Mutazione genetica della “prima ascensione”

Mutazione genetica della “prima ascensione”
(già pubblicato su itacatheoutdoorcommunity.it il 19 ottobre 2020)

Prendiamo ad esempio l’ultima grande salita dolomitica, la prima ascensione di Space Vertigo sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo.

I primi salitori, le tre guide alpine Alessandro Baù, Claudio Migliorini e Nicola Tondini, ne dettero notizia a fine settembre 2019, dichiarando apertamente che non avrebbero considerato chiusa la loro avventura fino a che non fossero riusciti a salire tutte le 21 lunghezze di corda in arrampicata libera: fino a che cioè non si potesse affermare che Space Vertigo fosse stata salita in redpoint. Eppure la loro impresa chiudeva degnamente una lunga serie di tentativi, di su e giù per la parete, compiuti nelle estati tra il 2016 e il 2019.

Il vuoto di Space Vertigo

Una salita che possiamo definire, pur nella sua spettacolare modernità, di ordine classico, realizzata con un’apertura rigorosamente dal basso, senza l’uso di spit se non alle soste, bensì con i soli mezzi trad, cioè chiodi, nut e friend. Una salita che si affianca del tutto autonoma a itinerari storici come la via in ricordo di Jean Couzy, la Alpenliebe (con la quale ha in comune una sosta) e la via degli Svizzeri: condividendo con queste il vuoto più spaziale.

I tre primi salitori erano così sicuri della loro etica che non dettero neppure un nome al loro itinerario. O per lo meno non lo resero pubblico.

La loro perseveranza e la loro bravura sono state premiate il 12 settembre 2020, quando i tre hanno raggiunto la vetta della Cima Ovest dopo quattro giorni di salita continua, bivaccando in portaledge e riuscendo appunto a salire in libera tutte le lunghezze, con difficoltà di IX e IX+ su sette tiri, e di X- su una lunghezza. Solo cinque tiri sono sull’ordine del VI, mentre per il resto si parla di parecchi tiri sull’ordine dell’VIII/VIII+ e di uno di IX-. Solo l’ultima lunghezza, dopo la sosta in comune con la via Cassin, è di IV+.

Il primo giorno (9 settembre 2020) è stato caratterizzato da un inizio piuttosto difficoltoso, a causa dell’altissima umidità e dell’assenza totale di aderenza che li ha costretti a scendere dopo soli tre tiri liberati. Il giorno seguente però sono ripartiti e, con due notti passate in portaledge, sono riusciti nella libera dell’intera via: ogni tiro è stato salito in libera da capocordata da almeno uno dei tre. Solo in cima hanno battezzato la loro via, Space Vertigo.

La parete nord della Cima Ovest di Lavaredo con alcune delle vie presenti. In rosso è Space Vertigo; in verde, Alpenliebe; in viola, via in ricordo di Jean Couzy; in arancio, via degli Svizzeri; in bianco, via Cassin-Ratti.

Questa grande impresa porta a profonde riflessioni su come si siano evoluti l’alpinismo e l’arrampicata in generale. Probabilmente le giovani generazioni non vedono questi grandi cambiamenti: per loro è normale che non si possa e non si debba parlare di prima ascensione fino a che l’itinerario non sia salito interamente in libera. Ma per chi, come me e tanti altri, ha vissuto addirittura l’esperienza degli anni Sessanta, tutto ciò è decisamente rivoluzionario.

Anche se il primo a parlare di limitazione della tecnica e del materiale fu Albert Frederick Mummery ancora nel lontano fine Ottocento, il suo by fair means non è che sia sempre stato applicato, anzi. Fino a quasi tutti gli anni Sessanta non si badava ai mezzi, si era concentrati sul successo, sulla “vittoria” sulla parete: la prima ascensione c’era nel momento in cui si metteva piede in vetta, non importava quanti mezzi artificiali fossero stati usati.

I primi a ribellarsi a questa prassi furono indiscutibilmente Reinhold Messner ed Enzo Cozzolino, anche se molti alpinisti li seguirono subito e ne rafforzarono le tesi con scritti e opere. Sarebbe troppo lungo qui raccontare come e qualmente allora si cominciasse a parlare di assassinio dell’impossibile per l’uso eccessivo di chiodi e soprattutto di chiodi a pressione. Mi limito a osservare che fu in quel momento che la prima ascensione tradizionale cominciò a offuscarsi nei suoi valori di conquista, per focalizzarsi invece sul come questa venisse compiuta. Da quel momento, nei successivi cinquanta anni, cominciò un processo per il quale oggi non esiste quasi più itinerario storico, anche difficilissimo, che non sia stato salito in libera totale. Le notizie di prime RP (rotpunkt) hanno affollato le cronache alpinistiche: nel contempo si sviluppava l’arrampicata sportiva, una disciplina nella quale l’attaccarsi a una protezione era ed è considerata “fallimento”. L’alpinismo e l’arrampicata multpitch, arricchiti da questa nuova etica, proseguivano il loro cammino trionfale verso sempre nuove avventure. E, a sottolineare ancor più questa tendenza, ecco che l’arrampicata artificiale ha un’evoluzione tale da distanziarla in modo definitivo dall’alpinismo classico: sull’A5 e sull’A5+ non si parla neppure di libera!

Da sinistra, Nicola Tondini, Alessandro Baù e Claudio Migliorini in vetta alla Cima Ovest di Lavaredo dopo la libera di Space Vertigo.

E’ dell’inizio del nostro secolo XXI la tendenza a non considerare “aperta” una via se non dopo la sua salita in libera (rotpunkt o redpoint). Nel clima, spesso di competizione, delle élite gli apritori spesso hanno taciuto l’avvenuto termine dei loro lavori su un itinerario, per la paura che qualcuno soffiasse loro la “prima ascensione” precedendoli in una salita tutta in libera!

E questo dà la misura definitiva di quanto ormai la “prima ascensione” sia mutata geneticamente. Un cambiamento certamente positivo, che fa ben sperare nell’evoluzione ulteriore del gioco-alpinismo.

Mutazione genetica della “prima ascensione” ultima modifica: 2021-06-14T05:39:00+02:00 da GognaBlog

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19 pensieri su “Mutazione genetica della “prima ascensione””

  1. Ho scritto: un “quell’aspetto competitivo” senza specificarlo ma credevo fosse comunque capibile che intendevo quella parte relativa alle classifiche ove si determina un valore numerico alle prestazioni.Competizione c’è sempre stata anche in alpinismo, basti ricordare Cassin alla Ovest che soffia la salita agli svizzeri o sempre lo stesso alle Jorasses (non era solo Cassin eh… ).Tra i due caratteri di agonismo però ne passa…
    La libera delle vecchie artificiali è la fase 2 del mio primo post perché nelle relazioni i nomi degli apritori non saranno mai quelli dei ripetitori in libera che spesso vengono pure scordati dalle cronache.
    E come ho già espresso sui due post che ho scritto, le due situazioni vanno perfettamente a braccetto ma sarebbe interessante che venissero definite dagli apritori. 
    “L’obbligatorio è d’obbligo” di Larcher mise il “dito nella piaga” già nel 2003:“Più che l’8a della difficoltà massima (liberato da Rolando successivamente) è importante quel 7b obbligatorio che, a sentire Rolly, è alquanto diverso da altri dichiarati 7b su vie in questo stile. Insomma questa via, seppur breve, si candida come “manifesto” di uno stile che, ne siamo certi, è per ora riservato a pochi eletti.” /da Planetmountain

  2. la competizione c’è empre stata e anche piuttosto accesa, e siamo d’acordo.
    Sulla ri-creazione se non non interpretato male il concetto di Gogna, credo non riguardasse solo la ripetizione in libera  delle vie in artificiale. Ma di tutte le vie in genere anche quelle aperta in libera. Da qui si potrebbe risalire al concetto espresso da Hemmeng nel dare una relazione descrittiva  che dicesse solo attacco e uscita della via. Nulla di più, dove appunto la ri-creazione potesse veramente esprimersi ai massimi livelli.

  3. Certo Marcello, il concetto è proprio quello della ri-creazione ben espresso in “Cento nuovi mattini” e la ricreazione è personale finché non si tratta di prestazioni in linea con gli standard atttuali dove chi sale per primo e quindi la competizione c’è eccome.
    E non è soltanto un fatto mediatico ma esprime anche il vincitore di quella gara non scritta ma estremamente presente come già ho cercato di spiegare.
    E credo sia anche uno dei motivi per cui la libera ha preso il sopravvento sul resto: regole certe per tutti senza fraintendimenti.

  4. Il concetto mi sembra assimilabile a quello di ri-creazione che Gogna aveva introdotto in Cento Nuovi Mattini. Ovvero quello della ricerca di itinerari aperti in artificiale e spesso molto ripetuti, da provare in libera. All’inizio (fine anni ’70) aggiungendo qualche nut o exentric e poco dopo dotati dei nuovi friend a gambo rigido.
    La ripetizione in libera aggiunge sicuramente un grande valore alla stessa salita ma quello che ognuno di noi prova percorrendola, aiutandosi con qualche punto d’artificiale oppure no, rappresenta un vissuto personale interiore. Dal momento in cui se ne diffonde la notizia si entra (o cade) nell’ambito della competizione che Giovannino giustamente ha nominato. Almeno, a me sembra così. Ciao

  5. Mi sembra che siamo arrivati un po’ allo stesso punto, si sono mischiate le due anime di alpinismo e sport per arrivare infatti ad un alpinismo sportivo e senza il cambio di visione unito al compromesso non sarebbe cambiato poi molto…
    Su un concetto però non sono completamente d’accordo e cioè che nella salita di una via in realtà non non esista competizione.
    A me sembra che non sia mai stata scritta ma in realtà ci sia stata prima e anche con la libera ora è ben presente e non mi sento di dire che sia solo un fatto commerciale(mi spieghi cosa intendi quando dici che in realtà la competizione non esiste?)
    Sul fatto che non tutti spiegano bene come sono saliti prima di una libera sono perfettamente d’accordo ma perlomeno la rotpunkt finale è democratica: non ci sono fraintendimenti o si fa o non si fa…

  6. senza tener conto dei compromessi operati per la realizzazione.

    i compromessi c’erano prima e ci sono adesso.
    Solo che prima si raccontavano, facevano parte dell’ufficialità della realizzazione. Mentre adesso no, come non esistessero.

  7. “…contava più salire ad ogni costo che “come” salire,” 
    Parliamo fino agli anni ’70 perché poi le cose sono cambiate. Giovannino sei tu che citi Messner e l’assassinio dell’impossibile, che fu una delle chiavi che cambiò i concetti e portò in primo piano la bellezza della linea ed il superamento della difficoltà in libera.
    Tecnicamente il livello ha iniziato ad alzarsi ma malgrado allenamenti specifici, materiali tecnicamente avanzati e leggeri e quant’altro, l’obbligatorio che si è attestato su livelli molto alti rispetto al passato, lì si ferma… per passare a vista si deve trovare il compromesso…
    Quindi viene a mancare quell’aspetto competitivo che da sempre sì è cercato in alpinismo ma che in realtà non esiste e si da quindi spazio ad un concetto sportivo (difficoltà del grado in libera) più che alla grandezza della realizzazione alpinistica o si tende a mescolare i due aspetti, sempre per dare un volto competitivo che altrimenti non esiste, senza tener conto dei compromessi operati per la realizzazione.
    Quasi a voler cancellare il fatto che “ho usato un cliff” oppure “ho tirato un chiodo, altrimenti il rischio diventava troppo alto”, cosa peraltro non certo motivo di vergogna, anzi che sarebbe in grado di dare la metrica sul livello che si riesce oggi a raggiungere.Il mio discorso ovviamente non è riferito alla salita in questione dalla quale prendo solo lo spunto, perché come scrive anche l’articolo è un dato di fatto che attualmente si tenda, in generale, ad agire così. 

  8. che ci sia stato, GIUSTAMENTE, un cambio di metalità è evidente. La parete a tutti i costi era una violenza nei confronti della parete,   delle generazioni future e un raccontarsi delle balle.
    Credo però che mettere in primo piano, come valore assoluto,  la completa libera della via e non come la via è stata effettivamente aperta, sia un valore essenzialmente sportivo che non dovrebbe primeggiare. Perchè non racconta tutta l’esperianza della realizzazione.
     

  9. Nella fattispecie l’aspetto “sportivo” (se così vogliamo chiamarlo) ha preso sicuramente (e per me giustamente) il sopravvento ma credo che gli aspetti tecnologici non bastino a spiegare questo passaggio che ripeto credo sia avvenuto soprattutto per un cambio di mentalità e di rottura con modo di salire dell’epoca precedente dove contava più salire ad ogni costo che “come” salire.
    E’ cambiata soprattutto la visione e l’applicazione costante e totalizzante alla disciplina ha fatto il resto e pur con le molteplici sfaccettature etiche credo sia innegabilmente un passo avanti per il livello e il movimento dell’arrampicata su roccia.
    Questo miglioramento e innalzamento di livello  d’altra parte è sotto gli occhi di tutti e si manifesta in ogni ambito arrampicatorio ed alpinistico con il superamento degli standard delle precedenti generazioni (fondato naturalmente su ciò che è stato fatto prima perché ogni realizzazione non ha valore assoluto ma va inquadrata nell’epoca in cui è avvenuta).

  10. Stefano nessuno spit si /spit no.
    ho solo voluto dire che la natura per me centra poco. Vista la tecnologia usata.
    Caso mai centra una più raffinata tecnologia, un allenamento più sofisticato e capacità superiori di arrampicata, che permettono di lasciare sulla roccia meno attrezzatura.
    Se non ho capito male, ma ci sta, concordo con te sul fatto che la prestazione sportiva oggi,  ha preso il sopravvento, nel senso di maggiore considerazione, su quella alpinistica.
     

  11. No dai… ancora con spit sì e spit no…?La tecnica evolve e quindi è ovvio che anche in alpinismo questo sia un fenomeno irrefrenabile.Più che altro è da notare che negli ultimi vent’anni si è persa la valutazione etica degli itinerari e anche parlare di etica può assumere milioni di sfaccettature, visto e considerato che si fece un gran urlare al delitto nei confronti de “La spada nella roccia” in Marmolada perché aperta a spit, salvo poi accettare senza remore la “Larcher-Vigiani” solo qualche anno dopo…>A mio avviso come già scritto, ciò che andrebbe rivalutata è la prestazione alpinistica aldilà di quella sportiva e come detto l’una non elimina l’altra.Se scrivo VIII+ /A0 (7c), nulla toglie alle due differenti prestazioni ma anzi ne accentua l’importanza. Poi descrivere come siano stati realizzati i due risultati cambia sicuramente la valutazione in dettaglio della realizzazione e la pone nella giusta luce. 

  12. Come ribadisce Benassi è evidentemente un compromesso come ho già detto ma credo che il compromesso con la natura esista già dal momento in cui usciamo di casa in auto e forse già da prima.
    Ribadisco che la forma più pura di arrampicata resta il free solo ma detto questo o ci asteniamo o accettiamo tutti gli altri compromessi (corda, chiodi, spit, ecc..) che se vengono utilizzati con etica e buon gusto non trovo così disdicevoli.
    La mia personale idea che non pretendo certo sia l’unica è quella di salire con i compromessi come se fossi in free solo e cioè in libera o anche in free solo dove posso ancora permettermelo…
    E naturalmente ammiro chi riesce nelle libere difficili e/o nelle free solo per la perseveranza e il livello necessari per raggiungere certi obiettivi.
    Tutto qui.

  13. Direi semplicemente un cambio di visione maggiormente simbiotico con la natura che si è affermato negli anni,

    non vedo questo collegamento “maggiormente simbiotico” con la  natura.
    Si fora la roccia con il trapano, non proprio un attrezzo silenzioso
    si mette la  resina nella  roccia
    si scrivono con la vernice i nomi alla base delle vie
    si mettono frecce dove gli itinerari si incrociano
    si toglie la vegetazione perchè non estetica.
    soste attrezzate con catene per discese garantite in doppia.
     
    Vero l’uso di attrezzatura veloce, vedi i frends, permette di non lasciare traccia sulla roccia. E questo non guasta di certo.
    Ma non si può dire che il frends non sia un attrezzo tecnologico.
    Quindi in questa “evoluzione” la natura ce la vedo poco.

  14. La Via, un’opera d’arte dettata dai tuoi limiti oltre i quali muori se non ti metti a fare il carpentiere.

  15. Dopo la teoria di Messner su “l’assassinio dell’impossibile” risultò evidente che l’uomo-arrampicatore non poteva più accontentarsi di salire una via ma che doveva darsi un’etica nuova che valorizzasse non solo la componente mentale di coraggio e rischio(che da sola avrebbe portato alla scomparsa fisica della maggior parte degli alpinisti di punta) ma anche quella fisica e gestuale in un confronto alla pari con la roccia e la natura.
    Di qui il compromesso della corda e di protezioni decenti a proteggere la libera perché l’uomo non ha ancora le ali ed è evidente che la forma più pura di salire una via resta il free solo; appannaggio però di pochi eletti.
    Evoluzione?
    Involuzione?
    Direi semplicemente un cambio di visione maggiormente simbiotico con la natura che si è affermato negli anni, non a caso dopo le rivolte giovanili, e che ha cambiato le dinamiche con cui si affrontano le vie ben protette o meno.
    Appare evidente che quando i mezzi usati sono nel rispetto della tradizione si può parlare più di alpinismo che di arrampicata sportiva e, comunque la si veda, l’impegno che ne deriva in arrampicata libera è maggiore perché sarà comunque l’uomo, pur con le sue mediazioni, a doversi adattare alla natura e non viceversa.
    Quindi per me tanto di cappello agli apritori/liberatori di Space Vertigo come a tutti coloro che si ingegnano con corpo e mente nel ripetere una via in libera e non la considerano “fatta” finché non ci riescono.

  16. Nel caso 1, si chiama alpinismo, nel caso 2 si chiama sportiva…1 non esclude 2 ma definire 2 come se fosse 1 non lo considero corretto.

    Sono d’accordo

  17. Non entro nel merito dell’aspetto, secondo me filosofico, dell’articolo ma lo uso, solo per mettere davanti agli occhi dei molti “orbi per convenienza”, per ribadire il ruolo delle guide alpine nell’arrampicata negato da chi ha scritto e commentato su questo blog. 
    Lo so che questa non è l’arrampicata sportiva delle associazioni sportive dilettantistiche (solo per mascherare guadagni da non dichiarare), ma ugualmente coinvolge alcune guide alpine che per pura passione si allenano, si preparano e dimostrano elevate capacità tecniche e morali, al solo e puro scopo di arrampicare! 

  18. Facciamo due conti due…?
    1- sali la linea che hai visto, superi le varie difficoltà utilizzando tecniche diverse (artificiale/libera), concludi dando relazione corretta di come hai salito. Esempio: VII/A1 oppure VIII/ A0 oppure VI/A3.2- ripeti la stessa linea provando a liberare i tiri dando ka relazione della salita in libera integrale. Esempio: VII/A1 (7a) oppure VIII/A0 (7b) oppure VI/A3 (7c).
    Nel caso 1, si chiama alpinismo, nel caso 2 si chiama sportiva…
    1 non esclude 2 ma definire 2 come se fosse 1 non lo considero corretto.
    L’articolo cita Messner e Cozzolino ma i due scalavano con l’intento di non fare compromessi, qui invece i compromessi si cercano già in partenza.
    Evoluzione? Direi piuttosto involuzione.
    1- risultato alpinistico
    2- risultato sportivo (malgrado sia salito con mezzi tradizionali, soste escluse).
    Quindi arriveremo dove?
    Da un bel po’ di tempo si celebra di più chi ha salito in libera un itinerario già addomesticato (anche se magari solo parzialmente) piuttosto di riconoscere il valore della salita alpinistica e quindi del primo salitore che ha visto, progettato e poi compiuto la salita. 
    Che ci sia di mezzo quella condizione di stravolgimento dei risultati dato da foto eclatanti utili ai fini pubblicazione social e mercificazione delle aziende produttrici per vendere ai gonzi e beccarsi qualche sponsor? Nulla di male ma chimiamo le cose per come sono senza farle apparire diverse.
    In ogni caso complimenti per la fase 1 e complimenti anche per la fase 2. 

  19. La procedura seguita – ripetizione in libera – prima di permettersi di aver salito una nuova linea a mio parere ha grande valore in quanto atto creativo non presente nella tradizione. Ma considerarlo rivoluzionarlo per la tradizione mi pare  contraddica lo spirito essenziale di questa, l’esplorazione, per sostituirlo con uno più temporale, filosportivo.
    Quando si salirà senza fix alle soste, con sicura a spalla la qualità umana avrà toccato punti ancora più alti, ma non penso si possa dire che in essa è implicito un nuovo alpinismo.

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