Patagonia 2020
di Giacomo Mauri
Sono passati ormai tre anni dal mio primo viaggio arrampicatorio, in Patagonia. Sono cambiate moltissime cose e ora mi sento più sicuro e consapevole. Quell’avventura in Patagonia mi ha lasciato un ricordo e degli insegnamenti fantastici. Il testo lo scrissi appena tornato, ma lo inviai solamente agli amici più stretti, in quel momento il viaggio rappresentava qualcosa di troppo importante e intimo per condividerlo; ora, che quasi me ne dimentico, ho deciso di pubblicarlo, con l’invito di crederci sempre. Buona lettura.
2 luglio 2019
Oggi pomeriggio ho l’orale di maturità, poi un’estate per scalare senza pensieri. Guardo il telefono, Paolino Marazzi: “Dai giovane fai questo esame, così poi vieni in Patagonia con noi…” sono comunque troppo teso per pensare alle pareti dell’Argentina, ma il messaggio riesce a darmi ulteriore carica…
Agosto 2019
Insieme a Paolino stiamo andando a scalare in Dolomiti quando… “ma allora quest’inverno ci sei?”. Sono ancora molto dubbioso sul percorso universitario che voglio intraprendere, ma non voglio passare per il disinteressato e ripiego con un democratico: “Beh, sarebbe sicuramente un sogno, ma devo capire bene con l’università e i miei…”, poi morta lì.
Qualche settimana dopo
Luchino (Schiera) detta il passo per andare in Allievi, parliamo del più e del meno, quando trovo il coraggio di chiedergli: “Ma Paolino mi ha chiesto se voglio venire in Patagonia con voi quest’inverno…”, “Eh sì…”, “Ma cosa dici con l’università? Fattibile?”, “Se vuoi, sì…”. Ritorniamo a camminare e tra me e me inizio a pensare: ok, allora devo mostrarmi all’altezza.
Nei mesi successivi
La Patagonia è un mio pensiero fisso da quando ho iniziato a scalare, ora che forse potrei andarci, invece, sono tutto d’un tratto scettico e poco interessato. Ho iniziato l’università, un nuovo mondo: nuovi stimoli e nuove conoscenze mi hanno affascinato e non sento il bisogno di scalare o allenarmi. In ogni caso in Patagonia voglio andarci, almeno per sbatterci il naso. Sotto sotto il mio interesse è davvero sceso per il mondo verticale e navigo già con la fantasia pensando di andare a studiare all’estero. Dall’altra parte sento di dover perseguire il sogno che mi ha accompagnato per anni durante gli allenamenti e, perché no, anche durante i momenti tristi. Un po’ forzandomi mi convinco che partire è la scelta giusta. In ogni caso, una vera sfida per conciliare studio e sport.
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Il tempo vola e mi ritrovo a casa di Luchino per capire davvero cosa vuol dire “andare in Patagonia”. Guardiamo un po’ di foto delle pareti: stupendi pilastri che emergono dal ghiacciaio. Inutile dirlo, alla domanda “allora vieni?” rispondo di sì.
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Siamo nuovamente riuniti per trovare un obbiettivo, questa volta a casa di Paolino. Abbiamo diversi piani. Siamo, o meglio sono, alla ricerca di posti inesplorati e nuove pareti da salire. Il campo de Hielo Norte rappresenta perfettamente lo stile di avventura che cercano: ghiacciai immensi, isolamento e logistica complessa. Faccio poche domande, a me basta partire e scalare qualcosina. Ci stringiamo la mano, è fatta, mancano solo i biglietti.
Dicembre 2019
Sono sottesami e riempio le mie giornate studiando e cercando di recuperare il materiale che mi serve per il viaggio. Il percorso di studi che ho scelto mi sta dando molte soddisfazioni e mi permette di non pensare troppo alla Patagonia, che giustamente riesce comunque a terrorizzarmi ed elettrizzarmi ogni sera prima di addormentarmi.
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La sessione corre veloce e il 17 febbraio (data di partenza) si avvicina velocemente. Le date degli esami mi concedono due settimane per prepararmi anche sotto l’aspetto fisico. Sto vivendo un sogno, gli esami sono andati bene e sento di aver fatto il mio dovere, la testa è libera e sto per partire per un viaggio atteso da anni.
16 febbraio 2020
Domani grande giorno, si parte. Esco a salutare alcuni amici ai quali non posso nascondere l’emozione dell’imminente viaggio. Poi, come da rito, esco per una lunga passeggiata sul lungo lago insieme al cane.
17 febbraio 2020
Ci siamo, pronto, o quasi, a partire. Cerco di nascondere il mio confuso stato d’animo cercando di apparire più serio possibile, in realtà non so minimamente come comportarmi, sono abbastanza goffo ed impacciato… L’areo decolla, un pensiero alla mia famiglia che mi ha accompagnato in aeroporto e poi, come spesso mi capita, inizio a divorarmi nei pensieri, continuo a ridirmi “bon basta ci siamo, adesso bisogna cercare di fare le cose bene. È un’occasione per capire se queste cose fanno per me…”, decido di smetterla di pensare e inizio a leggere un libro…
18 febbraio 2020
Il viaggio in aereo si è concluso, abbiamo incontrato Paulo, il marinaio che ci porterà fino al campo base, insieme siamo andati a Coyhaique dove abbiamo comprato le ultime cose utili per la “sopravvivenza” e abbiamo poi iniziato il lungo sterrato verso Caleta Tortel, un fantastico paesino di pescatori. Durante il tragitto incontriamo spesso delle persone e ogni volta Paulo si ferma a chiacchierare con loro anche se non li conosce. Lo stile di vita qui è completamente differente, le persone non hanno fretta, i rapporti umani vengono prima di tutto e la gente sa godersi anche le piccole cose. Penso a casa, a quanta frenesia e superficialità incontro, a quanto la vita sia una lotta contro il tempo e alla rincorsa dei nostri ambiziosi progetti. Rifletto un po’, ma proprio non riesco a capire quale vita sia migliore, probabilmente una risposta non potrò mai averla. Da un lato sono affascinato da questo stile di vita più “sobrio e modesto”, dall’altro sono consapevole del potenziale che può offrire una società sviluppata come la nostra. D’altro canto, se siamo qui ora è proprio grazie a mezzi come internet.
19 febbraio 2020
Siamo arrivati al campo base, una capanna semidistrutta, Paulo ci saluta e ritorna a Tortel. Siamo completamente soli, sembra di essere in un reality show. Decidiamo di fare un giro: dovrebbe esserci un’altra capanna a circa un’ora di cammino. Dopo pochi minuti ci imbattiamo in alcune paludi, “ravanando” e non poco troviamo però la seconda capanna, decisamente più bella. Purtroppo la porta è chiusa con il lucchetto e siamo costretti a rimanere dentro l’ammasso di lamiere, ma Paolino è motivato a sistemarla. Ceniamo. Domani si parte, danno tre giorni di bello. Sogno già di salire la parete, per scappare il prima possibile dalla capanna coi topi. Luchino è carico e fiducioso nonostante l’incognita delle paludi…
20 febbraio 2020
Partiamo, non capisco lo stato d’animo dei miei compagni, ma io sono sicuramente carico e abbastanza impaziente. In breve il morale del gruppo cade a terra: abbiamo deciso di evitare la zona di paludi costeggiando il bordo del fiume che conduce al ghiacciaio, ma al posto di sprofondare nell’acqua ci troviamo ad annegare tra i mughi. Ma non fa niente, l’dea di salire la parete è comunque troppa. Finalmente ci troviamo magicamente su un sentiero, che calpestiamo per tutto il giorno fino ad arrivare al ghiacciaio. Decidiamo di salire su una montagna per osservare il ghiacciaio e, magari, riuscire a vedere la parete, che si trova a diversi chilometri di distanza… Arrivati in cima, la “montagna senza nome” si presenta al tramonto bellissima. Il silenzio ci circonda e per diversi minuti nessuno parla, ci godiamo il fantastico panorama, “sbinocoliamo” cercando di individuare un possibile percorso per arrivare alla base. Poi ritorniamo al bordo del ghiacciaio dove ceniamo e ci infiliamo nei sacchi a pelo. Considerazioni: parete bellissima, ma molto sporca, ghiacciaio per arrivarci parecchio brutto, ma soprattutto “eterno”.
Nei giorni successivi
Siamo ritornati al campo base, il giro di tre giorni ci ha permesso di avere un piano per arrivare alla parete: primo giorno avvicinamento su sentiero e prima parte di ghiacciaio fino alla prima isola. Secondo giorno ghiacciaio brutto e base parete, terzo giorno si scala e si cerca di tornare un po’ indietro, quarto giorno: campo base. Il morale è altalenante, momenti di “presa bene” alternati a grande sconforto. Riusciamo comunque a distrarci sistemando la capanna. Mi sembra di vivere nel libro “Le avventure di Huckleberry Finn”, sorrido pensando alla parete.
…
Osservando i miei compagni, Paolo e Luca, non posso fare a meno di pensare quanto sia importante essere organizzati e pronti. Mi sento un po’ sbandato, uno “scappato di casa” insomma. Loro riescono ad essere super precisi e sempre attenti, io invece sono spesso soprappensiero: la parete mi affascina troppo e sono talmente felice “di essere in Patagonia”, che quasi mi dimentico di viverla “questa Patagonia”. Nonostante lo sconforto e la consapevolezza di essere un po’ distratto, mi metto d’impegno e cerco di imparare da loro, osservandoli e cercando di trattenere il più possibile…
E’ in arrivo una nuova finestra di bel tempo
Ci siamo, siamo pronti per fare un vero tentativo. Il piano è sicuramente ambizioso, ma quantomeno idealmente realizzabile. Speriamo. Voglio davvero arrivare in cima a quella parete. Il momento, dopo tanti anni di allenamento e sacrificio in cui ho aspettato l’occasione giusta per vedere realmente quanto posso dare in montagna, è arrivato.
È la prima volta che sento una parete così mia e ovviamente voglio lottare per cercare di avvicinarmi il più possibile alla cima. Cerco di capire le sensazioni dei miei compagni, ma non riesco proprio a decifrarli. Sono realmente su di giri, ma non voglio farlo notare e poi in questo genere di ambienti, mi ripeto spesso, è meglio lasciare spazio alla concentrazione piuttosto che alle emozioni. È forse poco romantico e brutto, ma preferisco sforzarmi di mettere prima la testa rispetto al “cuore”. Ovviamente non siamo macchine e non esiste il tasto on-off, però mi piace cercare di rimanere il più efficiente possibile per tanto tempo… Stiamo camminando, il passo è super buono, la zona delle paludi è ormai diversi chilometri alle nostre spalle e proseguiamo sul sentiero, che ormai consociamo bene, anche quando le tracce si fanno meno evidenti. Soffia un bel vento, che rende l’atmosfera un po’ più magica (alla faccia del lasciare le emozioni a casa) e in più ci ripara dal forte sole… Siamo al deposito dove recuperiamo il materiale lasciato durante il precedente tentativo. Una serie di friend, viti da ghiaccio, piccozze e la mitica polenta con i semi preparata dallo chef Schiera… Siamo sul ghiacciaio, mi dico: ok, da qui in avanti ogni passo deve essere pensato e bisogna stare super attenti, poi prendendo un po’ di coraggio dico ai miei compagni: “Sto vivendo un sogno…”.
Il ghiaccio è bello duro, si prosegue bene, ma ogni tanto dobbiamo superare qualche cresta esposta, ma ad ogni modo mi sento a mio agio. Noto con piacere che i miei compagni si muovono in modo naturale: mi fido di loro… Siamo nella zona di ghiaccio nero, abbiamo tolto i ramponi, i talloni ringraziano, e procediamo ancor più veloci in direzione del “primo isolotto” dove dovremmo dormire. La parete è sempre di fronte a noi: lontanissima. Ogni tanto ci deprimiamo, ogni tanto siamo super felici, l’animo altalenante del gruppo si riconferma…
L’isolotto è di fronte a noi e quasi per magia inizia ad avvicinarsi velocemente, il ritmo cresce nuovamente, siamo probabilmente stufi di camminare. In breve ci ritroviamo su terreno roccioso e con piacere troviamo uno spazio piano vicino ad un ruscello. Come da prassi togliamo gli scarponi, poi subito a montare la tenda e riorganizzare con ordine il materiale, siamo belli soddisfatti…
Abbiamo mangiato la classica polenta, che personalmente apprezzo notevolmente, poi il classico “vizietto” della giornata, il cioccolato. Ci richiudiamo nei sacchi a pelo, notevolmente soddisfatti dell’obbiettivo giornaliero raggiunto. Parliamo del più e del meno quando Luchino mi dice: “Sono felice che hai deciso di venire a ragliare con noi”. Sono soddisfatto e orgoglioso che i miei compagni apprezzino la mia presenza e il mio contributo nel tentativo di realizzare il nostro obbiettivo. Paolino “spara qualche altra boiata” e poi chiudiamo del tutto la zip del sacco a pelo. In breve prendo sonno…
Suona la sveglia. Classici cinque minuti si silenzio, poi Luchino accende il fornello e iniziamo a scaldare l’acqua per la colazione. Come sempre ci aspetta una bella manciata di avena, con pezzettini di frutta secca e cacao… Siamo di nuovo sul ghiacciaio, procediamo tutte e tre in linea (momento di gloria), la giornata non è fantastica, ma comunque non sembra minacciosa. Il ghiaccio è compatto e procediamo molto veloci, in breve raggiungiamo il secondo isolotto. Qualche chilometro più avanti il ghiacciaio dovrebbe diventare brutto, speriamo di riuscire a passare senza “tribulare” troppo…
Ci leghiamo, conduce Paolino, aka MasterTrack, la nostra guida. Il ritmo è diminuito, ma i “buchi” ci consentono comunque di procedere senza eccessivi rallentamenti… Il percorso è sempre più arzigogolato e ogni tanto una gamba sprofonda nella neve. Ma per ora niente paura, finché due sono sul ghiaccio vivo va tutto bene… Siamo ormai da un po’ entrati in una zona di “ponti”, dove percepisco i miei compagni un po’ più intimoriti, io voglioso: un po’ l’inesperienza su questi terreni e un po’ la fiducia in loro, mi sento ancora in una zona di parecchio comfort… I ponti sono sempre più lunghi e l’entusiasmo è crollato. Il cielo si è coperto e il tempo è volato senza aver guadagnato i giusti chilometri che ci separano dalla parete. Decidiamo di prenderci una pausa per riflettere. Siamo in un vero e proprio labirinto, dove giochi di luce e distanze impressionanti non ci permettono di individuare zone sicure dove passare senza eccessivi rischi e zig zag…
Riflettiamo per un po’ e decidiamo di fare un tentativo, ma poco dopo siamo costretti a rinunciare. Assurdo come un obbiettivo desiderato per mesi nel giro di pochi minuti sia sfuggito. Non c’è tempo di riflettere troppo sui se e ritorniamo sui nostri passi. Ci aspettano comunque diverse ore su terreno delicato e in più il caldo sta iniziando ad indebolire i ponti di neve che separano i crepacci… Siamo fuori dalla zona più “bucherellata”, inizia a nevicare, ma siamo in direzione del primo isolotto dove probabilmente trascorreremo nuovamente la notte. Sono un po’ triste perché sicuramente per quest’anno la parete non potremo più provare a salirla, ma dall’altro lato mi guardo attorno e ammiro il magnifico paesaggio nel quale sono immerso… Siamo di nuovo all’isolotto nella tenda, e ovviamente i pensieri iniziano a correre veloci. Penso a casa, al fatto che dovrò dire: siamo tornarti indietro, abbiamo rinunciato, poi ripenso nuovamente a tutte le cose che sto imparando, è il viaggio che ho sognato per anni e finalmente ci sono dentro. Mi sento soddisfatto e sollevato. Poi nuovamente mi sforzo di tornare nella modalità efficienza, la modalità che tanto mi piacerebbe padroneggiare, quella che ti permette di innescare il “caccia” che c’è in te, dove quando serve sei lì: tu e il tuo obbiettivo, dal rampone nel ghiaccio all’università, e riesci a metterti completamente in gioco senza distrazioni, molto spesso vorrei inserirla, ma non riesco proprio e mi rimprovero dicendo che “predico bene, ma razzolo male”.
Siamo di rientro verso il campo base, purtroppo sbagliamo la linea del ghiacciaio e siamo costretti a qualche zig zag di troppo, ma siamo sul ghiaccio vivo e camminiamo ugualmente veloci… Siamo finalmente alle vacche, sul praticello, ci concediamo una pausa, facciamo asciugare la tenda, purtroppo ha nevicato fino alle nove di questa mattina… Siamo usciti dalle paludi. Siamo quasi alla capanna. Ho le spalle abbastanza massacrate, ma nel complesso mi ritengo ancora sul pezzo… Lasciamo giù i sacconi e andiamo a prendere l’acqua al torrente. Dobbiamo provare a battere il record “delle due taniche”. La sfida è semplice: portare le due taniche sollevate ad altezza viso dal fiume alla capanna nel minor numero di giri possibili. Un giro vale come percorso fatto da Luca, poi Paolo e Giacomo, poi si reinizia… In breve ci scontriamo contro la dura realtà: siamo completamente “marci”.
Siamo sulla spiaggia ad aspettare Paulo, il suono del gommone si confonde a quello del fiume e spesso ci alziamo pensando che stia arrivando. Il desiderio di ritornare alla civiltà unito a quello di una bella doccia fredda ci rende probabilmente impazienti di vederlo arrivare… Eccolo, Paulo sta arrivando. Mi viene da sorridere vedendolo, non lo conosco affatto, ma è diventato parte dell’esperienza e probabilmente mi ricorderò di lui per sempre. Lo salutiamo con affetto e carichiamo il materiale sul gommone, poi, come da bambino salutavo la casa in montagna al termine dell’estate, penso alla capanna, un vero e proprio buco, sporco e abbastanza inospitale, ma con i giorni divenuto la nostra casa. Mi chiedo se mai la rivedrò…
16 marzo 2020
È sera e dopo un giorno di viaggio sto per arrivare a casa. Gli ultimi giorni sono stati difficili, abbiamo dovuto prendere decisioni affrettate ed eravamo tutti un po’ tesi, ma ora è tempo di ripensare a tutta l’avventura perché purtroppo è finita.
La montagna non importa, quello che pare importare all’autore è l’associare le due parole scalata-Patagonia.
Sicuramente sono entrati dal glaciar Jorge Montt navigando da Caleta Tortel all’estancia di Pablo (che conosco anch’io) ma probabilmente il cervello dell’autore era già stato così bombardato da accadimenti preconfezionati che l’emozione che ne ha riportato, almeno così si capisce dall’articolo, è stata di poca entità.
Se penso alla prima volta che sono stato in Patagonia mi ricordo che avevo letto così tanto prima di partire, che ogni luogo richiamava a storie e personaggi che mi facevano mettere la scalata in secondo piano.
Sarà perché quel viaggio, cui ne seguirono molti altri, l’avevo voluto io. Nessuno mi aveva convinto né “portato” laggiù. Era tutto un farsi da sé. Cosa scomparsa che dall’articolo si capisce chiaramente.
Non ho capito su quale montagna sono stati
Ho letto solo le prime 4 righe.
Ho fatto gli esami di maturità nell’80, e poi… Tutta estate a lavorare con i miei, che non volevano certo mantenermi all’università, che poi non feci, arrampicare solo la domenica se il meteo voleva.
Altri tempi ma diverse situazioni.
Giovani di oggi, fortissimi in montagna, ma… A spese degli altri!
Durante il servizio militare un giorno non ero riuscito a farmi la barba, che comunque a 20 anni quasi non avevo. Venni sorpreso da un ufficiale che mi punì con 3 giorni di consegna con la seguente motivazione: profondo stato di confusione mentale.
Altri tempi ma identiche situazioni.