Patrick Berhault

Presentiamo uno dei personaggi più ammirati e discussi dell’estate 1979. In Francia è stato definito “il migliore alpinista del momento”, “una nuova stella”, “un vero fenomeno”; anche se siamo contrari a questo tipo di affermazioni, non si può fare a meno di restare colpiti di fronte alle sue imprese. Che si voglia o no, Patrick Berhault in una sola estate ha salito le vie più dure del gruppo del Monte Bianco con una successione, uno stile ed una velocità che hanno del fantastico. Insieme al successo ed alla reputazione così rapidamente conquistate, sono anche arrivate le critiche e le invidie. Una cosa è certa: ognuno è libero di praticare il tipo di alpinismo che più preferisce.
Proprio in nome di questa libertà, visto che il personaggio Berhault esiste, siamo andati a Nizza a conoscerlo e riteniamo giusto parlarne, informando nel modo più obiettivo possibile i lettori italiani (Roberto Bianco, 1979)

Patrick Berhault
di Roberto Bianco
(pubblicata su Scandere 1979)

«Quando faccio qualcosa, mi piace farlo fino in fondo, senza mezze misure». Coerentemente ai suoi principi Patrick Berhault inizia a far parlare di sé nel luglio 1978 quando insieme all’amico Pierre Brizzi sopravvive ad una caduta di 800 m sulla parete est dei Tre Denti del Pelvoux. Questo versante non è un ampio pendio nevoso, ma una parete più rocciosa che mista, percorsa da una stretta e ripida goulotte di ghiaccio. Non so se il loro record sia riportato nel “Guinness”; certo non l’hanno realizzato volontariamente. Detentori spodestati erano Robert Gréloz e Roger Valluet che nel 1932 fecero una scivolata di 700 m nel Couloir Couturier all’Aiguille Verte, ma si trattava di un canale largo e completamente nevoso. Insomma una caduta quasi classica (D+), mentre quella dei due giovani alpinisti nizzardi può essere considerata veramente estrema (propongo un ED). Cosa è capitato quella domenica 9 luglio? Alle 19 Brizzi e Berhault hanno quasi terminato la prima salita della goulotte di ghiaccio compresa tra i Tre Denti ed il Petit Pelvoux. A Patrick, che sale da primo con due marteaux-piolets mancano 25 m per essere fuori dalle difficoltà. Sopra vi è un facile pendio nevoso, che conduce alla cima. Ma proprio di qui, improvvisamente, si stacca una slavina di neve marcia che imbocca la goulotte e travolge i due alpinisti. Forse la massa di neve che li avvolge e protegge, forse la fortunata traiettoria di caduta, permettono a Brizzi di cavarsela solo con enormi ematomi, e a Berhault con alcune fratture che gli costeranno parecchi mesi di ospedale.

Il Couloir nord dei Drus, salito da Berhault in solitaria

Dopo un’esperienza simile molti avrebbero rallentato la propria attività alpinistica o almeno ne avrebbero abbassato il livello.

Non sarà così per Patrick. Bloccato da un gesso che gli lascia libere le sole braccia, continuerà ostinatamente ad allenarle con trazioni sulla sbarra del letto, sollevando anche il busto ingessato. Soprattutto continuerà ad allenarsi con la testa. Non vuole mollare, vuole riuscire a tutti i costi!

Cosa c’è a monte di questa ferrea determinazione? Patrick aveva incominciato ad andare in montagna a 14 anni, quando ancora studiava nel Principato di Monaco. La sua prima gita fu il Monte Gelas. Fino ai 18 anni va in montagna ogni tanto, quando capita. È tutto preso dalle compagnie di amici, dalle ragazzine, insomma da tutte quelle cose naturali per quell’età. Evidentemente ha classe; infatti tra un divertimento e l’altro riesce a fare il Pilone Centrale del Frêney, quasi in giornata, bivaccando in punta alla Chandelle, pur avendo sbagliato percorso e in cordata di tre. Al ritorno da una invernale alla Est del Grand Capucin, parte per il servizio militare. Dopo un poco diserta, non tanto per intolleranza verso la disciplina, ma perché ha problemi familiari e sentimentali. Passando attraverso molte peripezie, finirà per costituirsi. Seguiranno lunghi mesi di cella di rigore. Qui ha tempo per riflettere e meditare. L’amicizia con un compagno di sventura, anche lui alpinista, favorisce il maturare di una decisione che d’ora in poi indirizzerà la sua vita. Ha deciso che quando uscirà si dedicherà totalmente all’alpinismo. Lo vede come obiettivo su cui concentrare tutte le proprie energie per uscire da una situazione difficile e confusa. Lo sente come bisogno di libertà, di avventura. Ritornato a casa ed ottenuto l’appoggio della famiglia, inizia un serio allenamento fisico. Arrampica nelle palestre intorno a Nizza quasi tutti i giorni. Si butta anima e corpo verso la sua meta.

Siamo nell’estate 1977 e Patrick esordisce con la Sud dell’Aiguille du Fou, l’Americana al Petit Dru, il pilier Carpentier all’Aiguille des Grands Charmoz e cosi via in un crescendo impressionante, fino alla Davaille-Cornuau a Les Droites (in 8 ore, nel giugno 1978), alle solitarie alla via degli Austriaci a Les Courtes, e al couloir Chaud al Mont Pelvoux. Poi, la caduta. Dall’ospedale e dal periodo di recupero esce ancora più determinato, più caricato di prima. È convinto che le strade imboccate si devono percorrere fino in fondo, con una dedizione totale.

Ha sacrificato molto per la montagna ed ora vuole i risultati. Couloir Lagarde a Les Droites e Supercouloir al Mont Blanc du Tacul in inverno. Nel Verdon, durante la primavera, spinge l’allenamento al massimo ed arriva ad infilare in solitaria le vie più difficili una dopo l’altra: Éperon Sublime, Demande, Orni, Luna Bong, nella stessa giornata. In giugno percorre in solitaria il couloir Lagarde-Ségogne all’Aiguille du Plan in 4 ore e mezza e resta profondamente ammirato per il talento di Jacques Lagarde. Il fenomeno Patrick Berhault sta per esplodere; vale la pena seguire le date: il 26 giugno 1979 percorre il Supercouloir al Tacul in solitaria (3 h 30); il 30 la parete ovest dell’Aiguille de Blaitières, completamente in libera, senza toccare chiodo, insieme a Philippe Langlois; il 2 luglio la Rébuffat-Terray all’Aiguille des Pélerins in solitaria; il 5 la Davaille-Cornuau a Les Droites in solitaria (5 h 30); l’8 la Dufour-Fréhel con l’uscita Boivin-Vallençant alla Nord del Pilier d’Angle (3 h per la parete, 2 h 30 per la cresta di Peutérey); il 10 il pilier Carpentier ai Charmoz in solitaria (4 o 5 h); il 15 e il 16, una nuova via in libera sulla Nord dei Drus con i fratelli Claude e Yves Rémy; il 23 il Couloir nord dei Drus in solitaria (6 h 30); il 27 la via Bonatti-Zappelli al Pilier d’Angle in solitaria (1 h 50 per la via, 2 h per la cresta di Peutérey); il 28 la seconda salita della via Rémy ai Charmoz insieme a Françoise Quintin, con successiva discesa in arrampicata del pilier Carpentier. Ha cosi raggiunto un suo obiettivo che era quello di percorrere in solitaria la Nord de Les Droites, la Nord del Pilier d’Angle ed il Couloir nord dei Drus. Naturalmente in agosto e settembre ha proseguito inesorabile come un rullo compressore. Per non fare un tedioso elenco basterà citare, tra le altre, tre vie significative e ben conosciute nell’ambiente torinese: la via Kelle alla Tête d’Aval in solitaria (1 h 45); la via Devies-Gervasutti all’Ailefroide in solitaria (3 h 15) con discesa per la cresta della Côte Rouge; ancora l’Americana al Dru e specialmente il diedro di 90 m in free climb (senza toccare un chiodo), in compagnia di Georges Unia.

Lo stile di Patrick è tutto impostato sulla velocità; quindi niente sacco, corda sulle spalle, EB a tracolla, qualche chiodo in vita e una tavoletta di cioccolata in tasca. Naturalmente nelle sue solitarie procede in modo continuo, senza mai assicurarsi (escluso un tiro nel Couloir dei Drus). Si sente tranquillo ed è convinto che la maggior sicurezza sia la velocità. Sulla Nord di Les Droites ha tenuto la media di 200 metri all’ora! (È anche leale e simpatico nel riconoscere che ben altra impresa era stata la prima solitaria di Reinhold Messner: luglio 1969, quarta salita assoluta in 8 h 30 con piccozza tradizionale dal manico in legno e pugnale da ghiaccio).

Questi i risultati del 1979. Non vi è bisogno di commento.

Parete nord del Petit Dru. All’altezza della Niche, lungo la via aperta da Berhault.

Teniamo però ben presente quale prezzo Berhault ha dovuto pagare per raggiungere questi risultati. Una dedizione totale, fatta di rinunce e sacrifici. Niente distrazioni, niente compagnie, niente vino, niente fumo, tanta ginnastica, alimentazione curata, a letto presto, ecc. I risultati e le soddisfazioni non piovono dal cielo, ma si conquistano e si pagano. Ha ragione Messner, nel suo libro Il 7° grado, quando dice di non credere nei miracoli. Del resto Patrick ammette di essere stato ispirato dalla lettura di questo libro.

Per fare quello che ha fatto, da alcuni anni, tutti i giorni regolarmente si allena: 100 trazioni di braccia alla sbarra, 50 flessioni a terra, 50 addominali, 100 flessioni su ogni gamba, parecchi esercizi di scioltezza, quindi 25-30 km di corsa, possibilmente in salita su sentieri in terra battuta. Poi, ovviamente, ogni giorno arrampica.

Notare che l’attività muscolare degli esercizi fissi non viene trascurata nemmeno al ritorno da una Nord di Les Droites.

Ora, coloro che vorranno emulare le sue imprese, considerino bene cosa c’è sull’altro piatto della bilancia.

A Patrick l’allenamento non pesa, poiché il piacere di sentirsi in forma lo ricompensa ampiamente. Una dieta sportiva e leggera gli viene spontanea, quindi non gli costa fatica. Ma quanti di noi sarebbero disposti a fare lo stesso?

Preferiamo credere all’americano Rick Ridgeway, che nel settembre 1978 ha raggiunto il K2 senza ossigeno e in proposito dice: «Non mi sono mai considerato un uomo eccezionale e tanto meno un super-atleta. Posso correre solo poche miglia, 20 flessioni mi mettono fuori combattimento. Mi trovo molto meglio a bere birra, fumare stupefacenti e spassarmela, piuttosto che trascorrere il tempo in noiosi allenamenti (Mountain n. 64)». Le teorie di Messner, accettate da Berhault, basate sulla formula sacrificio-risultato, e quelle di Ridgeway rappresentano due estremi. Il giudizio lo lascio al lettore.

Vorrei concludere con una riflessione: Bonatti è stato l’ultimo grande alpinista a poter vivere l’Avventura nelle Alpi; Messner per viverla ha già dovuto andare sui giganti himalayani; Berhault cosa dovrà fare?

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Patrick Berhault ultima modifica: 2024-03-03T05:05:00+01:00 da GognaBlog

14 pensieri su “Patrick Berhault”

  1. #5
    Crovella,
    su questo siamo un po’ distanti malgrado su altro ( montagna per pochi per esempio) la pensiamo allo stesso modo.
    Berault non era un atleta nel senso olimpico del termine. Non c’era gara con altri. Tanto è’ che, in tema di competizioni, fu l’unico se non erro firmatario del manifesto dei francesi contro le gare che fu coerente fino in fondo ( a solo titolo di esempio, la Destivelle partecipo’ alle gare. E tra l’altro nulla le impedì, dopo qualche tempo, di tornare all’alpinismo, e che alpinismo!).
    Mi ritrovo perfettamente nello stile Berault ( naturalmente senza averne raggiunto analoghi livelli): dieta ferrea 365 giorni anno, allenamenti, voglia di provare vie sempre più dure in falesia, voglia di muoversi rapidamente su salite di montagna. Non è’ un profilo olimpionico, il desiderio di battere un avversario non esiste. Si può’ trascorre due settimane in inverno al Bivacco Eccles, a salire tutti i piloni del freney ( ve la ricordate sta impresa di Berault) solo se si possiede una passione cristallina per l’alpinismo e la scalata in tutte le sue forme oltre che per la montagna come luogo. In questo senso, l’aneddoto di Berault ed Edlinger che si ritrovano a far trazioni in un aeroporto ( o stazione del treno, non ricordo) solo per non mancare alla dose giornaliera, non è’ in conflitto con quella passione ma ne è’ parte e segno evidente. Molti altri oggi sono dei professionisti della scalata, ma nelle forme più commerciali e commerciabili ( palestre, video su YouTube ecc). Ma questi non arrivano nemmeno all’attacco dei piloni del freney e in inverno credo non andrebbero oltre il Bar delle Guide di Courmayeur. Berault e’ stato un eccezionale scalatore, che è’ riuscito ad eccellere in arrampica sportiva, libera e grandi salite di montagna. Uno come lui nasce ogni cento anni e forse più.
    Non fu certo Berault a creare quel solco a cui ti riferisci, che capisco e che ho presente ma la causa del quale non sono stati di certo scalatori eccezionali che hanno dedicato una vita alla scalata, alla falesia, alla montagna. E di certo non si sono arricchiti. A sensazione Berault ha ricevuto di che vivere, non credo fosse diventato ricco. E se anche fosse e’ sempre rimasto “povero” nel modo di fare. Non l’ho mai conosciuto direttamente, visto qualche volta di sfuggita in falesia ( la sua salita su Coralie a Monte Cucco avvenne in un periodo in cui ero ancora un ragazzino e a Finale non sapevo come arrivarci) , inseguito spesso le sue vie in particolare alla Turbie Tet de Chen….
    Per ricordarlo non ci sono parole, basta quello che ha fatto.

  2. “Passando ai comuni mortali la parola sacrificio mi pare che deresponsabilizzi la persona; ognuno di noi fa scelte, soprattutto in montagna ma anche nel quotidiano più comune. Le rinunce e i sacrifici ci rendono spesso arrabbiati e frustrati, le scelte no”
    bellissima riflessione…
     

  3. “Teniamo però ben presente quale prezzo Berhault ha dovuto pagare per raggiungere questi risultati. Una dedizione totale, fatta di rinunce e sacrifici. Niente distrazioni, niente compagnie, niente vino, niente fumo, tanta ginnastica, alimentazione curata, a letto presto, ecc. I risultati e le soddisfazioni non piovono dal cielo, ma si conquistano e si pagano.” Rinunce e sacrifici sono in realtà semplicemente scelte. Se Berhault amava quello che faceva (e mi pare proprio di sì) la scelta è stata un’assunzione di responsabilità dettata dalla consapevolezza. Passando ai comuni mortali la parola sacrificio mi pare che deresponsabilizzi la persona; ognuno di noi fa scelte, soprattutto in montagna ma anche nel quotidiano più comune. Le rinunce e i sacrifici ci rendono spesso arrabbiati e frustrati, le scelte no e Berhault mi sembrava una persona col sorriso. 

  4. 1#le San Marco con la tomaia in canguro (povero)tra le scarpette più confortevoli mai avute…
    6# successe la stessa cosa a me a BL ad  oltre le vette…
    9# ti quoto al 100%

  5. Patrick Berhault était quelqu’un de profondément gentil.
    La montagne le rendait heureux, et il savait l’aimer et la faire aimer.
    Le chagrin de sa disparition sera toujours là,
    mais son sourire et son amour de la montagne nous accompagneront toujours.
    Merci Patrick.

  6. Di fuoriclasse come Patrick Berhault ce ne sono stati altri. In verità, non molti.
     
    Di fuoriclasse umili, affabili, simpatici e scanzonati come Patrick Berhault ce ne sono stati pochi. Pochissimi.
     

  7. E tra l’agosto del 2000 e il febbraio del 2001 attraversò pure tutte le Alpi inclusa la salita delle 3 grandi e classiche nord (Eiger, Cervino e Jorasses).
    Un mito del secolo scorso (e forse di tutti i tempi).

  8. Ero  fermo a metà del terzo tiro della Demenge al Cougourda su un placca, non avendo  punti di riferimento. Avvertii sulla mia sinistra una presenza. Era uno scalatore solitario dai capelli lunghi che mi saluto’ e mi disse che cinque metri sopra a destra avrei trovato un chiodo e se ne andò.
    In sosta arrivarono due francesi uno era  Charles Pistone del negozio di arrampicata a Nizza al quale dissi di aver visto un alieno slegato che proseguiva verso la cima. Charles mi bisbiglio’ in un orecchio un nome del quale ne avrei sentito parlare. Piu su nella traversata di V il capellone ridiscendeva sempre slegato. Eravamo nella metà degli anni ‘ 70. Quel nome lo ritrovai più tardi sulle cronache alpinistiche. Grazie Patric per la “dritta”. 

  9. Ho potuto parlare con Berhault subito dopo il suo filotto dei 4000 sulle alpi. Era una serata sponsorizzata dal CAI di Savigliano. Persona semplice e con molto piacere andai a fargli una domanda: a quando in Yosemite? Mi ripose, chi lo sa… Mi fece l’autografo, gli strinsi la mano e me ne andai. Pochi mesi dopo seppi che scivolò in una delle sue incredibili scalate, e morì. Mi rimane l’autografo, ed il ricordo di un personaggio incredibile. Un onore avergli potuto parlare.

  10. Bellissimo articolo, ottima idea riproporlo. Sembra scritto ai nostri giorni. Nella sua “semplicità” sul piano umano e nella sua innata simpatia, Berhault è stato uno dei protagonisti di quella fase da cui si è sviluppato l’alpinismo “preparato”, che poi si è definitivamente distaccato dall’alpinismo amatoriale. Non è stato l’unico, certo, perché tutta quella generazione, specie di francesi, era così. Non si potevano realizzare le performance del genere senza l’impostazione professionistica, con allenamenti sistematici, regime alimentare, stile di vita controllato ecc. Come atleti che vivono solo “per” vincere la loro gara alle Olimpiadi. Tutto legittimo, tutto comprensibile, tutto ammirevole. Ma, dalla parte degli alpinisti amatoriali, il solco creato in quella fase non si è più rimarginato: i due mondi si sono definitivamente separati. Forse lo erano già da tempo, ma quella fase ha suggellato definitivamente il distacco.

  11. Ho avuto la grande fortuna di dividere con Patrick la tenda nella spedizione al ShishaPagma, nel settembre 1988: ricordo una persona semplice e generosa, l’antitesi dell’alpinista primadonna, con cui è stato bello condividere debolezze e aspirazioni. Anche lui era al suo prima ottomila. Dopo un edema polmonare in una precedente spedizione con Yannick Seigneur, si era allenato a casa con una macchina che simulava le condizioni in altitudine. 

  12. Ho avuto occasione di incontrare e discutere con molti scalatori celebri di ogni epoca ma nessuno mi ha impressionato come Patrik Berhault. Imprese incredibili raccontate con semplicità, modestia e con totale assenza di autocelebrazione. Una volta mi propose di combinare qualche scalata insieme, con una scusa declinai l’invito, ero troppo spaventato da un “mostro” simile. 

  13. Quando arrivò a Finale, ospite di Alessandro Grillo con cui sviluppavano scarpette per la San Marco, e lo vedemmo arrampicare a Monte Cucco, ci sembrò di essere al cinema a vedere un film di fantascienza. 

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