E’ sempre interessante seguire l’evoluzione di una disciplina. Ecco, a distanza di quasi ventitré anni, cosa Maurizio Oviglia consigliava per migliorare le proprie performance in falesia.
Migliorare in falesia
(senza allenarsi a secco)
di Maurizio Oviglia
(pubblicato in www.sardiniaclimb nel 2002)
Dedico queste righe a quanti credono che arrampicare non sia solo uno “tirar prese”, a coloro che pensano che imparare a scalare sia un percorso lungo e difficile in cui il fine sia entrare in sintonia con la roccia piuttosto che aumentare la forza per cercare di dominarla. Il contenuto di questo articolo è il frutto solo della mia esperienza personale, delle mie idee sul come dovrebbe formarsi un “bravo” arrampicatore. Si tranquilizzino quanti non saranno d’accordo con quanto segue: preparatori atletici, gestori di palestre artificiali, produttori di prese in resina e presidenti di circoli sportivi, non preoccupatevi! Non ho fatto studi scientifici in proposito, non ho letto libri sull’argomento, non ho nessun titolo riconosciuto per insegnare ad arrampicare secondo queste metodologie! Non vi è nulla di scientifico! Potete tranquillamente ignorarmi! I concetti che andrò ad esporvi sono un po’ controcorrente, lo so: siete liberi di prenderli per buoni e seguirli oppure ignorarli… se non vi convincono.
Ma io sono certo, e l’ho sempre sostenuto, che si possa arrampicare bene e raggiungere buoni risultati senza allenarsi a secco e senza avere doti particolari. Serve solo allenare la mente ad entrare in un certo ordine di idee, abituare il corpo a sintonizzarsi con la roccia, adattando le proprie caratteristiche fisiche alle vie che si vogliono salire, evitando assolutamente di forzare. Quando si soddisfano queste due condizioni, i risultati arrivano automaticamente. Purtroppo questa visione dell’arrampicata è nettamente in contrasto con quanti, oggi la maggioranza, sostengono che per migliorare occorra aumentare la forza con l’allenamento a secco. Costoro pensano che chi non ricorre a questi metodi e ottenga comunque ottimi risultati sia una rara eccezione o un talento naturale.
Non è esattamente così e in realtà l’allenamento a secco dovrebbe servire solo come compendio all’arrampicatore, un integratore che aiuti a colmare le proprie deficienze, al fine di arrivare a scalare bene su tutti i terreni, anche quelli meno congeniali. Questo discorso dovrebbe però essere limitato agli arrampicatori di alto livello.
Inoltre è ormai assodato come indirizzare i principianti all’arrampicata partendo da uno sviluppo della forza al pannello, alla sbarra o al trave, ne inibisca (talvolta in modo irreversibile) l’apprendimento della tecnica, della fluidità, della capacità di lettura della roccia e molte altre attitudini che concorrono in modo determinante alla formazione di un bravo arrampicatore. L’allenamento, ma sarebbe più opportuno dire “la comprensione”, delle variabili comunemente dette “mentali” che entrano in gioco nell’arrampicata è ancora uno dei punti più oscuri e meno sviluppati della nostra disciplina. Va anche detto che non sarebbe necessario arrivare a comprendere razionalmente cosa si deve fare per sbloccare ciò che ci inibisce a superare un passaggio difficile o rischioso, ma occorrerebbe piuttosto allenare il nostro corpo ad affrontare quella situazione perché vi è abituato. Per far ciò è dunque necessario arrampicare sulla roccia in moltissime situazioni diverse, in modo che il nostro corpo si senta il più possibile in una condizione di normalità, e non di disagio. Il ricorso alla forza sarà quindi superfluo e potremo economizzare energie fisiche e mentali per i passaggi successivi o da destinare alla cura del gesto e della precisione, ugualmente molto importanti.
Ma questo non è che un aspetto delle problematiche del “progredire” in arrampicata. Migliorare di livello, acquisire un grado più elevato (come sembra essere l’obiettivo della maggioranza dei climber), è, nel 90 per cento dei casi, un problema di testa, una questione di far capire al nostro corpo e alla nostra volontà che una cosa la possiamo fare e non andremo incontro ad un insuccesso. Scopriamo dunque che una delle qualità migliori in un arrampicatore è la volontà e la fiducia nelle sue possibilità, ma che questa è inevitabilmente collegata a tutte le altre variabili, sempre cosiddette “mentali”, di cui accennavo prima. Imparare ad arrampicare è dunque arrivare a far sì che il nostro corpo risponda in modo adeguato a tutte le sollecitazioni che una determinata situazione di difficoltà ci propone. E’ arrivare ad abituare la nostra mente ed il nostro fisico a considerare questa situazione il più “normale” possibile, ed affrontarla dunque con calma e lucidità. Che non sempre vuol dire razionalità ma piuttosto automaticità, intelligenza motoria. Il miglior arrampicatore non è colui che fa il grado più alto, ma quello che possiede queste doti in maniera maggiore o innate (il caso del cosiddetto “talento naturale”).
Quale ricetta, dunque? Allo stato attuale non esiste ancora un metodo di sicuro successo, e forse mai potrà esistere, ma solo dei consigli che possono tornar utili a chi vuole e crede che sia importante curare questo aspetto dell’arrampicare. Forse occorrerebbe ritornare indietro un po’ negli anni, quando per imparare un mestiere o un’arte, era necessario affidarsi ai vecchi che dispensavano consigli e indicazioni all’apprendista. Oggi invece siamo schiavi di un “fai da te” che non ha basi solide sull’esperienza, ma solo sui sentito dire, e sulla convinzione che l’ostacolo vada superato forzandolo e non imparando a conoscerlo. Il risultato di tutto ciò è che molti arrampicatori arrivano, sì, a superare gradi difficili, ma in realtà non sanno arrampicare, perché il loro corpo è stato abituato a rispondere solo ad un tipo di sollecitazione, quella che più si avvicina all’allenamento a secco a cui sono abituati. In realtà basta poco per mandare le loro capacità in tilt.
Chi invece aspira a divenire un arrampicatore completo senza fare della propria passione un tormento simile ai lavori forzati (sempre che non siate masochisti), provi a seguire questo percorso suddiviso, per semplicità e comprensione, per colori. Ognuno poi, se preferisce, attribuisca ad un colore un grado, se questo lo aiuterà nella motivazione.
Livello bianco (inizio): non si dovrebbe mai dimenticare che le prime uscite sulla roccia sono importanti e significative per far sì che il neofita abbia poi voglia di continuare ad investirsi in questa attività. Dunque è molto importante la scelta del compagno con cui iniziare o, se si frequenta un corso, è bene prendere più informazioni possibili sulla serietà e la competenza degli istruttori. Non è difficile chiedere dei pareri a riguardo a chi già arrampica. Al contrario di come è in uso oggi, le prime uscite dovrebbero essere effettuate sulla roccia, su vie molto semplici (quarto grado) e su roccia appoggiata. E’ importante anche la scelta della tipologia di roccia, che dev’essere il più comprensibile possibile. L’allievo deve arrampicare da secondo e le indicazioni dell’istruttore dovrebbero concentrarsi il più possibile sul modo di mettere i piedi, sui primi rudimenti della tecnica e della ricerca dell’equilibrio. Dopo una decina di uscite l’allievo dovrebbe cominciare a provare ad arrampicare da capocordata, su vie ben protette e non superiori al 5a. Si instaurerà così in lui il piacere di scegliersi gli obbiettivi da raggiungere e di salire una via in buono stile.
E’ bene, per un arrampicatore di questo livello, aggregarsi sempre con uno scalatore più esperto a cui chiedere consigli. Per progredire è sufficiente arrampicare un giorno la settimana, per esempio la domenica, mentre il resto del tempo può essere dedicato a predisporre il fisico con attività aerobiche, se magari si ritiene di essere sovrappeso o poco portati.
Livello verde (proseguimento): migliorare dallo stadio di principianti implica un salto di mentalità. L’arrampicata vi piace e desiderate continuare a farla, volete migliorare e raggiungere una certa sicurezza, programmarvi le uscite e le vie che volete fare.
La cosa migliore da fare a questo punto è comprarvi una guida della zona in cui risiedete. Sfogliatela e cercate le zone che più vi piacerebbe visitare. Programmate le uscite secondo i vostri desideri, ma cercate di non fissarvi su un solo posto. Quando andate ad arrampicare provate varie vie che vi sembrano di stili differenti e cercate di capire dove vi trovate meglio. Tutti noi abbiamo una predisposizione ad uno stile di arrampicata, non c’è niente di male. Se vi trovate meglio sulle prese grosse avrete probabilmente un passato da culturista o da muratore, se prediligete le placche dove non c’è molto da tirare con le mani sarete fortunati, perché a migliorare la forza è più facile e c’è sempre tempo. In ogni caso, in questo stadio, non sforzatevi particolarmente di fare ciò che non riuscite. Arrampicate in più posti possibili e cercate di individuare con l’occhio le vie che vi sono congeniali. Scoprirete così quali sono le vostre carenze e in futuro potrete lavorare su quelle e migliorare ulteriormente.
Se la cosa vi interessa è bene che proviate anche qualche breve e facile esperienza alpinistica, magari con una guida alpina, se non vi fidate o se non avete un compagno molto più capace di voi. La cosa è particolarmente importante perché vi farà capire che l’arrampicata non si ferma al monotiro, ma è un universo variegato di possibilità. Prendete contatto con il rischio, sempre se la cosa vi va, mentre in falesia provate vie su cui vi sentite quasi al limite. Scaldatevi sempre bene su vie più facili, ma cercate di fare almeno 7/8 tiri al giorno, dopo di che, la volta dopo, scegliete un’altra falesia. Periodicamente però tornate sui vostri passi, ripetete le vie già fatte e verificate se ci sono stati miglioramenti.
Arrampicate sempre un giorno la settimana, ma sforzatevi di non interrompere, se non per motivi seri. Non eccedete, non abbiate fretta di migliorare e, soprattutto, non lasciatevi convincere a fare pannello in una palestra due volte la settimana!
Livello blu (basso livello): l’arrampicata è divenuta una parte della vostra vita, la vostra attività preferita. Desiderate seriamente migliorare, cominciate a pensare di poter fare delle vie difficili. Ma per far ciò non avete ancora abbastanza esperienza, vi manca un po’ di fondo, fidatevi delle mie parole. Se siete passati attraverso le fasi precedenti, potete cominciare a lavorare delle vie e a cercare di migliorare le vostre carenze. Questo va fatto cercando di frequentare maggiormente i luoghi con uno stile che non vi sia congeniale. Se vi riesce facilmente un grado in un posto in cui vi trovate bene, insistete per provare vie di quel grado anche nelle falesie non congeniali. State sempre molto attenti ad osservare quelli più bravi di voi e cercate di carpirne le soluzioni tecniche ed i segreti. Concentratevi però maggiormente su voi stessi, cercate di guardarvi dal di fuori mentre arrampicate, se potete fatevi filmare e osservate i vostri movimenti con spirito critico.
Cominciate a porre attenzione alle scarpe che usate e a come le usate, non lasciatevi trascinare in qualunque falesia ma scegliete voi accuratamente le vie da fare. Arrampicate il più possibile a vista, cercando sempre di fare molti tiri nelle giornate dedicate all’arrampicata. Non provate vie troppo difficili per voi, se non riuscite in due o tre tentativi vuol dire che non è ancora il momento.
Cercate di arrampicare due volte alla settimana e magari fate anche attività aerobica, stretching, bicicletta o corsa. E’ importantissimo, in questa fase, trovare un compagno giusto, non occasionale. Dev’essere uno come voi, che abbia voglia di migliorarsi e che soprattutto abbia i vostri stessi giorni liberi.
Livello rosso (medio livello): per migliorare ulteriormente dovete fare un salto di qualità ed impegnarvi per raggiungere degli obiettivi. E’ facile a dirsi, molto meno a farsi e dovrete avere la certezza che potete vincere le barriere psicologiche che vi bloccano. Gli arrampicatori di questo stadio si convincono, infatti, di non essere capaci a superare un certo grado perché hanno limiti fisici. Nella maggioranza dei casi questo non è vero, almeno non per persone che non sono obese o non predisposte morfologicamente ad un’attività outdoor.
La cosa migliore da fare per fare il salto di qualità ed arrivare a fare delle vie più difficili è individuare degli obiettivi, solitamente su un tipo di arrampicata a voi congeniale. Oramai avete capito dove andate meglio, dunque scegliete degli obiettivi che vi sembrino realizzabili e non impossibili. Fino a qui non è difficile… ma lasciatevi aiutare con dei consigli da chi conosce meglio di voi le falesie ed ha fatto quelle vie. Assicuratevi dunque di avere il compagno o i compagni giusti che vi vogliano accompagnare e predisponete più uscite nell’arco del mese in quella falesia dove voi volete raggiungere gli obiettivi. Cominciate a pensare all’anno in termini di periodi dedicati a raggiungere delle mete ben precise e non procedete a casaccio, ma cercate di programmarvi.
Cercate di abituarvi a memorizzare i movimenti delle vie e concentratevi sul ritmo della scalata, durante le fasi di lavorazione della via. Imparate altresì ad essere precisi con i piedi e anche con le dita, provate tutte le soluzioni possibili per un passaggio, cercando la più semplice che fa al caso vostro. Vedrete che entro breve tempo centrerete i risultati, se avete grinta e non mollate alle prime difficoltà. Non cedete mai allo sconforto ma insistete, essere cocciuti e caparbi spesso è la chiave della riuscita.
Non indulgete, però, nel lavorare le vie! Quando avete raggiunto il vostro risultato concedetevi un periodo di relax e ritornate all’arrampicata a vista. Se credete provate anche il bouldering, e se vi piace programmate varie uscite ravvicinate, che vi consentiranno di conseguire dei risultati e mantenere la motivazione. Se le esperienze alpinistiche vi sono piaciute, non trascurate di viaggiare in estate sulle Alpi e provare a fare qualche via lunga, variando lo stile e l’attrezzatura della stessa. Procedete sempre per gradi e non date mai per scontato il livello che avete raggiunto in falesia. Non attaccatevi perciò al numero, ma siate flessibili, fisicamente ma soprattutto mentalmente.
Non date nulla per scontato, ma siate curiosi di scoprire ciò che vi circonda ed appassionati per quel che fate.
Se l’arrampicata vi stressa smettete per un periodo, vedrete che non sarà difficile ritornare in breve tempo ai livelli di prima.
Arrampicate tutti i giorni che avete disponibili, se il tempo è troppo brutto andate in palestra, ma non forzatevi a farlo.
Livello nero (alto livello): volete raggiungere a tutti i costi il grado 8, perché per voi è una gratificazione personale. Ma non ce la fate, o pensate di non farcela. E’ importante che sappiate che potete raggiungere questo obiettivo senza allenarvi a secco, ma che fare un 8a è “uno specchio per le allodole”, se poi non siete capaci di avere lo stesso tipo di prestazione su una via diversa. Avete, dunque, due strade davanti: impegnarvi per raggiungere l’8 a tutti i costi, perché a voi importa il numero, o cercare di raggiungere un livello più elevato su tutti i terreni. Scegliete, perché dovrete agire diversamente.
Nel primo caso scegliete la via, provando un ristretto numero di itinerari che vi sembrano congeniali, nella falesia che preferite. Assicuratevi di avere un compagno che vi asseconda ed in sintonia con voi e di avere tempo libero e cominciate a provarla. Se non riuscite a fare un movimento sceglietene un’altra, se su tutte vi accorgete che vi mancano movimenti, allora pianificate un periodo di due o tre mesi di bouldering. Se invece riuscite nei movimenti ma vi manca la continuità, fate delle serie su itinerari che conoscete che siano continui e senza punti di riposo. Pianificate un mese con uscite in falesia con almeno 10 tiri ad uscita. Quando non ce la fate più scendete di grado. Dopo una settimana di scarico siete pronti per concatenare il vostro 8. Date sempre molta importanza ai tempi di recupero, tra un tentativo e l’altro, tra un’uscita in falesia e la successiva. Se siete grintosi e caparbi, e se non avete saltato i livelli precedenti, riuscirete sicuramente!
Nel secondo caso, dovrete invece lavorare sui vostri punti deboli. Se vi manca la tecnica dovrete arrampicare molto e su terreno che non vi è congeniale, oppure fare parecchio bouldering. Se vi manca la forza, invece, dovrete distinguere la forza pura, la resistenza e la continuità. Individuate i vostri punti carenti ed agite di conseguenza. Nel periodo invernale possono essere, dunque, giustificati dei cicli in palestra molto specifici, vi permetteranno di bruciare le tappe e essere pronti per la stagione giusta in cui volete essere al top della forma. La cosa più difficile è non allenarsi a casaccio, ancora più improbabile e non beccarsi la tendinite. Per cui dovrete stare molto attenti e non fidarvi dei consigli del primo venuto. Cercate di essere regolari e metodici ma conservate una certa flessibilità mentale, e non perdete di vista che l’arrampicata vi deve dare soddisfazioni ed emozioni e non deve diventare un lavoro forzato né una persecuzione. Programmate l’anno: un periodo di allenamento, uno di realizzazioni, uno di svago, per l’arrampicata a vista e per viaggiare. Conservate umiltà e modestia, fare il grado 8 non vi dà diritto a sentirvi superiori ad altri e ad impartire alcuna lezione. Ci sono sempre tante cose da imparare e potrebbe insegnarvele anche l’ultimo venuto…
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E’ (credo) lapalissiano che l’importanza dell’allenamento a secco sia direttamente proporzionale al livello dell’arrampicatore.
E’ (credo) altrettanto lapalissiano che l’arrampicata diventi veramente difficile quando non basta mettersi/muoversi bene (condizione necessaria), ma bisogna anche tirare le prese.
da principiante mi sembra che l’arrampicata libera ai gradi classici (entro il VI) sia uno sport di testa al 90%… se non ci si riesce a fidare appieno del secondo e dei piedi e non si é disposti a cadere non si va lontano (ok il 10% sono flessibilità nelle gambe e dita)… quando mungo la plastica in palestra (protezioni a prova di bomba, nessuna cengia spaccacaviglie, niente prese che possono rompersi o sgretolarsi) scalo tipo 2 gradi in piú che in grignetta… tutta testa.
Arrampicare è la risultante di molti fattori: movimenti giusti, concentrazione e spesso, non guasta un tantino di forza fisica, soprattutto, in quei critici passaggi in cui è necessaria.Inoltre, è supefluo aggiungere che s’impara ad arrampicare e a migliorare soltanto con tanto esercizio( in falesia. )
È sicuramente una questione generazionale.
Infatti non si sente mai un giovane parlare di gesto perché impegnato a parlare di grado.
Essendo coetaneo di Oviglia e possedendo un retroterra simile, non posso che concordare e invitare i miei figli e i loro amici a leggere queste interessanti considerazioni.
Articolo da inserire nei manuali e nel quale mi rispecchio pienamente. Vengo da una generazione che considera l’arrampicata un’arte e frequentando le falesie vedo che molti non sanno arrampicare perché hanno memorizzato i soliti movimenti e non danno spazio all’istinto e alla naturalezza del gesto. Il mio livello era da colore rosso e ci sono arrivato senza aver letto a suo tempo l’articolo e posso asserire che la mia crescita e’ avvenuta secondo quanto suggerito dall’articolo.
Il piacere che deriva nei movimenti dati dell’arrampicare alimenta la crescita/capacità e disciplina la mente/cervello = più autocontrollo.
Equilibrio mentale =equilibrio fisico con conseguente baricentro limpido.
Delicatezza/armonia dei gesti e risparmio energie opposti a forza bruta e spreco!
Bell’ articolo!
Il limite del lavoro a secco lo trovi arrampicando sullo stesso tratto da secondo ,da primo e se riesci slegato lì si puo percepire il vero “peso”della propria mente e le sue tare.
La sola forza è utile, ma a volte inganna le proprie potenzialità!
Io condivido in particolare l’affermazione dell’autore che il maggiore limite alla crescita di un arrampicatore medio sia il suo atteggiamento emotivo-mentale : la mente puo’ farti volare , ma qualche volta e per molti e’ la vera zavorra.
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Paura di cadere , paura del confronto , paura di fallire , sono fra le cose che hanno spesso fatto si che per me arrampicare fosse una sfida difficile.
Una volta facevo almeno una trentina di trazioni su due braccia ( che per me era buono ) , ma rimanevo una segaccia perche’ la mente mi trascinava giu’ come una stufa di ghisa.
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Ovviamente non vale per tutti : qualcuno questi limiti non li ha , arrampica bene subito , e benissimo dopo un po’ che si allena a secco , pero’ per molti l’atteggiamento mentale e’ la cosa che passa fra essere uno “stupido” groviglio di nervi e “passeggiare”.
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Una volta a Civate vidi una ragazza che saliva bene un 6b+ che io avevo appena fallito.
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Io ero al massimo della mia forna atletica , e potevo trazionare tante cose , lei era in forte sovrappeso ed aveva almeno 20 kg piu di me da sollevare.
La frustrazione mi fece incazzare come una faina…
A me piace il messaggio trasmesso dall’articolo che, per quel che ho percepito, dà molta importanza alla volontà e alla passione, aspetti trainanti di qualunque attività.
E’ vero che la forza è determinante in alcuni passaggi, ma lo è anche la flessibilità del corpo e la capacità di respirare in maniera appropriata, che non si possono certo sviluppare in palestra.
Tante cose vere ma anche un sottofondo di antipatia per coloro che si sono dedicati ( anche) all’allenamento a secco, vedi incipit dell’articolo in cui si dice che è’ rivolto a chi pensa che la scalata non sia solo un tirar prese. Spesso ho sentito parlare così ai tempi dell’articolo ma di solito da chi non aveva voglia di allenarsi e per una sorta di invidia verso coloro che volteggiavano su strapiombi, scambiati per tira prese….
Non parlo dell’autore dell’articolo, dico in generale…
Gia allora si era capito che allenarsi a secco era una necessità non solo per le vie più dure. Poi se non sai scalare puoi anche trazionare monobraccio sul centimetro ma non ti alzi su un 6c, perlomeno questo accadeva in ambiente finalese, per cui non stiamo parlando solo di grado 8.
Trasposto ai nostri tempi sarebbe a dire che tutti coloro che oggi si allenano a secco sono dei tiraprese…Ai tempi dell’articolo vi era perfino chi sosteneva che allenarsi non valeva….in ogni caso avverto un po’ di nostalgia per queste diatribe senza senso..
Bellissimo articolo !