Manuel Leorato e Christian Confente, autori della guida sulla Val d’Adige di prossima uscita con le edizioni di Idea Montagna, hanno ritenuto opportuno farmi qualche domanda sulla Val d’Adige, forse in relazione al fatto di aver io scritto assieme a Marco Furlani un libro intero di storia alpinistica della Valle del Sarca.
1. Quando hai iniziato a frequentare la Val d’Adige?
Era il dicembre 1985 quando per la prima volta mi sono recato a quelle pareti che tanto sono evidenti dall’autostrada del Brennero. Ricordo, oltre a qualche altra, Stramanolo alla Placca d’Argento, ma anche NFL, Carmina Burana e Il Piacere della Sera alla Chiusa di Ceraino. Ma, lo sapevo, le pareti più belle erano quelle del Brentino. Trascorsero parecchi anni prima che mi capitasse, assieme a Marco Lanzavecchia, di salire GIRL, una salita in quel momento per me particolarmente difficile che feci maluccio e tutta da secondo. Era il febbraio 2008. Erano dunque passati ben 23 anni da quando mi ero timidamente affacciato al mondo della Val d’Adige.
L’aver trascurato queste belle pareti non era dipeso dall’avere invece frequentato le pareti di Arco e della Valle del Sarca: anche lì, per vari motivi, andavo assai saltuariamente. Poi però l’avvento delle salite firmate da Heinz Grill, ma soprattutto l’amicizia con Marco Furlani moltiplicarono le mie presenze in Valle del Sarca.
Eppure, per chi come me abita a Milano, è fuori di dubbio che la Val d’Adige è più vicina. Una buona responsabilità di questo ritardo è dovuta al fatto che la prima guida della zona della Val d’Adige facilmente reperibile dai non locals è stata Monte Baldo Rock, pubblicata assai tardi (febbraio 2014). Con quella guida in mano, a dicembre iniziai a frequentare Castel Presina, ma le visite non arrivarono al numero di dita di due mani.
Scoprimmo e frequentammo la Val d’Adige con regolarità solo dall’aprile 2019 in poi, in coincidenza con la scoperta di quella bella guida online che è V come ValdAdige.
L’apertura, da parte di Mario Brighente, Christian Confente, Manuel Leorato e soci vari, di parecchi itinerari con difficoltà umane e gradi corretti (e riportate in V come ValdAdige) fu la causa principale dell’improvvisa esplosione di visite da parte mia e dei miei compagni.
2. La conoscevi anche nella sua epoca pionieristica? Anni ‘80-‘90.
Mi sono sempre interessato a ciò che accadeva in campo falesie free climbing e falesie di arrampicata sportiva. Conoscevo le varie attività di Sergio Coltri, di Alberto Rampini e di altri. Purtroppo, però, conoscere in teoria non è come conoscere in pratica… E’ ovvio che non si possa andare dappertutto. Quando mi ritrovai a fare ricerche e a scrivere Valle della Luce, cioè il libro di storia dell’arrampicata in Valle del Sarca, più volte contemplai la mia curiosità di fare comunque qualche accenno di comparazione tra le storie delle due esplorazioni, poi, però, considerata la massa di informazioni che avevo da gestire già per la sola Valle del Sarca, rinunciai. Peccato, sarebbe certamente un bel lavoro.
3. Cosa ti ha mosso a ripetere le vie di questa valle?
Come ho detto prima, ciò che mi mosse alla ripetizione di parecchi itinerari della Val d’Adige è stata l’uscita di V come ValdAdige. Relativa vicinanza a Milano e facilità di informazione corretta. Successe, però, che la frequentazione ci portasse anche alla curiosità su tante altre vie, quelle censite in Monte Baldo Rock. Era ben evidente la differenza: su queste ultime si respirava ancora aria di selvaggio e qualche volta di mistero, cosa che a me non è mai spiaciuta.
4. Quali sono le vie che ti son piaciute di più?
Il mio criterio di valutazione estetica delle vie non è mai dipeso dalla qualità della roccia e della chiodatura. Certo, so ben distinguere tra i vari casi, ma ritengo che la ricerca monotematica di belle vie ben chiodate e di roccia galattica alla fine non sia lo scopo mio principale, o l’esclusivo obiettivo della mia ricerca personale.
Ne indico sei, ma faccio fatica a non citarne altre: Instabilità emotive e Quattro passi su Marte a Castel Presina, Nebbie di Avalon e Il Leone di Nemea alle Bastionate, 31 Agosto al Boomerang, Quaranta Galee al Monte Pastello. Certo, se avessi le capacità di gente come Nicola Tondini o Cristiano Pastorello (solo per citarne due), farei molta più fatica a redigere un elenco… Ma bisogna sapersi accontentare.
5. Hai qualche aneddoto legato alla tua frequentazione della valle?
A me e ai miei amici piace il rito del “terzo tempo”, cioè il ritrovarsi dopo aver scalato in qualche bar, pub o locanda a fare merenda bevendo vino o birra. Devo dire che la Val d’Adige, con due punti fissi come il Bar della Gigia di Brentino o la Locanda al Platano di Caprino Veronese, offre terzi tempi di tutto rispetto, che ti fanno immediatamente dimenticare di esserti magari attaccato in quella giornata a un chiodo dove non avresti voluto… Nell’ottobre 2023 ebbi il piacere di tenere una piccola conferenza nel Bar della Gigia, a tema Il limite sopra e sotto. Con piacere parlai a una sessantina di persone, tra cui tantissimi giovani, ma anche personaggi come Beppe Vidali. C’erano un interesse e un’attenzione decisamente esaltanti. Volendo proprio raccontare qualche episodio, le prime cose che mi vengono in mente sono le piccole avventure vissute: come quando piovve fortissimo nelle due lunghezze finali di Quaranta galee oppure quella volta che salimmo ai primi di giugno Il Leone di Nemea: eravamo in sei e ne uscimmo fortemente disidratati. Uno di noi negli ultimi due o tre tiri stava davvero male e ricordo che eravamo tutti molto preoccupati.
Altra cosa: quando è uscita la guida Verona Rock ero convinto che riguardasse le pareti della Val d’Adige e non le falesie con le vie di arrampicata sportiva: debbo dire che ebbi una leggera delusione a suo tempo, ma era colpa della mia disinformazione.
6. Cos’è cambiato nel modo di frequentare le vie di fondovalle rispetto al passato?
Per chi come me è abituato oggi a scegliere una via plaisir e domani una via d’avventura, attirato come sono da entrambi questi tipi di esperienza, non è cambiato molto. Di certo dal 2019 è successo in Val d’Adige quanto a suo tempo successe in Valle del Sarca con l’avvento dell’epoca Heinz Grill. Così capita di vedere notevoli affollamenti, in particolare al Trapezio o alla Roda del Canal, ma sono danni collaterali tutto sommato di scarso rilievo data l’enorme qualità di vie possibili in entrambi i campi.
7. Come interpreti il cambiamento avvenuto in questi ultimi anni in Val d’Adige?
L’interpretazione che ne do non dista molto dal pensiero che era praticamente ineluttabile. Non si può pretendere che luoghi di così facile accessibilità e bellezza rimangano appannaggio di pochi fortunati scopritori. La morale da trarre è però che occorre tenere i due mondi (avventura e plaisir) rigorosamente separati, sia pure con qualche inevitabile sfumatura di compromesso o contaminazione.
8. Dal tuo punto di vista come vedi le vie alpinistiche “plaisir”?
Le vedo come evoluzione dell’arrampicata sportiva dei monotiri. Purché siano aperte ex novo con l’intenzione di fare arrampicate sportive multipitch e non siano invece richiodate vie che invece erano nate come vie alpinistiche o d’avventura, le vie plaisir hanno la loro ragione d’essere, considerato anche il gradimento di cui sono segno. Sarei anche favorevole a vie plaisir particolari che richiedano l’uso di protezioni mobili là dove sia relativamente facile il loro piazzamento. Questo allo scopo di non vedere spit accanto a fessure davvero facili da proteggere.
9. Per concludere, dai un consiglio agli apritori e uno ai ripetitori.
Ai ripetitori credo sia utile dire quanto sia importante l’uso di guide stampate od online. Mai fidarsi esclusivamente del sentito dire o delle impressioni di un ripetitore al riguardo di determinate vie. Occorre una visione d’insieme che solo una guida può dare (e anche lì ci sarebbe da discutere…). Per il ripetitore è importante prima di tutto sapere a quale categoria appartenga un determinato itinerario, ma anche sapere la tipologia di graduazione. Solo per rimanere in Val d’Adige, i gradi che con nonchalance vengono tramandati a Ceraino non sono i gradi della Roda del Canal…
Vorrei dunque raccomandare agli autori delle guide di arrampicata molta attenzione a questo fenomeno, cercare cioè di non avere paura di quanto finora è stato tramandato. Senza tralasciare che su calcare a volte la difficoltà può aumentare in modo esagerato a causa della progressiva lucidità della cosiddetta roccia “unta”, e considerando che non c’è da aver paura di graduare in modo sensato: non si diventa più bravi sminuendo le vie. Agli apritori raccomanderei uno stile di apertura molto rispettoso dell’esistente. Non l’ha ordinato il medico di aprire ad ogni costo. E anche per l’apritore è valido il consiglio di una maggiore generosità nella graduazione: avrà molti più amici, a meno che non sia un seguace del detto “Molti nemici, molto onore”.
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@Mangano la vera domanda è: perché l’hai risistemata? immaginiamo già la risposta purtroppo…
Buongiorno, mi piace segnalare la bellissima guida illustrata “Tra il lago e il fiume” di Coltri e Vidali.
Ha chi interessa la via Dulcis in fundo la ho risistemata lo scorso autunno, ora serve solo qualche friends.
Emanuele, forse perchè sono poco attrezzate?
Non ho capito perché certe vie come dulcis in fundo sul Corno d’Aquilio o lo Spigolo Sud del Pastello non vengono ripetute, lì c’è l’ avventura, la possibilità di usare protezioni mobili, difficolta non elevate e non c’è il rischio di aspettare in coda…
A me Leone di Nemea mi ha proprio deluso.
Gesù, l’acquata su Quaranta Galee…l’avevo rimossa!