Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 19 alle manifestazioni. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 19.
Punto 19 (Le Manifestazioni)
Il Bidecalogo fa, nel Punto 19, un’analisi corretta del fenomeno: lo sviluppo di alcune attività sportive in montagna, quali la corsa, la bicicletta, lo scialpinismo, il fondo escursionistico e l’attività con racchette da neve, ha comportato nel tempo l’organizzazione di grandi raduni, a volte giganteschi, così coinvolgenti ed emozionanti da rendere quasi obbligatoria una nuova edizione uno o due anni dopo. Ugualmente si sono moltiplicati eventi e manifestazioni culturali, come concerti, proiezione di film, festival.
Un tempo era diverso: non si andava tanto oltre la gita socale, c’era solamente il Festival di Trento. E, quanto agli eventi serali, l’invito a un alpinista di rilievo a tenere una conferenza nella sede sezionale era probabilmente il massimo che si poteva concepire in tema culturale.
Rally scialpinistico dell’Adamello
Senza qui voler paragonare tempi e situazioni così diverse, giustamente il Bidecalogo osserva che queste manifestazioni “richiamano gran numero di partecipanti e spesso richiedono l’utilizzo di mezzi di trasporto a motore (elicotteri, altro), nonché l’installazione di attrezzature di supporto“.
Pur riconoscendo la positività di questi momenti d’incontro (che comunque coinvolgono, a volte in maggioranza, anche non-soci), il CAI denuncia che “in determinate occasioni, il numero dei partecipanti e l’utilizzo di mezzi di trasporto e l’arredo si rivela incompatibile sia con il “carico antropico” sopportabile dalle zone coinvolte, sia con il forte impatto ambientale che tali manifestazioni producono“.
Per alcuni eventi dunque il CAI prevedrà il numero chiuso, la Valutazione di Incidenza Ambientale e in generale la “collaborazione con gli Enti e le Associazioni interessate nella preparazione dei percorsi e tracciati” sia per evitare l’interferenza con le zone di stanziamento e/o di riproduzione della fauna sia per la rimozione, a manifestazione terminata, delle infrastrutture e dei segnali indicatori (nastri, cartelli, ecc.).
A mio parere il Bidecalogo, al di là di quanto giustamente scritto, avrebbe dovuto prendere maggiore distanza da tutti quegli eventi in montagna che ormai sono caratterizzati da una forte attrazione mediatica perché altamente spettacolari, i cui fini perciò sono del tutto divergenti da quello che sono gli obiettivi statutari, conoscenza e protezione dell’ambiente.
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Argomento difficile, che sollecita riflessioni articolate. Se è vero che il senso dell’esperienza della montagna sta nella solitudine, nel silenzio, in una avventura solo in minima parte etero-diretta, e anche vero che “semel in anno” può essere positivo ritrovarsi in tanti per condividere le stesse emozioni, anche a livello di una sorta di corale “scampagnata” che utilizza l’ambiente montano come sfondo. Resta fondamentale che di quegli eventi, a cose fatte, non rimangano tracce visibili. E che non vengano usati elicotteri e altri mezzi di trasporto impropri e diseducativi, come gatti delle nevi, quad, moto slitte.. Del tutto positivi i raduni organizzati come forma di protesta contro minacce all’integrità della montagna. La loro efficacia dipende dal numero dei partecipanti. Colgo l’occasione per invitare i lettori a prendere parte alla fiaccolata che Mountain Wilderness organizzerà il 24 aprile per opporsi ai nuovi impianti di risalita in Marmolada.
Bisogna tenere conto che il CAI è una associazione di massa (oltre 300.000 associati!). Una certa trasversalità di opinioni (non è la LIPU…) mi pare ovvia e l’Associazione deve rappresentarle nel suo complesso. E’ chiaro che il Bidecalogo abbia dovuto mediare (vedi anche posizione sulla caccia) ma credo che, nella situazione data, esso esprima, realisticamente, le posizioni più avanzate possibili.
Ivan Borroni, da facebook 17 dicembre 2015 ore 9.11
Concordo pienamente sulla necessità di valutare PRIMA il carico antropico e le conseguenze di una qualsiasi manifestazione.
Basti pensare a cosa rimane a terra dopo il passaggio di numerosi sportivi (non tutti amanti della montagna ma spesso più interessati alle performance) ed alla fatica necessaria al ripristino dei luoghi (che spesso alcuni soci CAI se non intere Sezioni fanno).
E questo, per le manifestazioni che hanno un interesse “culturalmente legato” all’ambiente in cui si svolgono.
Altro, completamente altro, sono manifestazioni atletiche e/o di massa che non hanno nulla a che spartire con l’ambiente: le varie UltraMarathon, UltraTrail, IronMan, ecc. per le quali, a mio avviso, i limiti di accettabilità in territori fragili dovrebbero essere ancora più stretti.
Il CAI a volte lo dimentica, anche se alcune Sezioni o gruppi di Soci si sforzano di ricordarlo, e fa ancora poco per esprimere questa posizione agli Enti Locali. Lo statuto CAI lo imporrebbe!
Il CAI sta’ con un piede in due scarpe, come sempre. Il numero chiuso mi ricorda la partecipazione dell’Italia alle Olimpiadi di Mosca del 1980: sì alla partecipazione ma i militari a casa. Mai una posizione netta, tutto tipicamente italiano.