Chi ha vinto il Panzanera Beach Contest 2022?
di Andrea Giorda
(pubblicato su caitorino.it/montievalli il 20 settembre 2022
Per chi se lo fosse perso, il Panzanera Beach Contest 2022 consisteva nel liberare 10 tiri di una nuova falesia in Val di Susa nell’Orrido di Foresto, denominata Panzanera Beach… Panza-nera perché è un grande strapiombo nero e Beach perché è in riva al torrente.
Da fine luglio 2022, ognuno poteva andare quando voleva e poi comunicare i risultati via email. Non si vinceva nulla di materiale, ma chi liberava un tiro poteva dare il grado e rimanere nella piccola storia di questa falesia. Vedi XXXXXXXXX

L’obiettivo mio e di Claudio Battezzati, che (con grandissima fatica) abbiamo realizzato la falesia nella primavera del 2022, era offrire un pizzico di avventura a giovani e forti scalatori che raramente hanno la possibilità di provare un tiro sconosciuto all’aperto, in un luogo naturale bellissimo e far vivere un po’ le emozioni di un tempo, in chiave attuale.
I giovani una volta i tiri non solo li liberavano, ma se li chiodavano, sono nate così le falesie come le Striature nere, Campambiardo o Gravere. Ora, con le sale indoor si è un po’ persa tra le nuove generazioni la spinta e la pratica a trovare nuove pareti.
E’ stata una scommessa per nulla scontata, nonostante il periodo di ferie e la formula senza premi, ad Agosto in tanti hanno messo alla prova muscoli e dita sugli strapiombi di Panzanera. Per fortuna ci sono ancora giovani che hanno voglia di vivere un po’ di avventura non convenzionale.
Anzi, giovanissimi! Come Gianluca Vighetti che a soli 14 anni ha già un lungo curriculum tra cui un 9a e l’amico Giovanni Giachino di 18. Per la mezza età si è distinto Gianbattista Botassi di 33 anni e per i vecchioni, ancora troppo forti, l’intramontabile papà Valter Vighetti. Tutti abitano in Val di Susa, o nei pressi, e questa è un’altra bella notizia.

Gianluca Vighetti si è lanciato su Panzer e ha tirato fuori un 8b e la mitica Panzanera, il tiro che dà il nome alla falesia, l’ha chiuso l’amico Giovanni Giachino! Il grado è discusso, 7c per i ragazzi, per altri più vicino all’8a.
A prescindere dai gradi, che il tempo appianerà, credo che la soddisfazione e il ricordo che questi ragazzi si porteranno nel tempo, superi qualsiasi premio materiale.
Ecco un commento di Gianluca Vighetti e uno del bravo Gianbattista Botassi che si è portato a casa Panzino Giordino e Omo de Panza.
“Di sicuro ci siamo divertiti a provare questi tiri strapiombanti, penso che mettere in palio una prima salita su dei tiri nuovi di pacca come questi sia una bella formula per invogliare le persone a venire in questa falesia. Riguardo alla falesia, non pensavo esistesse una parete così in val di Susa, di conglomerato e strapiombante. Ci sono ancora tanti tiri che si possono potenzialmente tirare fuori, nella grotta, subito fuori e nella parete blu a destra. Tra le vie presenti le migliori penso che siano Dolores de Panza e Panzino Giordino, ma anche le altre non scherzano (Gianluca Vighetti)”.
“Sono Gianbattista e ho 33 anni, vengo dalla Val Seriana ma mi sono trasferito in Val di Susa da qualche anno. La falesia si trova in un contesto ancora incontaminato dove tra un tiro e l’altro puoi anche fare il bagno. La prima cosa che si nota appena arrivati è la parte di strapiombo che impressiona. L’idea del contest e di poter salire il tiro e gradarlo mi ha dato una motivazione in più. Consiglio la falesia a tutti! Anche se non si ha il grado per chiudere la via avendo i fissi montati ci si può divertire sullo strapiombo! (Gianbattista Botassi)”.
Ecco chi ha liberato i tiri con il grado che ha proposto, tra parentesi il grado suggerito da altri ripetitori:
1) La Pancia non c’è più – Andrea Giorda – 6c
2) Panzerotto – Fabrizio Ferrari – 6b+
3) Sancho Panza – Andrea Giorda – 6b+
4) Panzanera – Giovanni Giachino – 7c ( 8a?)
5) Omo de Panza – Gianbattista Botassi – 7b+(7B?)
6) Panza in fuori – Valter Vighetti – 7b+
7) Dolores de Panza – Gianluca Vighetti – 7b (7b+ ?)
8) Panzino Giordino – Giambattista Botassi – 7b ( 7b+?)
9) Panza Theraphy uscita a sinistra – Gianluca Vighetti – 7a+ (9a) Panza Therapy uscita dritta – Gianluca Vighetti – 7b+
10) Panza Legend – Gianluca Vighetti – 7a+
11) Panzer – Gianluca Vighetti – 8b
Grazie ad Agata Bobra per gli schemi delle vie
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Fortunato quell’allievo che incontra un istruttore che riesce a dimostrargli quali sono le sue capacità reali in quel momento e non gli fa perdere tempo e soldi incitandolo a seguirlo per le sue di capacità. Molto più facile a dirsi che a farsi. Un aiuto in questo senso sono i corsi ai vari indirizzi con diversi livelli.
Circa esser bravi a titolo personale al fine di esser un bravo istruttore, è irrilevante o addirittura controproducente.
Mah, a me sembra una cagata bella e buona questa frase. Spesso invece è l’esempio che conta, soprattutto nei giovani. Se un giovane vede il proprio istruttore panzone ravanare sul IV con le staffe avrà una visione distorta dell’alpinismo e dell’arrampicata attuale. Se vede invece salire il proprio istruttore (eventualmente anche panzone) salire disinvolto su un tiro difficile cercherà di emularlo, sforzandosi di migliorarsi fino a raggiungerlo e superarlo.
Il problema, in altre parti del (nord) Italia, non è tanto che il CAI non riesca ad attrarre i giovani, quanto che non riesca a intercettarne nemmeno uno lungo il percorso che parte dalle palestre e arriva inevitabilmente alla falesia e quasi inevitabilmente, alla montagna. Questo fa sì che la montagna venga inondata da praticanti magari con una buona preparazione tecnica, ma cultura assente e ovviamente privi di esperienza, ma anche privi dell’umiltà necessaria per pensare di farsela, quell’esperienza, e progredire un passo alla volta. Il fatto che spesso nelle sezioni più “provinciali” rispetto a Torino l’umiltà sia assente anche dai corsi CAI è un altro discorso.
Penso quindi che l’unico modo per le sezioni CAI di attrarre i giovani non sia organizzare iniziative in falesia, quanto dotarsi di proprie palestre di arrampicata, magari situate in zone appetibili vicino alle sedi universitarie e ai poli scolastici.
Sì è vero, per indole, educazione, e visione ideologica, io sono un “formatore”. Non solo in montagna (non potrebbe esser altrimenti, sono istruttore da 40 anni…), ma anche nella vita professionale e culturale addirittura famigliare. Cmq è un’impostazione che, con le più varie sfumature, coinvolge l’intero mondo didattico. Qui da noi (To) è molto sentita e diffusa.
Circa esser bravi a titolo personale al fine di esser un bravo istruttore, è irrilevante o addirittura controproducente. Nella mia lunga esperienza di vita (di montagna ma non solo di montagna), ho verificato che molto raramente gli alpinisti al top sono ottimi formatori (istruttori). In genere valeaddirittura la correlazione inversa. Infatti chi è un alpinista al top, tende a privilegiare la sua soddisfazione personale. Invece per essere un formatore al top devi disporre di una pazienza infinita e avere uno spirito di sacrificio: magari quel giorno fai con gli allievi una via di III.
L’attività dell’amico Giorda mi incuriosisce molto perché egli tenta di rompere lo schema: si avventura nel terreno ideologico dei giovani, li “stana” nelle loro posizioni anti CAI. Chissà forse qualcuno resta “folgorato” e si aggiunge al composito mondo CAI, arricchendonr la biodiverdita’ concettuale. Staremo a vedere.
Crovella ha il prurito della educazione degli altri, naturalmente secondo i suoi canoni .In caso contrario gli ineducabili diventano cannibali, Se poi di montagna arrampicata o sci ne sanno più di lui poco importa , vanno rieducati! Che Crovella sogni di diventare il MaoTseDong de noartri? 🙂
L’arrampicata sportiva richiama un tipo di giovani che non sono minimamente interessati al Cai e alla sua mentalità. Non per questo si tratta di gioventù deviata, anzi, direi che per ottenere certi risultati in arrampicata occorre uno spirito di abnegazione, sacrificio e dedizione che l’andare in montagna generico che fa la più parte dei caiani neppure vi si avvicina in quanto a impegno richiesto e quindi profuso. Poi dalla plastica o dalla falesia qualcuno potrà andare anche in montagna, se gli va, ma la base tecnica in arrampicata assieme all’idea di cosa significhi perseguire un obiettivo, costoro l’avranno ben chiara e potranno aggiungervi la necessaria esperienza alpinistica per non andare a cacciarsi nei guai. Giusto a Torino dove al Palavela è forse nata la prima struttura artificiale di arrampicata, ci sono esempi come la Mingolla (solo per citare un caso noto) che dalla plastica delle gare è approdata a terreni alpini tra i più impegnativi e sta diventando guida alpina. Insomma, credo, guardandomi attorno, che il Cai non rappresenti l’unico modo possibile per approcciarsi alla montagna, ma rappresenti semmai una possibilità per chi non sa dove sbattere la testa.
Incredibile come, appena si affronta un discorso “serio”, emerga dal nulla qualcuno che le spara a vanvera. Il problema di come coinvolgere le giovani generazioni è un problema molto sentito e, soprattutto, molto attuale. Non tanto da noi in area torinese, come ho detto mille volte, perché qui il problema quasi non esiste, grazie alla ns tradizione. Ma in altre zone d’Italia è “il” problema di molte Sezioni e Scuole CAI. Di conseguenza gli esperimenti che vengono elaborati in area torinese dovrebbero innescare una curiosità di fondo e la valutazione sulla loro replicabilità altrove. Altrimenti non si è capaci di vedere oltre alla (ravvicinatissima) punta del proprio naso.
Bisognerebbe chiedere a qualcuno di togliere la polvere al Signor Crovella e scenderlo dalla soffitta del CAI.
Qualcuno assume psicofarmaci scaduti nel 1945.
Quante parole per pubblicizzare una nuova falesia.
in Val di Susa (e altrove) ci sono tanti chiodatori che fanno una cosa sola: chiodano. E tacciono.
Non ci va mai bene niente.! Incredibile! Non vi piace il “bianco”, ma se vi imbattete nel “nero” non approvate neppure questo. Rappresentate la fiera del qualunquismo e dell’aria fritta.
Conosco Andrea Giorda dagli anni ’70, al tempo eravamo entrambi due giovani istruttori di scialpinismo. L’ho sempre seguito nella sua successiva evoluzione alpinistica che si è svolta su livelli tecnici a me spesso preclusi. Ci incontriamo con assiduità, qua e là, e chiacchieriamo con grande cordialità.
Sui giovani e sulle modalità di loro coinvolgimento nei grandi temi della montagna (a iniziare dall’arrampicata) abbiamo elaborato convinzioni differenti: io credo nel modello istituzionale, quello dei “Gruppi giovanili” (che infatti in area torinese sono molto folti e ben robusti), dove i ragazzi/e sono accompagnati nella loro iniziazione montanara con allegria e socialità, ma anche con “disciplina” comportamentale. Il passaggio successivo fa approdare i ragazzi/e nelle Scuole CAI, dove prosegue l’educazione fino alla maturazione,a alpinistica e non.
La mia idea personale tende quindi a plasmare i giovani. Sono i giovani (specie i giovanissimi) che devono “venire” sul nostre terreno etico e comportamentale e recepirlo grazie al nostro insegnamento, cordiale, affettuoso ma inflessibile.
Andrea ha invece sviluppato un modello differente, per semplicità lo sintetizzo come un modello in cui sono gli “stagionati” che si spostano sul terreno ideologico dei giovani, in questo caso dei giovani climber. Andrea punta quindi a interloquire con i giovani perché si mette lui in gioco e si sposta nel loro mondo. Questo per impostare un dialogo, poi conquistarli e eventualmente coinvolgerli nel mondo della montagna in modo duraturo e istituzionale.
Questo “gioco” del Panzanera non è l’unico esempio di attività dell’amico Giorda. A titolo strettamente personale, io mantengo una certa perplessità sull’efficacia educativa di tale approccio (rispetto a quello istituzionale), ma lo osservo sistematicamente con grande curiosità e ne appoggio la valenza sul piano ideologico. In particolare con grande ammirazione per l’attivismo di Andrea e la sua voglia di contattare i giovani e di coinvolgerli, anche andandoli a cercare sul loro terreno di vita.
Il problema generale di come coinvolgere i giovani è sicuramente uno dei più rilevanti dell’attuale contesto della montagna. Forse tale problema non è molto sentito nell’area torinese, come ho spiegato più volte, perché qui c’è una tradizione storicamente molto robusta, non solo in contesti alpinistici. Per esempio tutti i grandi Santi sociali torinesi hanno sempre incentrato la loro attività sul coinvolgimento educativo-ricreativo- ludico sportivo dei giovani, si pensi a San Giovanni Bosco e ai Salesiani.
Quindi Torino non ha l’oggettivo problema di dispersione dei giovani, né dalla montagna in generale né dal CAI. La tradizione è robusta, come ho detto, e genera sistematicamente nuovi alpinisti. Tuttavia il problema a livello nazionale esiste ed è ben evidente. Esiste un problema di corretto approccio dei giovani alle discipline della montagna a prescindere dal coinvolgimento o meno nel CAI ed esiste un problema di specifico coinvolgimento dei giovani nel CAI. Sono due problemi diversai, uno dentro nell’altro.
Ben vengano quindi gli esperimenti di coinvolgimento dei giovani nel grande mondo della montagna. Non a caso, proprio per la già citata tradizione subalpina, spesso tali esperimenti emergono in area torinese. Se fruttuosi, andrebbero recepiti e replicati ovunque, potrebbero rappresentare il modello per disporre di nuove generazioni alpinistiche, meglio se all’interno del CAI, ma a prescindere dal futuro coinvolgimento dei giovani nel CAI.
In conclusione: più che sottolineare le eventuali sbavature dell’iniziativa di Giorda, guardiamone l’evoluzione con grande curiosità, suggerendo magari dei miglioramenti e applicandolo nelle realtà territoriali dove i giovani latitano, sia come sistematica frequentazione delle discipline alpinistiche sia come partecipazione alla vita del CAI.
Un bel salame appeso in catena ed era il perfetto albero della cuccagna. Venghino siori e siore e liberino, liberino , sarete negli annali … Mi pare ridicolo … francamente non capisco il senso ed il sugo e non capendo mi adeguo, dico e poi mi taccio. Amen
Mah… tutta questa avventura non la vedo proprio…