Montagna interiore

Montagna interiore
di Stefano Rosso
(pubblicato su stefanorosso.eu in due puntate, 30 giugno 2020 e 31 luglio 2020)

La capacità di vedere le montagne è interiore. Chi ha gli occhi, vede le montagne – si pensa correntemente – e si ritiene sia possibile a tutti, e tutti riescano a vedere le stesse cose. Falso. Assolutamente falso.
Quello che vedi tu, quello che vedo io, quello che vede la gente, sono cose diverse. Tutto dipende da quello che sei tu. Tutto dipende da quello che hai dentro. Tutto dipende da quello che vuoi essere, dal livello di umanità che vuoi conseguire. Dal tipo di mondo in cui vivi, dal tipo di mondo in cui vuoi vivere, dalla consistenza effettiva delle tue azioni concrete.
Forse, se hai iniziato a cambiare realmente, potrai cominciare a vedere molte più cose, a vedere più lontano, a vedere anche tu, finalmente, le montagne.
Quando guardo le montagne vedo una promessa di libertà, una speranza di libertà. A volte questa possibilità si realizza, e l’universo interiore, e quello esteriore, si stringono in un abbraccio. I profumi: l’aria tersa; la fragranza del fieno; i mille aromi del sottobosco. Le visioni: le imponenti colonne viventi delle conifere; i picchi assolati e verticali; le praterie verdeggianti e serene. I suoni: il fischio delle marmotte; il sibilo del vento; il fragore del torrente.

Per altri, per alcuni, le montagne sono solo delle masse da spianare, perché sono troppo storte, troppo pendenti, con troppi massi fuori posto, con gobbe, spuntoni, ammassi informi, protuberanze. Con il SUV non si riesce ad andare. Che scomodità. Dunque occorre spianare, raddrizzare, allargare, mettere cemento dove è ripido, mettere i catarifrangenti a bordo strada, e poi spianare per fare un parcheggio, così comodo, e poi squarciare i boschi per fare “piste” per praticanti dello “spazzaneve” domenicale, e mettere cannoni per sparare neve e, infine, un magnifico “belvedere” in cemento, con il parapetto in acciaio inox.
A pensarci un momento, a pensarci bene, l’effetto finale somiglia molto alla periferia di Mestre. Zona “Auscian”. Il modello ideale di riferimento, la suprema Idea da imitare, pare proprio il parcheggio del centro commerciale “Auscian”.
Il mondo interiore diviene angusto, e pare somigliare alla schermata di un sito per acquisti on line, con il simbolo del “carrello” in alto a destra. Basta cliccare, inserire il numero della carta di credito.
E nel carrellino della spesa interiore “montana”, si ammucchiano cianfrusaglie varie: palle trasparenti che quando le giri cade la neve finta; biglietti per funivie perché ormai hai le gambe molli; settimane bianche omologate da sabato a sabato; selfie da cellulare scattati presso il cartello stradale del “Passo” con gli scarponi immacolati e con le braccia allargate e sullo sfondo una “montagna” (… ma non mi ricordo bene quale, aspetta che guardo il gps). Lacedel, Tofane, Mortisa, Bovisa, Mondragone, Marghera? Tutto così, alla rinfusa.
Pare stiano facendo a pezzi le montagne di Cortina d’Ampezzo: demoliscono la nostra casa comune, per un calcolo dal fiato corto, miope.
I mondiali di sci alpino demoliscono le montagne della fata delle Dolomitiscrivono in questi giorni dalle colonne del sito di Mountain Wilderness (www.mountainwilderness.it). Una scelta perdente. Cortina spianata per l’invasione delle nuove locuste in forma umana.

Dalla Tofana di Fuori visuale su Tofana di Rozes

C’è una piccola valle, invece. C’è un piccolo ponte in legno. Sotto, il torrente, che corre bianco. Alcune case antiche, con i muri massicci, le finestre minuscole, i fiori ai balconi. Metri 1890. Solo gente a piedi, altri che pestano sui pedali delle Mtb, i più pigri su con i bimbi con le carrozzelle e i cavalli. I veicoli a motore non possono circolare, salvo qualche furgone che porta le provviste.
Se si vuole veramente imparare a vedere la montagna occorre, in primo luogo, un viaggio interiore, un viaggio come reale e significativa esperienza. Per questo il viaggio materiale sarà coerente, per creare risonanza tra dentro e fuori. Per questo occorre andare solo con i mezzi più leggeri a disposizione, con i mezzi con il minimo impatto ambientale, per salvare non solo la natura, ma salvare con essa la propria esperienza.
Si useranno i piedi, e si può pedalare con la bicicletta, con i muscoli e i polmoni. Si utilizzeranno i bus “AutoPostale”, quelli gialli, che ai tornanti muggiscono due note; si prenderanno i treni regionali, quelli dove portare la bicicletta.
Ho girato il video l’anno passato, alcuni giorni di vacanza. Per raggiungere la valle mi sono levato prima dell’alba, era buio, e i merli dormivano ancora. Ho raggiunto la stazione, sono salito su uno, due e tre treni, tutti regionali. Poi un autobus di linea, e mi sono fermato a pranzare all’elegante caffè vicino la stazione. Poi un “AutoPostale” giallo, a passare la frontiera, il naso un poco a guardare i boschi e i fienili che scorrono, un poco a dormicchiare, un poco a guardare se riesce davvero a passare tra un balcone in pietra e un muro. E poi su per i tornanti stretti, che si avvoltolano uno sopra l’altro, fino al passo. Poi, zaino in spalla, tutto sui piedi, venti minuti. Il rifugio.
Milleottocento metri, silenzio perfetto, fuori, di notte, si vede solo la Via Lattea.

La cima. Una ascensione di circa cinque ore. E’ passato mezzogiorno, non c’è l’ombra di una nube. Siamo rimasti a contemplare il mondo per quasi due ore, un sole che accecava, prima di iniziare a scendere per la via normale.

Ampezzo è duemila metri più in basso, nitida, potresti vedere la gente seduta nei caffè. Ai tavolini, gomito a gomito, persone molto diverse, diverse dentro. Alcune che ieri sedevano al caffè, oggi sono in cima con noi. Hanno le braccia, hanno le gambe, hanno il cuore per salire abbrancati alla nuda roccia. Hanno la capacità, forse, di vedere le montagne, di sentirle in maniera autentica, con tutto il loro pericolo, tutta la loro rudezza, tutto il loro fascino.

Altre persone non saliranno mai su questa vetta, almeno non con le loro gambe, e dunque non sapranno mai cosa è questa montagna. Le loro pupille staranno magari fissate sulla cima, con un binocolo scruteranno le balze e la vetta, e noi attraverso il vetro saremo ancora figure umane che si ergono in piedi. Il loro occhio sarà sazio, forse, ma nessuna esperienza reale, effettiva, della Tofana de Rozes sarà mai patrimonio della loro mente.

Queste persone, forse, credono che le montagne siano “panorami”, e che sia sufficiente poter dire “ci sono stato”, e magari mostrare il “selfie” in buona compagnia, e pubblicarlo sui social. Forse pensano di sapere qualcosa delle montagne perché hanno pagato il biglietto della funivia che mena alla Tofana di Mezzo, e il loro grasso corporeo è stato trasportato a 3000 metri di quota, o perché i loro arti hanno premuto l’acceleratore del loro motore, e le loro ossa hanno rombato fino alla porta del “Rifugio”. Ma l’uomo, ma la donna, non sono solo grasso e calcio, selfie e social. Se sono qualcosa, sono mente, cuore e coraggio.

La Tofana de Rozes 3225 m può essere salita da un escursionista capace, da un escursionista esperto e allenato, utilizzando la via normale sia per salire che per scendere. E’ un sentiero alpinistico (difficoltà EE), ma non presenta passaggi di arrampicata tali da richiedere corde e altre attrezzature, ma sono necessari assenza di vertigini e piede fermo. Sono naturalmente necessarie le attrezzature indispensabili per le escursioni ad alta quota. Nodo essenziale: le previsioni meteorologiche. In caso di perturbazioni, a quelle quote, ad agosto, nevica.

Si può raggiungere con un impatto ambientale minimo, senza muovere fumiganti autovetture o Suv, utilizzando la linea estiva di autobus che salgono da Cortina verso Passo Falzarego, e scendendo alla fermata a quota 1700 m. Ci si può fermare per la notte presso il rifugio Giussani 2580 m, e attaccare la via per la vetta il giorno dopo, di buon mattino.

Foto: La via di salita. Particolare da una foto tratta dal sito ritornoao.wordpress.com/2018/08/12, distribuita con licenza CC-BY (Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale).

Basta volerlo, si può fare. E ciascuno può scegliere una montagna alla propria portata, perché quello che conta è la autenticità della esperienza.

Chi è umano, veramente umano, sa che le cose importanti della vita, la capacità di vedere le montagne, non si possono comprare.

Chi è umano, veramente umano, sa che le cose importanti della vita, la capacità di vedere le montagne, si possono solo conquistare con la propria intelligenza, con lo studio, con il coraggio, con i piedi, con le mani.

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Montagna interiore ultima modifica: 2020-10-19T05:24:07+02:00 da GognaBlog

17 pensieri su “Montagna interiore”

  1. Bravo e ancora bravo! il grande Bonatti diceva ” le montagne anno il valore degli uomini che le salgono altrimenti sono solo un cumulo di sassi”. Nel lontano 1980 a diciassette anni ho scalato la Tofana di Rozes assieme ad un amico ed una guida Alpina Ampezzana ,dopo quaranta anni ricordo quei momenti rimasti scolpiti nella mia mente, il mio sogno sarebbe ripetere  l’impresa per poter rivivere per un attimo quelle emozioni  che fanno tanto bene all’animo  e ti fanno sorridere alla vita.

  2. Mondo interno e mondo esterno. Passione e/o lavoro. E’ una prerogativa umana e la montagna non è l’unico catalizzatore. Per il mare è la stessa cosa. Il mare di chi ci lavora è diverso dal mare di chi ci va per diporto. Visioni verticali e visioni marine, potremmo dire. Interessante,  tra parentesi, la conversione montana di chi è nato in riva al mare e la conversione marina di chi è nato sotto i monti. Oppure la convivenza dei due mondi nella stessa persona.E anche per il mare c’è la dimensione della fantasia e della narrazzione simbolica. Conrad aveva navigato molto poco ma la sua rappresentazione della vita di mare ha dimensioni epiche. Per il cielo è diverso. Conosco una persona che ci vive e lavora da quando ragazzino entrò in Accademia. In quel mondo è pura passione all’inizio per quasi tutti, che rimane inslterata anche quando fai il tassista del cielo come dice lui, dopo aver lasciato la carriera militare. 

  3. Ma, ragazzi, io sono il primo ad andare in montagna per soddisfare la mia sete d’avventura, su questo non si discute. Avendo deciso da 40 anni di viverci in un certo modo, mi sono accorto che anche fare legna, soffrire i rigori dell’inverno, capire dalla natura certe cose che vivi solo restandoci a contatto costantemente, ecc., ecc. ti fanno capire che ‘sta benedetta montagna ha ben poco a che fare con l’idealizzarla di certi cittadini (cosa che sono di nascita e che quindi mi fa capire molte più cose del montanaro nato e cresciuto qui).Capisco Crovella e la sua “montagna a tavolino” alla Mila, nulla da eccepire, ognuno è libero di usare il cervello come meglio crede, ci mancherebbe, ma conosco dei montanari tutti scarpe grosse che in quanto a sentimenti e emozioni interiori superano in sostanza di valori molti “accademici” teorizzatori. La differenza tra costoro e certi montanari dall’aspetto grezzo sta nell’esprimersi verso gli altri. Non è che se uno ha dei pensieri nobili e non li scrive o mette in mostra verso gli altri, non li ha per sé e semmai pochi intimi. Tra i montanari esistono i gretti e i romantici esattamente come tra i cittadini, non sono categorie distinte rigidamente pur avendo delle notevoli differenze di base.
    Siccome qui siamo in maggior parte alpinisti dico solo che dovremmo prenderci per quello che siamo con pregi e difetti, ma mai ricorrere alla storia della volpe e l’uva e fare le cose che ci danno piacere, fisiche e/o intellettuali che siano, nel rispetto altrui. Però questo rispetto viene meno, almeno per me, quando mi si racconta che l’uva è acerba quando invece l’ho assaggiata ed era matura e buona. Se miliardi di persone credono negli dei, figuriamoci se qualche milione non può credere in una montagna sacra, pura e immacolata.  

  4. Però è anche facile trovare persone che pur vivendo in montagna non hanno alcun tipo di legame con essa. Vivere in montagna non basta per poter “far parte” di quel territorio, ci vuole qualcosa di più. Probabilmente i due signori che facevano legna lo avevano, altrimenti nel 2020 non sarebbero stati nel bosco ma sarebbero passati dal centro commerciale a ordinare un bancale. Quel tipo di rapporto con la natura non è però esclusivo della montagna.
     
    Sono un cittadino ma passo buona parte del mio tempo in campagna dove la vita contadina è ancora radicata. Il mio amico Marcello si alza alle 4.30, passa la giornata tra la stalla e i campi, ha due mani che fanno impressione e non conosce il concetto di ferie, il suo svago è la caccia. Questa è montagna? No, questa è campagna, vita contadina, vita antica che sopravvive ancora oggi e che io ammiro e rispetto con tutto il cuore. Quando vado a trovarlo ho paura di sembrargli snob e lui lo sa perché mi prende in giro per la mia “milanesità” e mi tira un pugno gridando “Dutùr”.
     
    Parliamo però di due piani diversi: i contadini, di campagna o montagna, hanno un rapporto con la terra che nessun cittadino potrà mai comprendere, ma questo non significa che anche un cittadino non possa trovare nella frequentazione della montagna una luce che illumini anche altri aspetti della vita. Se tale frequentazione è guidata dal rispetto per la natura, da impegno e consapevolezza, dal desiderio di conoscere e comprendere l’ambiente, essa avrà per me un’ammirazione sincera. Sarà diversa rispetto a quella che nutro per i contadini, ma ugualmente forte.
     
    La mia vita è un’altalena tra le due prospettive. Vivo in città e faccio un lavoro che non potrei fare da altra parte, ma nei fine settimana mi dedico al vigneto e alla montagna. Valvole di sfogo? Forse sì, ma non vedo in questo mio modo di essere la frenesia e il nervoso che spesso sottendono a questo concetto. Mi capita di pensare come sarebbe se scegliessi di mettere il vigneto al primo posto e spostare la città in secondo piano, ma mancano il coraggio e motivazioni sufficientemente forti. Sogni un po’ radical-chic? Forse sì. Andare in montagna però è un altro tassello del puzzle cui non potrei rinunciare senza stare male. Forse se mi spaccassi la schiena come Marcello mi passerebbe la voglia, ma che ci posso fare se le cose vanno così? Dovrei sentirmi in colpa delle belle sensazioni che provo tra i monti? Conciliare i due mondi, la natura e la città, è faticoso, ma quando riesco a bilanciare bene le due cose, sono proprio contento.

  5. Ci hanno detto che il lavoro era lì, e non sulle rocce dove noi andavamo a faticare per loro inutilmente

    questa è la montagna materialistica, utilitaristica, è la montagna che  sfama. Una montagna anche dura, quasi vista come una nemica, che non ha nulla di diverso dalla pianura,  dalla città, da tanti altri luoghi che si vivono per bisogno o lucro.
    Mio padre, che ragiona come questi due,  che, non ha mai capito perchè io vado in montagna a divertirmi, o “sfogarmi” , mi ha più volte detto :” dopo tutti questi anni  non ti sei ancora stufato di montare sui soliti sassi?”
    La montagna che cerchiamo e viviamo noi, è una montagna che ci sfama spiritualmente, è una montagna che a volte ci può elevare  da una vita non soddisfacente, è una ricerca di sfide. E’ una motagna che ognuno di noi, giustamente vive a suo modo, dove ognuno di noi cerca qualcosa di diverso forse non trovandolo mai..,
    E’  una montagna profondamente diversa dal montanaro che ci fatica per vivere. Montanaro che per faticare meno e guadagnare di più,  è disposto a infierire sul territorio naturale, ne più ne meno di quello che avviene in altri luoghi.  Vedi quello che avviene in Dolomiti con infrastrutture, strade, piste da sci,  ect.
    La fatica del montanaro, non è la nostra fatica.

  6. Grazie per le tue precisazioni Stefano e per essere intervenuto. 
    Marcello, hai ragione. Anche mia nonna sui Sibillini diceva così. E per lei la montagna era quella. 
    Per noi, che ci portiamo dentro quel retaggio e quella consapevolezza, l’abbiamo trasformata dentro noi stessi anche in qualcos’altro. 
    Non credo tu sia andato in Patagonia solo per far legna. Con tutto il rispetto sincero. 

  7. Oggi stesso sul sentiero che dal villaggio di Casso (PN) porta alla falesia omonima, ho incontrato una coppia di circa la mia età (60 anni) che stava facendo legna. Ci hanno detto che il lavoro era lì, e non sulle rocce dove noi andavamo a faticare per loro inutilmente. Ognuno abbia della montagna la visione che meglio gli piace, ma la montagna è quella cosa che quei due stavano facendo. 
    Liberi tutti.

  8.  
    Buonasera Paolo Gallese, accolgo il suo invito, e buonasera a Marcello Cominetti, agli altri lettori e ad Alessandro Gogna. Il pezzo che ho scritto questa estate, e che Alessandro ha deciso di ripubblicare, si presta a più livelli di lettura. Forse è questo che intende Gallese con il suo ultimo commento, più che “trappola”, ammette letture più o meno articolate. Riguardo al primo commento di Cominetti, forse la sua è stata una lettura un poco frettolosa, e forse ad una ulteriore lettura si potranno cogliere altri aspetti. Il concetto di “montagna come valvola di sfogo” è lontanissimo dallo spirito del testo proposto, che muove da esperienze, e non tematizza tutto in maniera esauriente, e lascia spazio a una lettura tra le righe. Con il cenno alla “promessa di libertà” intendo fare riferimento ad un fatto materiale, tangibile: al fatto che in montagna, ancora, si possono trovare spazi aperti, liberi, senza recinzioni e senza muri di cinta. In pianura tutto è cintato, quasi tutto è proprietà privata. Ancora, può essere letto come una semplice narrazione di esperienze, ma può anche essere letto come una riflessione condotta alla luce di alcuni concetti chiave quali quelli di realtà (e la costruzione e la percezione della realtà); di esperienza; di godimento estetico; di critica al conformismo; di risposta alla emergenza climatica; di giudizio etico; di scelta esistenziale.           Stefano Rosso
     
     

  9. cosa dire? La montagna ognuno la vive come vuole o come crede meglio.Se è ritenuta “una valvola si sfogo” non vedo proprio cosa ci sia di male.E’ forse meglio sfogarsi con un fiasco di vino o con un tresette tra amici (sempre col fiasco vicino)? Oppure è meglio criticare chi è riuscito a sostituire le pastiglie ansiolitiche (benzodiazepine) con una bella scalata o con una ferrata impegnativa? Fate Voi,però lasciate che ciascuno si goda nel modo più consono  alla propria indole il piacere adrenalinico di una bella escursione/scalata.

  10. Bè? Più nessuno!?
    Dai che questo è il classico post trappola, dove si rischia di dire niente e comunque ci si espone. 
    Se sulla faccenda si sorride, ci si diverte e magari scappa qualche punto di vista interessante. 

  11. Mi viene in mente un commento (che ovviamente io NON condivido) di qualche giorno fa, a proposito dell’ipotesi di montagna sacra nel Parco del Gran Paradiso. Ricordate? Il commento era che si trattava di pippe da parrocchiani a tavolino, o roba del genere. Evidentemente la montagna “ragionata” ha questa componente, altrimenti saremmo tutti solo a “correre, arrampicare, sciare, ecc”, in una parola “agire”. Se ci piace leggere, studiare e scrivere di montagna, che sono tutte attività a tavolino, abbiamo in noi una certa propensione pipparola, inutile che cerchiamo di nasconderlo ipocritamente. Io non lo nascondo affatto e anzi, invecchiando, la montagna “ragionata” è la componente più importante e divertente del mio modo di approcciare la montagna stessa. Come sul terreno esistono infiniti modi di approcciare l’attività, così esistono altrettanti infiniti modi di mixare l’interesse a tavolino con quello sul terreno. Io prediligo la qualità alla quantità. Mi piace di più “studiare”, conoscere, sognare ….ecc a tavolino e poi partire sul terreno “consapevoile” piuttosto che partire tutti i giorni per “fare” e basta, quasi senza pensare, senza studiare, senza metabolizzare interiormente la montagna. La parte sul terreno, nella mia personale esperienza, è solo la ciliegina finale di tutto il trend ed è quasi la componente meno importante. Ovviamente trattasi di scelta soggettiva e individuale, non ha validità universale. Però in 55 anni abbondanti di montagna, questa è stata la mia costante, in certi peridi più intensa, in altre un po’ meno intensa (a favore dell’azione diretta), ma sempre presente. Il mio riferimento è quello di Massimo Mila (accademico torinsese del periodo Gervasutti &C), secondo il quale (cito a memoria, ma più o meno è così) “l’alpinismo è una delle poche attività umane in cui azione e pensiero si fondono insieme”. Io l’ho recepito fin da piccolo, con la precisazione che per “alpinismo” io intendo “andare in montagna” (ovvero ogni attività che concerni la montagna: scialpinismo, escursionismo,  canyoning, ecc) e non solo alpinismo/arrampicata in senso stretto (che ovviamente costituiscono la “base” dell’andar in montagna). Buona giornata a tutti.

  12. Ahahahahah! Bè, in parte è così, Marcello. Allora parliamo di cosa sia per ognuno di quelli che scrivono qui. Io francamente non saprei. Oggi potrei dire una cosa, domani un’altra.
    Spesso mi capita, quando sono lassù, di dire cose del tipo: fanculo il silenzio, chi cazzo me l’ha fatto fare!
    E non vedo l’ora di tornare giù, bestemmiando ad ogni passo difficile, giurando a me stesso: mai più!
    La montagna è la misura di me, di volta in volta. 
    E poi, sì, io vado là per avventura, conoscenza e isolamento. Che male c’è? 

  13. Ci risiamo: la montagna come valvola di sfogo. Come libertà agognata. Come un tabernacolo.Poi, per carità, i suv, le funivie e i parcheggi (quelli a pagamento poi…) l’addomesticamento esagerato e tutte quelle cose lì, non piacciono neppure a me. Siamo d’accordo.
    Ma questo, con tutto il rispetto, è un ingenuo minestrone di idee per impiegati frustrati.

  14. c’è montagna e montagna.Ci sono quelle frequentatissime dal popolo dell'”Auscian”,dalle torme di amanti del super selfie davanti alle Tofane,da quelli che non sanno distinguere dolomia dal calcare per i quali tutte le rocce sono uguali.Poi ci sono le montagne “fuori” dal coro e dalla caciara collettiva. Sono le montagne su cui non passano sentieri CAI oppure con segnavia  ormai sbiaditi logorati dal tempo.Sono quelle amate dai cosiddetti “greppisti” cioè da  coloro i quali vivono intimamente la salita alla cima,accompagnandola da un’intensa introspezione tale da raggiungere un livello quasi mistico in cui lo spirito si annulla e lascia spazio ad una immensa pace  interiore.Si diventa tutt’uno con la montagna in una sorta di profonda unione,difficilmente raggiungibile con la stessa intensità tra esseri umani.Sono i monti e le vie di salita lontane dal turismo di massa,ignorate dai media e non inserite nei depliant pubblicitari esposti negli alberghi delle località montane.Queste sono le montagne che preferisco e che si possono ancora trovare in Friuli.

  15. “Con la testa e con il cuore” (cit).
    Alzarsi di notte, quando i merli dormono, prendere uno, due treni, un pullman che riecheggia due note ogni tornante… 
    Poi ci sei solo tu. 
    È la mia montagna. 

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