Nuova grande diga tra Veneto e Trentino

Il torrente Vanoi che scorre in Val Cortella è minacciato da un progetto di sbarramento alto 116 metri, dai costi ambientali ed economici elevatissimi. La Giunta Zaia parla di “difesa idraulica” e “tesaurizzazione idrica” mentre le comunità locali sono state escluse e l’area è segnata da smottamenti e frane. Le alternative esistono.

Nuova grande diga tra Veneto e Trentino
di Lucia Michelini 
(pubblicato su altreconomia.it il 18 marzo 2024)

L’incontro con Daniele Gubert è nei pressi del lago Schenèr, al confine tra Veneto e Trentino. Gubert fa parte del “Comitato per la difesa del torrente Vanoi e delle acque dolci” nato nel 1998 per scongiurare la costruzione di uno sbarramento del corso d’acqua che scorre in Val Cortella. “Non pensavo di dover tornare a lottare per il Vanoi”, racconta, ricordando le battaglie di vent’anni fa.

La Val Cortella e il torrente Vanoi. Foto: Pietro Scairato.

In Primiero, nel Trentino orientale, il settore idroelettrico ha già alterato profondamente l’assetto idrografico di vari torrenti, tant’è che si possono contare ben quattro bacini artificiali, realizzati da inizio Novecento, nell’arco di poche decine di chilometri quadrati. 

Dal lago ci si sposta a piedi fino al torrente Vanoi per visitare il sito in cui è prevista la costruzione di un’ulteriore diga, ad appena un chilometro in linea d’aria dallo sbarramento già esistente sullo Schenèr. Nonostante la valle sia difficilmente accessibile, i tentativi per raggiungerla vengono ricompensati dalla bellezza che caratterizza la natura selvaggia dell’intero letto fluviale. “È uno dei pochi posti in Trentino dove la trota marmorata, specie endemica e in via di estinzione, riesce a riprodursi”, spiega Gubert, aggiungendo che per deporre le uova il pesce deve risalire il fiume per diversi chilometri. A confermare la rilevanza ecologica della valle sono due siti Rete natura 2000, di grande importanza per la presenza di boschi di abete bianco, in regressione su tutta la catena alpina, e di specie animali in forte diminuzione. 

Alto 116 metri, lo sbarramento poggerebbe a destra nella parte più settentrionale di Lamon, Comune bellunese, mentre la maggior parte dell’invaso (da 40 milioni di metri cubi di volume) ricadrebbe in Trentino. “Se il progetto venisse realizzato segnerebbe il territorio, e le relative opportunità turistiche, in modo irreparabile – continua Gubert – “La narrativa dominante associa il concetto di rinnovabile al settore idroelettrico, ma dovremmo parlare piuttosto di prassi usa e getta delle valli alpine, poiché i bacini esistenti sono pieni di sedimenti, molti risalenti all’alluvione del 1966, e invece di ripulirli e fare le opportune manutenzioni se ne progettano di nuovi”.

Considerato e archiviato a più riprese fin dagli anni Venti del secolo scorso, a fine 2020 la Giunta regionale del Veneto, guidata da Luca Zaia, inserisce nel Piano regionale per la ripresa e la resilienza il progetto “Difesa idraulica e tesaurizzazione idrica tramite il nuovo serbatoio del Vanoi nel bacino del fiume Brenta”, motivando l’opera come necessaria per la difesa idraulica nelle province di Vicenza e Padova. Nel 2022 viene concesso un milione di euro, con fondi ministeriali, al Consorzio di bonifica del Brenta per l’esecuzione della progettazione e, poco dopo, il Consiglio regionale approva la realizzazione della diga. A maggio dell’anno successivo, la Provincia autonoma di Trento lamenta il mancato coinvolgimento nelle operazioni che hanno portato all’affidamento dell’opera e ricorda che, secondo la Carta di sintesi della pericolosità di Trento, l’area dove dovrebbe sorgere l’invaso è classificata con il massimo grado di rischio idrogeologico. 

Di quest’ultimo punto è facile rendersene conto: i fianchi della valle mostrano numerosi smottamenti e frane, che hanno reso addirittura impraticabile la strada della Cortella. Alfonso Tollardo, geologo intervenuto in occasione di un incontro pubblico organizzato a Lamon dal Partito democratico “Belluno Dolomiti” a inizio febbraio, e dedicato al progetto della diga sul Vanoi, ha dichiarato che, sebbene non ci siano le stesse condizioni geologiche del disastro del Vajont del 1963, c’è comunque la possibilità che del materiale franoso cada, con conseguente rischio per la diga e le comunità a valle. Il geologo ha descritto, inoltre, il grande impatto che avrà la costruzione dell’opera (per la quale sono previsti 24mila metri cubi di calcestruzzo, ovvero decine di migliaia di camion carichi di materiale che causerebbero non pochi disagi alla viabilità locale basata su un’unica via d’accesso) e il suo cantiere, per il quale si costruiranno ponti, gallerie, strade e terrazzamenti. In poche parole, il versante orografico destro verrebbe devastato.

I fenomeni franosi sono frequenti nella Val Cortella. Foto: Pietro Scairato.

A maggio del 2023 il presidente della Regione Veneto Zaia ha trasmesso al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti l’elenco degli interventi di urgente realizzazione per il contrasto alla scarsità idrica. Tra questi anche quello della diga sul Vanoi, con una richiesta di finanziamento pari a 150 milioni di euro – ricorda da Belluno Alessandro Del Bianco, segretario provinciale del Partito democratico, “Abbiamo raccolto migliaia di firme e presentato un ordine del giorno ai consigli comunali e a quello provinciale contro l’invaso, oltre che una nuova mozione in consiglio regionale e un’interrogazione in Parlamento per chiedere la sospensione del finanziamento al progetto. Molte amministrazioni comunali si sono pronunciate contro, come anche le Province di Belluno e di Trento”. “Di questa faccenda contestiamo l’assenza di trasparenza”, dice riferendosi al diniego ricevuto dalla Provincia autonoma di Trento di accesso agli atti relativi all’assegnazione della progettazione al Consorzio di bonifica Brenta. “L’Autorità nazionale anticorruzione ha sollevato una serie di perplessità sull’affidamento della progettazione”, avverte il segretario parlando, inoltre, di una strumentalizzazione della questione climatica per giustificare l’urgenza del progetto.

E a proposito di urgenza, in occasione di Fieragricola 2024, il commissario straordinario per la crisi idrica, Nicola dell’Acqua, ha dichiarato che se un territorio ne ha la necessità, si devono realizzare anche le dighe. “Affermazione perentoria e autoreferenziale, quella del commissario, per altro organo tecnico amministrativo privo di legittimazione democratica, che fa intendere, attraverso parametri fattuali di necessità e urgenza, la determinazione di disconoscere e rimuovere buone ragioni di dissenso e unitarie azioni di opposizioni delle comunità territoriali contro alcuni interventi strutturali anacronistici e insostenibili”, commenta Valter Bonan, ex presidente del Parco nazionale dolomiti bellunesi. “Questo approccio anomalo e centralistico è messo in pratica dal Decreto legge n. 39 del 2023, o Decreto siccità, che presenta evidenti torsioni di quasi una decina di articoli costituzionali e un pericoloso utilizzo dei poteri sostitutivi dello Stato rispetto alle competenze istituzionali decentrate e al diritto fondamentale di partecipazione dei cittadini nel governo dei beni comuni”. 

Eppure di alternative alla diga ce ne sarebbero, come le aree forestali di infiltrazione che facilitano la ricarica degli acquiferi tramite sistemi costituiti da apposite scoline e specie vegetali. Questa soluzione è stata suggerita da Arturo Lorenzoni, docente di Economia dell’energia presso l’Università di Padova, sempre in occasione dell’incontro informativo del 4 febbraio, dove ha spiegato come per il cambiamento climatico le precipitazioni siano sempre più concentrate e facciano fatica a penetrare nel suolo, da qua la necessità di aumentarne la permeabilità. Almeno di quel poco che ne rimane, considerato che il Veneto è la seconda Regione in Italia per consumo di suolo.

Con la realizzazione della diga sul Vanoi si rischia di scatenare un’inedita guerra, tra ricchi, per l’acqua – conclude Daniele Gubert – “L’acqua è di tutti e, in Trentino come in Veneto, vanno adottate misure per risparmiarla e alternative sostenibili prima di invocare la grande opera”.

13
Nuova grande diga tra Veneto e Trentino ultima modifica: 2024-04-03T05:57:00+02:00 da GognaBlog

13 pensieri su “Nuova grande diga tra Veneto e Trentino”

  1. 13
    claudio genoria says:

    Buongiorno Casanova, ho studiato geologia applicata a Ferrara. Il corso era tenuto dal prof. Edoardo Semenza. Ricordo una campagna di rilevamento tenutasi proprio in Val Vanoi, organizzata dal prof. Semenza. È sulla base di questo che mi sono permesso di fare una precisazione: il Vajont è una cosa diversa. Che poi sulla geologia di questa valle vi siano studi preesistenti (comprese le esercitazioni di noi studenti!) è chiaro, ma posso immaginare o sperare che in una fase di progettazione, se anche la progettazione di una cosa assurda, gli studi preesistenti siano rinnovati o approfonditi.

  2. 12
    Luigi Casanova says:

    Alcune precisazioni.
    Su “non è come il Vajont” appena sopra la diga c’è un monte che si chiama “Col Toc”…
    Stanno facendo lo studio geologico. Non è vero. Lo studio c’è già, nel PUP del Trentino. Tutti e due i versanti sono a massimo rischio  geologico, esclusi alcuni campetti.
    La relazione progettuale afferma che i vantaggi per la pianura bassanese saranno determinanti. E’ vero. Ma dice anche che per la valle del Vanoi ci saranno solo effetti sociali e ambientali negativi.
    In pratica ancora una volta le esigenze della pianura si impongono sulla montagna.
     

  3. 11
    Enrico Picchetti says:

    Zaia, inizia intanto a costruire la pista da bob di Cortina (scempio e scandalo), poi se il cemento di quella tiene, ne riparliamo! Mona!

  4. 10
    Angelo Libera says:

    Basta con questi progetti di distruzione ambientale, ambiente da rispettare per il turismo dove la wilderness è sicuramente un bene per tutti noi…

  5. 9
    Marcello Cominetti says:

    l commissario straordinario per la crisi idrica, Nicola dell’Acqua
     
    Neanche Totò. 

  6. 8
    Matteo says:

    Grande Guido! 🙂 🙂 🙂 🙂

  7. 7
    Riva Guido says:

    La diga ci vuole, eccome, perché è un progetto che fa acqua da tutte le parti.

  8. 6
    antoniomereu says:

    Il copione è sempre uguale studi,progetti ,espropri tutti in anticipo sulle volontà e esigenze delle poche genti di montagna interessate a queste “grandi” opere.
    Poi calano le mannaie.
    Con una rete colabrodo che perde 3 miliardi e mezzo di m.cubi annui uno stato normale saprebbe cosa fare dei soldi, invece vai con l ennesimo bacino salva radicchio e che cambierà per sempre territorio e clima .

  9. 5
    Riccardo says:

    A Zaia&Friends sembra che più ci aree protette ci siano Natura 2000, più si vogliano accanire con la distruzione e cementificazione. Vedi le grave di Ciano. Basta solo non toccargli i vigneti, il resto va tutto bene. Pfas non pervenuti. 

  10. 4
    claudio genoria says:

    Expo, non credo sia un progetto idroelettrico questo. Dico per la precisione, comunque l’impatto sul torrente sarà come dici.
    Seconda cosa, evidentemente non sono solo 24mila metri cubi di calcestruzzo: una diga alta più di cento metri, in un posto così, sarà mezzo milione di metri cubi di calcestruzzo (a occhio).
    Terzo, i versanti in frana: ok, ma non è come il Vajont. e in ogni caso sono ancora in fase di progetto, quindi stanno anche facendo un studio geologico. 
     
    Diciamo che in generale pare più una promessa che una cosa concreta. 

  11. 3
    Expo says:

    L’idroelettrico sui torrenti e’ una tecnologia sopravvalutata.
    Poco scorrimento e scarsa produzione , bacini pieni di sedimenti fangosi , ambienti fluviali distrutti , tanto la gente di conseguenze ambientali non ne capisce un cazzo.
    Ricordo come il rilascio di fondo della diga di Sauris ha conciato il Lumiei , i deflussi minimi vitali ridicoli e nemmeno applicati , tanto la gente vive altrove e parla di tutelare cinghiali e cormorani..

  12. 2
    Drugo Lebowsky says:

    Matteo, se le pareti non fossero “franabili” [AGG cit.] i trentini non avrebbero fatto una galleria per collegare la valle del cismon col vanoi. 
    Anche quand’eravamo cei, per raggiungere canal san bovo e salire a refavaie spesso o facevi la gobbera o il brocòn, perché la cortèla era schiusa per frana.
    Sinceramente del “metodo pista da bob” quello che mi impressiona è la possibilità che lo stesso venga replicato in ambiti meno di immagine e sperpero, ma di ancora peggiore sperpero e dannosità ambientale e non solo.
    Una dannosità a 90° insomma.

  13. 1
    Matteo says:

    Ma che bella idea…l’orografia, poi: dalle foto sembra piuttosto simile a quella del Vajont!

La lunghezza massima per i commenti è di 1500 caratteri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.