Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 11 ai rifugi, bivacchi, capanne e sedi sociali. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 11.
Con il Punto 11 inizia la parte seconda del Nuovo Bidecalogo del CAI (che consta di altri dieci punti), preceduta dalle considerazioni generali relative alla Politica di Autodisciplina del CAI.
Politica di autodisciplina del CAI
Giustamente il CAI si arroga il diritto-dovere di proteggere il patrimonio naturale e culturale costituito dalla montagna. Riconosce che altre “pratiche” più moderne e sportive hanno nella montagna il loro campo d’azione. Individua pertanto la soluzione dei problemi determinati dall’affollamento (non solo in termini quantitativi ma anche in termini di tipologie diverse d’uso del territorio) nell’autodisciplina e nel comportamento responsabile ed ecocompatibile di chi pratica tali attività. Si accenna solamente all’importante concetto che “l‘accettazione del rischio è parte integrante dell’alpinismo e della frequentazione, nelle diverse forme, della montagna”. Pertanto il CAI stigmatizza “alcuni tentativi di vietare, con leggi e/o con ordinanze di vario genere, la pratica delle attività sportive e turistiche in montagna”.
Nuovo bivacco Giusto Gervasutti sotto la parete est delle Grandes Jorasses
Così espressi sono i concetti fondamentali che dovrebbero fare da base all’autodisciplina. Dispiace solo, nel testo, lo smagrimento dei contenuti che invece, a giudicare dalla presentazione di Annibale Salsa, devono essere stati di certo assai dibattuti.
Salsa dice: “Se siamo frequentatori abituali dobbiamo collocarci non già dal punto di vista di una mera tutela passiva dell’ambiente, bensì da quello della tutela attiva. Ma la tutela attiva implica l’autodisciplina, ossia l’intelligenza del limite. La montagna è limite per definizione. La coscienza del limite è l’atto morale consapevole che noi dobbiamo assumere in via prioritaria. La montagna sta diventando pericolosa in forza di tutta una serie di variabili, per cui dobbiamo imporci, per primi, dei limiti invalicabili. Eticamente e culturalmente si tratta di una provocazione, soprattutto nella nostra società del “no limite”. Dai mezzi di comunicazione di massa i messaggi che filtrano in maniera ossessiva, gridata o subliminale, vanno nella direzione opposta. Allora, che cosa vogliamo proporre ai giovani: la performance dell’oltre – limite? Il CAI deve contrastare la cultura dominante del “no limits”, con la quale non ha niente da spartire… La montagna è “maestra del limite”, lo diceva già Goethe. I limiti oggettivi devono essere accettati, pur nella loro variabilità soggettiva. Quindi, mettiamoci d’impegno per essere educatori del limite”.
Rifugio Angelino Bozzi al Montozzo, Pontedilegno
Punto 11 (Rifugi, bivacchi, capanne e sedi sociali)
Ho voluto individuare quattro punti, decisamente ben trattati nel testo.
1) La volontà del CAI di non ingrandire ulteriormente il patrimonio di strutture fisse sulle Alpi e sugli Appennini. La densità delle costruzioni è in genere ben sufficiente, solo in alcune zone si potrà discutere eventuali altre realizzazioni. IL CAI si spinge a “prendere posizione nei confronti di una proliferazione indiscriminata di rifugi privati”. L’orientamento del CAI è quindi quello del mantenimento delle strutture esistenti.
2) L’impegno del Sodalizio è pertanto rivolto ai lavori di messa a norma ecologica, di miglioramento igienico-sanitario, di smaltimento dei reflui, di ricerca di soluzioni atte a evitare accumuli di rifiuti e di soluzioni non inquinanti per il fabbisogno energetico. IL CAI è per un impatto ambientale e paesaggistico il più contenuto possibile; raccomanda che l’approvvigionamento dei rifugi con elitrasporto sia limitato allo stretto necessario e scoraggia il trasporto aereo di persone in caso di manifestazioni in quota; raccomanda l’installazione di impianti per energia da fonte rinnovabile; raccomanda ancora acquisto e consumo di prodotti locali, nell’ottica del “km 0”.
3) Il CAI denuncia come, nel mondo dei rifugi, si assista a un progressivo snaturamento della funzione: “Altrettanto forte è la convinzione che non siano condivisibili e accettabili i tentativi, che a volte si affacciano, di trasformare i propri rifugi in alberghi di montagna”.
Pertanto il CAI formula il concetto di rifugio come “presidio culturale” e di “pubblica utilità”, quindi intende “promuovere, richiedendo la collaborazione dei gestori e delle associazioni dei gestori, campagne di informazione volte a sensibilizzare la fruizione dei rifugi, non in chiave alberghiera, ma in chiave ecologica e di sobrietà”. In quest’ottica, il CAI si spinge a dire di voler contrastare l’alienazione dei patrimoni (rifugi, capanne, ecc.). Non viene trattato il caso, altrettanto pericoloso, della cessione di gestione, come quello stipulato tra la Sezione di Bolzano del CAI e il Dolomiti Mountain Resort del Passo Sella.
Dolomiti Mountain Resort, Passo Sella
Salsa dice: “Anche quei rifugi che diventano alberghi superano certi limiti. E’ ben vero che il rifugio, ai nostri giorni, non è più la tappa intermedia del percorso di salita, ma sta diventando la meta. Nulla da eccepire in tal senso, anche per favorire la conoscenza della montagna presso i turisti… Ma che tipo di meta vogliamo indicare? Vi ricordate quando, qualche anno fa, ho lanciato l’idea del rifugio come “presidio culturale”? Se il turista desidera arrivare al rifugio senza proseguire oltre, il rifugio può essere un’occasione piacevole, una vetrina di informazione sulla montagna dove proporre momenti di riflessione, di cultura, di gastronomia legata al territorio, di educazione ambientale. Non c’è da scandalizzarsi se il rifugio diventa una meta. Ci mancherebbe altro, ben vengano i frequentatori attenti. Ma ci si deve attrezzare in tal senso. Se raggiungo un rifugio piemontese e mi propongono il piatto della “bagna cauda” o, in Trentino e Sud Tirolo, lo speck posso meglio immedesimarmi nel contesto culturale di accoglienza”.
4) Il CAI sottolinea l’importanza di una politica tariffaria a favore dei giovani e delle famiglie, quindi vuole “ricercare nuove forme di accoglienza e permanenza, non esclusa una diversa politica tariffaria per famiglie con giovani”.
In conclusione, un buon Punto 11. E’ da rimarcare però l’assenza di interesse, da parte del CAI, a sostenere il gestore nei rapporti con la pubblica amministrazione, nel sistema creditizio e nella comunità locale, soprattutto nei casi in cui, così facendo, si favorisca l’occupazione giovanile, indipendentemente se i giovani gestori siano del posto o provenienti da altre località.
vedi Nuovo Bidecalogo del CAI Punto 10 (precedente)
vedi Nuovo Bidecalogo del CAI Punto 12 (successivo)
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Sono anni ormai che non si sente più parlare nel CAI di Giornate Culturali ai Rifugi.
Peccato, era una bella iniziativa da perseguire!
Ho avuto la fortuna di partecipare alcune Giornate Culturali ai Rifugi e le ho trovate di grande interesse per le tematiche trattate e di grande spessore culturale.
Vi era molto entusiasmo sia tra i Gestori che i partecipanti.
Caro Alessandro,
la mia precisazione non era assolutamente rivolta a te e all’insufficienza delle tue informazioni.
Tu hai preso in esame il nuovo bidecalogo.
Il mio era solo un chiarimento “storico” riguardo la paternità dell’idea del progetto.
Il Past presidente Annibale Salsa più precisamente avrebbe dovuto scrivere non “lanciato” ma che aveva pienamente sostenuto e condiviso la mia idea ovvero “il mio progetto” – perchè di progetto si trattava – dei “Rifugi come presidi culturali”.
Dal 2005 al 2010 (anno in cui sono uscito dal CAI) ho promosso e organizzato le Giornate culturali ai rifugi per consolidare il suddetto progetto.
Del dopo non ho informazioni e posso comprendere le difficoltà che abbia il progetto a decollare anche oggi come sostieni tu.
Ciò può dipendere dalla mancanza di piste “culturali” di decollo e dalla mancanza di piloti e controllori di volo.
Caro Vinicio, l’idea del rifugio come “presidio culturale” ha le sue belle difficoltà a decollare anche oggi. Figuriamoci nel 2003 quando tu precisi di averla formulata… Così purtroppo vanno le cose. Nello scusarmi dell’insufficienza delle mie informazioni, ti ringrazio del tuo contributo (sperando che anche questo contribuisca alla causa).
Leggo nel testo le parole del past president Annibale Salsa che dice “Vi ricordate quando, qualche anno fa, ho lanciato l’idea del rifugio come “presidio culturale”?
Ritengo opportuna una mia doverosa precisazione in merito all’idea del “rifugio come presidio culturale” e a colui che l’ha lanciata.
Nell’anno 2003 quando facevo parte della Commissione centrale rifugi e opere alpine del CAI così scrissi e venne pubblicato sul notiziario del CAI Lo Scarpone:
Presidi per la tutela dell’ambiente montano
L’incessante e crescente sviluppo antropico ed economico supportato da un’intensa ed inarrestabile evoluzione tecnologica ha fortemente intaccato, minandoli, a seguito delle continue deforestazioni, dei dissesti idrogeologici e degli sconvolgimenti dei sistemi atmosferici, i fragilissimi e complessi ecosistemi alpini.
E’ quanto mai necessario che oggi ogni Socio del Club Alpino Italiano si imponga l’imperativo di impegnarsi ad operare in prima linea per la conservazione e la difesa dell’ambiente montano.
A fronte di questo impegno, importante ed essenziale diventa la struttura del Rifugio del Club Alpino Italiano, bene prezioso ed insostituibile presidio sia per la sicurezza, per l’accoglienza, per il soccorso, l’aggregazione sociale e culturale, e la tutela dell’ambiente montano.
Il Rifugio, questa affascinante struttura, oggi deve assolvere appieno il compito di svolgere azioni di sensibilizzazione e divulgazione del rispetto e diffusione dell’ Etica e della Cultura della montagna (motivazione di base del Sodalizio) a tutti i fruitori di quel meraviglioso ed unico ambiente che lo circonda, rivolgendosi soprattutto alle nuove generazioni.
Il Rifugio del Club Alpino Italiano dovrà proiettarsi nel futuro qualificandosi non come struttura Turistico Alberghiera ma quale centro di osservazione, di studio e rispetto ambientale facendo riscoprire a tutti i fruitori una forma di ospitalità più genuina e più semplice, alleggerita dalle pretese di comfort, per non contribuire ad aumentare l’impatto ambientale dovuto all’antropizzazione, a vantaggio dei fragili e complessi ecosistermi alpini.
Vinicio Vatteroni
Commissione Centrale Rifugi e Opere Alpine del Club Alpino Italiano
Nella lettera chiaramente io ho parlato di “presidio” per l’aggregazione culturale e la mia mente ha formulato il concetto di “Rifugi come presidi culturali” nell’anno 2003 e che in seguito ufficialmente il 18 giugno 2005 si è concretizzato con la prima giornata culturale da me pensata e organizzata al rifugio Carrara a cui ho dato il titolo “I rifugi come presidi culturali”.
Beh Alberto quando un CAI li sceglie sulla base delle sole doti imprenditoriali non c’è da meravigliarsi…di certo quelle che porti ad esempio sono mancanze di carattere professionale forse ma il mio “genuino” si riferiva al ben più importante aspetto “umano” e alla capacità-volontà di mettersi in discussione che nel mondo CAI ormai sembra essere una rarità…
Per Francesco. Anche i gestori non sono proprio tutti così genuini e impeccabili. Spesso e volentieri non sanno nemmeno il nome delle montagne che hanno intorno a rifugio. Se poi gli chiedi di vie ed itinerari…bonanotte!!
Io non sono socio CAI da anni e sono fiero di non esserlo…pago qualcosa in più quando pernotto in qualche rifugio lo so ma per lo meno ho la soddisfazione di dare una mano alle uniche figure ancora genuine rimaste in gioco che sono i Gestori!
lo sò, lo sò, Francesco.
Anch’io sono sconcertato dal doppiogiochismo (etico ed economico) del CAI anche su altre questioni, ma qui in questo blog ben seguite; mi riferisco al comportamento del CAI nella pratica (chiuso e dimenticato la bibbia-bidecalogo), per esempio sulle tristi vicende in cui il CAI ha avvallato eliski ed uso di mezzi a motore per i senteri. Ma non vorrei uscire fuori tema.
Ormai il CAI gestisce rifugi diventati “alberghi” e che seguono logiche di profitto…
Privati costruiscono bivacchi per logiche di interesse privato…
Sempre detto che un buon sacco a pelo è sempre un buon investimento 🙂
Purtroppo Giorgio parlo con cognizione di causa quando dico che il CAI oggi sta biecamente lucrando con i propri rifugi e lo fa perchè ha perso contatto lui per primo con i principi e gli ideali che ne avevano ispirato la nascita…
Il fine primario era di dotare le nostre Alpi di strutture volte a dare ospitalità (principalmente un posto letto) agli alpinisti e agli escursionisti e bisogna rendere onore al CAI delle prime generazioni che fece questo con grande dedizione interpretando questa opera come prioritaria.
Non esistevano allora gli sperperi di denaro che riscontriamo oggi necessari spesso a sostenere attività o mantenere sedi lussuose ben lontane da quello spirito originario! La conseguenza di questo è che oggi il Rifugio da fine primario è diventato mero strumento per finanziare una mole di cose spesso superflue e discutibili…con quale risultato? I Rifugi-Albergo, quelli della massificazione, del consumismo quelli in cui il Gestore è spesso strangolato da affitti assurdi e abbandonato a se stesso!
Non è questo il CAI che può permettersi di fare la morale in tema di Rifugi…non lo accetto!!
Oggi le realtà migliori al riguardo le ho trovate in quelle piccole strutture spesso gestite da Comuni dove il Rifugio è uno strumento per valorizzare il territorio, il Gestore è un’ alleato prezioso e gli affitti non servono a colmare i buchi di bilancio ma solo, come è giusto che sia, al mantenimento del Rifugio medesimo…
Oggi mi spiace ma la morale non la fa più il CAI !
se vai al rifugio Tukett , c’è la mezza pensione per soci CAI poi c’è il menù alla carta.
Menù alla carta in un rifugio CAI…. Boh ??
poi al mattino se ti alzi molto presto , se ne guardano bene di alzarsi a prepararti la colazione. Ti danno la roba in un busta , un thermos (freddo) e ti fai la colazione in piedi nel corridoio dell’ingresso al freddo perchè la sala è tutta sprangata.
una interessante tesi, questa orrorifica della sostituzione della bellezza con il disgusto, Alberto 🙂 concordo abbastanza.
il nuovo bivacco Gervasutti più che un bivacco mi sembra un macchinario per farsi la tac.
L’ unica spiegazione che trovo per queste scelte è che dopo un passato tanto glorioso, dove abbiamo regalato al mondo un patrimonio di bellezza, è che oggi, in Italia, abbiamo sostituito il senso del bello con quello del disgusto.
io non sarei così ottimista sui rifugi francesi.
Due miei amici arrivati in mezzo alla bufera al rifugio Requin, si sono visti trattare piuttosto male dalla rifugista. Tirare fuori i soldi altrimenti niete sosta al rifugio. Via sul ghiaccio anche se il tempo fa schifo e non si vede ad un metro.
Sai Patrizia, conosco un rifugio CAI che sta in Val Vény nel quale anni fà pernottai per giorni. Io mangiavo e dormivo in quanto socio CAI, con rancio ben diverso dai pranzi/cene a costo/qualità/assortiimenti ben superiori per i “turisti” 😉 Forse questo è legale/lecito ma non che fosse molto divertente per noi “alpinisti” (CAI) vedere nello stesso rifugio CAI due diversi trattamenti: clienti di serie B (in quota CAI) e clienti di serie A (merenderos/gente per la cena) e “posso avere anch’io le patate al forno?” … “No Tu No! (hai sconto CAI quindi ti magni la pasta, zitto e mosca)” 🙂
Scherzi a parte, che tu abbia ragione Francesco, tutti i gestori di rifiugi CAI che ho conosciuto li ho sempre sentiti a dir poco arrabbiati per la sconvenienza economica e per rapporto tirannico da parte del CAI, anche se confesso non sono mai riuscito a farmi idea di dove stia la verità.
Poi ci sarebbe da fare un discorso sulla posizione e la densità di rifugi/bivacchi (in generale, CAI o non CAI), per esempio in questi giorni si parla della necessitò di un nuovo bivacco in Marmarole… in un punto che da quel che mi pare non è di grande utilità.. ma lascio a più informati di me la questione… personalmente ho sempre considerato i bivacchi una risorsa utile e di solito non invasiva, ma ci sono situazioni molto diverse da luogo a luogo; per esempio nelle Alpi Occidentali i bivacchi non sono mai “abbastanza”, mentre per esempio in Dolomiti, in Cadore per quello che conosco, forse ce ne sono pure troppi, spesso pure privati… ma lì c’è una lunga tradizione sociale/storica (le “baite”… private)… bho. Attendo lumi da qualcuno sul blog.
Una nota a contorno: ma secondo voi perchè vengono negli ultimi anni posizionati bivacchi/rifugi di così assurda fattezza, come appunto il nuovo bivacco Giusto Gervasutti sotto la parete est delle Grandes Jorasses ? 😉
Meglio tardi che mai… Era ora che il CAI mettesse un freno ai rifugi-albergo.
Sono socia CAI da più di vent’anni. Anni fa mi sono sentita chiedere una quota
per aver consumato del cibo mio al tavolo.
Ormai se non fai la “mezza pensione” sei considerato un morto di fame.
Cosa che non mi è mai successa nei rifugi francesi.
Certo che il nuovo bivacco Giusto Gervasutti è un vero cazzotto nello stomaco. Ho avuto una bella fortuna ha poter ancora riposare tra le tavole della gloriosa vecchia capanna dove si respirava la storia.
La verità è che il CAI ha per primo perso di vista la propria missione originaria e per primo non ha saputo o voluto prendere le distanze dalla comune logica del capitale…oggi i rifugi sono per lo più uno strumento per fare “cassa” ai danni di chi ha la malaugurata idea di gestirli e di assumersi le responsabilità e i rischi che una volta era il CAI stesso ad assumersi!