Arrampicata, nuovo regolamento per praticarla sui Berici
Riportiamo per intero l’articolo apparso su Vicenza report il 10 luglio 2014. In fondo le mie considerazioni.
Intesa raggiunta tra Provincia di Vicenza e amanti dell’arrampicata sportiva. Dopo alcuni incontri, e qualche animato confronto, si è giunti all’elaborazione di un regolamento che disciplina le attività sportive sui Colli Bérici, in particolare appunto l’arrampicata ma anche il parapendio e il motocross.
Regolamento condiviso nei mesi scorsi con i Comuni interessati e con le associazioni sportive del territorio, per poi essere approvato dal Commissario Straordinario Attilio Schneck e diventare quindi esecutivo.
“Il regolamento – spiega il Capo di Gabinetto della Provincia Dino Secco – si era reso necessario a seguito degli interventi di valorizzazione dei Brici eseguiti con il progetto comunitario Life Colli Bérici. Un milione e mezzo di euro grazie ai quali sono stati recuperati ecosistemi e ambienti naturali per lo sviluppo e la salvaguardia di flora e fauna tipici dell’area. Interventi complessi e corposi, durati ben tre anni, che ora vanno tutelati non certo con divieti assoluti, ma con una fruizione consapevole e responsabile, che protegga l’ambiente ma che permetta anche alle persone di goderne, visto che si tratta di un vero e proprio patrimonio naturalistico, tanto da essere stato classificato SIC, Sito di Importanza Comunitaria.”
La parola d’ordine del regolamento è quindi “comportamenti responsabili”, quelli cioè che permettono di praticare sport sui Bérici limitando l’impatto ambientale, rispettando la vegetazione spontanea e la fauna selvatica e domestica. E poi omogeneità, cioè regole certe, chiare e uniformi per tutta l’area dei Bérici, finora interessata da pochi e sporadici regolamenti comunali o affidata al buon senso dei suoi frequentatori.
Ad ogni sport corrisponde, nell’accordo, un capitolo dove sono indicati tempi, luoghi e modi della sua pratica. Il più interessante, e anche il più discusso, è di certo l’arrampicata. Le pareti più note e frequentate, quelle di Lumignano-Longare, sono state divise in quattro aree, recependo quasi interamente quanto stabilito dal regolamento del Comune di Longare:
– area verde (arrampicata consentita tutto l’anno): itinerari compresi tra “Lumignano Classica” e ”Vomere” e itinerari noti come “Brojon Classico” e “Brojon Strapiombi settore Pilastro”.
– area arancione (arrampicata consentita dall’1 luglio al 31 dicembre): itinerari noti come “Lumignano Nuova” e “Brojon Strapiombi settore Piardi”.
– area azzurra (arrampicata consentita dall’1 aprile al 30 settembre): itinerari compresi tra “Il commercialista” e “Sotto l’Eremo”;
– area rossa (arrampicata non consentita): tutti gli altri itinerari noti.
Due sono le aree per Castegnero-Nanto: area verde per gli itinerari del “Covolo” e area rossa per tutti gli altri. A Barbarano si arrampica invece tutto l’anno al Monte della Cengia. Divieto di arrampicata infine nella parete di San Donato a Villaga, nella parete di Toara di Villaga e in zona grotta di San Bernardino a Mossano. E divieto assoluto, in tutti i Bérici, di apertura di nuove vie di arrampicata senza autorizzazione preventiva e Valutazione di Incidenza Ambientale.
“La logica – spiegano i tecnici – è stata quella di non polverizzare l’attività di arrampicata, regolamentando questo sport nel rispetto dei ritmi della natura. Ci sono piante da salvaguardare per la loro bellezza e la loro rarità, come l’atamanta dai fiori bianchi, il camedrio giallo, la salcenella, il muscari azzurro. E poi uccelli protetti quali falco pellegrino, gheppio, corvo imperiale, rondine montana, codirosso spazzacamino, passero solitario. Se disturbati durante il periodo riproduttivo possono abbandonare il nido o addirittura non nidificare. In questi particolari periodi va quindi evitata ogni forma di disturbo”.
Il CAI e il gruppo degli arrampicatori esprimono a conclusione dell’accordo una moderata soddisfazione.
“Si pensi – ha commentato Emma Dal Prà, Presidente CAI sezione Vicenza – che nella fase iniziale del progetto i naturalisti avevano prospettato la chiusura di numerosi settori di Lumignano e di tutti i siti minori. Si ritiene che i risultati raggiunti, pur nel rispetto di una buona parte delle richieste dei naturalisti, possano garantire un’ampia frequentazione delle falesie, con alcune limitazioni peraltro già presenti nel Regolamento approvato nel 2004 dal Comune di Longare”.
“Da parte degli abituali frequentatori delle falesie – aggiunge Maurizio Dalla Libera, direttore della scuola di alpinismo – rimane il rammarico di non essere stati maggiormente coinvolti nelle fasi di elaborazione del progetto. Una diversa collaborazione avrebbe potuto limitare le tensioni fra arrampicatori e naturalisti: la chiusura totale del sito di San Donato e quella parziale di Castegnero sono infatti destinate a suscitare polemiche e malumori, molto probabilmente evitabili con una progettazione maggiormente condivisa, che avrebbe conciliato le esigenze di arrampicata con la protezione dell’habitat.”
Provincia e CAI stanno organizzando una serie d’incontri che si terranno in settembre in date e luoghi da definire e che saranno aperti agli appassionati delle arrampicate. L’obiettivo è approfondire il contenuto del Regolamento, per condividerne le finalità di tutela degli habitat e di conservazione ambientale.
Due parole in conclusione sugli altri sport oggetto dell’accordo. Per quanto riguarda il parapendio, sono tre le aree di decollo esistenti: Pineta di Brendola, Monte Molinetto di Orgiano e Monte della Croce di San Germano dei Bérici. Quest’ultima è quella su cui maggiormente si è discusso. I naturalisti del Progetto Life ne avevano chiesto la chiusura, viste le gravi condizioni ambientali in cui versa. Si è invece deciso di mantenerla attiva con l’impegno, dell’associazione Volo Bérico, di effettuare interventi di rinaturalizzazione e salvaguardia della flora presente. In conclusione: rimangono attive tre piste di decollo su tre.
Nessuna sorpresa, infine, per il motocross, regolamentato secondo quanto dispone il Codice della Strada: circolazione permessa sui tracciati della viabilità principale e divieto sui tracciati della viabilità minore, che comprende le strade interpoderali, i sentieri, le strade silvo-pastorali, le piste forestali, gli itinerari ciclabili, le ippovie.
In arrampicata sugli strapiombi del Bojon
Considerazioni
Di certo le chiusure totali (San Donato, Toara e grotta di San Bernardino), nonché quella parziale di Castegnero e le altre limitazioni, non vanno giù a tanti appassionati: sarà difficile far digerire queste imposizioni anche se occorre riconoscere che, dopo la paventata chiusura di tutto il territorio, qualcosa di ben concreto gli arrampicatori hanno ottenuto. Gli scontenti d’altra parte ci sono anche in campo naturalista. Gianni Sertori per esempio parla di soluzione all’italiana, lamentando la sorte assai precaria della saxifraga berica, denunciando l’abbandono della rondine rossiccia e recitando il de profundis per le spettacolari stalattiti che ornavano il Brojon (danno peraltro già fatto da tempo, assai deprecabile).
Ancora una volta si è persa l’occasione per sperimentare maturità e responsabilità di una comunità, quella degli arrampicatori sportivi, che probabilmente preferirebbero aderire più a un un invito che obbedire a un divieto.
La scarsa disponibilità ad accettare le regole ci deriva non solo dalla nostra italica e congenita anarchia: c’è la strisciante quando non manifesta sfiducia nelle istituzioni che, anche di fronte a un caso come questo, dove un intero territorio è stato promosso a SIC da un progetto europeo (Life Colli Bérici), e di fronte alla certamente apparente serietà mostrata in tre anni dai gestori e dai partner (vedi http://www.lifecolliberici.eu/it), ci lascia perplessi sui finanziamenti, sulle voci di costo non pubblicate, e in definitiva sulla spartizione del milione e mezzo di euro.
postato il 2 settembre 2014
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una segnalazione
A un anno dalla sua scomparsa, consentitemi di ricordare su questo sito mio padre Leone Sartori (“Marcello”) partigiano della “Brigata Silva” che operò sui Colli Berici e che poco oltre la cima del Broion aveva il suo comando, tra le rocce.
Uomo semplice, uomo del popolo che ha saputo fare la scelta giusta per “pagare il biglietto di ritorno alla democrazia”.
Grazie
Gianni Sartori
Con questo ultimo contributo (forse penultimo se ritrovo l’intervista a Sandro Gogna su Mountain Wilderness – v. su “Le Piccole Dolomiti “1993, un quarto di secolo, quasi) tolgo definitivamente il disturbo. Grazie per l’ospitalità e chiodate meno…ciao
Gianni
PER LA SERIE: UN ALTRO ALPINISMO ERA POSSIBILE?
SULLA “DANIELI” DI LUMIGNANO RICORDANDO MARIANO LUPO (198…?)
Gianni Sartori
Primi anni ottanta. Incontro casualmente Roberto Fini che non vedevo da parecchio tempo. Negli anni settanta era stato uno dei pochi esponenti vicentini di Lotta Continua. Fortissima a Schio, nella città del Palladio L.C. non aveva mai veramente attecchito, forse per la concorrenza di PotOp. Rivanghiamo qualche ricordo comune. Come quel primo anniversario del golpe cileno quando L.C. aveva organizzato una manifestazione antifascista a Schio. A comizio concluso mi ero arrampicato sulla facciata del Duomo e da lassù sventolavo la mia bandiera rossa con grande A cerchiata nera (versione personale del comunismo libertario, un pochino eretica, ma aveva sventolato ai funerali del “Borela”, l’ardito del Popolo di Schio che fu il maestro del TAR). In breve tempo si era radunata una folla di curiosi che forse temeva (o sperava) di dover assistere alla mia rovinosa caduta al suolo. Arrivarono anche i carabinieri che mi intimarono di scendere immediatamente. Oltre alla scontata richiesta dei documenti, subivo l’aggressione verbale di alcuni scledensi. Ovviamente rispondevo per le rime. Nonostante la presenza delle forze dell’ordine, ci si stava per accapigliare. Facile immaginare chi alla fine sarebbe stato fermato e ingabbiato.
A trarmi d’impaccio intervenne generosamente Roberto che letteralmente mi trascinò via venendo a sua volta “schedato” dall’appuntato. Ma, avendo già alle spalle parecchie denunce, la cosa non sembrò preoccuparlo più di tanto.
Mi aggiorna sul fatto che nel frattempo “ha cambiato sport”. Attualmente si dedica alla vela e alle regate. E’ appena rientrato da una “crociera” che lo aveva visto sbarcare a Beirut. Per non sfigurare lo informo che nel pomeriggio pensavo di andare a Lumignano per una arrampicata in “solitaria”.
Si aggrega, anche se manca completamente di esperienza. All’epoca la “palestra” di Lumignano, sui Colli Berici, era ancora quasi eco-compatibile e si estendeva solamente sul tratto di parete compreso tra La “Rossi” (la via più dura, con qualche passaggio considerato all’epoca di V grado) e la “Danieli” (un III grado). Tra le due, lo spigolo Conforto (in memoria di un alpinista degli anni trenta deceduto per un incidente motociclistico), la “Maruska” (in ricordo, pare, di un artista dilettante così soprannominato che qui veniva a dipingere), la “Sbrega” e un tetto chiamato “la Pansa”. In seguito i cosiddetti FC, alfieri di uno pseudo-alpinismo consumista, competitivo e irriguardoso dell’ambiente, hanno trasformato ogni angolo della ex barriera corallina in parco-giochi. O meglio, in ruota per criceti addomesticati, ora d’aria per reclusi volontari del capitalismo (senza nemmeno un’embrionale idea di ribellione). Piantando migliaia di chiodi a pressione con il trapano, abbattendo concrezioni e stalattiti millenarie (v. quelle di quasi due metri sul Broion, ne conservo le foto), costringendo alla fuga sia il falco pellegrino che la rondine rossiccia, in passato qui nidificanti. Per non parlare della significativa riduzione della saxifraga berica (anche a causa dell’eliminazione della vegetazione alla base -e non solo- delle pareti, visto che la rarissima specie vive di luce indiretta). Significativo che uno dei maggiori responsabili di quest’opera di devastazione, ormai annoiato dalle sue pseudo-arrampicate, si sia dedicato al golf. Usque tandem, società della merce e dello spettacolo?
Ancora ignari di quanto ci riservava il futuro, ci incamminiamo sul sentiero che porta alla base delle pareti.
Dato che Roberto è alla prime armi, decido per la “Danieli”. Vedo con sorpresa che si è attrezzato con un casco da motociclista, bianco e con sopra dipinta una vistosa “A” cerchiata in campo rosso e nero. Come mai questa sbandata libertaria? Mi spiega che il casco apparteneva a Mariano Lupo, un compagno assassinato dai fascisti a Parma il 25 agosto 1972. A Roberto (amico di entrambi) lo aveva dato la sorella. Mi informa poi che Lupo, più che un vero e proprio esponente di Lc, sarebbe stato “un militante antifascista, uno che di fronte ai fascisti non si tirava mai indietro”. E anche con qualche retroterra anarchico, come suggeriva la decorazione del casco. Niente di strano ripensando all’ecumenismo che caratterizzava gli Arditi del popolo di Guido Picelli e Antonio Cieri, quelli che il primo agosto 1922 alzarono le barricate e respinsero gli squadristi di Italo Balbo (rileggersi “Oltretorrente” di Pino Cacucci).
Ma per me la scoperta era un dito rigirato nella piaga. Nei giorni immediatamente successivi all’assassinio del compagno, anche a Vicenza venne diffuso un manifesto contro le aggressioni fasciste. Stampato in xerigrafia, scritte rosse su fondo bianco, nella prima versione era firmato da quasi tutte le organizzazioni extraparlamentari di sinistra presenti in città. Potere operaio, Lotta continua, Il Manifesto, Servire il popolo e gli Anarchici. Mancava solo Lotta comunista. Nel giro di 24 ore i manifesti già incollati sui muri vennero ricoperti con una nuova versione da cui era scomparsa la firma degli anarchici. L’iniziativa, imposta anche alle altre organizzazioni, veniva da qualche capetto di Potere Operaio che non voleva “confondersi con questi…”(e giù con i soliti epiteti). L’incazzatura di allora riesplodeva ingigantita scoprendo che in fondo Mariano Lupo era stato più vicino agli anarchici che agli stalinisti (di fatto se non di nome) del Potop vicentino.
Va anche ricordato che dopo l’uccisione di Lupo la sede parmense del Msi venne devastata e che uno dei suoi assassini, un certo Bonazzi , entrò a far parte della redazione di Quex, insieme a Murelli (“giovedì nero” del 12-4-1973), Izzo (il massacratore del Circeo) e Zani. Tra gli ispiratori del giornale dei detenuti di estrema destra, il nazista Franco Freda.
Torniamo in parete. Risalgo il primo tiro (meglio. “tiretto”) e recupero il compagno. Scatto un paio di foto (soprattutto del casco: per la Memoria storica) e riparto. Ormai concluso il secondo tiro, mi arrivano le prime lamentele. E’ in crisi e non se la sente di proseguire. A volte capita, niente di cui scandalizzarsi. Che fare? Ridiscendere o arrivare in cima e poi tornare a recuperarlo. Opto per la seconda soluzione. Non saprei dire perché. Forse la discesa, visto che non mi fidavo della “sicura” di Roberto, mi sembrava più rischiosa della salita in “libera”. Oppure, semplicemente, volevo tornare a casa con almeno una via (“vietta”?) completata. Recupero la corda, la infilo nello zaino e risalgo utilizzando il “camino” (una grotta verticale con foro di entrata e di uscita) che mi permette di evirare un tratto esposto (visto che al momento non godo nemmeno di una sicura psicologica). Mentre scendo in corda doppia lungo la “Maruska”, riconosco a pochi metri, in libera su una parete ben più impegnativa, Franco Perlotto, autore di imprese alpinistiche di fama mondiale (dalla Norvegia alla California, dal Sudamerica al Sinai…) e futuro sindaco di Recoaro. Ritornato alla base della “Danieli” risalgo fino a dove Roberto rischiava ormai di nidificare e dopo una sommaria spiegazione lo aiuto a calarsi fino al sentiero. L’ho rivisto soltanto recentemente. Insegna in qualche università sudamericana e conserva ancora gelosamente il casco di Mariano Lupo. Per non scordarsi di quello che siamo stati.
Gianni Sartori
Esagerando un pochettino, ricorda certe polemiche della vecchia Inghilterra (o altre più recenti negli USA, vedi le milizie contro lo stato federale) attorno a un qualche “common”: libero accesso (con il rischio che la risorsa in questione venga devastata, nel nostro caso che un ecosistema scompaia definitivamente), privatizzazione o proprietà pubblica con accesso regolamentato?
Ma forse ora la cosa è diventata ancora più complessa: i soidisant “ribelli alle regole imposte” di LIBERICI sono in realtà portatori di un’ideologia liberista-capitalista (quella che talvolta, abusivamente, si autodefinisce anarco-capitalista o libertariana); apparentemente insofferenti verso ogni limite imposto dall’autorità statale, ma in realtà “pionieri” della definitiva colonizzazione e mercificazione di ogni aspetto dell’esistente. Una visione di estremo antropocentrismo che non si arresta di fronte a niente: si tratti di disboscare l’Amazzonia, massacrare le balene o, si parva licet, devastare le nostre modeste pareti e sloggiarne i legittimi abitanti (mi riferisco sempre alla sassifraga berica e alla rondine rossiccia, tra gli altri). Sono gli stessi “valori” propagandati da quella parte dell’elettorato repubblicano che negli USA sostiene Donald Trump nella corsa alle presidenziali. Una paradossale commistione fra rivendicazioni spacciate per “libertarie” e una ideologia sostanzialmente destrorsa (fermo restando che sia per il modesto livello culturale che per il grado di consapevolezza, la massa dei FC non ne è nemmeno cosciente)
Da segnalare che, mentre gli anarchici autentici sono approdati da tempo all’ambientalismo radicale e all’antispecismo, questi atteggiamenti da falsi alternativi (in realtà consumistici e omologati alle ideologie dominanti) sono diffusi in ambienti neofascisti).
GS
Dimenticavo: avete notato che nel frattempo i censori di Vicenza-report hanno tolto, poco elegantemente, i commenti del sottoscritto sulla questione di Lumignano (v. rondine rossiccia, sassifraga, stalattiti del Broion)?
GS
Ho colto la citazione tra gli “scontenti”. Avrei molte osservazioni da fare, ma mi limito a un paio: 1) tra le nuove colonizzazioni andrebbe riportata quella devastante (dal punto di vista della sopravvivenza di rondine rossiccia e sassifraga, ovvio) realizzata sopra la Grotta delle Tette (in prossimità di Casa Leonardi) trasformata in vero parco giochi per criceti bipedi con tavolini ricavati abbattendo alberi, serie di scalinate dove prima la folta vegetazione consentiva la nidificazione (dato che la zona è ben soleggiata, qui avveniva in anticipo) e chiodi vari. Gli idioti che hanno realizzato questa loro “palestra privata” (forse da utilizzare per qualche corso, magari a pagamento, sempre meglio che lavorare) hanno ammesso di aver trovato anche un nido ancora con le uova (presumibilmente di qualche rapace) ma, si giustificano “abbandonato” (è chiaro che se vai a disboscare e trapanare il gheppio o altro fugge via).
Altra infamia: hanno chiodato anche il Covolo della Stria, poco lontano: uno dei luoghi più affascinanti, direi quasi “magico”, dei Berici, almeno finché restava incontaminato.
Come ho già detto, penso che parlarne ormai sia quasi inutile. Lumignanano e dintorni sono diventati lo sfogatoio (“discarica esistenziale”?) di chi, evidentemente frustrato da una vita fasulla, artificiale, virtuale…viene a sfogarsi (appunto) “in mezzo alla natura” (invece di lottare contro il sistema che lo ha addomesticato) portandosi appresso tutta l’immondizia, anche simbolica, ingerita (per ulteriori chiarimenti si consiglia l’attenta lettura de “La Società dello Spettacolo” del compianto G. Debord; leggere anche tra le righe).
Concludo con la solita raccomandazione: ma perché non andate ad arrampicare sui piloni dell’autostrada?
ciao
Gianni Sartori
PS vedo che per illustrare la “falesia” avete inserito una foto di Cà Menarini contro la cui realizzazione ci siamo battuti circa 20 anni fa (in quanto area carsica e quindi, teoricamente, protetta da normative europee). Non abbiamo potuto impedirlo, ma almeno i due-tre covoli non sono stati trasformati in garage come previsto
In queste cose il primo passo proclamato è dire che quel che c’era prima non andava bene.