Orronnoro e Punta Plummare
(scritto nel 2014)
Esiste una notevole confusione al riguardo di quella lunga falesia che da Punta Plummare corre grosso modo verso sud per circa 2 km fino a perdere slancio al di sopra del bosco di Birìola. Per comodità di descrizione ho diviso questa lunga parete in due parti. A sud la parete di Orronnoro, delimitata a sud dal canalone Sa Suludra e a nord dalla crestina di Su Strumpu (Passo di Orronnoro); a nord la parete di Punta Plummare, che da Su Strumpu giunge fino alla spigolone di Fedeli alla Linea, riconoscibile dal fatto che è l’unico che giunge fino al mare; la falesia continua per quasi un altro km, esposta a nord-est, fino nei pressi di Cala Sisine. Il dislivello è assai variabile, si va dai 200 ai 300 m, col massimo dei 440 metri di Fedeli alla linea. Il Sentiero Selvaggio Blu corre al di sotto, nei boschi di Orronnoro Sud e Nord, poi prosegue nel bosco di Plummare. In alcuni punti tocca e segue la base delle rocce, mentre in corrispondenza di Fedeli alla linea incrocia lo spigolone a poco più di un terzo di altezza.
La falesia è stata teatro di un fenomeno particolare negli ultimi anni: la stanzialità degli arrampicatori aficionados, in un grottone eletto a campo base, dopo averlo dotato di ogni comfort. Una tradizione tutta bolognese, iniziata a capodanno 1986 come vi ricorderete, ma che poi ebbe proseliti di altra provenienza. Segretezza era la parola d’ordine, sia per stare tranquilli che per avere l’intero giardino a disposizione. Una bazza durata ben più di dieci anni!
Ma qualcosa è cambiato anche nei protagonisti, ora qualcosa si può rivelare. Perciò ora vale la pena di analizzare tutti gli itinerari aperti, procedendo da sud a nord.
Il canalone di Sa Suludra neppure termina che già incontriamo la prima, L’Atomica (=motosega, in romagnolo), una creazione di Lorenzo Nadali aperta nel 2010 apposta per l’amico Antonio Tabanelli (che non voleva superare il 6b). Poi troviamo Zingari felici (7b+), terminata da Nadali e Massimo Torricelli il 18 aprile 2009: secondo l’autore uno dei suoi ricordi più belli. Più in là, altra via di Nadali, questa volta con Alessandro Tato Gogna e Filippo Beccari, Freak (6c+). Aperta in tre riprese, lungo splendidi diedri rossi, la terminano il 5 ottobre 2005. Poi c’è una via che sale in obliquo, C’est chic, aperta da Anna Torretta con Vittorio Seganfreddo (2006-2007). A questo punto, camminando alla base della parete s’incontra la grande grotta, quella dove bevevano cani e porci. Da qui parte Ginepri e vento, uno dei capolavori di Pietro Dal Pra che, assicurato da Nadali, supera questo meraviglioso pilastro strapiombante a canne: “una via a cinque stelle, severa, aperta con spirito alpinistico, in poche parole tremenda (8a+, autunno 2005)”, in seguito ripetuta da Alessandro Rudatis. Non contento, Dal Pra subito accanto nel 2008 apre Orronnauti, ancora più difficile (8b+). Nadali, suo compagno, non esita a definirla “irripetibile” dai comuni mortali. Tiri lunghissimi per poter fare sosta nei punti “dove puoi mollare le mani”, solo 32 spit sulle lunghezze (minimo 7b). Nel lungo lavoro di apertura, ci sono stati anche altri compagni, come a esempio Torricelli, ma secondo Nadali erano tutti “disperati” che dovevano trattenere gli spettacolari voli di Dal Pra e che si davano il cambio in un itinerario titanico. Che, secondo l’autore, è attualmente il più difficile della Sardegna.
Dove la parete piega, prima esposta a est e ora a sud-est c’è la mia Cani e Porci, di cui ho già raccontato. Il mio lontano cugino Tato Gogna ne ha ripetuto la prima lunghezza con Nadali, poi ha preferito salire a sinistra lungo un itinerario nuovo, L’Ancienne, che in alto va a incrociare Oronnauti. Poco più a destra è Evinrude, fatta da Nadali con Andrea Calvo, Antonio Tabanelli e Luca Giovanardi (26 giugno e 18 ottobre 2002, 230 m, 6c+ max, 6b+ obbl.), via che s’incrocia tre volte con Cani e Porci tenendosene sempre troppo vicina e purtroppo banalizzandola. Quindi incontriamo Issalada ‘e purpos di Matteo Giglio e Anna Torretta (vedi oltre, al racconto di Giglio). La via si svolge a sinistra di un vago sperone, che determina il nuovo cambio di esposizione della parete, da sud-est ancora a est. Qui la falesia si alza, la via è comprensiva di tre tiri su zoccolo, cosa che si ripete anche per la via seguente, quella di Luigi Scema, Stella di prima luna (vedi capitolo a lui dedicato), che obliqua a sinistra per due terzi di parete fino a farsi sovrapporre o quasi da un’altra realizzazione della Torretta (con Seganfreddo), aperta nel settembre 2006 e da lei liberata nel maggio 2007: S’iscala, 6c obbl., 7b+ max).
Siamo giunti al confine settentrionale della parete di Orronnoro, un pilastro imponente la divide dalla parte settentrionale della falesia. La prima via della parete, che per comodità ho chiamato di Plummare, è un itinerario ancora senza nome, aperto da Dal Pra e Rudatis nel febbraio 2009 e non ancora liberato. Quindi arriviamo a Calypso, un magnifico itinerario di Nadali e Dal Pra aperto il 17 e 18 dicembre 2005. Qui, cambio di registro: l’itinerario segue un diedro enorme e supera un grande tetto. Sono sei lunghezze, da integrare con una serie abbondante di friend, una via “alla Piola”, con soste a spit e tre spit a lunghezza (fino al 7b). Più a destra è Infedeli bastardi, aperta nel maggio 2003 in quattro giorni, 8 lunghezze fino al 7b+. Agli autori, Adriano Trombetta, Anna Torretta, Max Faletti e Marco Pelfini, sembrava di essere in paradiso: una parete completamente libera, il vivere assieme in una grotta a bordo mare, tutto congiurava per una grande esperienza. Non si sentiva alcuna fatica!
Il grande pilastro di Fedeli alla linea è stato salito da Enzo Lecis e Simone Sarti, tra l’estate del 1999 e il marzo 2000. Su 15 lunghezze, le ultime tre sono state aperte dall’alto (vedi capitolo su Lecis). La via, di 500 m di sviluppo in grande ambiente, è interamente attrezzata e ha difficoltà di 6c+, obbl. 6b+.
Ultima, abbiamo Aria, sulla parete nord-est di Punta Plummare, altro capolavoro di Dal Pra con Nadali. Terminata nel 2006, liberata nel 2007 con Alessandro Rudatis, sono 350 metri di puro expò, fino all’8a+. Su questo itinerario è stato girato l’omonimo film, che dà un’idea da brivido di cosa significhi oggi aprire una via davvero difficile. Ci sono run-out estremamente lunghi, tanto che Aria può essere ripetuta con soli 6 rinvii, nonostante alcuni tiri siano lunghi quasi 45 m! La via è stata ripetuta nel maggio 2012 anche da Caroline Ciavaldini e James Pearson: a quest’ultimo è sfuggita per un pelo la salita on-sight.
Pietro Dal Pra è nato a Camposanpiero (PD) il 19 giugno 1971, ma è vicentino a tutti gli effetti. Inizia ad arrampicare da adolescente e brucia le tappe sulle scalate sportive più dure della metà degli anni ’80. Dopo la maturità scientifica, per la voglia di vivere quotidianamente le montagne anche in senso professionale, diventa aspirante guida alpina all’età di ventun anni. Parallelamente a questa professione, che esercita quasi a tempo pieno, Pietro continua a frequentare le montagne durante tutte le stagioni e sulle pareti dolomitiche firma alcune delle più belle salite, in tutti gli stili, da solo o con compagni, in estate e in inverno, in prima ascensione o nella ripetizione degli itinerari più importanti. Oltre che sulle Dolomiti, sale vie di estrema difficoltà su tante rocce del mondo, dalla Patagonia al nord America.
Ciò che più ha caratterizzato l’attività di Pietro Dal Pra è la varietà degli stili delle scalate da lui affrontate, un eclettico sempre in stile pulito.
Fa la guida fino al 2006, poi si dedica interamente alle consulenze nel campo dell’arrampicata.
Tende a scalare con compagni abbastanza fissi, anche se questo non gli impedisce di legarsi a gente come Beat Kammerlander sulla parete di Gorropu (Con le ali sotto ai piedi, 8b+, novembre 2001, 5 lunghezze).
La Sardegna per lui è stata una terra di rivelazione, un impegno quasi sacro che gli faceva vivere ogni viaggio come una spedizione più che una vacanza.
Adriano Trombetta, nato a Torino il 25 aprile 1979, è stato un bel testimone dell’epopea di Orronnoro. Guida alpina, istruttore di alpinismo, scopritore delle falesie di Positano, molto bravo nel moderno trad, è stato più volte in Sardegna. «Nel novembre 2002 Nadali ci faceva da guida quando volevamo aprire Camera con Vista al Gorropu – ricorda Adriano – Lui era lì accampato a “Oleandertal”, praticamente moderno cavernicolo stanziale. Poco distante c’era l’Agribordello di Lecis: un bell’ambientino! Pensa che Lecis ospitava gratis tutti gli arrampicatori cha stavano là oltre la settimana… perché ormai erano amici! Beh, non poteva durare… Camera con Vista l’ho salita con Anna Torretta e Marco Pelfini, 7a con spit distanti e da integrare».
Il 17 febbraio 2017 Adriano Trombetta veniva travolto da una valanga nel canalone dello Chaberton (Valle di Susa). Con lui perdevano la vita Margherita Beria, maestra di sci, e Antonio Lovato istruttore della Scuola di Alpinismo Giusto Gervasutti.
Così lo ricorda Ugo Manera: “Pochi giorni prima al cinema Massimo in Torino, in occasione di proiezioni di film del Banff mountain film festival, ci eravamo ancora scambiati allegre battute e punzecchiature.
Adriano era esuberante in molte cose, ma io l’ho trovato sempre simpatico e divertente, oltre che scalatore fantasioso di alto livello.
Sfogliando i miei numerosi scritti archiviati sul computer ho trovato una mail che gli avevo inviato quale risposta ad una domanda che mi aveva posto.
Da poco aveva ripreso e collegato due vie sulla parete principale dell’Ancesieu nel vallone di Forzo: la Strategia del Ragno, capolavoro di Isidoro Meneghin, e la sovrastante via della Sveglia aperta con me dallo stesso Meneghin. Vie probabilmente irripetute e praticamente abbandonate. Aveva pulito accuratamente le fessure, tolto erba e sterpi, attrezzato le soste lasciando la roccia priva di ancoraggi fissi ovunque fosse possibile proteggersi con ancoraggi mobili. Era risorto così uno dei più belli e difficili itinerari di roccia di tutto il Gran Paradiso, da affrontare nell’ottica più moderna della scalata“.
Anna Torretta è nata il 27 marzo 1971 a Torino. Ha cominciato ad andare in montagna sin da piccola: con i genitori sale a 12 anni il Gran Paradiso. Si laurea al Politecnico di Torino in architettura nel 1998, vive a Innsbruck per 6 anni dal 1998 al 2003, dove inizia il corso per diventare guida alpina, progetta muri di arrampicata e lavora come progettista di attrezzature per l’alpinismo. Nel frattempo sale, con primati femminili e assoluti, diverse cascate di ghiaccio, vie di dry tooling e vie di arrampicata in artificiale. Dal dicembre 2004, sempre più spesso si sposta a Courmayeur (ospite dell’azienda Grivel), e l’anno successivo decide di portarvi la residenza. Termina il corso per guide alpine in Italia, dove si stabilisce definitivamente. È la prima guida alpina donna della Società delle Guide Alpine di Courmayeur, di cui fa parte dal 2005.
Alpinista con salite estreme su ghiaccio, misto, artificiale, spedizioni e solitarie… dalla Nord delle Grandes Jorasses per la McIntyre-Colton al Capitan in Yosemite, in solitaria su Zodiac per 6 giorni. Nel 2006 raggiunge la vetta dell’Ama Dablam 6812 m senza supporto di sherpa e compagni, da sola. Nell’autunno 2010 tenta la salita al Cho Oyu 8201 m in Tibet, raggiunge il Campo 2 a 7200 metri di quota, ma le continue nevicate e valanghe fanno desistere dal tentativo tutte le spedizioni.
Si sposa nel 2008 e diventa mamma di due bambine nel 2012 e 2016.
Organizza ed è leader di spedizioni femminili alpinistiche-esplorative in Cile, Patagonia, Turchia, Corea del Sud, e Afghanistan.
Partecipa nel 2015 al reality Montebianco, in coppia con Stefano Maniscalco.
Nell’ottobre 2018, durante la spedizione alpinistica nel remoto Karnali District, nella regione di Mugu del Nepal, apre una via sull’inviolato Mugu Peak, con la spagnola Cecilia Buil e la messicana Ixchel Foord: è il Couloir SW (600 m, A1, 6a, M5).
Ha salito le vie di misto moderno più difficili al mondo, con primati femminili e assoluti, Vertical Limits in Svizzera, e Musashi in Canada, valutate M12, e l’Empire Strike Back, M11 a Cogne.
Organizzatrice nel 2019-20-21 del meeting delle “Donne Guide Alpine”, ad Arco di Trento, seguito dal “Women’s Climbing Day”. Nel 2022 organizza il 1st Women Mountain Guide Summit in Valle d’Aosta al Forte di Bard.
Oggi continua l’attività di esploratrice di cascate di ghiaccio in regioni remote della Terra, alternando la professione di guida alpina a quella di scrittrice.
Ha pubblicato per Piemme La montagna che non c’è (2017) e per Hoepli Whiteout (2020), scritto con Eleonora Delnevo e Dorota Bankowska.
«Ma io ho aperto solo qualche via in Sardegna, anche se dal basso. Non saprei dirti cosa è oggi il free climbing in Sardegna, sono comunque un po’ di anni che non ci torno (da quando sono aumentati i traghetti…). Ricordo il gruppo attorno a Enzino Lecis e l'”Agribordello”, cominciò tutto lì per me, con il Pelfo e il Tromba (Marco Pelfini e Adriano Trombetta). Poi alcuni anni dopo con mio marito, o forse non eravamo neanche sposati, le vacanze trascorse a Orronnoro. In questo “pezzo privato di Sardegna” ho chiodato un paio di vie che oggi contano le ripetizioni sulle dite delle mani, non perché sono difficili, ma perché non ho mai fatto relazioni dettagliate, perché non volevo e non volevamo che il “nostro cuile” e parco giochi privato diventasse accessibile alle masse. Ma Pierino (Dal Pra) e gli altri possono spiegartelo certo meglio di me».
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Ho capito ciò che intende e ciò che è per lei veramente il Selvaggio Blu, il suo approccio alla montagna e al mestiere di guida alpina e rispetto il suo punto di vista. La mia perplessità era appunto rivolta al fatto che non capivo come mai una persona che facesse da guida per il selvaggio blu ne potesse parlare cosi e la ringrazio per avermi chiarito gentilmente che è rivolta a un determinato tipo di fruitori della montagna la sua critica. Riguardo me le assicuro che sono tutt’altro che tipo da escursioni dozzinali anche se io sono del parere che ognuno può viversi la montagna come vuole in base al proprio livello, capacità e piacere purché abbia rispetto dell’ambiente in cui si trova. Detto ciò, volevo dirle che io consiglio sempre la variante di su ledere e goloritze a chi vuole percorrere il SB, è decisamente più suggestiva e divertente. La saluto
Vede, Claudio Sara, di quei luoghi ne ho seguito in qualche modo l’intera evoluzione alpinistica escursionistica e arrampicatoria, dai primi anni ’70 a oggi. In questo devo dire che mi rattrista molto che sempre più il Selvaggio Blu è proposto a cani e porci da guide dal vario titolo che portano persino la doccia ai loro clienti e propongono menù di pesce, di terra e fiumi di birra e vino, piùtraspoti giornalieri di bagagli inutilmentepesanti e ingombranti e via discorrendo. Tutto ciò attira dei frequentatori superficiali che in realtà si fanno una vacanza balneare camminando un po’ e appendendosi come salami a qualche corda qua e là. Selvaggio blu è tutt’altro però. È stare scomodi, mangiare quel tanto da nutrirsi, dormire sotto le stelle e fare la fatica di portarsi nello zaino qualche kilo in più. Almeno io la vedo così e comunque non lo propongo più così spesso come facevo anni fa perché per me ha perso la sua essenza.
Le dirò che sul farmi pagare profumatamente sto pensando di aumentare il prezzo, che è sempre stato allineato con quello degli altri, in modo da muovermi con meno persone possibili.
Selvaggio blu non è più tra le mie proposte a calendario annuale e lo faccio su richiesta. Può guardare sul mio sito.
Caro Lei, sono un professionista ma ho anche una dignità e non ho mai pensato di arricchirmi facendo la guida alpina e quando lavoro mi devo sentire bene. Ho mandato a quel paese decine di clienti (anche in mezzo allo Hielo Patagonico) quando ritenevo che non si meritassero quello che stavamo facendo e spesso rinunciando a farmi pagare.
Lo sa che Selvaggio blu l’ho fatto diverse volte senza farmi pagare?
Ma cosa le sto dicendo? Mi faccio prendere e le racconto i fatti miei…
Insomma, mi sembra di capire che lei preferisca le cose dozzinali come le escursioni nel supramonte di Baunei sono ultimamente diventate. Pensi che c’è gente che paga per farsi calare con la corda e basta.
Io sono una guida molto rozza, non faccio il babysitting che amano molti miei colleghi, mi ispiro più al pastore che alla “guida” odierna e penso sempre che mi faccio pagare troppo poco. A ognuno il suo. La saluto convinto di essermi spiegato e me ne vado a scalare.
Marcello Cominetti, scusi se mi permetto ma se le da così tanta sofferenza che persone che non se lo meritano visitino quel regno percorrendo la beffa che è il Selvaggio Blu come la definisce lei, mi puó spiegare gentilmente come mai organizza gruppi per percorrere il Selvaggio Blu facendosi pagare profumatamente oltretutto? Claudio Sara
Per non parlare di tutte le vie presenti di cui non esiste relazione, e magari forse mai esisterà…forse giustamente!
3. Sbagli. Credo, ma potrei sbagliare anch’io, si tratti di Filippo Manca.
Sbaglio o Pietro Dal Pra è quello che si vede arrampicare sulla reclame della birra sarda??
Per non parlare della fissa spaventosa che sventola ancora da metà parete di Plummare aspettando un cuore impavido che vada a finire la via iniziata da Pierino ….
Interessantissimo!
Questa è la vera e più pura, secondo me, arrampicata sarda. Quella che rispetta uno stile di alto livello perfettamente integrato in quell’ambiente.
Protagonisti dotati di innata animalità che hanno fatto del soggiornare nelle grotte una parte significativa del loro arrampicare. E che arrampicare!
Fanno un po’ sorridere, al confronto, gli arrampicatori dai furgoni lucenti (ma che dormono in hotel) che arrivano in Sardegna cercando il “rocciodromo” che molte zone ormai sono diventate.
Qualche anno fa, mentre ripetevo l’Atomica con un cliente e due amici sotto una fitta pioggerellina a torso nudo e dentro una nebbia che andava e veniva, mi è sembrato di cogliere in un lampo tutta l’essenza dello scalare in questi posti così selvaggi e unici.
Il fatto che Selvaggio Blu li attraversi quasi tutti è una beffa che mi ha sempre fatto soffrire, perché porta le persone, oggi più di una ventina d’anni fa, dentro a quel regno senza che nessuno se lo meriti.