Multipitch nelle Valli Torinesi

Attualità emotiva delle Valli Torinesi
Presentazione di Alessandro Gogna alla Sezione Valle dell’Orco nella guida Multipitch nelle Valli Torinesi – 90 vie a più tiri per chi arriva dalla falesia, di Alberto Gandiglio, Davide Allegri ed Enea Carone Angiolillo, Edizioni Versante Sud, 2022)

La giornata di domenica 8 ottobre 1972 è stata importante: a lei si devono i tanti accadimenti dei cinquanta anni seguenti. Tra questi c’è anche la necessità della pubblicazione di questa guida.

Ugo Manera e Gian Piero Motti furono tra i primi in Italia a interpretare in chiave culturale le notizie che giungevano da oltreoceano; oltre a interrogarsi sulle motivazioni che spingevano gli scalatori americani a trascorrere giorni e giorni sulle grandi pareti dello Yosemite, “persi in un deserto verticale”, venne loro spontaneo cercare tra le tante pareti che le valli torinesi posseggono qualche struttura sulla quale in qualche modo si potesse praticare un’arrampicata simile a quella californiana.

In precedenza, molte strutture erano state esplorate e scalate. Basta citare la Parete dei Militi, la Rocca Sbarua o il Bec di Mea. Ma a quelle vie mancava il soffio innovatore, e i nostri avvertivano che la differenza stava tutta lì.

Ho detto all’inizio “tra i primi”, sottintendendo che non erano i soli. E infatti un altro alpinista aveva avuto lo stesso genere di intuizione, osservando con occhio creativo l’appicco di quello che poi venne chiamato Scoglio di Mroz: Guido Machetto, risalendo il vallone di Piantonetto, lo vide e se ne innamorò convincendo (senza troppa fatica peraltro) Carmelo Di Pietro, Miller Rava e me a fare un giro da quelle parti, fino a quel momento da tutti noi completamente ignorate per ciò che riguardava le rocce inferiori ai 2200 metri di quota.

In quella giornata aprimmo una via difficile, oggi conosciuta come via Machetto: allora non c’era l’abitudine di dare i nomi alle vie e per definire queste si usavano i cognomi dei primi salitori. La via Machetto allo Scoglio di Mroz ha tutti i numeri per essere qualificata la prima in ordine di tempo ad essere aperta da uomini la cui mente arrampicatoria era stata “contaminata” dal pensiero californiano.

Ma i tempi erano davvero maturi.

Dopo alcuni tentativi in luoghi noti, Manera approdò in Valle dell’Orco, sui dirupi di Balma Fiorant, prima di Ceresole Reale. “Varie volte, passando, mi ero fermato ad ammirare i grandi diedri e le immense pance di granito” raccontò Ugo. “Guardavo quelle pareti perché erano belle e mi piacevano, ma non pensavo fosse possibile scalarle; poi la rivelazione, improvvisa ma logica: Se i californiani hanno tracciato vie sul Capitan, certamente è possibile salire i dirupi di Balma Fiorant”.

Il giovedì 19 ottobre  Manera si recò nella sede del CAI di Torino deciso a trovare un compagno per fare un tentativo. Fece la proposta a Motti, il quale ridendo gli rispose che era appena stato sotto a quelle pareti perché aveva la stessa idea… Furono coinvolti gli amici Guido Morello e Ilio Pivano. Quest’ultimo si fece calare al primo tiro, ma gli altri tre proseguirono in un tentativo spinto molto in alto, che conclusero poi il 4 novembre con Vareno Boreatti e Flavio Leone (che sostituivano Morello e Pivano).

Naturalmente, pur essendoci rapporti di grande amicizia tra i componenti di questi due gruppi, le cordate agirono ignorando completamente i rispettivi programmi. E’ questa coincidenza di tempi che fa pensare a quanto questi fossero maturi. La via che aprirono i torinesi sul Caporal fu chiamata via dei Tempi moderni.

In seguito tornai spesso in valle dell’Orco, come anche nelle altre valli torinesi. Con Leo Cerruti aprii sullo Scoglio di Mroz la via della Torre staccata e sul Caporal la via dei Tempi duri. Nel frattempo gli amici torinesi si erano gettati a capofitto in quella nuova avventura, aprendo itinerari a tutto spiano, anche in compagnia di Mike Kosterlitz.

Nacque così la leggenda della valle dell’Orco, seguita dall’altrettanto fascinoso sogno del Vallone di Sea. Intervennero Gian Carlo Grassi, Isidoro Meneghin e altri esploratori seriali.

Non contento di aver inserito nei miei Cento nuovi mattini alcuni tra gli itinerari più belli delle valli torinesi, continuai il mio viaggio con la stesura di Rock Story dove immaginavo la storia di un ragazzo, Andrea, che partecipava a uno strano trofeo di arrampicata che, svolgendosi sulle più difficili vie delle valli torinesi, gli indicava un cammino che contemporaneamente si svolgeva nel suo intimo, portandolo a realizzare un nuovo stato di coscienza, in una realtà che continuamente oscillava tra il sogno e le prestazioni sportive sulle vie, comprensive di vittoria finale.

Oggi la quantità di itinerari aperti in questi luoghi è decisamente importante. La valle dell’Orco ha visto l’uscita di non so più quante guide. Anche la Valgrande di Lanzo, dopo le quasi introvabili monografie di Motti e di Grassi, ha oggi una sua guida completa, Valgrande verticale. Andrea Bosticco ha descritto le valli di Viù e d’Ala. Le due edizioni di Passaggio a Nord-ovest ci tengono informati di tutto ciò che è successo tra la valle di Susa e la prima delle valli cuneesi. E ovviamente anche la Sbarua ha visto la pubblicazione di alcune monografie.

Anche se ho dimenticato qualcosa, si può dire che le valli torinesi sono state esplorate, scalate e infine anche documentate. Ci sono molti amatori di questi luoghi, indipendentemente dalla vicinanza o meno dei loro luoghi di residenza.

Era necessaria una rivisitazione, fatta da autori non coinvolti dalla storia, di questa grande massa di itinerari. Qualcosa che spremesse il sugo, che indicasse con amore le mete più significative, anche per motivi i più disparati.

Forse l’aria del Nuovo Mattino non è più così frizzante, ma il momento attuale continua a fornire agli amatori nuovi stimoli, curiosità da soddisfare, emozioni dolci e, alla bisogna, anche forti. Lo dimostrano anche le attualità di due grandi manifestazioni. Dapprima il biennale Trad Climbing Meeeting in valle dell’Orco (purtroppo oggi una tradizione interrotta) ha visto la partecipazione di di centinaia di arrampicatori (famosi e non) da tutto il mondo; in seguito Valgrande in Verticale ne ha per così dire raccolto l’eredità e a tutt’oggi è una grande manifestazione organizzata ogni anno con grande successo.

A 75 anni suonati ho la fortuna di poter fare ancora le mie piccole evoluzioni arrampicatorie in questi luoghi. Abitando a Milano, con i miei amici appassionati di “vie lunghe” tutti i giovedì ci si scambia un giro di mail per capire chi è disponibile e dove è prevedibile la meteo migliore. “A est o a ovest?” ci domandiamo. A volte la scelta è facilissima, in altre occasioni invece assai sofferta. Raramente ci sbagliamo e finiamo per prendere acqua. Ma, in quel caso, abbiamo di che consolarci: semplicemente ci troviamo una bella piola dove la merenda sinoira assume tempistiche molto prolungate, assieme alle libagioni. Questa valli offrono una quantità smisurata di luoghi da “terzo tempo”. Lasciatemi dire che quello al quale io sono più affezionato è la locanda da Cesarin, a Breno, in Valgrande. Assieme all’amico Gian Piero ci avevo mangiato e bevuto, apprezzando l’amicizia e la cucina del proprietario Cesarin Griva. Oggi sia l’uno che l’altro non ci sono più, ma per fortuna i figli di Cesarin, Claudia e Piero, continuano a regalarci grandi momenti. Nei loro occhi vedo la stessa gioia che provo io quando entro nel loro locale, sorridendo.

Multipitch nelle Valli Torinesi ultima modifica: 2022-05-28T05:02:00+02:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Multipitch nelle Valli Torinesi”

  1. Una domanda: ma perche’ le chiamiamo multipithc?
    oltre all’inglesismo, da’ l’idea di qualcosa di nuovo che invece esiste da molti anni…

  2. Avvincente come sempre la presentazione di Alessandro del nuovo volume. E, come sempre, sentimento e precisione storica. Sebbene ormai tagliato fuori da quelle avventure credo che mi procurerò il volume che rinnova in me bei ricordi ed un po’ di nostalgia; anche se, un paio di settimane fa, ho ripetuto con Alessandro Beber il “Pesce d’Aprire alla Torre di Aimonin per le riprese di una puntata fuori casa (nelle “Occidentali”) della sua magnifica iniziativa: DoloMitiche

  3. Il libro è una guida compilata con criteri moderni e come tale è un utile strumento “tecnico” ma contemporaneamente descrive un ambiente, naturale e sociale e bene hanno fatto gli autori a chiedere a Gogna di scrivere la sua prefazione che di questo parla con grande cognizione di causa e lunga esperienza personale. Sono ambienti, sopratutto quelli più appartati e meno frequentati, che Gogna definisce “senza tempo”. Io mi permetto di aggiungere anche un po’ arcaici, dal sapore di epoche passate. A volte capita di entrare in certi bar, prima o dopo, e di vedere sugli scaffali prodotti ormai scomparsi, una bottiglia di Kumel o di Vov, rimasta lì dagli anni ‘60, e caffè più impegnativi di certe fessure strapiombanti o marche di birra introvabili altrove, spesso anche schifosette. C’è anche un’atmosfera un po’ malinconica e sognante, lontana dalla solarità di altri cattedrali dell’arrampicata. Ogni tanto compare, dove meno te l’aspetti, qualche lampo di orribile modernità, come certe case di recente costruzione probabilmente su progetto del geometra del paese o le slot machine con il pensionato attaccato. Un’atmosfera che induce alla discrezione e anche un po’ alla riflessione. Ad abbassare la voce.  Ultimamente ci vado poco perché mi rende un po’ malinconico ma per chi non c’è stato vale la pena. Soprattutto, come ho già detto, i luoghi meno noti. In fondo cerchiamo vie di arrampicata ma in realtà stati d’animo che queste ci generano. E se uno lascia fluire sensazioni e emozioni quegli ambienti generano uno stato d’animo particolare, che ha ben descritto Gogna. 

  4. Di Cesarin scrisse pure Andrea Gobetti nel suo libro di memorie Una frontiera da immaginare. Lo fece in occasione delle ricerche di Gian Piero Motti, per ben cinque giorni disperso tra quei monti nel giugno 1975.
    “Arriviamo a Breno ed entriamo nell’osteria di Cesarin dove già tante volte ero stato con Giampiero e con gli altri della banda […].
    È chiaro a tutti che si sta cercando ormai un cadavere; solo Cesarin è incrollabile nella sua fiducia in Giampiero e dice: ‘Domani alle 11 è qui’.”
    … … …
    Incredibilmente, il giorno dopo si realizzò la profezia: Motti ricomparve tra i vivi, forse con lieve anticipo sull’ora fissata.
    “Cesarin vede confermata la sua speranza ed è l’immagine dellla gioia.”

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