di Viviana Daniela Ghizzardi
Tutto ha inizio con una domanda: chiediti cosa potresti fare se tu non avessi paura.
Sì, perché la paura è la nostra grande nemica, è subdola, si annida nelle pieghe dell’anima e nel cervello, ci sussurra piano all’orecchio e alla fine ci convince che no, non si può fare, non si può più fare.
Mi chiamo Viviana, ma quello che conta è quello che faccio e con chi lo faccio: nel 2016 ho fondato assieme a colleghi un po’ controcorrente come me Moov-it, un’associazione che si occupa di persone affette da malattia di Parkinson e dei loro familiari. Il nostro motto è “movimento senza confini” e i confini che vogliamo superare assieme a coloro che decidono di affidarsi a noi sono molteplici: sono le mura di casa tra le quali ci si ritira perché muoversi diventa difficoltoso o pericoloso o perché gli sguardi della gente fanno male, troppo male; sono i limiti rappresentati da quello che i manuali, i testi accademici, ci dicono essere le attività di riabilitazione da fare, sono quelli rappresentati dalla paura di non essere più in grado, di non essere più come prima. E questo ultimo è in assoluto il confine più duro da superare.
Perché, come raccontano Paolo o Graziano, che frequentano l’associazione, quando arriva la diagnosi ti crolla il mondo addosso, perché come dice Giuliana senti che la vita ti ha fatto lo sgambetto e ti ha rubato il futuro che intimamente eri certa avresti avuto oppure perché, come dice Palma, le persone che ti stanno intorno non ti riconoscono più e neanche tu a dire il vero ti riconosci. E in questa tempesta che ci travolge dimentichiamo che c’è una parte sana in ciascuno di noi e spesso smettiamo di guardarla, sostenerla e nutrirla. Così si finisce con l’identificarsi con la propria malattia e se ne diventa schiavi. Questo è il punto dal quale nasce la domanda.
Fino dove posso arrivare se butto il cuore oltre l’ostacolo, se mi lascio condurre in un percorso che mi faccia scoprire chi sono e cosa posso fare?
Ho sempre amato la montagna fin da bambina, per me è sempre stata l’emblema dell’andare avanti, dell’andare oltre perché quando arrivi alla croce di vetta che credevi impossibile conquistare provi una soddisfazione infinita, sei orgoglioso di te ma allo stesso tempo già ti senti nascere dentro il progetto della nuova meta da raggiungere.
Perché fare quello che quasi credevi fuori portata ti regala una sensazione impagabile.
Così in un pomeriggio d’estate, guardando la Grigna e chiacchierando con il mio compagno di vita e di lavoro Amedeo, è nato il progetto #ilparkinsonnonèunlimite: un percorso didattico di arrampicata sportiva, che è stato poi tradotto in pratica grazie al preziosissimo contributo di Ambrogio Varinelli, istruttore FASI e laureato in psicologia.
Abbiamo pensato di far vivere un’esperienza che fosse del tutto nuova per i nostri associati e che potesse mostrare loro come spesso i limiti che ci sentiamo sono, oltre a quelli oggettivi, una serie di sovrastrutture che ci creiamo per paura o vergogna.
Il primo incontro, che secondo una valutazione un po’ troppo leggera, poteva anche essere l’unico, si è svolto presso il Manga Climbing di Milano che ha accolto con grande attenzione e cuore aperto quello che sembrava a molti una follia; abbiamo convocato un gruppo di persone con Parkinson chiedendo loro di venire, se volevano, accompagnati da familiari e amici, per provare una nuova e non ben precisata attività dedicata a loro.
Quello che è successo è stato indescrivibile…
Paolo, uomo che non va nemmeno più al supermercato da solo per paura di sentirsi male e non poter tornare a casa autonomamente, che stampa la cima e ride, ride, ride abbracciando la moglie Mariangela. Mimmo, che arriva in palestra in sedia a rotelle perché il suo equilibrio precario suggerisce che si sposti così per evitare rovinose cadute, che affronta la parete e non molla fino a che non è arrivato in cima e appena tornato a terra chiede di salire ancora. Sonja che soffre di vertigini e che si fida quando le spieghiamo che deve solo guardare davanti a sé e in alto cercando dove mettere le mani e che alla sua sicurezza ci penseremo noi.
E così quello che voleva essere un momento per muovere qualcosa dentro alle persone, per dire loro che se avevano fatto una cosa così fuori dall’ordinario allora forse dovevano riconsiderare una serie di cose che ritenevano di non poter più fare e di verificarne i veri motivi, è diventato un appuntamento fisso.
Il progetto quindi si svolge con cadenza mensile indoor presso il Manga per tutta la stagione da ottobre a maggio e prevede almeno una uscita in falesia per ciascuna stagione. Abbiamo iniziato nel 2019 e abbiamo sospeso solo durante le restrizioni per la pandemia e il gruppo iniziale è cresciuto costantemente; da due anni raccogliamo dati che dimostrano che oltre ad avere ricadute sull’autostima, sull’immagine di sé, sull’indipendenza e il mantenimento dell’autonomia nella vita di tutti i giorni, questi incontri hanno contribuito a creare un gruppo in cui ci si scambiano vissuti, si condivide, ci si sente meno soli, decisamente meno malati, allontanando così ansia e depressione. Non ultimo i familiari hanno cambiato la loro visione del loro caro affetto dalla patologia, vedendolo con occhi diversi e rendendosi conto che la migliorata autostima si traduceva per loro in un carico di richieste di assistenza nella vita di tutti i giorni decisamente ridimensionato.
E siccome io sono una professionista che si occupa del corpo ho iniziato a valutare i benefici anche dal punto di vista motorio e ne abbiamo trovati più di quanti non osassi sperare: migliore consapevolezza del corpo e coordinazione, utilizzo più consapevole del movimento alternato delle braccia e delle gambe, miglioramento della capacità di programmare il gesto e di lavorare in dual tasking (tematiche intaccate dalla patologia).
I risultati? Ve ne racconto uno, per farvi un esempio. Paolo va al supermercato da solo. Se sente che il corpo si sta bloccando si dice: quando sei in parete arrivi fino in cima senza problemi, perché ora dovresti non potere tornare a casa? E così fa.
Ad alcuni potrà sembrare nulla, ma per lui è tantissimo.
E per quanto riguarda me? Ecco, io dopo tre anni ancora oggi, quando vedo il video che abbiamo realizzato in Valsassina durante la nostra prima uscita, piango dall’emozione.
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Bravi bravi bravi! Se l’amico Ferruccio Svaluto fosse ancora tra noi plaudirebbe… E non è detto che dov’è non si sia entusiasmato. A riprova che quel che fate è importante ricordo l’apertura della via sul Ama Dablam di Ferox con Stefano Cucco: Guida Alpina con cliente, tutt’e due parkinsoniani.
Che spettacolo di forza e coraggio, entusiasmo e sfida.
Spesso la vita è fatta proprio di limiti mentali piuttosto che fisici.
Quest’esperienza lo dimostra.
Grazie
Bravissimi tutti, chi scala e chi li assiste. Sono contento di vedere riconfermata la posività dell’arrampicata come sviluppo dell’intelligenza motoria, discorso lanciato già molti anni fa e poi messo in disparte nel delirio competitivo che seguì, ma tutt’ora in grado di conquistare degli obbiettivi altrimenti irraggiungibili.
A mia mamma, una montanara, è stato diagnosticato il parkinson nel 1984. Da allora l’ho portata in piccoli viaggi in moto.. abbiamo arrampicato su vie di 3° grado… abbiamo fatto lunghe passeggiate… ristrutturato una baita in montagna… tutti mi dicevano che ero un incosciente.. forse si.. ma non l’ho mai vista così felice… come quando l’ho portata a sciare.. oppure, nel Parco del Gran Paradiso, quando l’ho fotografata mentre scivolava sui lastroni di ghiaccio a piedi nudi… È mancata nel 2009 a 80 anni, quando la malattia l’ha portata via. Tra le cose che mi ha insegnato una su tutte.. ” Non mollare mai.. mai ”
Per cui bravi.. apprezzo moltissimo quello che fate..
Un abbraccio… marco
Questo progetto è meraviglioso, apre il cuore e ti fa volare in alto. Sto frequentando la Scuola di Nature Life Coach come tirocinante di psicologia e proprio ieri si parlava delle “condizioni limitanti della nostra mente” e cosa c’è di più bello dell’esempio di Paolo e di tutte le altre persone che hanno superato i limiti della loro malattia? Grazie di cuore per il vostro coraggio, che possa essere fonte di ispirazione per tutti noi. W la vita! ❤️
Ben fatto e ben detto!
N.B. Che serva di morale a noi, che litighiamo per cose futili.
L’amico con il quale ho arrampicato per vent’anni si è ammalato di Parkinson. Finché abbiamo potuto abbiamo continuato insieme. Da qualche anno non più, per la reciproca sicurezza. Moov.it è stato un raggio di sole per lui. Per ringraziare Moov.it non bastano le parole. Quando entri in contatto con queste esperienze di vita capisci che la salute è un privilegio, non una condizione di normalità e che il coraggio dei danneggiati non è certo minore di quello dei forti. Anzi. Una lezione e una cura per l’ipertrofia del nostro io. Ma lo capisci solo quando ci sbatti la faccia, direttamente e indirettamente. Grazie per ciò che fate.
Anch’io mi sono emozionato. Che bello sapere che ci sono queste cose positive! Sono le persone da ammirare, come Viviana, che dovrebbero ricevere milioni di like e un po’ di like anche il signore del supermercato e gli altri partecipanti che hanno osato osare.
In qualsiasi salita ( anche in senso metaforico) non contano solo la vetta o la catena ma anche e forse soprattutto il punto di partenza. C’è chi parte da molto in basso….
Iniziativa meravigliosa.
Il grado più difficile non è quello che scala Adam Ondra, bensì quello che ci porta a superare patologie complesse e invalidanti.
Grazie davvero!