Noasca Diamond
di Andrea Giorda
(pubblicato su caitorino.it il 7 luglio 2020)
Voglia di Orco? Noasca Diamond!
Cos’è Noasca Diamond? Una nuova via che sale per 350 metri di sviluppo e 15 tiri, ad appena 15/20 minuti dal parcheggio di Noasca.
Arrivati in cima si scende rapidamente alle macchine dal comodo sentiero di Pian Rocci. Anche se aperta da due pensionati ultrasessantenni, non vi inganni, è una via vera di un certo impegno ed è un campionario della scalata in valle Orco.
Roccia stupenda, placche, fessure, muri e un panorama mozzafiato sulla Valle, alta e bassa. Pur non essendo su una delle pareti più famose, crediamo che possa essere una valida e divertente alternativa alle vie più blasonate e diventare una via molto ripetuta.
L’ingaggio è volutamente ridotto al minimo, Claudio Battezzati ed io, gli apritori, abbiamo ricevuto tanto da questa Valle e volevamo fare qualcosa che fosse un richiamo per chi non si sente di andare sulle vie più esposte, ma vuole godersi una giornata su questo magico granito.
Attenzione però, dove ci sono fessure evidenti non ci sono spit o sono molto radi, occorre saper mettere i friend, dosandoli con cura. Siamo in Valle dell’Orco!
La particolare struttura di questa parete a salti e un sentiero che la attraversa, permette diverse combinazioni a moduli.
Per rendere simpatico il gioco abbiamo diviso la via in tre parti La Bronze, La Silver e La Gold. Solo se si fanno tutte e tre di seguito vi fregiate del Noasca Diamond!
Se siete placchisti, refrattari ai friend, vi lanciate, solo con i rivii, sulle spettacolari placche della Bronze. Un mare di placche dal colore rossiccio, tipo Grimsel, lisciate dall’antico ghiacciaio che qui premeva e faceva la curva lasciando ben pochi appigli.
Potete quindi scendere dal sentiero paghi o avventurarvi sulla Silver, che riserva tutto il campionario del granito, placche, fessure da proteggere, muri. Dalla Silver volendo si scende con tre veloci doppie sul sentiero.
Riassumendo potete fare solo La Bronze, La Bronze e La Silver, o se non amate le placche solo La Silver. Avete mal di testa? Non è finita perché gli ultimi tiri, altrettanto meritevoli sono quelli della Gold, riservati a quelli che vogliono mangiarsi tutta la parete, esplorarne la fine e la vista a volo d’aquila sui tetti di Noasca.
Erano anni, che con una birra in mano seduto davanti al Bar di Sabrina sulla piazza di Noasca, guardavo queste strutture e mi immaginavo una linea. Chi ha il tarlo dell’apertura va in automatico e con lo sguardo vaga e vede tracce di continuo. Devo dire che da sotto immaginavo una sequela di placche ammuffite con qualche bel passaggio ogni tanto, e sinceramente non è il mio genere.
Su queste pareti esistevano già brevi vie di Perucca vicino alla cascata, una di Fausto Aimonino su bellissime placche, sistemata potrebbe essere interessante e una via lunga 200 metri, Follie per Moana, aperta dal dream team Manlio Motto, Rinaldo Sartore, Roby Perucca e S. Mantoan nel 1992. Via impegnativa per l’obbligatorio e che necessiterebbe di una decisa spazzolata e nuovi cordoni per le soste. Gli spit, anche se un po’ anneriti, sembrano ancora buoni.
Il nome ricorda la mitica Moana Pozzi, che sdoganò con la sua intelligenza e ironia il porno, arrivando in TV a presentare programmi per le famiglie. Erano anni meno bacchettoni dove Cicciolina, sua alter ego in nude-look floreale e voce suadente da bambina si fece eleggere alla Camera dei deputati nelle file dei Radicali, grazie a quel volpone di Marco Pannella.
In questi anni di asfissiante politically correct, privacy ossessiva, che ritiene materiale morboso anche una foto di compleanno di vostro figlio con i suoi amici davanti a una torta, si sente un po’ di nostalgia per qualche innocente e sagace trasgressione, viva dunque Follie per Moana.
Queste vie, per vari motivi, non sono mai decollate, subendo la concorrenza della vicina Torre di Aimonin.
Nell’autunno 2019 ho proposto a Claudio una ricognizione su queste pareti sopra al piazzale di Noasca. Con Claudio siamo reduci dalla bellissima avventura al Cateissard in Valle di Susa. Con sfumature diverse su una cosa siamo assolutamente solidali, la ricerca della qualità. Qualità nella linea e nell’attrezzatura, il tutto deve avere un senso e un’armonia o si rinuncia.
Claudio ha aperto vie splendide come Miroir Doc al Sergent ed io ho iniziato ad aprire vie in Valle dell’Orco nel 1979, il Diedro Atomico e Sitting Bull, poi Nautilus e proprio qui sopra Aldebaran al monte Castello come raccontato di recente nell’articolo Generazione Sitting Bull. Quelle erano vie dove ci si giocava il due di picche con un certo rischio, non esistevano neanche i friend, si spingeva al massimo, erano avventure alla ricerca del proprio limite e della prestazione.
Nell’ultimo quarto della propria vita, fare regali è più piacevole che riceverne, quello dei vent’anni era il tempo dell’Avere, del capire chi sei e dove puoi arrivare. Ora è il tempo del Dare e della condivisione, l’obiettivo di Noasca Diamond è realizzare un progetto che permetta a tutti di divertirsi e conoscere questi posti a noi cari.
I tantissimi che hanno scalato i 400 metri della via A volte ritornano alla Punta Phuc al Monte Castello, aperta di recente, sono una dimostrazione che questo è possibile. Idealmente Noasca Diamond è la parte bassa e farle entrambe in un super–weekend, con sosta al romantico rifugio di Noaschetta, regala complessivamente 750 metri (!) del più bel granito, perfettamente attrezzato, in un ambiente magico e relativamente a bassa quota. Ideale per chi viene da lontano, raro trovare una combinazione simile e così accessibile sulle nostre alpi, potrebbe essere la combinazione Noasca Platinum per continuare il gioco.
Trovare la linea giusta per quest’ultima via non è stato affatto semplice, ma cosa c’è di più bello di scovare il “Diamante” nella sabbia, dove apparentemente non c’è nulla che valga la pena. Non amando le placche, nell’autunno 2019 ho convinto Claudio inizialmente ad esplorare tutta la parte sinistra che è solcata da varie fessure, ma l’arrivo di piogge torrenziali ci hanno scoraggiato, mettendo in evidenza quanto siano soggette al bagnato. Stavamo per rinunciare.
Piano piano però, si è fatta largo l’idea di seguire linee più asciutte spostandosi all’estrema destra. Con grande sorpresa scopriamo una via molto più continua di quello che si poteva immaginare da sotto. I tiri sono sempre collegati l’uno all’altro, alcuni splendidi e ciliegina sulla torta, dalla cima si scende rapidamente per un comodo sentiero.
Dopo tanto vagare è lei il nostro “Diamante di Noasca”, con Claudio scherziamo, se è meglio la Bronze o la Silver, come dire se è meglio la crema o il cioccolato a ognuno la sua.
Se lo puoi sognare lo puoi fare! Divertitevi! Questo è il nostro augurio e la ricompensa di tanto lavoro.
Relazione tecnica
Noasca Diamond: Bronze, Silver e Gold
Via modulare di 350 metri di sviluppo e 15 tiri ad appena 15-20 minuti dal Piazzale di Noasca con rapida discesa a piedi su sentiero. Spettacolare e da non perdere per chi vuole conoscere lo splendido Gneiss della Valle dell’Orco o per chi ha già scalato le altre classiche. La tipologia è singolare nella bassa valle, per lunghezza, comodità, omogeneità del grado (intorno al 6c) e stili di arrampicata che variano di continuo. Per lo scalatore medio portare casa i 15 tiri di Noasca Diamond equivale ad un bel diploma di scalata su granito.
Sono possibili diverse combinazioni. La via è idealmente suddivisibile in tre parti:
1) I tiri dall’1 al 4 sono La Bronze, un piccolo gioiello di placca, scalabile con una corda da 50 metri e 14 rinvii, moschettoni a ghiera e cordini per sosta. Discesa a piedi dal sentiero. Grado max 6c+ obb. 6b anche se quasi tutta azzerabile per chiodatura generosa che permette sempre di osare la libera in tranquillità. Roccia particolarissima tipo Grimsel (Svizzera), liscia e color bronzo, senza le tipiche rugosità dello Gneiss grigio di queste parti. Alcuni passi sono un atto di fede nelle vostre suole, che incredibilmente terranno.
Discesa a piedi 10 minuti dal sentiero.
2) I tiri dal 5 all’11 sono La Silver, tutto il repertorio del granito, divertimento puro, placche, fessure, diedri e muri a tacche. Due corde da 60 metri, cordini, moschettoni liberi, moschettoni a ghiera per soste. 14 rinvii (di cui 4 o 5 coppie di moschettoni con cordino allungabile, meglio per protezioni mobili). Una serie di friend fino al 4BD doppi il 3,2,1,0,75.
Questa attrezzatura è consigliata per l’arrampicatore medio e per non esagerare con il peso. Poi ognuno deve regolarsi come crede. Grado Max 6c, i tratti a spit sono chiodati ravvicinati, spesso azzerabili. I tratti da proteggere a friend possono essere lunghi, ma di facile posizionamento grazie alla tipica conformazione del granito. Per cui un vero obbligatorio non c’è mai. Occorre saperli dosare con una buona strategia, la percezione di sicurezza è individuale.
Sui tratti a friend occorre avere le corde separate in modo da moschettonare singolarmente le protezioni mobili a destra e sinistra (non rinviarle con tutte e due le corde!). Portarsi almeno 4/5 rinvii fatti con moschettoni e cordino allungabile all’occorrenza. Per chi è abituato al trad son consigli banali, ma per chi è alle prime armi si evita di avere dopo un po’ un Tir attaccato all’imbragatura o friend che lavorano in orizzontale.
Discesa con tre doppie veloci.
3) I tiri dal 12 al 15 sono La Gold, ambiente stupendo, giardini sospesi a picco sui tetti di Noasca. Scalata come sempre varia e divertente, roccia splendida. Materiale come per la Silver essendone la continuazione.
Grado 6c+, 6b obbligatorio, chiodatura generosa come per il resto della via. Fessure da proteggere.
I gradi dei tiri da proteggere saranno considerati dai più esperti un po’ generosi, ma chi non è abituato ha una percezione di difficoltà superiore.
Discesa a piedi per comodissimo sentiero, 35 minuti. Non scendere in doppia, è lungo e complicato, in quanto il tiro 12 è un lungo traverso pressocché in piano e la vegetazione può disturbare.
Ovvio che la Bronze e la Silver possono essere fatte insieme o indipendentemente, in quanto un sentiero attraversa la parete alla fine della Bronze. Un consiglio solo per voi (!), se volete farle insieme, potete portare preventivamente il grosso dell’attrezzatura (Friend) alla base della Silver in pochi minuti di sentiero, così ridiscesi, vi scalate la Bronze scarichi e in piena libertà di movimento. La via è stata attentamente ripulita ma in 350 metri è normale che qualche presa possa richiedere qualche passaggio per diventare ottimale.
Può dire di aver scalato il Noasca Diamond, chi fa tutte e tre le vie di seguito, un bel gioco e una bella scorpacciata di arrampicata Orco Valley style, avendo la conferma di saper scalare su tutti gli stili del granito.
Raccomandati casco e tutti gli accorgimenti di sicurezza per una via di montagna. Seppur con obbligatorio basso, ambiente ameno e ritirata facile, la difficoltà è media e anche se addomesticata dalla chiodatura le difficoltà sono costanti, non per principianti. Occorre scalare con buona tecnica sul 6c per divertirsi.
Specie per chi viene da lontano, una splendida abbinata è il Weekend Orco Valley. Il sabato Noasca Diamond e la domenica A volte ritornano alla Punta Phuc con pernottamento al romantico Rifugio di Noaschetta (chiavi a Noasca) raggiungibile in breve proseguendo per il sentiero Minetti.
Insieme fanno una scorpacciata di 750 metri di granito perfettamente attrezzato e poco ingaggiato, in un ambiente da sogno, sempre azzerabile o con spit o con friend. Tutto relativamente a bassa quota. Potrebbe essere per stare al gioco il Noasca Platinum?
Periodo: per la felice esposizione a sud, Noasca Diamond può essere scalabile tutto l’anno, anche d’inverno quando non c’è neve e la temperatura è mite. In apertura, a gennaio 2020 era ideale per scalare. In piena estate attaccate molto presto, le placche della Bronze con il caldo possono diventare assai ostiche. Evitare i periodi dopo le piogge, alcuni tratti tendono a restare bagnati. La Silver si asciuga prima delle altre.
Bronze
L1 Il tiro della sveglia 5c
L2 Uno dei passi più difficili della via, delicatissimo, soluzione da intuire 6c+
L3 The perfect slab, una placca dall’estetica superba e color bronzo 6c
L4 Tiro di uscita della Bronze ancora difficile e bello 6c
Possibile discesa dal sentiero. 10 minuti all’attacco.
Silver
L5 Tiro divertente con tettino, da integrare 6b
L6 Partenza trad, bella fessura diagonale e poi placca a piccole tacche, difficile 6c
L7 The Coffee Crack, siamo a metà via, alla pausa caffè, che si presenta come un diedro fessura in puro stile Orco Valley, mai veramente difficile, ma tutto da proteggere a friend. 6b+, grande godimento. Spostatevi ad assicurare il primo alla sosta 7bis.
L8 Offwhidth Crack, non ci facciamo mancare nulla, breve fessura camino laboriosa da impostare. Tipico passaggio su granito con fessure larghe. Tutto Trad tranne partenza, utile il 4 BD ma non indispensabile, 6b+
L9 The Wall muro spettacolare, un tiro da Grand Capucin, da scalare rilassati, tutto a spit tranne un friend volendo in partenza. Lasciate poi i friend al secondo. Una sequenza di tacche e diedrini vi portano al difficile passo per arrivare in catena 6c.
L10 The Crocodile Crack, dovrete mettere le vostre mani nella bocca del coccodrillo per venire a capo di questa lunga e rossiccia fessura orizzontale, in pieno volo sui tetti di Noasca. Un vero gioiello estetico naturale. Il rettile sdraiato aprirà le sue fauci per farvi arrivare in sosta dove termina Follie per Moana, la via di Motto e soci. Lungo tratto trad con passo che richiede tecnica e decisione, armatevi di nuovo dei friend. 6c. Due spit, alla fine della prima parte della fessura sono stati messi per un eventuale soccorso, essendo un traverso, ma chi ha più tecnica può ignorarli e farla tranquillamente tutta in green point.
L11 Partenza su placca liscia e divertente poi muro aggettante con allunghi e pochi riposi, tutta protetta a spit. Qui, sulla cengia termina la Silver. Potete con tre doppie veloci a piombo e lineari (non sulla via di salita) raggiungere il sentiero, 6c.
Gold
L12 Se siete veri uomini, e la sete di avventura non vi abbandona… e neanche la pelle sulle dita, proseguite per l’ultimo stadio, La Gold. Questa prima lunghezza è su cengia, posto bellissimo ma privo di difficoltà per raggiungere con lungo traverso a sinistra, quasi camminando, l’ultima porzione di parete.
L13 The Roof Garden, tiro molto divertente e vario con partenza trad ed uscita mista a friend e spit su placca luminosa e aperta. Arrivate in un posto incantevole, il giardino sospeso da cui vedrete il Courmaon con lo spigolo Gervasutti, la Levanna e il Col Perduto e tutte le famose pareti della Valle dell’Orco nella gola di Balma Fiorant, il Caporal in grande evidenza. Le baite come disseminate qua e là sull’erba smeraldo. Vale la pena di arrivare quassù, difficile andar via, ci si sente fortunati ad essere al Giardino sospeso, la Valle dell’Orco ha un fascino particolare, che lascia segni indelebili nell’animo e nei ricordi, non è un posto qualsiasi, 6b+
L14 The Finger Crack era l’ultima tipologia di fessura che ci mancava, purtroppo beve ma dall’estetica perfetta, finisce su una tipica placca grigia Orco style, sosta sotto il tetto. Tiro da integrare, 6a+
L15 Passo bastardo se non vi siete ancora appesi, occhio al passo bastardo, un tettino scapoiro (in piemontese che scappa, sfuggente) che potrebbe rovinarvi la festa. Uno spit vi assicura di non finire sulla placca sottostante e rende il passo azzerabile! Un buco che sembra scavato aiuta, in realtà era una presa di quarzo friabile che è stata rimossa dopo essersi rotta. Gli scavi sono contro la nostra religione!
Il Diamante poi si difende ancora con un ultimo muretto, se siete scoppiati non sottovalutatelo. In sosta vista spettacolare sui tetti di Noasca e le montagne circostanti, anche il Monte Castello con la Punta Phuc e il Ciarforon.
Vi siete diplomati maestri del Granito, se vi siete appesi siete in buona compagnia. Rapidissima e piacevole discesa, un traverso in piano alla vostra sin guardando a monte vi porta al sentiero di Pian Rocci.
Poco più di 35 minuti e rivivrete la scalata con la birra in mano e un panino alle acciughe dai tavolini del Bar di Sabrina. Il numero delle birre enfatizzerà l’epica del racconto, i 10 friend che avete usato… potrebbero, in funzione del tasso alcolico ridursi a due, giusto per metter qualcosa!
C’est la vie, au revoir.
12Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Sull’evoluzione che sta avvenendo nel modo di “rappresentare” le vie vi segnalo la nuova versione di Gulliver diventata operativa in questi giorni. È un esempio interessante, diverso dalla logica dell’enciclopedia o della scheda tecnica. Qui siamo nella logica della comunità interattiva resa possibile dai social. Ogni via diventa un’occasione di scambio di informazioni ed emozioni e la lettura della sezione gite consente di farsi un’idea di come uno spaccato delle persone che la frequentano l’hanno vissuta. Non è un cambiamento da poco rispetto alle leggende tramandate oralmente o sulla carta. Le descrizioni delle vie diventano da un elenco di gradi e passaggi un insieme di esperienze. Emerge la dimensione umana e comunitaria dell’andare per monti. Notevole. C’erano già altri esempi ma qui mi pare si sia fatto un passo avanti in questa direzione introducendo una più ampia logica di interazione. Il business model che ci sta dietro è chiaramente l’inserzione pubblicitaria esplicita. Per quello che conosco sull’integrità degli organizzatori non credo proprio ci sia la vendita di informazioni sugli utenti secondo il ben noto principio @se un servizio è gratis vuol dire che il prodotto sei tu@
A proposito di quello che si diceva sui livelli. Questa mattina ho dato un’occhiata, come faccio sempre ogni settimana, all’area arrampicata di Gulliver alla ricerca di ispirazioni. Uno spaccato certamente non esaustivo ma interessante delle scelte degli arrampicatori di una parte del Nord Italia (Piemonte e Lombardia soprattutto). Nell’ultima settimana sono riportate nella sezione gite 23 relazioni di arrampicate fatte dagli aficionados del sito. 17 sono dal 6a in su e 5 sul 5c.
Gira e rigira e poi si ritrova il bandolo. Tornando al tema all’origine della nostra discussione: il modo di rappresentare le vie di arrampicata e la sua influenza sui comportamenti degli arrampicatori. Sempre questa mattina ho fatto un esperimento. Ho tirato giù dalla biblioteca tre libri (due sacri e consunti) e li ho aperti sul tavolo, mettendoli in fila per approccio e data di publicazione. Ho lasciato perdere le guide grigie del CAI perchè mi ricordavano troppo il mitico vocabolario con la copertina blu del Rocci su cui mi sono rovinato gli occhi per cinque anni e mi facevano malinconia. A un estremo: Ivan Guerini, “Il Gioco Arrampicata della Val di Mello” (1979); al centro la copia sgualcita e dal vivo colore rosso ormai un pò spento, che per anni ho tenuto sul comodino, di “Cento Nuovi Mattini” ( 1981) del nostro Gogna; infine, all’altro estremo, “Finale Climbing” di Marco Tomassini (2017) 560 pagine. Come ho aperto i libri ne sono usciti spiritelli diversi, da qualcuno anche un pò di antico odore di fumo (non sembrava odore di sigaretta, cosa sarò stato mai??) ma soprassediamo su questo aspetto. Sogni, fantasie, deliri, ideali, storie, immagini di persone anzi di personaggi, considerazioni personali, aneddoti, dettagli tecnici, indicazioni e gradazioni. Tre mondi diversi, i primi due un pò più contigui. Non voglio dare giudizi ma solo fare confronti. Mi pongono la solita domanda: è nato prima l’uovo o la gallina? Rispecchiano il “sentiment” dell’epoca, come si dice oggi, o lo hanno influenzato ? Anche la risposta è probabilmente sempre la solita: entrambe le cose. Un’altra domanda la farei ai responsabili marketing delle case editrici: ma siete sicuri di vincere la battaglia con la Rete pubblicando enciclopedie? Come la mettiamo con la storia di Wikipedia? Non fa venire qualche dubbio?
interessante suggerimento di discussione
Penso che l’innalzamento medio del livello di difficoltà sia dovuto a tre fattori, il cui peso reciproco è difficile da stimare: qualità dei materiali per l’arrampicata e attrezzatura delle vie; superamento di fattori psicologici relativi al limite considerato “normale” e fattibile per un arrampicatore di fascia centrale della distribuzione (condizionamenti imposti dall’esterno o aut0-imposti, vedi caso del ventenne citato da Matteo) Su questo punto non trascurerei l’effetto imitazione trainato dai social; preparazione fisica generale e specifica (ruolo delle palestre e delle metodiche di allenamento). Tutto in linea con quanto acciaduto in altre attività sportive: dalla bicicletta alla corsa. Sui gradi e sui criteri di gradazione ha cominciato ad aprire una discussione Adam Ondra.. Sicuramente più si sale e le differenze diventano davvero sfumate. Poi ci sarebbe da aprire un discorso su questo culto del grado che focalizza ormai gli sforzi e le attenzioni di molti praticanti ( si arrampica per il grado, per la bellezza/interesse della via, per il divertimento ??)ma su questo ci saranno forse prossime occasioni di confronto. Buona settimana.
Credo che il discorso sui gradi sia piuttosto complesso e sfaccettato: per affrontarlo andrebbero definite molto bene le variabili che si prendono in considerazione e l’ambito di applicazione.
Di sicuro il grado “tecnico” medio si è alzato; si è alzato il mio grado tecnico rispetto a quando avevo la metà degli anni che ho…tante altre cose si sono abbassate o non si alzano più come allora, ma direi che il grado si è alzato. Però credo che tanto, forse tutto, sia dovuto al materiale che è migliorato infinitamente, in qualità e in disponibilità.
D’altra parte, basta fare un giretto ad Arco e vedi folle e fila sulle vie di Grill (e manco tutte) ma sulla Martini-Tranquillini-Perotoni o sul missile non trovi proprio nessuno, solo per citare vie che negli anni ’80 erano considerate un’introduzione e una conferma.
Come capita di passare sotto la Tofana o la nord di Lavaredo in una giornata perfetta e non vedere nessuno sulle classiche.
Credo sia cambiata la frequentazione ma soprattutto la percezione e di quello che si vuole e il rapporto stesso delle persone con l’andare in montagna.
Ho conosciuto personalmente un ventenne da 8a su plastica, amante appassionato della montagna dove passa le vacanze facendo le scammellate inenarrabili che solo un ventenne può permettersi e che in ambiente si dato il limite delle vie completamente attrezzate. A me pare una follia (facessi io la metà della metà!), ma lui era realmente convinto di essere inadeguato ad andare sul III-IV classico…ma in fondo contento di ciò che era e faceva, quindi non mi sono permesso di giudicare o spingerlo.
Certo che un Cominetti con un cliente così si divertirebbe un sacco!
Premetto che su questo tema dei gradi bisognerebbe riflettere. L’arrampicata e’ una delle attività più misurate con scale di ogni tipo e riflette il culto della misura e della classificazione che impera ormai anche in altre attività come il trail e la bicicletta. Date un’occhiata alle “schede di lavorazione” delle guide più recenti: a parte la scala francese minuziosamente dettagliata ormai quasi passaggio per passaggio, per comprendere la complessa iconografia degli altri simboli (diversa da guida a guida) bisogna inevitabilmente guardare la legenda. Prossima evoluzione i video in 3D delle vie e la realtà aumentata coi visori, non siamo lontani, è solo un problema di costi e di mercato. Usando la macchina del tempo, ho dato un’occhiata nel cassetto impolverato dei ricordi. Negli anni ‘70 l’uscita finale delle scuole (fatte con scarponi a suola rigida) di solito avveniva su vie max IV. Da noi a Milano tipicamente calcare della Grigna: Magnaghi, Spigolo di Vallepiana, Segantini e simili. Alla fine degli anni 70 si è cominciato a fare qualche uscita anche a Finale, i più avanzati con le EB comprate dal mitico Barba Sport di Rovagnate che andava a prenderle a Chamonix ( ricordo strappalacrime ad uso dei milanesi)gli altri con gli scarponi. Non ricordo si andasse sul granito della Val Masino, forse al massimo le vie più facili del Sasso Remenno. Ho visto fare Florivana a Finale con gli scarponi. Istruttore davanti e a triangolo due allievi dietro disperati. Non ho più seguito il mondo delle scuole outdoor ma mi pare che oggi si finisca il corso con uscite sul 6a. Sicuramente i corsi indoor che vedo in palestra finiscono tra il 6a e il 6c. Sono passati 50 anni e siamo saliti di due gradi più o meno. Poi sicuramente possiamo distinguere tipo di roccia e località ma insomma la tendenza mi pare chiara. Non c’è da meravigliarsi. Questo innalzamento dei livelli dei nuovi entranti non è di oggi ma risale indietro di almeno 10/15 anni se non di più. Abbiamo dunque un effetto trascinamento verso l’alto anche delle fasce centrali di età dei praticanti ad un certo livello: diciamo dai 40 ai 60 e nella gamma 6a/6c. Sopra questo nucleo, intendo dire sopra come livello e sopra come fascia d’età, certamente parliamo di segmenti meno numerosi e con caratteristiche particolari. Almeno a me sembra da quello che vedo, ma magari altri hanno una percezione diversa. È il bello del confronto. Più occhi consentono di farsi un’idea più vicina alla realtà. Buona domenica.
Credo che il livello medio in termini di gradi, citato in questi commenti, sia aumentato soprattutto per quanto ad un genere di scalata diciamo piu da calcare che non da granito e soprattutto nei giovanissimi e molto giovani che solitamente sono piu’ leggeri ( per non parlare dei giovanissimi la cui dimensione delle mani oggettivamente aiuta). Non vedo invece per gli adulti la capacita’ di andare regolarmente su gradi di 6c/7a su vie a piu’ tiri, come qualche volta sembrerebbero trasmetterci gli articoli che leggiamo. C’e’ chi lo fa ma e’ per questo piu’ bravo della media. Non so quanti oggi passeggerebbero sulla fessura kosterlitz o sul diedro di 7a di Ma Dalton alla Midi (che puo’ ben essere considerata una palestra in quota con vie a piu’ tiri). Peraltro non so quanti correrebbero sulla placca di Itaca Nel Sole.
il calcare o roccia simile ha visto forse maggiormente allargarsi la platea di coloro che scalano mediamente sul e sopra il grado 7, anche se su questo bisogna intendersi. In ogni luogo ci sono le vie di riferimento, qui in Liguria ve ne sono alcune che hanno tale funzione da anni, anche per i giovani mutanti che le hanno passate tutte per testarsi. Tutta sta folla su certe vie “test” io non e’ che proprio la veda.
Comunque per arrampicare bene in Orco, vista la grade presenza di fessure piu o meno larghe, camini e diedri, oltre alla calma, alle dita forti, agli spalmi (tutto serve) c’è da possedere una buona tecnica dell’arrampicata ad incastro, a cui molti di noi non è abituata. L’incastro di mano, pugno o dita giusto ti apre un mondo.
Se riesci a far diventare i piedi più sensibili delle mani, poi fai i numeri.
Pasini , il piede sta dove la mano tiene .
Ma non sempre per tutti e dapertutto vale.
Hai ragione volevo solo ribadire il tuo pensiero sulla relazione stimolante. Così dovrebbero essere le guide. Contenere relazioni che vanno oltre
Benassi. Forse non riesco a farmi capire. Ho proprio detto che è molto stimolante su diversi piani a differenza di tante “schede” di lavorazione di cui ho la biblioteca piena. Misteri della comunicazione. Eppure mi impegno.
Per me invece è una relazione bellissima . Che oltre a dare le solitevebusuali informazioni tecniche, appassiona!!
Cosa non da poco
Per Benassi. Alberto, sfondi una porta aperta sul fatto che la competenza distintiva sul liscio sia la capacità di rimanere calmi, di controllare i movimenti e di usare bene i piedi. Mi permetto tuttavia di dire un’ovvieta’ per chi ha una lunga esperienza come te: è anche vero che una buona preparazione generale aiuta a sentirsi sicuri, così come dita allenate possono servire a utilizzare micro scagliette per darsi coraggio e stabilità. Poi anche in Val Masino si possono incontrare passaggi diversi, non solo di aderenza. Penso a KundaLuna, via che affrontammo con ingenua baldanza e dalla quale al primo tentativo fummo costretti a tornare indietro fortunosamente. Ma non di ricordi e di dettagli tecnici qui si voleva parlare, ma solo del ruolo che alcuni fattori hanno avuto nell’innalzamento generale dei livelli anche su vie multipitch di bassa quota e nell’allargamento delle fasce di età con “carriere” lunghe, anche tra gli amatori. Secondo me poi la relazione si presta anche ad altri spunti, come ho cercato di dire allargando un po’ il discorso, forse troppo. Buona serata.
sulle placche della val di Mello ci vuole equilibrio e Self Control…più che dita forti.
Su Nuova Dimensione mi si asciugò la lingua…chi l’aveva mai fatta l’aderenza. Ma alla fine passammo.
Comunque i gradi più invecchiano più diventano salibili. Bisogna aspettare.
Allo stesso tempo certi personaggi più invecchiano più se la cavano, perchè sanno aspettare.
Per Penotti. Conosco poco la Valle dell’Orco, ma abbastanza la Val Masino. Ricordo bene i miei primi tentativi fallimentari sulle placche all’epoca del Giurassico, appena uscito dalla Parravicini fatta con gli scarponi. Anche l’indoor serve poco come gesto specifico, anche se comunque allena flessibilità, potenza e resistenza delle dita e quindi può dare una migliore sicurezza anche negli spalmi sul liscio. Diedri, aderenza e fessure sono difficili da riprodurre. Ci provano con qualche diedro utilizzando gli angoli tra pareti ma è lo strapiombo che domina. Volevo prendere lo spunto per un discorso generale sull’innalzamento dei livelli medi e sul ruolo dell’allenamento. Non mi riferivo allo specifico di quella via ma a quello che vedo anche su Gulliver rispetto alle nuove aperture. Diventa sempre più difficile trovare una via nuova lunga sotto certi livelli. È evidente che i due apritori non sono 60enni “normali” ma quasi dei semi-professionisti di ambiente CAI. Ma anche qui volevo sottolineare che la platea degli over 50 che fanno cose notevoli, in passato riservate a più giovani, si è allargata. Non per caso, a mio parere. Avviene anche nel trail runnig. Me ne accorgo quando guardo Strava o mi sorpassano sul terreno, devo dire sempre con grande rispetto e affetto. Anzi a volte sono colto da felicità infantile quando con educata condiscendenza mi fanno i complimenti e mi incoraggiano. Saluti.
@6: conosco Andrea Giorda da che eravamo “bambini” (fine anni 70): è sempre stato un talentuoso di natura per l’arrampicata. Ora ne ha 60 suonati, ma pesca dal gran bagaglio di tutti questi decenni di continua attività. Ha poi un fisico indistruttibile e lo anima ancora l9 stesso entusiasmo delle radici. Conosco Claudio da meno tempo, ma se non prendo farfalle è il direttore in carica della Scuola Gervasutti. Insomma due 60enni, ma… molto special… non so se corrispondono davvero al cliché dei normali 60enni. Giù il cappello!
in Orco ho salito solo vie classiche tipo Rivoluzione, Sole Nascente, ect. . La Fessura della Disperazione era rimasto un miraggio. Posso dire che il miraggio, inaspettato, è stato bello ruvido! ma i frendoni fanno la differenza anche se in alcuni punti devi comunque andare.
Per Galante deve essere stata ben altra storia.
“Nello specifico di questa via, da quello che ho visto, conoscendo lo stile di apertura e l’obbiettivo che avevano gli apritori, i tratti in placca sono chiodati a prova di coniglio (quale io sono diventato…) e le fessure si prestano ad abbondanti protezioni utilizzabili anche come riposi o azzeri clandestini.”
La mia medesima analisi…o forse meglio dire speranza.
Uguale, uguale.
Seppoi ci si portasse magari anche un bel “furbo” lungo…
Roberto Pasini definire il 6C come “new normal” può essere vero su altri tipi di scalata, ma con una frequentazione della valle dell’Orco di qualche decina d’anni, non mi sembra che le vie con questo obbligatorio soffrano di iper-frequentazione. 😉 Lo stile di scalata è su placca, generalmente a microcristalli o qualche spalmo, oppure fessure, generalmente abbastanza ruvide. E se non sono placche o incastri, ti becchi dulfer belle fisiche. Chi esce dalle strutture indoor e si avvicina alle vie in Orco, generalmente prende ceffoni….. d’altronde li prendi anche se arrivi da un bagaglio tecnico e di esperienze degli anni ’80. Qui l’allenamento nelle palestre indoor a mia opinione serve a poco…. replicare i movimenti in placca o gli incastri non è possibile.
Se invero vuoi trovare folla in Orco e iper allenati da indoor vai a Bosco dove il grado medio è forse oltre il 6C.
Ma come ebbi a dire una volta anni fa, andare in Valle dell’Orco e scalare a Bosco è come avere Monica Bellucci nuda nel letto che ti aspetta e stare a guardare un porno in televisione. 😉
Nello specifico di questa via, da quello che ho visto, conoscendo lo stile di apertura e l’obbiettivo che avevano gli apritori, i tratti in placca sono chiodati a prova di coniglio (quale io sono diventato…) e le fessure si prestano ad abbondanti protezioni utilizzabili anche come riposi o azzeri clandestini. 😉 Altrimenti col cavolo che proponevo a Matteo di andare a buttare il naso!
Per darti un parametro di riferimento, Miroir D’Oc, aperta sempre da Lucchetta, ha il tiro di 6c quasi totalmente azzerabile che porta l’obbligatorio, IMHO, a un 6a+. Possiamo discutere se abbia un senso salire così la via. Però il tiro dopo a quello di 6c è un robusto 6b chiodato nemmeno corto che è bellissimo e vale da solo tutta la via.
Andrea Giorda è stato per anni, mi pare tutt’ora, istruttore della Gervasutti e membro del CAAI oltre ad essere stato protagonista in Orco dopo la prima ondata storica dei Manera, Grassi, Bonelli e Galante. C’è vita su Marte? Forse, ma la mia opinione è che al limite c’ vita su MAArte!
Con amicizia.
la Sabrina è toscana lucchese
Premetto i miei complimenti ai due autori. Sicuramente da fare, anche se per i “normali”che hanno il 7 come primo numero per l’età , le vie che hanno il 6 davanti diventano sempre più dure. In alto i cuori.Questa via e questa relazione sono emblematiche di una serie di temi che sono stati ultimamente oggetto di dibattito sul blog. Provo ad riassumerli in cinque punti. 1. È stata aperta da due ultrasessantenni. C’è dunque vita su Marte. I limiti si sono spostati avanti di 10 anni, come in molte altre attività. Traguardi una volta possibili solo a professionisti o protagonisti della storia dell’alpinismo sono oggi a portata anche di altri. 2. Il 6c è il “new normal” su vie nuove multipitch di bassa quota, definito come “impegno moderato”. Esiste una fascia abbastanza varia di arrampicatori che ama muoversi su queste difficoltà all’esterno e su vie di più tiri. Il 6c ha rimpiazzato il 5c del passato. Questo spostamento in avanti significa impegno nella preparazione e nell’allenamento, ovviamente non per i fortissimi giovanissimi che lo fanno per scaldarsi. Questo ci rimanda al tema palestre indoor e alla varietà del pubblico che le frequenta, anche per allenarsi durante la settimana in città. 3. Esiste ancora la possibilità di trovare nuove avventure e sfide anche in luoghi apparentemente saturati come la Valle dell’Orco. Bisogna solo avere occhio e passione e desiderio di fare qualcosa non solo per se’ ma anche per gli altri. Esistono ancora gli arrampicatori non divorati dall’egolatria, forse più nelle fasce intermedie che nei top, un po’ condizionati forse dagli sponsor.
4. La via è “comoda” , “divertente” e “modulare”. Il suo pubblico è dunque abbastanza largo (relativamente), ma non è una fila di spit. Richiede capacità di piazzare sicurezze e ingaggio crescente. Di nuovo intercetta il gusto di una fascia larga di arrampicatori che vuole sicurezza ma non banalità da ferrata o quasi.
5. La relazione è una “narrazione” . Non assomiglia per nulla alle relazioni che si trovano in molte guide moderne, simili a schede di lavorazione industriale. Ci sono dettagli tecnici, ma anche sensazioni, pensieri, umanità in una parola. Infine è stata pubblicata sul bollettino del CAI Torino e dalla foto mi pare che uno degli apritori abbia il simbolo del CAI sullo smanicato. Di nuovo occhio ai pregiudizi. Anche qui possiamo dire che c’è vita su Marte.
Che dire? Ancora grazie, questo contributo concreto è stimolante più di tanti discorsi, non solo per gambe e braccia, ma perché ci fa riflettere in una triste giornata di pioggia su varie cose che accadono oggi nel nostro piccolo mondo di appassionati. Diamoci dentro con il trave e la sbarra. La primavera non è così lontana.
Molto interessante. Ma la Sabrina è “la Rossa” di hotel Varatella?
Volentieri Payns, se veniamo da quelle parti te lo faccio sapere di sicuro
bello!!
era da parecchi anni che non tornavo a scalare il Valle dell’Orco. Così stimolato dalle giovani promesse, a settembre con un gruppo di amici simo andati si 2 giorni e con Nico (una giovane promessa) , ci siamo fatti due grandi classiche e storiche vie della valle che non avevo mai salito:
Sergent, Fessura della disperazione al sabato. Sulla Disperazione ho ruzzato e al terzo tiro, per trovare una minima protezione, più psico che vera ma la forza della “disperazione” aiuta, mi sono inventato un sandwich con 2 friends.
Caporal, diedro Nanchez alla domenica . Entusiasmante.
Che dire due giorni bellissimi.
Matteo, se il cuore ma sopratutto l’angioplastica di agosto hanno fatto il loro mestiere hai un socio!
Porca vacca che voglia di granito!
Sembra bellissima: da provarci a primavera.