Ci stiamo, ahimè, abituando a stagioni nevose sempre più “bislacche” e imprevedibili. Complessivamente, però, sempre meno nevose, quanto meno in termini di utilizzazione sciistica. Peccato perché la neve ha un qualcosa di magico e rende le montagne ancora più belle.
Sci di pista: in arrivo il modello Dubai?
di Carlo Crovella
Se vado indietro nella mia memoria, il primo ricordo della neve risale intorno ai miei 5 anni. Di sicuro l’ho incontrata anche prima, ci sono delle testimonianze fotografiche di mio padre in tal senso, ma il ricordo della sensazione di magia collegata alla neve si inserisce in un episodio specifico.
A metà degli anni ’60, in quella fase di transizione fra inverno e primavera (fine marzo), mi trovavo in Valle Stura di Demonte, nelle alpini cuneesi. Ovviamente ero al seguito dei miei genitori.
Mio padre partecipava a una gita in sci con altri soci dello Ski Club Torino. Il pernottamento della comitiva era previsto in un alberghetto di fondovalle, credo fosse Pietraporzio.
Alla sera, dopo cena, ha iniziato a nevicare, in modo tenue: gli sciatori del gruppo auspicavano un nevicatina notturna, giusto per mettere giù una spolverata di fresca e rendere ancora più divertente la gita del giorno dopo.
Invece quando mi sono svegliato al mattino ho subito capito che eravamo in un “altro” mondo, in un mondo fiabesco. Silenzio totale, con quella tipica atmosfera ovattata che segue alle grandi nevicate. Siamo usciti e non si vedevano più le auto parcheggiate davanti all’alberghetto: tutte sommerse in una favola bianca. La neve superava di una buona spanna il tetto delle auto: in una notte erano venuti giù quasi due metri. Sono rimasto senza fiato e il ricordo non si dileguerà mai più. E’ lì che mi sono innamorato della neve.
Le stagioni attuali sono diverse, molto diverse. Gli scialpinisti, per ora, riescono ancora a cavarsela, adattando i loro programmi alle condizioni. Negli ultimi anni mi è capitato di realizzare in pieno inverno gite classificate come primaverili (per l’esiguità di neve a inizio stagione) e di fare poi gite invernali nei mesi primaverili, al seguito di pesanti precipitazioni alla fine della stagione.
Diverso è il discorso per i pistaioli. Non che me ne preoccupi più di tanto, ma il fenomeno è degno di alcune riflessioni. L’utilizzo dei cannoni sparaneve sembrava costituire la soluzione inattaccabile anche in assenza di precipitazioni naturali. Ma che tristezza vedere le piste ridotte a nastri bianchi in mezzo ai prati secchi e giallastri!
Però anche i cannoni potrebbero incorrere in una crisi strutturale, come aveva già ipotizzato oltre 20 anni fa su Dimensione Sci Luca Mercalli (meteorologo che vanta una importante notorietà mediatica), perché il rialzo generale delle temperature potrebbe ostacolare sempre più l’attività di “sparare” neve all’aperto.
Allora quale possibile evoluzione per le piste da sci? Il rischio è che, anche da noi, si diffonda a macchia d’olio il modello Dubai, dove è stato costruito un palazzetto artificiale per lo sci al coperto. Dentro al palazzetto la temperatura è tenuta artificialmente bassa e questo consente l’utilizzo dei cannoni sparaneve anche in prossimità del Golfo Persico. Trecentosessantacinque giorni all’anno. Che spreco di energia!
Il timore che il modello Dubai possa coinvolgerci ha già dato qualche segnale di una certa consistenza. Tempo fa è stato annunciato il progetto di uno Skydome nel territorio del comune di Arese, a due passi da Milano. Dal sito de Il sole 24 Ore (20 novembre 2018) si rintraccia la descrizione del progetto: “Tre piste da sci indoor all’interno del primo impianto “al chiuso” in Italia e uno dei pochissimi in Europa. Ci sarà inoltre un ristorante le cui vetrate si affacceranno sulla zona dell’arrivo, un’area commerciale con diversi negozi legati agli sport invernali e un albergo a quattro stelle con un centinaio di camere”.
Ma non è l’unico programma con caratteristiche del genere. Dal sito MilanoToday del 19 novembre 2018 si legge la descrizione di un altro progetto, questa volta a Selvino, sempre in Lombardia, ma nella Bergamasca: “Sarà la prima pista al mondo a venire inserita in un contesto alpino ad una quota di 1.000 metri s.l.m. e avrà una delle più grandi piste indoor al mondo, sia per lunghezza che per dislivello e sarà, quindi, adatta ad ospitare eventi e gare di livello internazionale. Sarà la prima struttura ipogea al mondo per la pratica di sport invernali e ospiterà la prima palestra di arrampicata su ghiaccio utilizzabile tutto l’anno in Italia. Sarà la più completa struttura indoor-outdoor per offerta e divertimenti sportivi, comprese strutture per la pratica di sport all’aperto”.
Riassumendo: non solo si scierà al coperto, ma anche “seminterrati” o addirittura “in cantina” (struttura ipogea). Anche i ghiacciatori ne potranno beneficiare con la palestra a loro riservata e utilizzabile (udite udite!) tutto l’anno.
Io sono affranto da come l’umanità si stia discostando dal modo naturale di vivere, cioè dallo stile di vita coerente con la Natura. I problemi oggettivi, a livello planetario, sono ben altri, ma anche la stagionalità delle attività in montagna ha una sua “ratio” che deve essere coerente con le leggi della Natura. Sciare è bello quando c’è la neve naturale e magica, mentre d’estate è più sensato fare altro, arrampicare, camminare, al limite far rimbalzare i sassi sulla superficie dei laghetti in quota… Sciare d’estate è una forzatura già sui ghiacciai attrezzati a tal scopo, a maggior ragione se costruiamo apposite strutture indoor.
Il rischio di creare un mondo “contronatura” vale non solo per le attività della montagna, ma per tutte le sfaccettature della realtà umana. Stiamo condannandoci a vivere in una prigione sotterranea: anziché sciare all’aperto, quando è la stagione giusta (preservandone le condizioni climatiche), con l’aria fresca che ci sferza il viso, siamo, anzi “loro” sono felici di sciare chiusi in un palazzetto, magari a Ferragosto.
Mi torna in mente un racconto di fantascienza del noto autore Isaac Asimov: Profondità (noto anche come “Abisso”), dove gli esseri alieni, abitanti di un pianeta lontano dal nostro, per sfuggire alle condizioni inospitali della superficie (a causa dello spegnimento della stella che corrisponde al nostro sole) hanno scavato delle caverne verso il nucleo del pianeta, creando una vita completamente “sotterranea”. Intere generazioni, vivendo fino a 1.200 km di profondità, non hanno mai visto la superficie e la conoscono solo grazie a resoconti e documenti.
Si ridurrà così anche lo sciatore del futuro? E dopo lo “sciatore ipogeo”, il destino coinvolgerà l’intera umanità?
Che tristezza! Nell’immediato, al fine di conoscere meglio le problematiche delle precipitazioni nevose, torna utile leggere l’articolo scritto nel 1998 da Luca Mercalli (le cui previsioni meteo, rintracciabili bisettimanalmente sul sito nimbus.it, sono molto apprezzate da alpinisti e scialpinisti).
Neve, che ne sarà?
di Luca Mercalli
(pubblicato su Dimensione Sci, annuario di sci della Rivista della Montagna, dicembre 1998)
Il Lago di Valsoera è incastonato a 2400 metri in un remoto angolo del massiccio del Gran Paradiso (versante piemontese, NdR). Di qui passano pochi escursionisti, ma i guardiani della diga vivono tutto l’anno protetti da una piccola casa abbarbicata alla roccia. Al mattino del 14 marzo 1972 gli uomini di turno, valligiani temprati da molti inverni, erano terrorizzati. Del loro rifugio, solo il colmo del tetto e le antenne emergevano da un deserto bianco che da oltre un mese non faceva che crescere in continuazione, alimentando la prospettiva di rimanere sepolti vivi.
La misura del manto di fiocchi al suolo forniva lo straordinario valore di 8,5 metri di spessore: i guardiani ancora non sapevano che questo semplice numero, scritto con una biro su un quaderno a quadretti, era destinato a rimanere in evidenza negli annali della meteorologia alpina.
L’inverno 1971/72 riversò a Valsoera un totale di 15,5 metri di neve e su tutte le Alpi Occidentali conquistò il primato di nevosità del ventesimo secolo. Si apriva un decennio cli grandi nevicate, che vide altre stagioni da oltre 10 metri nel 1973/74, 1976/77, 1977/78.
Ski-lift e seggiovie giravano a pieno regime, e ovunque ci fossero pascoli accessibili si costruivano nuovi comprensori o si ampliavano quelli esistenti. In questa selva di piloni e funi d’acciaio, nessuno si curò della variabilità del clima. A chiarire le idee ci pensò l’inverno 1980/81, con una lunga sequenza di giornate serene. Le piste rimasero coperte d’erba ingiallita mentre l’audience delle previsioni meteo cresceva di giorno in giorno.
In un’alternanza di anni più o meno bianchi, si tirò avanti fino al 1989, e poi al 1990, altri anni neri nella storia dell’industria turistica invernale. Ormai era chiaro che il rischio legato alla variabilità della comparsa della neve naturale non poteva essere trascurato in un sistema che macinava miliardi di lire (ma anche di franchi e di scellini), e si aprì l’era dell’innevamento programmato.
Altro denaro, altri cantieri, scavi, tubazioni, e addirittura piccole dighe, per disporre dell’acqua da “sparare” che d’inverno, in montagna, è sempre poca. Per non parlare del paradosso energetico di bruciare petrolio per produrre tanti kilowatt/ora da trasformare in cristallini di ghiaccio buttati ai quattro venti. Ma il problema della disponibilità di neve sembrava risolto e si guardava al cielo con il fare sprezzante di chi è stato più furbo.
Poco dopo, le immagini televisive che dai vari campionati in Sierra Nevada, nelle Rockies canadesi piuttosto che nell’Hokkaido giapponese, mostravano ora pioggia battente, ora le primule in fiore in pieno inverno, ridimensionarono anche la potenza di fuoco dei cannoni.
Nonostante queste delusioni, è curioso constatare come l’industria del turismo invernale, almeno quella alpina, e la comunità scientifica dei climatologi, abbiano avuto solo pochi e tiepidi approcci.
Dal canto loro, gli studiosi andavano avanti, analizzando le nevicate del passato ed elaborando modelli di simulazione per il futuro.
Ormai oggi (fine anni ’90, NdR) si può affermare con un buon margine di affidabilità che l’innevamento alpino si sta riducendo. Non solo perché si fanno frequenti gli anni in cui nevica poco, ma anche perché l’aumento della temperatura del pianeta – sia esso naturale o causa dell’effetto serra generato dall’inquinamento antropico – riduce la durata della neve al suolo, tanto quella caduta dalle nubi quanto quella sparata dai cannoni.
E’ proprio di questi giorni la chiusura di una ricerca elaborata dalla Società meteorologica subalpina con il sostegno dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, che ha considerato oltre 1.200.000 dati giornalieri di altezza della neve misurata in 60 località del Piemonte e della Valle d’Aosta dai primi anni del secolo a oggi. Emerge che, a partire dal 1981, esiste una netta evidenza di riduzione della nevosità.
Ben 12 degli ultimi 17 anni presentano infatti, a tutte le quote comprese tra la pianura e i 2700 metri, un innevamento inferiore alla media del trentennio precedente. Assumendo per esempio la serie di Bardonecchia, vediamo che la quantità media di neve che cade in un anno è passata dai 257 centimetri del periodo 1961-1981 ai 191 cm del periodo 1981-1996, con una riduzione del 26%.
Tra questi anni magri non sono mancati veri e propri estremi negativi, con gli inverni “neri” del 1981, 1989 e 1990, quest’ultimo con un totale di neve caduta di soli 75 centimetri. Il periodo delle feste natalizie, che tradizionalmente assicura il maggior gettito economico, è spesso esposto a un forte rischio di scarso innevamento, come avvenuto nel 1980, 1987, 1988, 1989 e 1991, anche se non mancano recenti eccezioni positive, come il bianchissimo dicembre 1996.
I cannoni non servono
L’aumento delle situazioni estreme è d’
altra parte una delle evoluzioni climatiche
attese in futuro, che aprono una fase di “troppo o troppo poco”
difficile da gestire sul piano economico.
Non è possibile dire di quanto si scalderà l’atmosfera nei prossimi 100 anni. Da 1 a 4 gradi, a seconda delle regioni e delle stagioni. Ma il segno più, è sicuro. Una ricerca condotta dal centro studi della neve cli Météo-France già nel 1994, presentava i potenziali effetti di un aumento termico medio di 1,8°C a 1500 metri di altitudine: la durata dell’innevamento si potrebbe ridurre di 30-40 giorni per anno, passando per esempio da 174 a 132 giorni nella regione del Monte Bianco e da 100 a meno di 60 giorni nei massicci meridionali.
E i cannoni diverrebbero peraltro inservibili per mancanza di freddo. A conclusioni simili è giunto anche il rapporto Proclim, da poco concluso a cura dell’Accademia delle scienze svizzera, che vede nella diminuzione dell’innevamento alle quote medie, un grave danno economico al sistema turistico elvetico.
Nel futuro di un clima più caldo, le alte quote potrebbero cavarsela meglio, e – secondo alcuni modelli numerici – veder addirittura aumentare le nevicate.
In questo scenario, i comprensori più elevati sarebbero favoriti, ma non si può trascurare a quante e quali pressioni verrebbe sottoposto il delicato ambiente alpino della fascia superiore ai 2500 metri, nonché ai nuovi problemi di sicurezza che si verrebbero a creare spostando tutta la popolazione degli sciatori in luoghi dove i pericoli oggettivi sono più numerosi e difficili da affrontare.
Per lo sci alpino si apre dunque un periodo di profonda riflessione, resa ancor più delicata dall’incertezza con la quale si devono considerare le previsioni sull’evoluzione del complesso, e ancora poco conosciuto, sistema atmosferico.
Ma non per questo gli operatori turistici (e gli investitori di denaro, tanto più se pubblico) devono restare con la testa nel sacco e sperare che il cielo faccia ciò che essi si aspettano.
Sarebbe come se un malato di cancro, ignorando i primi sintomi, si rifiutasse di sottoporsi a esami medici sperando in un malanno temporaneo.
La cura non consisterà certo nel far nevicare dove il clima non lo consentirà, ma si tradurrà in una pianificazione anticipata che guarda lontano, al fine di attutire il colpo che potrebbe stordire la fragile economia delle comunità di montagna.
42
Ho premesso che era una valutazione “spannometrica” ma ritengo indicativa.
Comunque, sempre indicativamente bassa stagione Bobbio Valtorta 28€, Courmayeur 50€, Courmayeur+ Mont Blanc 60€. Magari non sarà proprio proporzionale, però per una sola pista di 100m devono pagarmi loro!
Dal punto di vista tecnico, hai voglia a coibentare una sala piena luci, motori (quello della seggiovia lo terrei in zona non raffreddata, però!) e gente che fa su e giù, entra e esce e vuole la cioccolata calda nel open space riscaldato
Che differenza c’è, in linea di principio, fra arrampicare sulla plastica in una palestra e sciare in uno “skidome” ?
(Domanda volutamente provocatoria alla quale ha già risposto col suo usuale pragmatismo Cominetti – vedi commento 45).
Quanti sono, in Italia, a praticare l’arrampicata indoor ?
Questo per dire che è difficile valutare i gusti della gente. Troppo facile farsi dei preconcetti in base ai nostri (gusti).
Il ragionamento “proporzionale” di Matteo (commento 106) non mi convince.
Se fosse così, il giornaliero che dà accesso a un comprensorio di 100Km di piste dovrebbe costare 10 volte quello per 10Km di piste. E’ davvero così, oppure nella formazione del prezzo diventano predominanti altri fattori oltre alla lunghezza delle piste ?
Paolo (commento 110), credo che tu sappia che la potenza richiesta per scendere da 20 a -2 gradi è richiesta finchè devi scendere.
Quando sei a regime ti serve solo quella necessaria per compensare le perdite, più l’eventuale potenza in entrata nel sistema.
Per le perdite, 0KW se sei stato bravo a coibentare 🙂
Come altre entrate mi vengono in mente: l’energia che fa girare il motore dell’impianto di risalita, quella per l’illuminazione e quella bruciatadal metabolismo delle persone presenti all’interno dell’impianto. Fattori presenti solo durante l’orario di apertura.
Poi bisogna produrre la neve, che immagino si sciolga molto meno rapidamente di quella all’esterno.
Insomma, sono d’accordo con Pasini. Per fare ragionamenti precisi bisognerebbe vedere i bilanci d’esercizio.
A proposito di Danimarca, vi segnalo questo link
http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/rifiuti_e_riciclo/2019/10/07/inaugurata-pista-da-sci-sul-termovalorizzatore-di-copenhagen_6c43b07d-425c-47ba-b087-eecc1f88cf86.html
Artificiale per artificiale, questa soluzione consente di sciare sulla plastica a temperatura ambiente. Siamo di fronte alla pista del futuro ?
P.S. Bertoncelli, io al Passo del Lupo ci vado tutti gli anni appena chiudono gli impianti e di solito trovo il parcheggio vuoto.
Difficilmente incontro qualcuno. Solo qualche occasionale scialpinista con il quale mi fermo volentieri a chiacchierare perchè entrambi non abbiamo fretta.
Spero di andarci anche quest’anno, ma soprattutto spero di trovare ancora un pò di neve, per potermi divertire un pò anch’io.
Caro Fabio diciamo per rimanere ottimisti che c’è anche di peggio in giro per il mondo rispetto al nostro piccolo Regno di Danimarca. Almeno noi abbiamo tante cose belle da proteggere e un po’ di gente di buona volontà in giro c’è e non siamo proprio da buttare via quando smettiamo di litigare sul nulla e ci concentriamo sulle cose da fare, come sta accadendo da qualche giorno anche qui. Buona serata.
Caro Roberto, ho letto il tuo precedente commento, rimanendo basito.
Mi sono detto: “C’è del marcio nel Regno di Danimarca.”
Per rimanere in Italia probabilmente bisogna distinguere progetti come Selvino e Agrate. A Selvino probabilmente prevale l’aspetto “pacchetto” “gita economica fuori porta” con anche un po’ di natura, anche se miserella. Arese era un’altra cosa. Puntavano forse sull’aspetto Parco giochi, non a caso l’architetto è uno che fa anche Acquapark. C’è però un’altra componente che è quella dell’allenamento. Io non so se possa valere anche per lo sci ma vale per la bici. A Milano c’è un numero veramente elevato di appassionati che mantiene un certo numero di palestre specializzate nella bici e nel triathlon. Ne conosco alcuni. Professionisti, manager, magistrati ….di mezza età, gente che va veramente forte e che si allena di brutto indoor sacrificando albe, intervalli, serate sulla bici al chiuso su bici fantascientifiche con gli schermi che simulano i percorsi. Io non riesco a capire, ma anche uno dei miei ex compagni di corda, che si è dato alla bici, dice che o fai così o poi il sabato resti indietro. Non so se esiste nelle aree urbane una fascia così anche per lo sci ???Gente competitiva, che non bada a spese e disposta a pagare anche abbonamenti pesanti. Forse puntavano a un target di questo genere? Non c’entra ma per dare un’idea dei numeri la sola palestra dove vado ad arrampicare io indoor ha circa 10.000 iscritti!!!
Mah… può darsi benissimo che la mia sensazione sia priva di fondamento… però se guardate la foto di copertina vi invito a ragionare su cosa può spingere delle persone a spendere soldi per sciare su delle “tristi” strisce di neve artificiale in mezzo ai prati stopposi… se qualcuno è così incomprensibilmente scriteriato (secondo i miei canoni) da spendere 30-40 euro per sciare su quelle strisce, possono benissimo esistere degli “scriteriati” che spenderebbero 30-40 euro per sciare in un capannone ma con annessi benefit (centro commerciale, spa, cinema, miniclub per bimbi ecc). Ciao!
“io continuo a essere convinto che c’è una bella fetta di pistaioli”
Io non credo proprio Carlo…vabbè cannibali, però è una pistina di 100 m: anche il più idiota paga il biglietto una volta, fa su-e-giu per due ore e poi non torna.
In questo senso il costo è fuori target; forse sopravvive a Dubai, dove è pieno di turisti che nel pacchetto si trovano anche quello oltre il luna-park Ferrari
In un’ottica di contributo concettuale, segnalo che il giornaliero nel comprensorio Vialattea (Sestrieres ecc) costa 46 euro, cui si possono aggiungere altri 10-20 euro (non ricordo) per l’estensione internazionale fino a Monginevro. A Cervinia mi pare di aver sentito che si oltrepassano abbondantemente i 50 euro/giorno, raggiungendo i 75 per l’estensione fino a Zermatt. Insomma le indicazioni che avete fornito circa i prezzi dei giornalieri degli skidrome non sono così fuori range. A chi mi obietta “per’ vuoi mettere sciare all’aperto, magari con la vista sul Monte Rosa, rispetto a sciare in un simil-capannone…?”, rispondo che condivido profondamente l’osservazione, ma sottolineo che essa vale per noi che siamo indiscutibili amanti dell’outdoor. Invece io continuo a essere convinto che c’è una bella fetta di pistaioli che addirittura preferirebbero una location vicina a casa, senza incertezze meteo e con annessi centro commerciale, centro benessere e cinema… chissà… vedremo cosa uscirà fuori dall’esperienza di Selvino. Buona serata a tutti!
Chi ha l’aria condizionata in casa può provare a ragionarci.Deve immaginare quanti condizionatori e quanti Kw ci vorrebbero per scendere dai suoi 20 gradi a meno 2 gradi, ma anche quanti soldi dovrebbe spendere in elettricità e impianti.
40 Kw/h ? ogni giorno per un anno ? 300.000 Kw da pagare ?
Anche se divido per 10 o 20 è una bella spesa per tre stanze.Devo aggiungere che per molti l’elettricità è “pulita”, ma loro non pensano mai a cosa costi la sua produzione in denaro e inquinamento e poi cosa fare per stoccarla: ci vogliono il peggio del peggio, le batterie.
Ma io sbaglio tutto, il mondo ci crede.
Matteo, conosco molto, ma molto bene come funziona la partita qui da noi. Però questa è la minestra che passa il convento…magari in mezzo alla brodaglia viene fuori qualche pezzettino di patata o di carota. “Ravaniamo nelle tenebre rimanendo fedeli alla luce” come dice il poeta🙀
Roberto, benedetta ingenuità
“bisognerebbe mettere le mani in un bilancio” si perché c’è sicuramente da fidarsi dei bilanci previsionali…
“A Selvino … avranno fatto sicuramente uno studio di fattibilità anche economica.” di questo poi saremo veramente certi!
“L’impatto ambientale devo averlo fatto per forza” non mi viene in mente neanche un parcheggio senza VIA in Italia, in effetti, nono! Neanche uno…comunque temo che al massimo ti dia la volumetria e quante piante vogliono tagliare
Certo che da voi in Finlandia state proprio bene!
Matteo & Giuseppe: bisognerebbe mettere le mani in un bilancio. Se fosse in Italia sarebbe un attimo ma Germania e Olanda non saprei. Chiederò. A Selvino visto che sono così avanti avranno fatto sicuramente uno studio di fattibilità anche economica. L’impatto ambientale devo averlo fatto per forza per ottenere l’approvazione. Ci vorrebbe un canale in Regione.
100 m di pista = 40 €
10000 m di pista = 4000 €
Ovviamente è un calcolo altamente spannometrico, ma l’ordine di grandezza del rapporto dei costi te la dà. E secondo me ti da, di riflesso, anche un’idea del rapporto di impatto ambientale.
Comunque pensare che gli skydome possano influenzare la frequenza degli impianti classici è come sperare che con tante piscine attorno a Milano, Rimini si svuoterebbe.
Rispondendo a qualcun altro, evidentemente skydrome veniva da una lettura affrettata, però per assonanza a autodrome non era poi così assurdo!
Matteo, grazie per la risposta.
E’ una tua opinione, quindi.
Peccato non avere dati precisi.
Hai preso come riferimento Dubai, che è l’impianto con il prezzo più alto (a me il costo del giornaliero, al cambio, è venuto 77 euro e non 85, ma sposta poco). Ma senza sapere cosa concorre a formare il prezzo è difficile fare dei ragionamenti definitivi. Ad AlpenPark Neuss e SnowWorld Amsterdam siamo a 42 euro, la metà di Dubai, e ci sono altri impianti con prezzi ancora più bassi.
Quindi ?
Quindi io mi limito a dire che questi prezzi non mi sembrano fuori target per chi vuol trascorrere una giornata sulla neve, anche fuori stagione, in un ambiente totalmente artificiale – certo – ma che offre comunque un pacchetto completo a breve distanza da casa.
Il confronto con comprensori sciistici che dispongono di chilometri di piste a mio parere non ci sta. L’offerta proposta da uno “skidome” è (necessariamente) diversa.
Su quali termini è basato il tuo confronto con Cervinia e i 10Keuro equivalenti ?
Quanto al “finanziamento necessario per la costruzione, avviamento e conduzione” o è a “fondo perduto” o deve rientrare nel tempo con gli incassi, quindi dovrebbe concorrere al prezzo nel giornaliero.
A questo punto, la domanda vera secondo me dovrebbe essere: “quanta gente c’è che, a questi prezzi, sarebbe disposta a sciare in uno skidome invece che all’aperto (ma comunque su neve artificiale) e che costo ambientale avrebbe ?”
Insomma, lungi da me fare il promoter di questi impianti :), che dal punto di vista puramente “etico” ritengo aberranti come ritengo eticamente aberrante innevare artificialmente una pista all’aperto, ma mi piacerebbe guardarci dentro più a fondo, conoscere i costi di gestione, gli ammortamenti, che tipo di gente li frequenta, quanti accessi fanno in un anno, eccetera. Se fossi un politico o un gestore di piste andrei sicuramente a visitarne qualcuno.
“Pancia” a parte, siamo davvero sicuri che, in un’ottica di cambiamento climatico dove le condizioni favorevoli allo sci sono destinate a salir sempre più di quota, gli “skidome” non siano un’alternativa percorribile rispetto all’apertura di nuovi impianti a quote più alte o all’utopico abbandono della pratica dello sci in pista ?
Forse abbiamo lavorato tanto in passato, magari anche il sabato e la domenica rinunciando alla montagna….sniff.
Ho fatto ieri sera una ricerchina sui tre progetti italiani. Trovate i risultati nel post di oggi sulle stazioni fantasma.
Ho guardato qualche website degli skidome segnalati dal sito individuato da Balsamo. La maggior parte sono in Europa e nei paesi Arabi (parchi gioco per ricchi). Non ci sono dati sul consumo energetico. Alcuni di quelli olandesi,anche belli, si vede la mano dell’architetto, dicono di essere totalmente green 100% e di usare solo rinnovabili (in linea con una certa cultura del paese) ma non c’è ci sono evidenze. I crucchi tacciono su questo aspetto. Ne hanno tanti e alcuni davvero brutti all’esterno, tipo capannone industriale. Sui numeri del business bisognerebbe vedere i bilanci, ma non so come fare. Vengono venduti in rete anche da agenzie italiane di viaggio. Sono di fatto dei parchi gioco con alberghi e altre amenità. I prezzi del pacchetto mi sembrano nella fascia mass market.
Ho trovato un’intervista interessante ad un imprenditore che ha aperto un megacentro nel New Jersey, il Big Snow Resort. Dice che il centro vuole promuovere lo sci esterno, fornendo un’opportunità di allenamento durante la settimana e un terreno di addestramento prima di uscire, un po’ come le palestre di climbimg indoor. Questa è almeno la “value proposition” come dicono i markettari. Quindi sviluppo e non sostituazione. non riesco a incollare il link, quindi chi è interessato può cercarlo in rete.
Buona giornata a tutti
Uno in appennino, l’altro in Resegone…Ma porca padella, non c’è nessuno che lavora di mercoledì?
Per Giuseppe Balsamo: no, non ho dati reali, ma conoscendo un minimo di fisica è chiaro che il costo energetico è decisamente alto.
Per non parlare del finanziamento necessario per costruzione, avviamento e conduzione.
Il che è confermato dai costi (però occorre guardarli bene): a Dubai, dove il combustibile è regalato, il giornaliero per una pistina di un centinaio di metri costa l’equivalente di 85€…e come se a Cervinia facessero pagare 10000€ il giornaliero.
Non credo che una cosa del genere possa funzionare, se non come “stranezza” in un posto di vacanza da cui è totalmente avulsa, come Dubai appunto.
Tutto gratis no. Hai usato un’auto, consumato benzina, consumato il manto stradale, forse bevuto un caffè e una birretta, consumato scarpe, abbigliamento e attrezzatura. Loro, partecipando ad uno dei tanti riti collettivi che ti fanno sentire protetto e rassicurato rispecchiandoti negli altri membri dell’orda (Totem e Tabù) hanno sicuramente prodotto più reddito e lavoro di te, contribuendo maggiormente al PIL nazionale e forse anche inquinando un po’ di più senza esserne consapevoli. Complessa è la nostra specie, caro Fabio, cambiano i riti ma la sostanza non cambia. Siamo tutti uguali, con lo stesso bagaglio di bisogni, ma i bisogni hanno pesi diversi e quindi generano comportamenti sociali e di consumo diversi e reciprocamente non riusciamo a capirci. Avrai sicuramente chiesto nella tua vita a qualcuno cosa pensava di chi rischia la pelle in montagna per puro diletto nel tempo libero. Mia madre me lo chiedeva sempre: ma perché non giochi a tennis? Spero di non sollevare con questa un po’ malinconica riflessione notturna da insonnia senile il solito carnevale. Pieta’ . Anche confidarsi in un blog è un rito collettivo che per esempio mia moglie non capisce. Mi dice sempre che sono matto e che corro anche dei rischi.PS. Ieri ho fatto da solo il percorso della Resegup sopra Lecco. 3 escursionisti incontrati. Alla gara partecipano 1500 persone. Mi sono chiesto che casino deve essere nel canalone prima della vetta. Così è.
Oggi ho fatto una lunga escursione sul mio Appennino. Non ho incontrato anima viva.
Al ritorno, per curiosità, sono passato in auto al Passo del Lupo e al Lago della Ninfa: un’orda di sciatori. Ci saranno state almeno cinquecento automobili parcheggiate. A tutta questa gente piace davvero l’ammasso? È l’unico godimento in montagna che conoscono? Non sentono il desiderio di una escursione solitaria con gli sci da fondo? Di una gita con le ciaspole? Di una passeggiata senza ciaspole, mano nella mano – romanticamente – con la propria amata? Di una visita ai vecchi borghi d’Appennino? Di vagabondare tra i tanti laghi e laghetti? Di visitare il santuario medioevale abbarbicato a San Pellegrino in Alpe? Di visitare l’altrettanto bello – e solitario – eremo della Madonna del Faggio nell’Appennino Bolognese? Di vagare per boschi, senza meta, con la speranza di un incontro con qualche animale?
No, niente di tutto questo: tutti in fila sulle piste di neve artificiale del Passo del Lupo. È questo che vogliono? Allora si meritano davvero gli stadi della neve.
… … …
Però vi ho raccontato una bugia: non è vero che non ho incontrato nessuno. Ho incontrato un capriolo: vagava libero nei boschi.
N. B. Tutto gratis. 😂😂😂
Tra le meraviglie dei boschi e sui monti solitari non si paga un euro: incredibile ma vero.