Un progetto salva la montagna dall’inquinamento della microplastica.
Microplastiche sulle Alpi
di Franco Borgogno (European Research Institute)
(pubblicato su lastampa.it il 3 marzo 2022)
L’inquinamento da plastica colpisce duro anche sulle Alpi: microplastiche nella neve, anche in periodo di pandemia, e mezzo chilo di plastica a chilometro sui sentieri oltre 1600 metri di altitudine e anche a ridosso dei ghiacciai, già stremati dal cambiamento climatico. È il risultato delle ricerche effettuate nell’ambito del progetto Stop The ALPs becoming plastic mountains, che si è sviluppato nel corso del 2021 e proseguirà – con il nome CleanAlps e nuove attività di citizen science – fino a luglio 2023, raccogliendo nuovi dati sulla tipologia di rifiuti che infestano le Alpi. Non è una nuova fonte di angoscia in tempi già difficili. Al contrario, questa è l’occasione per costruire consapevolezza e proteggere la straordinaria ricchezza naturale, preziosa per ogni aspetto della nostra vita.
Stop the Alps becoming plastic mountains, primo progetto sulle plastiche in montagna di queste dimensioni geografiche e con questa varietà di interventi, si è sviluppato su diversi livelli: ricerca, sensibilizzazione, educazione, formazione, prevenzione.
Con European Research Institute abbiamo pensato e realizzato questo progetto con il fondamentale apporto del Dipartimento di Scienze Applicate e Tecnologia del Politecnico di Torino, di quattro rifugi alpini protagonisti delle azioni ‘pilota’ di prevenzione e del contributo attivo del Parco delle Alpi Marittime.
Il Politecnico ha lavorato sulle analisi della neve alla ricerca di microplastiche. Abbiamo raccolto i campioni di neve da dicembre 2020 fino ad aprile 2021: 21 campioni da circa un litro ciascuno, in 5 differenti aree lungo tutte le Alpi Occidentali, dal lato piemontese del Parco nazionale del Gran Paradiso a nord fino alle Alpi Marittime a sud, passando per valli di Lanzo, val Chisone, val Maira.
La conclusione dei ricercatori coordinati da Debora Fino e Camilla Galletti è stata che “la quantità e la natura delle particelle trovate nella neve è in linea con la letteratura scientifica riguardante le microplastiche presenti in atmosfera. Nonostante la poca affluenza di turismo dovuta alla pandemia, particelle di plastica sono state trovate in ogni zona, a conferma del fatto che la presenza di microplastiche è dovuta non solo alla presenza umana nel luogo interessato ma le particelle, ridotte in piccole dimensioni, sono trasportate in atmosfera e posso ricadere ovunque“.
I frammenti individuati sono stati 19, un numero che a uno sguardo superficiale può apparire ridotto, ma in realtà parliamo di pochi litri di acqua analizzati sul totale della neve caduta a terra: è come se ci fosse un frammento di plastica in ogni frazione di goccia all’interno di una enorme cisterna. Sarebbero, nel totale, un’immensità, alcuni miliardi di piccoli filamenti o pezzettini di plastica. La purezza della neve non esiste più, in pratica.
Due anni fa, in piena prima ondata della pandemia, avevamo proposto questo progetto in un bando internazionale promosso da European Outdoor Conservation Association (EOCA) che ha premiato la proposta – insieme ad altre cinque in ogni angolo del Pianeta: Brasile, Colombia, Spagna e Gran Bretagna – al termine di una selezione tra 180 idee da tutto il mondo.
Con E.R.I. avevamo in mente questa ricerca a completamento di un percorso che in questi anni ci ha portati, in collaborazione con istituzioni scientifiche ed accademiche di tutto il mondo, a indagare e raccontare il tema dell’inquinamento da plastica e il contrasto con lo straordinario e irrinunciabile valore della natura, in ogni ambiente: dall’Artico al Mediterraneo e ai fiumi. Restava la montagna.
Infatti, l’inquinamento da plastica è normalmente associato al mare e alle aree urbane, pochissimo si è indagato sulle aree montane: generalmente si ritiene che queste siano esenti. Sbagliando.
In questi anni alcune ricerche avevano documentato la presenza di microplastiche nei ghiacciai, un paio – una sui Pirenei francesi e una sulle Alpi, a cui avevamo partecipato nel 2019 – nella neve montana, ma sempre su aree ristrette. Abbiamo quindi pensato che fosse il momento di passare a un’azione di sistema anche per le Alpi, già duramente colpite dal cambiamento climatico. Lo scopo del progetto è quello di salvaguardare l’habitat alpino di bassa, media e alta quota, uno degli ultimi ambienti parzialmente incontaminati dell’Europa meridionale, straordinariamente prezioso per tutta l’area, dal punto di vista ecologico, culturale, sanitario, economico.
Come accennato, il progetto, oltre alla ricerca sulle microplastiche, ha agito anche su altri fronti: escursioni con pulizia dei sentieri, prevenzione, formazione, educazione.
Le attività di pulizia hanno riguardato 15 escursioni nel corso delle quali sono stati percorsi e ripuliti 197 km di sentieri, sempre oltre i 1650 metri e in mezzo alla natura selvaggia, facendo conoscere biodiversità e straordinaria ricchezza di quei luoghi in contrasto con l’inquinamento trovato. Il totale dei rifiuti di plastica raccolti è ammontato a 98 kg, circa mezzo chilo a km – teniamo a mente che la plastica è molto leggera – in mezzo a parchi naturali e panorami mozzafiato, a chilometri dai centri abitati e dalle strade. Il dato massimo è stato di 27 chili in 14 km, nell’affascinante e spettacolare teatro del Pian della Mussa, ma è stato particolarmente significativo il dato di 4 kg nell’escursione svolta in ambiente più remoto ed estremo, ai piedi del ghiacciaio del Clapier, il più meridionale delle Alpi.
Durante CleanAlps, in partenza in questi giorni e che durerà fino a luglio 2023, il lavoro di pulizia diventerà anch’esso ricerca scientifica: durante 40 escursioni, i rifiuti raccolti verranno anche censiti per tipologia. Chiunque potrà partecipare, essere protagonista della ricerca e della difesa dell’ambiente, seguendo il protocollo e le indicazioni che forniremo ad ogni partecipante. Questi dati saranno i primi disponibili in assoluto per l’ambiente montano.
L’importante lavoro di prevenzione, invece, ha visto come cardini quattro rifugi pilota: il Guido Muzio, in valle Orco sul versante piemontese del Gran Paradiso; il rifugio Les Montagnards a Balme, in val d’Ala-valli di Lanzo; il Selleries, in val Chisone; il Pagarì, in valle Gesso, nel Parco delle Alpi Marittime, ai piedi del ghiacciaio più meridionale dell’arco alpino. I quattro rifugi, che operano in luoghi molto diversi per ubicazione e difficoltà logistiche, si sono impegnati a eliminare la plastica monouso dalle loro attività e ridurre al massimo ogni altro tipo di plastica. I risultati sono stati eccellenti, anche su questo fronte. Non solo per l’eliminazione del monouso, ma anche individuando e testando, ad esempio, spugne vegetali sottoposte alla dura prova di una cucina professionale e alla pulizia degli ambienti dedicati all’accoglienza: con risultati ottimi. Gli altri livelli di azione del progetto sono stati quelli dell’educazione e della formazione. I numeri parlano da soli: 8 scuole, 33 classi, 660 studenti coinvolti (dalle elementari alle scuole superiori); 19 eventi di formazione per professionisti della montagna, 56 ore, 380 partecipanti. Un lavoro di conoscenza e sensibilizzazione che è solo all’inizio.
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9 @ grazie della chicca cinestorica…una catastrofe per la terra una immane risorsa economica per pochi.Come diceva Pippo una discesa è anche una salita guardata al contrario .ciao
Ecco qua.
https://dani58blog.wordpress.com/2019/06/30/solo-una-parola-plastica-dal-film-il-laureato-the-graduate-1967-di-mike-nichols/
Infatti…non ricordo bene i dialoghi ma che il futuro sarebbe stato invaso dalla plastica e dalla televisione la prima più letale della seconda… Il senso è quello.
No Mereu, non era così, bensì l’opposto.
Nel film, un amico del padre di Benjamin Bruddock, “Il laureato”, interpretato da Dustin Hoffman, gli consigliava, per i suoi futuri studi e quindi per la sua carriera, di occuparsi di plastica.
Abbiamo visto come è finita.
Hai ragione Gianpiero tre commenti in croce per un enorme e vero problema sono proprio pochi…sarebbe bello festeggiare oggi 25 la liberazione “anche” dalla schiavitù Pet. In ambito alpino dove abito vedo molte micro e macro plastiche sparse ovunque e penso vi siano ovviamente altrettante persone che anche se non le gettano fingano di non vederle.Meccanismo forse uguale per non dibatterne sul blog? La Gabanelli anni fa presento’ su Report una trasmissione intera sul problema plastica in scala planetaria con indagini ad alta quota, inquietante è essere leggeri, fin che non si incentiva l uso e il ritorno a materie alternative e più compatibili con l ambiente con leggi che toccano gli industriali cinicame cechi e sordi rischiamo di passare per l era storica del PVC sempre non ci estinguiamo prima …già nel film Il Laureato se non mi inganno nel lontano ma non troppo ’68 si presagiva la velenosita’ del problema…
I rifiuti non esistono in natura. I rifiuti sono materie prime prodotte dall’uomo.
Spiace constatare che un articolo interessante che testimonia dell’impegno civile e scientifico volto a trovare qualche soluzione ad uno dei tre problemi più importanti della Terra (riscaldamento climatico, microplastiche e consumo di suolo) abbia suscitato solo tre commenti dai quali sembra di dedurre che il ferro e il piombo dei residuati bellici, delle cartucce e delle vie ferrate abbiano un impatto comparabile con le plastiche…non resta che sperare in una crescita culturale delle nuove generazioni, quelle che stanno già facendo i conti con la nostra cultura predatoria e miope .
Via anche le maxi e le midiplastiche. Speriamo che il manifesto in foto sia su tela di cotone riciclato e a tinte naturali. Trovate lungo sentieri escursionistici siringhe infilzate su corteccia di pino e pure assorbenti sotto sassi, portati in superficie da acque correnti. Appaiono adesso le mascherine monouso:ma che senso aveva indossarle in zone isolate senza altra gente attorno?.In qualche rifugio si potrebbero esporre al sole ed aria di alta quota le plastiche bio degradabili..( dentro recipienti di vetro )per vedere come reagiscono . Cartucce di plastica se ne trovano in pianura e sulla battigia,i pallini di piombo sono opzionali, ci sono pure quelli di acciaio inox, sai che goduria per le bestie colpite. In certi itinerari montani ancora filo spinato, bossoli di ottone e schegge…non solo della Grande guerra , ma anche di esercitazioni. Esistono leggi sulle stufe a legna, ma chissà se dentro ci finiscono pure rifiuti di plastica…in pianura si vedono certe fumate nere…che durano pochi minuti , aumma aumma ..in ore “propizie ” o roghi con mescolamento tra erbe e ramaglie secche .
Continuo imperterrito la mia battaglia…leggo sempre più scritti e post di amanti della montagna buttare lì paroloni sull’ecologia e sull’ambiente, questa volta tocca alla plastica…okkkkkey va benissimo. Agli amici che amano le nostre montagne ricordo che esisto chilometri e chilometri di fili di ferro e scalette piantate come ferite indelebili sulle rocce delle montagne, le chiamano ferrate per accontentare chi non ha l’umiltà di salire per un sentiero o una via normale o semplicemente facendo un corso base di alpinismo per essere almeno autonomi in sicurezza senza per questo fare il sesto grado. Ma capisco che esiste un ecologia ambientale di facciata e poi si chiude un occhio su ciò che è abberrante come una ferrata…complimentoni
Forse dovreste sommare anche le cartucce lasciate negli anni dai cacciatori, non tenendo conto poi del piombo contenuto nelle stesse cartucce