Nella e Bruno Detassis, appassionati sciatori
di Carlo Crovella
Ho una libreria talmente affollata e, purtroppo, un po’ disordinata (particolare inconsueto per me), che spesso mi dimentico di possedere determinati libri. Mi capita di cercarne uno e invece mi imbatto casualmente in un altro testo, che magari non aprivo da tempo immemore.
Quando accade ciò, mi prende una specie di nostalgia: metto da parte il libro trovato “casualmente” e, appena posso, lo rileggo a fondo con gusto.
Recentemente tutto ciò è successo con un libro dedicato a Bruno Detassis, il Re del Brenta. Il libro si intitola: Bruno Detassis e le sue vie ed è opera di Omar Oprandi (Idea Montagna, 2010).
L’autore descrive il modo davvero singolare con il quale ha reso omaggio a Detassis: ha ripetuto le vie di arrampicata aperte da Bruno, raccontandole poi nel libro, con tanto di accurata descrizione del personaggio.
In effetti Detassis è un tassello molto importante nella storia dell’arrampicata dolomitica degli anni ’30. Con il compagno di cordata Ettore Castiglioni ha formato un binomio formidabile. Bruno ha però arrampicato anche con altri compagni di rilievo, fra cui il fratello Catullo.
Brenta Alta, Cima Tosa, Crozzon di Brenta (Via delle Guide), Croz dell’Altissimo: nomi che lasciano senza fiato ogni alpinista. Nomi che da soli bastano per identificare il “brand” alpinistico di Detassis.
L’appellativo di Re del Brenta gli deriva, oltre che dalle imprese alpinistiche, anche dalla lunga gestione del rifugio Brentei, proprio sotto le “sue” pareti.
La prima conseguenza della ri-lettura del libro citato è stato che mi è venuta voglia di rimettere i polpastrelli sulle crode dolomitiche. Ma occorre rinviare quanto meno alla prossima estate e, con la stagione sciistica che incombe (innevamento permettendo) la mia curiosità si è invece spostata verso l’attività sciistica di Bruno.
Infatti accanto al Detassis arrampicatore esiste anche un altro Detassis, quello sciatore e poi scialpinista. Bruno insegnava a sciare già negli anni ’30 (esercitò anche al Sestriere, dove si radunava la crème del momento: dai Savoia agli Agnelli) e, dopo la guerra, è stato protagonista della prima traversata sciistica delle Alpi (1956).
L’idea originaria di tale traversata risale ben in là nel tempo e fa riferimento a personaggi di calibro come Marcel Kurz, Ottorino Mezzalama e Léon Zwingelstein.
Il progetto specifico del dopoguerra deriva da un’iniziativa del milanese Alberto Righini che, nel 1955 a Madonna di Campiglio, ne parlò con Bruno e Catullo Detassis ed anche con Walter Bonatti, che in tale periodo si stava preparando, proprio in quella località, per gli esami da maestro di sci.
Come è noto, negli sviluppi successivi l’iniziativa sfuggì di mano ai vari personaggi e si creò una sensibile competizione fra il terzetto Bruno-Catullo-Righini da un lato e la compagine di Bonatti con altri compagni dall’altro.
Bonatti partì da Tarvisio qualche giorno dopo gli altri e rincorse a lungo la squadra di Detassis. Causa maltempo le due compagini si incontrarono al rifugio Maria Luisa in Val Formazza (Ossola) e decisero di accordarsi (con tanto di testo dattiloscritto e firmati da tutti i partecipanti) per proseguire insieme, pur con indipendenza organizzativa, fino al Col di Nava.
Questo noto episodio è però il solo punto di partenza per comprendere la personalità sciistica di Detassis: per approfondirla maggiormente mi sono messo a fare ulteriori ricerche.
Ne ho anche parlato con l’amico Giorgio Daidola (il papà di Dimensione Sci, l’annuario “bianco” della Rivista della Montagna, uscito per 17 anni consecutivi) che mi ha ricordato di aver effettuato una gita scialpinsitica insieme a Detassis nella primavera del 1992, riportando l’episodio in un box pubblicato a latere dell’articolo relativo al generale tema della Traversata delle Alpi in sci (Dimensione Sci 1992).
Per descrivere quella giornata non c’è modo migliore che lasciare direttamente la parola a Giorgio, che ringrazio espressamente per il suo prezioso contributo, anche fotografico.
Una giornata in sci con Detassis
di Giorgio Daidola
(Dimensione Sci, dicembre 1992)
«Le spalle devono stare sempre sugli sci, che non devono essere tenuti troppo uniti. A seconda della neve, si allarga o si stringe, si scia come si cammina insomma…».
Sono parole del “maestro di sci” Bruno Detassis, ripetute chissà quante volte sui campi di neve di Sestrière prima e di Madonna di Campiglio poi. Ma non meno utili ai suoi allievi di oggi, che fanno parte della redazione di Dimensione Sci, durante questa scialpinistica verso Cima Roma, nel gruppo del Brenta.
Neve primaverile ottima in alcuni punti, insidiosa in altri, dove le tarde nevicate hanno impedito una completa trasformazione.
Bruno scende con gran sicurezza su questo terreno che conosce palmo a palmo, sfruttando le esposizioni migliori. Solo quando giunge sulle piste battute si lascia andare e allora diventa veramente difficile stargli dietro!
Anche in salita non era stato facile seguirlo con la macchina fotografica pronta a scattare: Bruno procedeva deciso ed elastico, a falcate lunghe e ritmate, e ci invitava a non perdere tempo perché «la neve cambia in un attimo».
In cima,dopo essersi tolto velocemente le pelli, ci aveva fatto notare — ecco la “guida alpina” Bruno Detassis — che dentro lo zaino «ci deve sempre essere la cassetta di pronto soccorso».
Più in basso, dí fronte ad un buon bicchiere di vino e un piatto di affettati nell’accogliente rifugio Graffer, Bruno ci parla del suo sci, del suo incontro a Sestrière con Nella Christian, con la quale ha appena festeggiato il 54° anniversario di matrimonio (siamo nel 1992, NdR), delle sue discese con Hans Nöbl (l’Arcangelo delle Nevi), dell’esame da maestro con Leo Gasperl come istruttore: una vita da grande sciatore, insomma, anche se meno nota di quella del Detassis arrampicatore.
Una vita che gli ha dato anche delle amarezze, come quella caduta che arrestò i successi in nazionale del figlio Claudio, bravissimo in libera, per non dire della scomparsa del fratello Catullo, con il quale Bruno condivise il successo della Traversata delle Alpi descritta in queste pagine.
A Madonna di Campiglio, di fronte a un boccale di birra nell’accogliente salotto della pensione-albergo «costruita con le mie mani, un po’ per volta, compresi tutti questi pezzi forgiati», si parla di sci di ieri e di oggi, leit motiv di questo Dimensione Sci.
«Quando c’è la neve» dice Bruno, «vado a sciare ogni mattina: fondo, scialpinismo, pista… Mi piace fare un po’ di tutto, oggi come ieri. Oggi poi, con questi nuovi sci» prosegue mostrando orgoglioso un paio di bellissimi Vampire da 200 cm regalatigli dal figlio Claudio, «sciare è diventato facile».
Riprendo la parola oggi per ricordare che, all’epoca (1992), Bruno Detassis aveva 83 anni e sua moglie 84.
Mi piace inoltre sottolineare che al tempo (27 anni fa) si sciava egregiamente con i 2 metri. Poche settimane fa sono andato, per curiosità, a vedere le novità sciistiche della stagione 2019-20 e mi hanno detto che uno come me (1,80 di altezza, 80 kg circa) deve sciare con i 170, massimo 175. Evidentemente gli sci sono completamente cambiati, nei materiali, nella struttura e nella forma, ma certo è che non so quanti sciatori di oggi saprebbero “cavarsela” con i 2 metri.
A parte questo dettaglio di costume, torniamo al tema principale. Cercavo informazioni sul Detassis sciatore, ma nelle parole e nelle foto di Daidola mi attendeva anche un’altra bella sorpresa: mi sono imbattuto nella figura della moglie di Bruno, Nella Christian di Trieste, anche lei in gioventù appassionata sciatrice.
La sua storia è avvincente, anche per la lunga condivisione di vita con Bruno. Non conoscevo nulla di lei e quindi mi ha molto incuriosito.
Ho rintracciato un articolo del 2014 che descrive magistralmente Nella Christian Detassis e quindi non mi dilungo oltre. Il personaggio merita la lettura successiva.
Mi limito però a sottolineare che l’articolo riportato offre anche lo spunto per ricordare un altro importante triestino, gran appassionato di cultura alpina: Spiro Dalla Porta Xydias, scomparso all’inizio del 2017 proprio a ridosso dei 100 anni anagrafici.
Nella Detassis, la donna di mare pioniera dello sci
di Elena Baiguera Beltrami
(pubblicato sul Giornale del Trentino, 14 agosto 2014)
La montagna coniugata al femminile è forse la più inedita e segreta. L’onore e l’onere di raccontarla è affidato al filosofo e alpinista triestino Spiro Dalla Porta Xydias, che con Alessandra Possamai oggi (14 agosto 2014, NdR) alle 17.30 nella Sala della cultura di Madonna di Campiglio per le sezione Incontri del festival “Il Mistero dei Monti,” ripercorrerà la figura, le scelte, il vissuto di una indimenticabile donna delle Dolomiti di Brenta: Nella Christian Detassis.
Moglie di Bruno Detassis, madre di Jalla e Claudio, compagna di una vita, di gioiose rinunce, di memorabili imprese e fedeltà alla montagna e ai suoi richiami.
Nella in realtà non nasce in montagna ma al mare, a Trieste, nel 1909, nella città al centro in quegli anni di un fermento culturale straordinario. Ormai porto franco, vivace crogiuolo di lingue, crocevia di incontri artistici nei prestigiosi caffè letterari, Trieste è la culla che accoglie e nutre il genio di Italo Svevo, la poesia di Umberto Saba, la narrativa James Joyce.
Il padre di Nella, segretario della Camera di commercio triestina, non ostacola le passioni sportive e le inclinazioni linguistiche della figlia, la quale dopo il liceo soggiorna spesso a Londra e a Parigi, opportunità a dir poco rare per quei tempi.
Campionessa di nuoto e appassionata di sci nel 1934 è al Sestrière, dove Bruno arriva chiamato da Hans Nöbl, direttore della Scuola nazionale di sci.
Elitario, un po’ snob, lo sci era il vezzo del momento e tutto il bel mondo dell’epoca, dalla famiglia Agnelli agli eredi Savoia, prendeva lezioni al Sestrière.
Sull’alpe piemontese Nella diventa la prima maestra di sci italiana, mentre Bruno da istruttore qualificato si fa apprezzare dall’alta borghesia.
Volitiva, granitica, determinata come solo le triestine sanno essere, Nella si impone anche a livello agonistico e da campionessa italiana entra nella Nazionale di sci alpino.
Difficile resisterle, per quella sua risoluta destrezza ma anche per gli incredibili occhi azzurri incastonati in un visetto arguto e sempre sorridente.
Nel 1939 il grande passo, Nella decide di abbandonare per sempre Trieste e i privilegi, per quanto austeri, di una famiglia agiata, per seguire Bruno sulle montagne del Brenta.
Poco importa se lo stile di vita cambierà radicalmente: figlio di un falegname, Bruno Detassis è di famiglia modesta e Trento non è Trieste. Quando Bruno, lo stesso anno, è chiamato a dirigere la Scuola di sci di Madonna di Campiglio, Nella è al settimo cielo, sa che potrà continuare a insegnare, a sciare e a parlare le lingue d’estate, come receptionist all’ufficio del turismo.
Tra i due l’intesa è perfetta, Nella è una donna senza fronzoli, con il piglio fiero e consapevole di una che con la montagna ha deciso di dividere tutto: amore, fatica, asperità, soddisfazioni.
L’8 settembre del 1943 Bruno Detassis è in montagna con i commilitoni quando apprendono la notizia dell’armistizio. Si pensa di sciogliere le righe e tornare a casa per vie traverse, ma il capitano ignaro di quanto li attendeva decide di rispettare il protocollo e far rientrare tutti in caserma. Ad attenderli un manipolo di soldati tedeschi, ragazzini con il mitra spianato ai quali Bruno non se la sente di opporre resistenza. La tradotta dei deportati parte per le miniere di sale di Oerbke, nei pressi di Hannover.
Nella per due lunghissimi anni non avrà più notizie. A Madonna di Campiglio allora arrivavano in convalescenza soldati britannici e neozelandesi, ai quali insegnava a sciare e ai quali chiedeva insistentemente notizie. Anche al passaggio dei partigiani, rifornendoli di viveri e coperte chiedeva continuamente notizie che non arrivavano mai. Fino a quando nel 1945 la guerra non le restituì un uomo scarno, che in miniera aveva anche perso mezzo polmone.
Da quel giorno hanno sempre vissuto a Madonna di Campiglio e nel 1949 la famiglia, alla quale spesso si univano i fratelli di Bruno, Giordano e Catullo, prese in gestione il Rifugio Alberto e Maria al Brentei.
Il resto è storia recente, una letteratura di montagna che ha incoronato Bruno Detassis come Re del Brenta, certamente per averlo scalato in lungo e in largo, ma principalmente per quel suo etico, altruistico e incrollabile senso del dovere che veniva sempre prima di qualsiasi impresa.
Nella se ne è andata qualche anno prima del marito, nel 2002 (Bruno, invece, nel 2008, NdR), ma resta negli annali della sezione XXX Ottobre del CAI di Trieste che alla sua figura di pioniera ha dedicato un toccante ricordo.
Soprattutto, rimarrà nella memoria di chi l’ha conosciuta, di chi ha potuto apprezzare quella sua giovialità elegante, il discorrere attento e colloquiale, la stretta di mano sincera e il volto sempre illuminato da un sorriso.
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Aveva occhio non solo nella scelta della via su roccia… diciamolo!
Caro Alessandro voglio ringraziarti per i ricordi che mi hai regalato leggendo il tuo articolo. Ho scalato tantissimo in Brenta e spesso Bruno mi ha ospitato ( molto giovane con pochissimi soldi ) Poi da più adulto sono andato spesso nel loro albergo ed ho conosciuto Nella. Era sempre un pochino aristocratica ! Ma che pace si respirava in quella casa. Grazie per avermi fatto rivivere forse i momenti più belli della mia vita . Gabriele Iezzi
Alcune guide, poche, sono state capaci di mantenere la passione nonostante tutti i compromessi e l’ipocrisia che richiedeva loro la professione che avevano scelto e spesso maturando (invecchiando) avevano cambiato il loro modo di guadagnare denaro. Ora non so.
Bruno è sempre rimasto un sincero appassionato e lo si notava subito da come comunicava coi giovani, guidandoli, esortandoli e rimproverandoli.
Poi anche lui aveva un bel caratterino !!! 🙂
Ho tanti bei ricordi e qualche “sculacciata”.
Lodava Graffer sempre.
«Va’ dove ti porta il cuore» (a proposito del commento n. 2).
… … …
Consiglio rivolto a tutti i giovani.
Per noi ragazzi conoscere il Re del Brenta , un vero mito, fu un premio. Sapere, che mentre si saliva la sua via più famosa, ci teneva d’occhio dal rifugio con il binocolo, fu uno stimolo a fare bene.
Che belli questi articoli “evocativi”!
I Vampire Authier da 200 cm erano delle putrelle per cui occorrevano delle gambe che oggi non so oggi quanti freeriders avrebbero.
L’accordo tra Bonatti e Righini pur sembrando cinico in realtà mostra molto buon senso. Spesso molti credono che altruismo e cameratismo siano sempre presenti (o debbano esserlo) quando si tratta di montagna. Invece spesso la sopravvivenza delle persone o di un progetto dipende da quanto si è pianificato e dalla sovente impossibilità di apportare modifiche.
Infine mi sono ricordato di un campionato di sci delle guide alpine a Cortina del 1986 quando ero uno sbarbatello aspirante guida cittadino e per di più genovese (quasi un affronto al mondo alpino delle guide) e mi ritrovai in partenza con al fianco alcuni miei eroi letterari che lì erano divenuti incredibilmente realtà perché ero un loro “collega”.
Detassis, Soldà, Lacedelli, Senoner, Alverà e altri bei “dinosauri”erano lì a divertirsi come ragazzini. Esattamente come me, che ragazzino lo ero davvero.
Iniziai presto a capire che il mondo delle Guide Alpine (e qui lo scrivo volutamente maiuscolo alla faccia di Panzeri e Visentini) non era fatto di persone che ne accompagnano altre sui monti dietro pagamento monetario, ma di appassionati al massimo livello di passione, che pur di condurre quell’esistenza da saltimbanchi (allora più di adesso) avrebbero fatto carte false. E si vedeva nei loro occhi e nei loro gesti. Non l’ho mai dimenticato, come fosse un insegnamento di un maestro assoluto e mi ci sono trovato benissimo. Augurerei a chiunque di potere vivere una vita da guida amando il proprio lavoro più d’ogni altra cosa dopo le persone importanti.
Ho conosciuto Bruno Detassis nell’estate del 1985 quando scappando dal brutto tempo del monte Bianco arrivammo al rifugio Brentei .
Ripetemmo la via Aste-Miorandi allo spallone del Basso e poi via delle Guide al Crozzon. Naturalmente chiedemmo lumi sulla via felle Guide al Bruno. Lui ci rispose che bastava seguire il facile nel difficile.
Poichè ricorreva il cinquantenario dell’apertura della via, ci regalò una bottiglia di vino con tanto di etichetta che festeggiava la ricorrenza “via delle Guide 1935-1985 e anche un piccolo chiodo.