Pensieri di un rifugista
di Daniele Pieiller
“Una vera economia di montagna è obbligata a interrogarsi sul futuro del proprio territorio, occupandosi di curarlo e coccolarlo. L’acqua, l’aria, la terra, i suoi prodotti, i paesaggi, così sani e di qualità, saranno delle peculiarità difficilmente imitabili altrove e indispensabili per rigenerare l’animale uomo che nasce in natura e di essa necessita per sopravvivere. I nostri figli, soprattutto se nati e cresciuti in metropoli, meritano di poter godere anche solo di qualche momento in Natura. Noi in montagna abbiamo la responsabilità di permettere che ciò accada. Riusciremo a vivere di montagna senza annientarla o senza dover scappare?”.
Queste parole le scrissi su facebook una sera di due anni fa e ora sono ancora più attuali. La domanda è forse un po’ retorica ma serve ad aprire una riflessione per me fondamentale. Da tanti anni lavoro, vivo e gioco in montagna. La mia posizione privilegiata di gestore del rifugio Crête Sèche dal 2001 al 2019 mi ha permesso di conoscere un’attività economica in montagna che forse più di altre permette di osservare da vicino quali attività antropiche influiscono negativamente sull’ambiente che ci circonda e quali no.
Una piccola sorgente di acqua che scompare può essere deleteria per un rifugista, per questo si ha cura di osservarla, rispettarla e accudirla controllando con attenzione l’arretramento del nevaio o del ghiacciaio che l’alimenta.
Lo stoccaggio dell’immondizia e la raccolta differenziata sono attività che ci impegnano da tanti anni e che proprio perché non passa un camion a ritirarla al rifugio ma dobbiamo prenderla in mano diverse volte, stoccarla fino all’arrivo dell’elicottero e poi riprenderla per portarla finalmente ad un centro di raccolta, cerchiamo sicuramente di fare attenzione ad utilizzare merce con pochi imballaggi e a ridurre al minimo gli scarti.
Ci occupiamo direttamente anche dello smaltimento delle acque reflue e viviamo (purtroppo!) da vicino ogni intasamento della fossa settica o del degrassatore: a volte basta un pannolino buttato nello scarico per rovinare tutto il lavoro fatto con gli enzimi per fare funzionare bene una fossa settica. I detersivi che usiamo devono essere anch’essi compatibili con gli enzimi che devono lavorare bene nella fossa, per questo motivo da molti anni i rifugisti si sono dotati di detersivi ecologici, concentrati (per non spostare quantità di acqua inutile con l’elicottero) o di sistemi ionizzanti che evitano l’utilizzo di detersivi.
La fatica e i costi che implicano il trasporto del cibo in quota ci ha sicuramente permesso di ridurre al minimo gli sprechi delle derrate alimentari.
La vicinanza dei ghiacciai che si sciolgono a vista d’occhio e i crolli continui di materiale roccioso cui assistiamo l’estate ci preoccupano in modo particolare perché vanno ad incidere sulla nostra vita quotidiana con la chiusura anticipata del rifugio o peggio ci rendono testimoni di tragedie umane.
Questi e altri aspetti ci hanno in genere resi sinceramente sensibili ai principi che tendono a difendere la nostra terra dal consumo frenetico che ne stiamo facendo. Ho notato che chi viene dalle città in genere non si è accorto per esempio di come si sono scaldati gli inverni mentre noi che abitiamo in montagna abbiamo percepito chiaramente questo aspetto. Per esempio quarant’anni fa c’erano le piste di fondo e di slittino in tutta la zona centrale della Valle d’Aosta (da Pontey a la Salle) a una quota di circa 500 m. In seguito queste attività le abbiamo spostate a 1000 m (penso alle piste di fondo di Antey-Saint-André, di Valpelline, ecc.). Nell’ultimo decennio stiamo vivendo la crisi della neve a 1500 m, abbiamo iniziato a spostarle a 2000 m (quanti inverni ormai per lunghi periodi le sole piste di fondo disponibili le troviamo a Pont di Valsavarenche o a Cervinia?).

Siamo quindi degli spettatori (anche attori…) privilegiati perché tocchiamo con mano per esempio gli effetti di cui sopra dovuti al surriscaldamento della terra e tanti altri causati appunto dall’eccessiva esigenza di “consumare”. Questi aspetti ci caricano di responsabilità che, oltre a farci cercare delle soluzioni quotidiane che riducano i danni, possiamo soddisfare soprattutto cercando di non essere solo testimoni oculari di questi avvenimenti ma anche divulgatori di ciò che vediamo.
Il CAI è un’associazione ambientalista che più di altre dovrà caricarsi il fardello di questa missione. Speriamo di riuscire comunque ognuno di noi a fare la nostra parte.
Purtroppo non sono sicuro che esista attualmente una risposta alla mia prima domanda: “Riusciremo a vivere di montagna senza annientarla o senza dover scappare?”.
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Che bella esperienza Daniela! Riuscire a vivere lunghi periodi così dovrebbe essere la norma…
Cattiveria: ma almeno c’è uscita una audi tt ?
Sono una cuoca montanara dai sapori antichi e dopo vari anni sono riuscita a ritornare a fare la stagione lavorativa estiva in alta montagna (2700 mt) in un bel rifugio. Niente internet, solo telefono su onde radio, ma sono stati tre mesi meravigliosi, pur lavorando tt il giorno tt i giorni. Ovviamente c erano da rispettare regole contro il consumismo e per la salvaguardia della natura e non tt lo capivano. Vi faccio i miei migliori auguri per tanti anni ancora da rifugisti.
Scusate, non volevo dare un’idea sbagliata rispondendo ai vostri commenti. E può sembrarlo.
Consideratelo un piccolo sfogo personale. In un momento particolare, in cui tutti si concentrano su mestieri intellettuali, poco si parla di chi fa il cameriere, la commessa, di chi fa le pulizie, operai, persone che nella maggior parte dei casi non ha la possibilità di una seconda casa sui monti. Ma mi rendo conto di esultare dalla bella intervista proposta.
L’uomo dromoscopico è sicuramente un uomo superficiale, ma l’aggressione alla natura procede con la stessa velocità. Ora ci sono pure le biciclette elettriche!
Non ne dubito. Ma non tutti possono. Lo dico senza polemica.
In Valpelline, ma in questi giorni anche a Cervinia, si sta “sicuri e isolati” e si può riscoprire il senso della vita. E’ davvero una montagna per pochi come piace a taluni. Aggiungo che la rarefazione delle prenotazioni fa sì che sarete accolti davvero a braccia aperte, anche se magari vi terrete a 1 m. di distanza.
No. Li farà sentire isolati e sicuri. É un altro paio di maniche. Senza offesa.
Infaticabile Daniele: chapeau! In questi giorni, nella valle di Valtournenche dove vivo, il Coronavirus sta spingendo molti cittadini a riaprire le loro case in montagna: il riposo forzato e la fuga da situazioni affollate (funivie…) gli farà riscoprire il senso della vita?
La gente di città non si accorge… Credo sia uno degli aspetti chiave. In una società notevolmente urbanizzata, la percezione delle problematiche naturali è molto assopita, a volte persino distorta. E nella dimensione culturale di questo aspetto, si nascondono criticità e opportunità.
Per chi avesse voglia, due mie parole scritte qui: https://www.altrispazi.it/altrilibri/racconti/dromoscopia/