fatto gli auguri e abbiamo proseguito verso la spalla che inizia il percorso di ritirata dal circo. Ci siamo fermati a metà perché Max doveva coprire meglio gli stinchi, scorticati e gonfi per via di un insufficiente spessore di calze. Riprendemmo a camminare, e subito dopo il seracco si staccò nel frastuono più allucinante.
Il tempo perfetto ha tenuto. Abbiamo guardato Karen e Sue, due puntini in lontananza. Sapevamo che dovevano essere rimaste scioccate dall’entità della valanga del seracco: probabilmente erano state ricoperte dalla nuvola di polvere. Ho avuto paura e avevo molta apprensione per loro. La parete sud del Mount Foraker è il posto più magnifico ma anche il più terrificante in cui io sia mai stato. Desideravo segretamente che scendessero dal pendio e venissero verso di noi, al conforto del sole. Ma non lo fecero; si sono semplicemente sedute lì. Quando finalmente ci siamo voltati per andarcene, abbiamo dato un’ultima occhiata. Karen e Sue non si erano mosse.
Dopo la nostra salita, Maxime e Louis-Phillipe Ménard hanno salito una nuova importante via sulla parete sud del McKinley. [Nota del redattore: vedi la storia a pagina 47.] Io invece ho salito la Mini Moon Flower sul Mount Hunter da solo e ho trascorso molto tempo a rimuginare al campo base. Abbiamo iniziato tutti a preoccuparci per Karen e Sue dopo due settimane. La mia ragazza, Katy Klutznick, mi ha raggiunto al campo base proprio quando si stava muovendo la macchina dei soccorsi. I militari della Pave Hawks hanno effettuato voli di ricerca, come pure l’elicottero Lama del National Park Service, senza risultati. Questo esacerbava la trepidazione di Katy per quell’Alaska così intimidatoria. Abbiamo salito la maggior parte del canale di avvicinamento alla cresta nord-est del Mount Hunter. Abbiamo sciato un po’ intorno al ghiacciaio. Per lo più, siamo rimasti in giro per il campo base, ormai accettando la scomparsa di Karen e Sue.
Non penso all’Alaska 2006 senza pensarci anche a quello; la loro perdita ha gettato un velo sull’intera esperienza. Arrampicare è grande, perché “contiene moltitudini”. La parete sud del Mount Foraker era bella e terrificante, un brillante successo e un magnifico fallimento. Durante la salita sono più vivo e anche più consapevole di ciò che ho da perdere. Mi contraddico? Max e io avremmo potuto facilmente essere quelli che sono scomparsi sul Mount Foraker l’anno scorso. E ciò nonostante, sto contando i giorni con nervosa eccitazione fino al mio ritorno sulle montagne dell’Alaska la prossima primavera.
Sommario
Area: catena montuosa dell’Alaska
Ascensione: prima salita della McNeill-Nott Memorial Route (1600 m, WI5+ M6R A0) sulla parete sud del Mount Foraker 5304 m, raggiungendo la Cresta dei Francesi del 1976 a circa 4100 m, Will Mayo e Maxime Turgeon, 12-14 maggio 2006.
Una nota sull’autore
Will Mayo, 34 anni, è un agente assicurativo che vive a Northfield, nel Vermont. Ama le sue figlie più di ogni altra cosa al mondo.
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