Nel libro di Giannandrea Mencini, una inchiesta sulle attività illecite che colpiscono la montagna. Lo scrittore denuncia: «È una situazione che metterà in crisi le tante piccole aziende locali».
Loschi affari e reati sui pascoli dalla Sicilia fino al Bellunese
di Fabrizio Ruffini
(pubblicato su Corriere delle Alpi, 27 maggio 2021)
Il caso
Pascoli abbandonati e una pioggia di milioni dall’Europa. Gli sporchi affari di mafiosi e speculatori a danno della montagna italiana vengono a galla grazie a Pascoli di carta. Le mani sulla montagna‘ (edizioni Kellermann, kellermanneditore. it), ultimo libro del giornalista e scrittore veneziano Giannandrea Montini, un viaggio e un’indagine dal Nord al Sud del Paese che, nel fare luce su pratiche che stanno condannando le piccole aziende agricole, non risparmiano affatto la provincia di Belluno.
Libro che vede la prefazione di don Luigi Ciotti che dell’opera del giornalista veneziano scrive: «Ciò che emerge chiaramente dall’analisi puntuale e approfondita di Mencini è un sistema consolidato e capillare di frodi legate al mondo dei pascoli montani, che interessa l’intero territorio nazionale. Dove non c’è il coinvolgimento della criminalità mafiosa in senso stretto, si ravvisa comunque una diffusa mafiosità dei comportamenti».
Di cosa parla
Si rifà al famoso Le mani sulla città di Francesco Rosi, pellicola di denuncia della corruzione e della speculazione edilizia romana dei primi anni Sessanta, il titolo del volume appena dato alle stampe da Mencini; e in effetti la scoperta di alcune contraddizioni e problematiche che accomunano la gran parte del settore montano italiano, alle quali, purtroppo, non sfugge neanche il Bellunese, ricorda molto le pratiche messe in atto dai costruttori senza scrupoli dell’epoca. Del nostro territorio vengono riportati diversi fatti di cronaca giudiziaria inerenti al tema della gestione dei pascoli, che negli anni hanno testimoniato come anche la provincia di Belluno non sia affatto distante da certi loschi meccanismi che hanno come unico risultato quello di arricchire i grandi, impoverire i piccoli e aumentare l’abbandono delle terre alte. E’ così che sentiremo raccontare direttamente dalla voce di allevatori, spesso giovani, del Comelico, del Cadore e di altre zone, di come le grandi aziende agricole facciano man bassa dei pascoli distribuiti dai Comuni e dalle Regole a prezzi troppo elevati per i piccoli produttori, senza mai portare in quota i propri animali, ma intascando comunque gli incentivi europei.
Le testimonianze bellunesi
«In Comelico ho incontrato Marcello Mattini Barzolai, imprenditore agricolo, che mi ha raccontato come vi siano degli evidenti problemi nella distribuzione degli ingenti fondi a disposizione (si parla di 400 miliardi in sette anni) e come questa, al momento, agevoli le rendite parassitarie e non chi produce realmente sul territorio», racconta Mencini. «è una situazione che metterà in crisi le tante piccole aziende locali e ho riscontrato lo stesso problema un po’ ovunque in provincia e non solo».
Il racconto viene proposto dall’autore sotto forma di reportage in prima persona, un vero e proprio diario di viaggio nell’Italia del malaffare: «Ho cercato di dare al testo uno stile il più possibile leggero e di facile lettura, pur trattando temi così importanti», contìnua Mencini, «il mio lavoro si basa su una gran quantità di documenti. anche inediti, e su diverse interviste raccolte lungo il mìo percorso». Tutto ciò che viene raccontato accade perché, in seguito a una riforma del 2003 della PAC, la politica agricola comune europea, i sostegni dedicati a questo comparto hanno subito un cambiamento di rotta, consentendo a molti di accedere ai fondi europei senza rispettare quello che dovrebbe implicitamente essere il loro obiettivo finale: la salvaguardia ambientale.
Muovendosi con la sua ricerca da episodi più o meno noti, come quello di Giuseppe Antoci e del Parco dei Nebrodi in Sicilia del 2016, Mencini raccoglie le testimonianze di svariati allevatori e protagonisti del contesto rurale italiano, premurandosi di analizzare con cura le spiegazioni e i pareri di ognuno, anche di coloro che nell’opinione comune fanno solo i propri interessi. «In Sicilia sono già state avviate le indagini su questo tipo di pratiche» conclude Mencini, «e se al Sud si parla già di “Mafia dei pascoli”, ciò che avviene sulle montagne del Nord è un fenomeno di speculazione altrettanto preoccupante, anche se meno criminale, e va preso nella dovuta attenzione».
La montagna disincantata
di Barbara Marengo
(pubblicato su ytali.com il 4 giugno 2021)
Pascoli di carta di Giannandrea Mencini è un lungo viaggio di denuncia tra allevatori e agricoltori delle montagne italiane, che parlano di situazioni paradossali, di leggi comunitarie distorte, di truffe e di fiumi di danaro che corrono lungo gli ignari pascoli.
Un incalzante libro inchiesta che apre nuovi fronti d’indagine su argomenti non troppo conosciuti ma determinanti per finanze, alimentazione, tutela del paesaggio e delle tradizioni, economia: Pascoli di carta di Giannandrea Mencini (Kellerman editore) è un lungo viaggio di denuncia costellato di racconti in prima persona con protagonisti allevatori e agricoltori delle montagne italiane che dal Nord al Sud senza tralasciare l’Est e l’Ovest della Penisola, parlano di situazioni paradossali, di leggi comunitarie distorte, di truffe e di fiumi di danaro che corrono lungo gli ignari pascoli.
Già dall’introduzione, scritta da don Luigi Ciotti, c’imbattiamo in parole come “mafie”, “infiltrazioni mafiose in ambito agricolo e zootecnico”, “controllo delle terre”: questo – e non solo questo – riferito a quei paesaggi montani che dalle Dolomiti ai Nebrodi, dall’Abruzzo alla Puglia al Lazio rappresentano una ricchezza paesaggistica, economica, sociale, oltre che un volano economico e turistico se il territorio è gestito e protetto, tutelato e mantenuto.
Ma anche tra queste valli, cime, boschi e pascoli si celano “affari sporchi”, afferma don Ciotti, che tramite “insospettabili imprenditori e professionisti” muovono capitali e intelligenze che sanno come muoversi tra le leggi e i cavilli delle direttive europee nel settore della PEC, Politica Agricola Comune, che rappresenta il quaranta per cento delle spese dell’intero budget comunitario. “Montagne di burocrazia” infettano anche questi finanziamenti a sostegno del settore che fornisce all’Europa cibo e nutrimento: accanto ai comportamenti illegali che Giannandrea Mencini segnala e analizza, esiste una serie di interventi sul filo della legalità che comportano un disequilibrio potente in un settore sul quale tutti gli allevatori e gli agricoltori europei hanno messo gli occhi per ottenere cospicui finanziamenti.
Ecco perché i “pascoli di carta” sono appunto solo sulla carta dei documenti presentati a Bruxelles, aggirando abilmente le norme sui finanziamenti. Se è il profitto a guidare le mani di presunti allevatori che prendono in affitto fittiziamente terreni montani da secoli destinati a pascolo, s’innesca un girone infernale all’apice del quale la montagna resta in stato di abbandono e non controllata. E ne sappiamo qualche cosa pensando alle recenti alluvioni, tempeste, crolli, dovuti alla scarsa manutenzione di boschi e rive di fiumi, di valli e alpeggi che l’uomo per oltre duemila anni ha lavorato e accudito.
Vediamo quindi come questi pascoli di erba diventano pascoli di carta: Mencini spiega come tramite aste pubbliche i pascoli montani siano assegnati al miglior offerente “con condizioni che attiravano allevatori soprattutto di pianura” che potevano così accedere ai premi della Politica agricola dell’Unione Europea, introducendosi nelle aste stesse tramite specialisti del sistema truffaldino. Allevamento e zootecnia regolati da una miriade di leggi e di enti dalle sigle più varie che si rivolge a un mondo complesso, che a volte si avvale di vere e proprie azioni criminali: minacce, intimidazioni o attentati, come quello avvenuto nel 2016 ai danni di Giuseppe Antoci, direttore del Parco dei Nebrodi, che “aveva introdotto un protocollo per l’affitto dei terreni che prevedeva la presentazione del certificato antimafia”.
Prestanomi e società fittizie, intimidazioni e un mondo opaco e criminale è ciò che viene fuori dalle ricerche di Mencini, e non solo in Italia, se il New York Times scrive che l’Unione Europea ogni anno spende sessanta miliardi di euro in sussidi all’agricoltura, che diventa un vero e proprio affare: truffe non solo made in Italy, ma diffuse in Ungheria, Bulgaria, Slovacchia, dove gli incentivi “hanno arricchito l’élite agraria” con legami “tra funzionari pubblici e imprenditori agricoli”. Quadro desolante che s’innesca in polemiche e dispute sulle note “quote latte” che divennero cavallo di battaglia anche a livello di politiche nazionalistiche tutte italiane.
Ma restando nell’ambito del mondo agreste, i terreni montani e i pascoli sono visti da allevatori di pianura senza scrupoli solo come mezzo per arricchirsi a spese del contribuente: pascoli affittati fittiziamente, che mai vedono realmente greggi o armenti vivere su quei terreni, usati per sversare liquami prodotti in allevamenti intensivi.
Dalla Valcamonica alla Valtellina, dalla Val Trompia al Piemonte, al Cadore e all’Umbria, fino all’Abruzzo e alla Sicilia, l’inchiesta di Mencini si avvale di testimonianze di allevatori locali sopraffatti dalle ingerenze di grossi gruppi attorno ai quali girano cifre iperboliche, milioni di euro che scivolano tra le mille scartoffie delle burocrazie europee.
Difendere la montagna, creare uno sviluppo sostenibile, aprire possibilità a giovani agricoltori o pastori, favorire un turismo che non è agriturismo, dove il malgaro si trasforma in ristoratore a tutti i costi: il profitto a tutti i costi non deve essere il fine unico dello sviluppo dei pascoli montani che fanno parte del paesaggio così amato.
Inchieste da parte delle autorità competenti prendono il nome ad esempio di “Pascoli d’oro”: e d’oro sono davvero, se le truffe imputate a venti impresari agricoli veneti raggiungono i venti milioni di euro. I “titoli” per il pascolo che danno diritto a determinate cifre per ettaro invogliano finti allevatori a farsi avanti, lasciandosi dietro i piccoli proprietari che a volte, paradossalmente, non sono nemmeno al corrente che i loro terreni sono stati affittati da estranei: e qui entrano in gioco truffe abilmente sostenute da funzionari e notai, che però – e per fortuna – spesso sono scoperte da indagini serrate.
“L’ingombrante apparato burocratico” come sempre favorisce scappatoie o lascia aperte possibilità di speculazioni sul filo della legalità, il tutto a discapito della montagna, che viene trascurata e troppo spesso abbandonata.
Gli antichi tratturi, vecchi di oltre duemila anni, che uniscono montagne e pianure, mari e pascoli, regioni e tradizioni, sono a loro volta inconsapevole oggetto di imbrogli, con fittizi aumenti del bestiame che resta anch’esso sulla carta: 161 finti allevatori sono stati scoperti e denunciati, visto che il bestiame sostenuto dagli aiuti non esisteva fisicamente.
Coraggiosa inchiesta, inquietante lettura: non si finisce mai di imparare.
Barbara Marengo, veneziana, laureata in Scienze Politiche con una tesi di storia contemporanea sulla censura della stampa a Venezia sotto l’Austria, giornalista pubblicista, ha collaborato con varie testate ed agenzie di stampa dall’Italia e dall’estero dove ha vissuto molti anni. Si occupa di ricerche incentrate sulla storia veneziana, oggetto di conferenze e lezioni.
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Una piccola nota su quanto dice G. Daiola:
In montagna animali ce ne sono, e molto, grazie all’abbandono da parte dell’uomo, abbondanza che ha fatto si che si possa avere al proprio posto i grandi predatori. Confrontare Italia con francia, svizzera e austria non è corretto, vuoi per differenze orografiche ma, forse soprattutto, per differenze culturali.
Una grossa tirata di orecchie la darei ai tanti cari amministratori locali che non solo svendono un territorio che non è loro per 30 denari. E che chiudono gli occhi, perché mi rifiuto di credere che il dindaco di un comune con 1000 abitanti non sappia come vengono usati i pascoli dati in concessione a “foresti”
Anche in provincia di Alessandria abbiamo la stessa situazione. E’ una vergogna.
Dai fratelli Gracchi in poi, la storia non cambia. Non sapevo di questo, avevo soli sentito voci. Meritorio lavoro di Mencini, che dobbiamo sostenere diffondendo la notizia del suo libro.
Neppure io mi intendo di allevamento ma vedere i proprietari di 35 vacche con stalle milionarie, trattori, pale meccaniche e camion sempre nuovi e dal costo totale ben superiore al milione di euro, fa pensare. Se uno sa farlo. Questo è il problema.
Due esempi ma sono solo la punta dell’iceberg dalla Valle Seriana: comune di Ardesio , ultima Pac 600.000€ e di capi di bestiame se ne vedono gran pochi nelle malghe; comune di Albino, 40 aziende agricole dichiarate di cui solo 6 effettive e gestite da giovani ( che tra l’altro si lamentano per di conseguenza arrivano meno fondi).Ma la farsa è inscenata da alcune aziende farlocche che si sono fatte prestare delle capre per far vedere di possedere animali e così di poter accedere ai fondi, oppure la moglie dell’assessore ( qualcuno mi può spiegare perché la maggior parte delle aziende agricole è intestata al genere femminile)che per ristrutturare casa apre un finto agriturismo con fondi regionali e europei. Comunque è questo un campo,come spiega bene l’autore, dove c’è molta omertà
Saranno pascoli di carta, ma nei veri pascoli almeno la vera merda del bestiame puzza di meno di questa … finanziaria. . Anzi ci sono estimatori anziani che la associano come SENSAZIONE INSCINDIBILE dalla permanenza in montagna, senza la quale si sente che manca QUALCOSA. Effetto simile alle madeleine di Proust.Invece ho avuto recente chiaccherata con arguto pastore di Pecore, zona Piancavallo- Friuli.Mi ha detto che paga 49mila euro di affitto pascoli eppure nel week end litiga con gitanti in tutina fluo che si lamentano dell’ aroma, delle caccoline calpestate con costosissime scarpette trail running,…e pure dei cani da custodia (genietti) e di quelli antilupo. Qualche autentico genio ha affittato prati in zone integre aturistiche .Il fieno ,tagliato a mano per non insozzare coi fumi di scarico di tagliaerba a gasolio agricolo o a miscela ,lo sbologna a peso d’oro ai cavallerizzi maniaci del fruitori dei bonus legati apetrodollaro mediorientale.. che tengono di piu’ ai destrieri purosangue che all’harem e prole .Molto di piu’ che ai ..loro schiavetti lavoratori e bassa manovalanza sfruttati.
Anch’io ne so poco di agricoltura e allevamento ma basta avere gli occhi per rendersi conto che in montagna i pascoli sono sempre meno utilizzati e non si taglia più l’erba per far fieno perché di animali, a parte orsi e lupi, ne sono rimasti pochi. Nelle Alpi Orientali la tempesta Vaia avrebbe creato la possibilità di ampliare notevolmente i pascoli ma non se ne sente il bisogno. Scopro adesso, leggendo l’articolo, dell’effetto nefasto della PAC, della burocrazia che infesta anche questo settore della Comunità Europea. Mi chiedo però come mai in Paesi come l’Austria e la Francia, che sono della CEE, queste nefandezze non sembrano avvenire, dappertutto l’erba è falciata e i terreni a pascolo, a bassa e ad alta quota, sono popolati da bovini. Solo gli italiani hanno questa spiccata attitudine a coniugare così bene mafiositá e burocrazia?
Ringrazio tantissimo Gogna per aver dedicato spazio a questo mio ultimo libro che indaga delle pericolose speculazioni che coinvolgono le nostre amate montagne.
Sarà bene leggerlo, questo libro!
Io ne so veramente poco sull’ argomento, ma sono felice quando vedo passare, all’ alba, le greggi di pecore che transitano sulla statale per portarsi sui prati alti del Comelico a tenerli “sfalciati” e a lasciarli concimati. Poi vanno in Visdende, a pascolare a Casera Ciuvion.
Mi sembra che la loro esistenza e funzione sianno un regalo prezioso per la salute della montagna, e una vera gioia nel vedere che questa attività antichissima è “mistriosa” ancora esiste.
O corre combattere in ogni modo possibile contro le frodi che impediscono che tutto questo avvenga, ai danni dei piccoli allevatori e della salute del territorio.