Il Patto trasversale per la Scienza è stato presentato nel giugno 2019 nell’aula magna della Statale di Milano, in via Festa del Perdono. Lo hanno fatto, all’apertura del congresso Icar dedicato all’Aids e alla ricerca sugli antivirali, Roberto Burioni e Guido Silvestri che hanno subito vantato la sottoscrizione di quasi 6mila persone, tra cui pure Beppe Grillo e Matteo Renzi.
Il Patto trasversale per la Scienza punta a diventare una sentinella nei confronti della società, al fine di verificare che alla base di ogni decisione ci sia il rispetto delle evidenze scientifiche. «C’è moltissimo da fare», è il pensiero dei promotori, la cui volontà di respingere l’oscurantismo e la manipolazione deriva da alcune vicende balzate agli onori delle cronache dal nostro Paese: dall’esitazione nei confronti dei vaccini alle speranze riposte su cure prive di ogni fondamento, dalle resistenze nei confronti dell’applicazione delle biotecnologie in ambito alimentare al negazionismo adottato nei confronti di alcune malattie. «Vogliamo che il nostro diventi un Paese migliore – aggiunge Burioni – Dobbiamo proteggerci dai cialtroni che rovinano la salute della gente e che svuotano le loro tasche. Le discussioni, pure feroci, è giusto che ci siano. Ma non è possibile chiedersi ancora se due più due fa quattro o se i vaccini causano l’autismo».
Perché la scienza non può essere un dogma
di Pier Paolo Dal Monte (chirurgo e saggista)
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 20 gennaio 2019)
Cosa potrebbe accadere se la scienza diventasse ideologia e venisse canonizzata in guisa di articolo di fede, se ogni critica fosse stigmatizzata come eresia e su di essa si avventasse il Malleus Maleficarum del potere e del suo clero opportunista? Questo mi pare l’obiettivo del malaccorto “Patto trasversale per la scienza” promosso da Roberto Burioni e Guido Silvestri e firmato, tra gli altri, dai noti epistemologi Matteo Renzi e Beppe Grillo.
Come già evidenziato da Ivan Cavicchi, questo cosiddetto patto appare come un rabberciato coacervo di tautologie, tenuto assieme da una concezione di scienza ottocentesca, pedissequamente informata da un meccanicismo riduzionista. Una visione apodittica e fideistica che vorrebbe delimitare la sfera del concepibile definendo de jure, le categorie di ciò che può essere chiamato “scienza”, bandendo qualsiasi critica, anche fondata, dal consesso del lecito e, per ciò stesso, dell’esprimibile.
La scienza diventa così un potente metodo “governamentale”, perché, allo stesso modo delle notizie propalate dai mezzi di comunicazione di massa, crea l’immagine della realtà determinando l’“orizzonte del possibile”, ovvero i confini entro i quali devono essere delimitati il pensiero e la conoscenza. In questo modo si limita il campo delle possibili scelte, rendendole tutte impossibili poiché, secondo postulato, questo campo è definito da principi assoluti e ineludibili che, quindi, non possono costituire oggetto di discussione o, tanto meno, di scelta democratica.
Qui si può notare una sinistra concordanza con un’altra corbelleria che, in questi tempi, viene spacciata con una certa insistenza, e che recita: “La scienza (ma quale?) non è democratica”. Questa sonora scempiaggine è minata da una doppia fallacia:
1. la prima è logica, ovvero compara due “concetti incommensurabili”; la scienza è attinente al dominio cognitivo, mentre la democrazia – che è definizione di una modalità di governo – a quello politico. Per dirlo coi greci, la prima attiene all’epistème, la seconda alla praxis.
2. La seconda, invece, è una fallacia epistemologica: il metodo sperimentale fa sì che la scienza sia, da questo punto di vista, pienamente democratica. Essa ricusa il principium auctoritatis perché è basata sulle prove sperimentali. L’esperimento può essere considerato alla stregua di un “bene comune”, al quale (per statuto teorico) tutti possono attingere e concorrere, se non dal punto di vista pratico, senza meno da quello “veritativo”, visto che prevede che sia possibile verificare ogni specifica asserzione “scientifica”.
La conoscenza del mondo, è data da un complesso di strumenti epistemici con i quali si studiano e apprendono (in senso etimologico) i fenomeni che, attraverso il metodo scientifico, vengono strutturati e inquadrati in sistemi di metafore utili a descrivere le “leggi generali” con le quali si costruisce la griglia del “sapere”. Questo sapere è sempre diveniente e sempre perfettibile; pertanto, almeno dal punto di vista teoretico, nulla è più lontano dal metodo scientifico dell’atteggiamento dogmatico del “manifesto” di cui sopra.
L’organizzazione della conoscenza si manifesta attraverso un processo di astrazione della realtà, che avviene mediante la descrizione del mondo con un sistema di metafore: rappresentazioni mentali dei fenomeni che, per loro natura, possono descrivere solo alcuni aspetti della realtà percepita, ossia quelli che sono considerati importanti dall’osservatore (scelta preanalitica), che fungono da paradigmi e modelli dei fenomeni naturali.
Ogni modello, in quanto descrizione parziale della realtà, riflette soltanto una parte delle possibili interazioni tra l’osservatore e gli enti osservati. È doveroso ricordare che questa scelta preanalitica dipende sempre dalla visione del mondo dell’osservatore e, come tale, non è mai “neutrale” o “oggettiva” ma è sempre informata da una determinata visione del mondo. Si può quindi comprendere che “il discorso sul metodo”, per ciò che concerne la definizione di “scienza”, è un “poco” più complesso della visione semplicistica che traspare dal “manifesto” citato.
Inoltre, se parliamo delle relazioni tra politica e scienza, la prima non è – e non può essere – mera applicazione di postulati tecnici o “scientifici”. Il suo ambito non è quello dei postulati o delle “evidenze” ma quello dell’agire collettivo, che è basato sulla mediazione e il compromesso tra i vari interessi e le varie istanze in gioco. Pertanto, quando lo scopo è quello di convogliare ciò che è frutto di conoscenza scientifica nell’ambito delle scelte politiche, è necessario un accurato lavoro di negoziazione semantica per riuscire a giungere a un significato che sia condiviso da tutte le parti interessate, cioè a dire: un “perché”, che è la condizione necessaria per arrivare ad un “come”, ossia l’applicazione, nel mondo realmente esistente, di quella scienza che scaturisce dagli “esperti”.
Fatte queste premesse, ritengo quanto mai opportuna la proposta di Ivan Cavicchi di promuovere un patto sul modo di intendere la scienza. Essa diviene addirittura indispensabile, di fronte alle derive ideologiche circa il concetto di “scienza” alle quali stiamo assistendo, che sono sintomi di un pericoloso predominio del “pensiero calcolante” al quale è doveroso resistere tramite l’esercizio del “pensiero meditante” (per usare le definizioni di Martin Heidegger).
2Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Buongiorno Massimo,
per quanto riguarda la pubblicazione, ho diversi amici ricercatori che me lo hanno raccontato e, se cerchi su internet, troverai riscontro di quanto ho scritto.
Naturalmente se sei dipendente dell’Ingv (istituto di geofisica e vulcanologia), sarà l’ente a sostenere le spese.
Gli articoli, una volta ricevuti, vengono vagliati da uno o più esperti e se la tesi viene sviluppata in modo corretto, viene pubblicata e questo non significa che sia verità colata. Rimane una possibile tesi.
Qui sull’Etna sono condotti studi continuamente e da quando sono tornata sull’isola (14 anni), la stima dell’età della Valle del Bove è cambiata tre volte, da 30.000 anni a 9.000. Sono ipotesi, e questo è chiaro per tutti, e sono accreditate fintanto che non verranno fatti nuovi studi, magari con strumentazioni più avanzate.
Qual è il tuo settore?
Grazia scusa ma non è così. I ricercatori NON pagano per pubblicare sulle riviste serie (altra cosa è il fenomeno delle riviste dette “predatorie”) e non basta un articolo o due per decidere se un’ipotesi è suffragata o meno. Sono richiesti altri requisiti perché una nuova ipotesi soppianti il modello ritenuto il più plausibile al momento. Uno di questi è la ripetibilità e la ripetizione dello studio in questione. Ripetizione che effettuata in altri studi deve produrre i medesimi risultati. Solo così una tesi diventa meritevole di attenzione. Tralascio la parte relativa alle metanalisi per non tediarti. Non tutte le tesi pubblicate sono valide. Devono passare il vaglio di altri ricercatori che confermeranno o meno.
Noi leggiamo riviste scientifiche. Si, certo. Io quelle relative al mio settore specifico sono in grado di comprenderle, negli altri settori non ho la possibilità di capire di cosa parlano. Non sono in grado di leggere su di una rivista di gastroenterologia gli studi relativi alle comparazioni tra i meccanismi molecolari dei diversi inibitori della secrezione acida dello stomaco. Così come non posso accedere alle teorizzazioni di un fisico teorico. Posso leggere riviste divulgative, che sono un altra cosa e appunto fanno divulgazione non si occupano di ricerca.
Figuriamoci se è mia intenzione sminuire la tragedia in cui è incorsa la tua amica. La sofferenza richiede rispetto e nient’altro.
E’ la tua lettura. Per me e’ esattamente il contrario. Ma in realta’ poco importa. C’e’ poca sostanza. Finche’ continuate a pescare in Arianna Editrice non andrete lontano…
Il centro dell’articolo è filosofico.
Il richiamo alla politica attuale gli è strumentale.
Burioni scientista o semplicemente Burioni politico. L’articolo prende la prima opzione e azzarda un’ analisi dello slogan “la scienza non e’ democratica” e del “patto per la scienza” con la logica pura e con l’epistemologia. Se uno avesse voglia e tempo ( che io non ho ) leggerebbe di Del Monte il suo “Immunità di legge. I vaccini obbligatori tra scienza al governo e governo della scienza” e magari capirebbe meglio la sua acrimonia verso Burioni , che e’ al momento vera star giornalistico-televisiva, e molto bravo ad attirarsi l’antipatia dei colleghi.
Io non credo che Burioni sia scientista, e per quanto sia presentata come una questione di forma, a me interessa di piu’ la sostanza. Diverse voci, anche piu’ autorevoli di Dal Monte e Cavicchi sostengono che nell’effettuare le scelte di politica sanitaria sarebbe desiderabile un approccio meno impositivo e piu’ dialogante. E’ possibile. Ma la credibilita’ delle “elites” nel loro ruolo di influenza dell’opinione pubblica e’ in una crisi evidente da ben prima. Ho l’impressione che quella di Burioni sia una risposta al problema, e non una causa del problema. La situazione scatenante e’ ben nota, ed e’ l’infinita disponibilita’ di informazione e l’illusione di relativa ‘competenza che induce. Da cui la necessita’ di un argine all’opinionismo dilagante in tutti i campi.
Ad ogni modo trovo significativo che i conflitti con gli “esclusi dal salotto buono” sono piu’ frequenti in medicina che nelle altre scienze…
Massimo, sono quasi certa di aver inteso male, ma per sicurezza: hai scritto che l’esperienza vissuta dalla mia amica non ha valore e la paragoni a un articolo di giornale?
Se ti riferisci a me per youtube, leggo spesso articoli pubblicati da riviste scientifiche, visto che abito su uno dei vulcani più attivi della terra, lavoro come guida e la mia curiosità è sempre accesa, e mi interesso anche di articoli che riguardano la salute. Non sono altro che pubblicazioni e penso tu sappia perfettamente come funzionano: il ricercatore paga per essere pubblicato e finché la tesi non è confutata, è valida.
Lo sono tutte, le tesi pubblicate. Sta a noi farci un’idea di ciò che leggiamo.
Grazia hai ragione gli esempi sono anedottica pura che conta zero. Come il caso da te raccontato del resto. In quel settore, e lo ripeto, in quel settore, conta solo ciò che ha validità scientifica comprovata. (E non credo sia il caso che ti spieghi qui cos’è il metodo scientifico). Il resto è fuffa. E vorrei vedere se un politico non prendesse posizione a favore di modalità di cura validate rispetto alle ciarle di venditori di fumo. Visto che deve spendere soldi pubblici per ottenere in cambio un miglioramento della salute di tutti.
Lasciami dire che trovo curiosa la diffidenza verso l’informazione, che probabilmente non è il tuo caso, porta a dubitare da ciò che viene pubblicato sulle riviste scientifiche per poi assumere come valide idee espresse in spazi su you tube da soggetti mancanti del minimo di credibilità.
Ho notato che tanti leader politici straparlano in questo periodo, dicono di tutto e il contrario di tutto, ma con una frequenza molto più elevata di prima e pure i toni sono molto più alti.
Chi lavora è in crisi, ma penso lo sia di più chi lavora in nero, non è che anche i politici siano in crisi perché il loro sistema di finanziarsi per mantenersi è quasi bloccato e stiano facendo di tutto per farlo ripartire (quello loro nevvero) ?
Leggendo i dati di questi ultimi giorni sul corona a livello nazionale, mi sembra che la sua diffusione sia paragonabile ad un’auto che viaggia a velocità costante (i numeri giornalieri cambiano di poco) e continua a “consumare” e ad accumulare chilometri (quindi le percentuali di accumulo scendono) :
non ci sono segni evidenti di quando rallenterà per arrivare .
Che le case farmaceutiche siano fonte di grandi business è noto da sempre.
Mi sembra assurdo, invece, che dei politici si schierino pubblicamente a favore dei vaccini, come ha fatto Grillo.
Naturalmente non obietto il suo parere personale, che è assolutamente lecito, ma credo che, almeno in apparenza, chi fa parte del mondo politico dovrebbe mostrarsi neutrale rispetto a qualunque cosa al di fuori della politica, tantomeno può pubblicamente dirsi a favore o contrario delle infinite terapie alternative all’uso dei farmaci perché, altrimenti, suonerebbe come fare pubblicità a un qualche prodotto.
Per il resto mi sento in sintonia da quanto espresso da Lorenzo.
In generale si tende a intervenire eccessivamente all’insorgere di sintomi e patologie, senza attendere che il corpo reagisca e trovi un modo per tornare in equilibrio.
Penso che gli esempi offerti da Massimo in virtù dei quali si infervora contro le cure alternative vengano dai giornali. È così?
Prendo sempre con le dovute distanze ciò che arriva dalla stampa e mi baso sulla realtà intorno a me.
Diversi anni fa, per esempio, al marito di un’amica diagnosticarono un tumore che, a seguito di terapie, fu tenuto sotto controllo. A un certo punto la sua oncologa insistette molto affinché lui facesse il vaccino anti influenzale. Da bravo uomo pensante e d’altri tempi, obiettò che da pensionato poteva tranquillamente permettersi di stare a casa tranquillo, se gli fosse venuta l’influenza. Le insistenze della dottoressa si fecero così pressanti, che lui cedette. Purtroppo il suo corpo si ribellò al farmaco (gli dissero che era risultato allergico), con il risultato che passò gli ultimi due mesi in ospedale senza uscirne più.
Se la filosofia non è declinabile nel singolo caso a che mi serve?
Lo è. Le tue parole la esprimono. Io sono singolo! (fa testo il testo, il punto esclamativo e l’eventualità, non recondita, d’individualismo).
Se oggi non siamo al cospetto di un alpinismo ginnico lo dobbiamo ad alcuni che ci hanno precedeto, che hanno visto dove una certa moda (goccia d’acqua) avrebbe condotto l’alpinismo e hanno operato per farlo presente ad altri.
All’epoca la superdirettissima era una novità, una scoperta, un’entusismo per chi aveva praticato le linee deboli e si sentiva scopritore della nuova idea. Tutto ha le sue ragioni storiche, tutte da investire di piena dignità. Tuttavia chi ne ha colto il significato a lunga gittata si è messo a rifletterci e a diffondere le sue considerazioni. In quel campo (alpinistico) ancora investito di ‘etica, le parole di critica alla goccia d’acqua, hanno attecchito. E anche se oggi, nella massificazione dell’attività è solo un dato storico (per chi lo incontrasse) per certi alpinisti è ancora il solo valore di riferimento.
…in batteria o in alpeggio si tratta sempre di un animale sfruttato e alla fine ucciso per fornirmi proteine.
La questione non è che sempre di proteine si tratta, è la produzione e perpetuazione delle batterie. La concezione dell’animale da oggetto a essere senziente. E a ciò che consegue per come lo penserai, lo rispetterai (anche se poi te ne nutri) in vita, lo tratterai.
Se la filosofia non è declinabile nel singolo caso a che mi serve? Io sono singolo!
Ho contrapposto alpeggio a batteria perché tu citi il cibo gonfiato a proteine provenienti da animali trattati come oggetti: in batteria o in alpeggio si tratta sempre di un animale sfruttato e alla fine ucciso per fornirmi proteine.
Io però penso che un caso sia assolutamente lecito e inserito in quella dinamica che mi pare tu tenda a personalizzare; l’altro caso deleterio, da condannare e perseguire.
Non è il caso singolo il centro della questione.
È la filosofia che lo supporta e vi soggiace il tema.
È in questi termini che si può vedere l’atteggiamento predatorio che la nostra società ha perpetrato nei confronti della terra e del prossimo.
Non capisco però perché citi alpeggio e batteria: condivido la differenza.
Direi che il giudizio di comportamento predatorio è come minimo infondato; che la natura raccolga informazioni e che sia danneggiata dalla presunta interruzione causata da un trapianto è proprio tutto da dimostrare.
L’interesse personale in un trapianto è ovvio, il bene comune danneggiato per nulla.
E comunque tra una mucca in alpeggio e una in batteria c’è una differenza; anzi tutta la differenza del mondo!
Ecco, questo è un altro punto della questione.
La consapevolezza di essere tutto o di essere indipendente dal tutto.
Meccanicismo o olismo.
De filosofie che implicano culture, politiche e società differenti.
Una comporta la predazione l’altra il rispetto.
Una l’interesse personale e l’altra il bene comune.
“Se con un trapianto permettiamo di allungare la vita a qualcuno, nel contempo interrompiamo le informazioni che la natura raccoglie.”
Beh, francamente, se la vita salvata dal trapianto è la mia, la natura può rimanersene ignorante per sempre!
In questa intervista https://infosannio.wordpress.com/2019/01/15/limmunologa-maria-luisa-villa-fa-a-pezzi-la-retorica-del-castigatore-di-somari-di-burioni/?fbclid=IwAR1NslPYEq9Pw0I1Yko1I3xEn4Q8JBBPnOd8bNvunp-z5NC2i4jIjraMdtU la dottoressa riconosce una parte del problema relativo all’egemonia culturale e di linguaggio derivante dallo scientismo.
Tuttavia quando parla a favore delle vaccinazioni si riferisce esclusivamente al mondo delle verifiche e delle statistiche.
Il mondo della natura, l’uomo in quanto sua espressione, la dimensione sistemica, la terra come organismo e non come una macchina, non è neppure lontanamente sfiorata. (Non dico come presenza esplicita nelle sue risposte, quanto nel suo linguaggio).
È questo un punto relativo alla critica dell’egemonia su detta.
Se con un trapianto permettiamo di allungare la vita a qualcuno, nel contempo interrompiamo le informazioni che la natura raccoglie.
È un po’ come dare un pilota automatico a un capodoglio che altrimenti spiaggerebbe.
Dunque via a celebrare la chirurgia, gli espianti, le donazioni proposte e vissute come valore assoluto. Chi lo discute è un pazzo. Chi crede che le vaccinazioni siano propdromi di sventure un idiota da eliminare. Chi teme il 5G un imbecille che non sa quello che dice. Chi si aspetta il peggio dal cibo gonfiato a proteine proveniente da animali trattati come oggetti un pessimista.
La dimensione sistemica non solo manca alla scienza, il suo interesse è quanto mai specialistico e gli interscambi non provvedono a ridurre il problema, e neppure lo considera un problema.
Ma si. Basta con questi professori che vogliono convincerci che solo loro sanno cosa è vero e cosa no. Lasciamo a tutti la libertà di scrivere (e vendere, perché di questo si tratta DI VENDERE) che il bicarbonato cura tutto, anzi il limone cura tutto. Che il veleno di scorpione è un ottimo rimedio contro ogni cancro, che l’omeopatia è una cura (fa niente se un criminale che avrebbe potuto salvare un bimbo con una scatola di antibiotici lo lascia morire a forza di oscillococcinum) e la nuova medicina germanica cura i mielomi risolvendo i conflitti interni (fa niente anche qui se una ragazza fidandosi muore a diciotto anni di una patologia che curata adeguatamente ha il 95% di possibilità di risoluzione). Oppure raccontiamo che con la vitamina C il sei immune dal Covid 19?
Importante è essere liberi di diffondere tutte le cavolate che si vuole. E mica vorrete fermare il libero mercato, no? Non vorrete mettere in difficoltà la famosa ditta di omeopatici che vende lo zucchero a 4000 euro al kg? (Dopo adeguata succussione, però. Vuoi mettere?)
Hanno ragione, la conoscenza è solo un sistema di metafore ben organizzato. Chissà se quando vanno dal dentista e questo deve fare una terapia canalare gli chiedono un anestetico o una metafora con la quale organizzare meglio il loro sistema di significati.
Ho letto velocemente l’articolo, quindi potrei aver frainteso il messaggio dell’autore.Sono pienamente d’accordo sul metodo scientifico, sull’arbitrarietà nella scelta preanalitica del modello, dei diversi punti di vista…questo processo però deve avvenire all’interno della comunità scientifica e non può essere esteso a tutti a prescindere. Le discussioni all’interno di una comunità scientifica ci sono sempre state, ci sono e dovranno sempre esserci. Tuttavia, i nostri livelli di conoscenze in tutti i campi scientifici sono diventati così profondi e vasti che solo chi ci lavora, chi li studia e li approfondisce può pensare di essere esperto.Tanto per fare un esempio: chi si occupa di fisica delle particelle non può pretendere di saperne di climatologia (chi ha orecchie per intendere intenda).Sono d’accordo che la scienza non sia un dogma, e nessun scienziato può pensarlo…altrimenti il suo lavoro (fare ricerca = capire meglio i fenomeni che conosciamo e scoprirne di nuovi) sarebbe privo di senso.
Non capisco perché si discuta così della scienza.
La scienza è basata sul dubbio, usa sempre la matematica e non dà mai certezze, solo ragionamenti propositivi.
Secondo me la discussione va fatta su ciò che non usa la matematica, come la politica, la religione, la filosofia, la psicologia, e tutte le altre linee di pensiero inventate dall’uomo.
La matematica non è una opinione.
O lo è diventata perché ormai siamo tutti troppo ignoranti e pensiamo di sapere tutto e di poter disquisire su tutto ?
Antiscientista?
Potresti spiegare per favore?
Sono deluso da questa deriva antiscientista che sta prendendo il blog tra questo articolo e quello di Dalla Casa di qualche giorno fa. Una scelta davvero discutibile a maggior ragione di questi tempi…
Grazie , interessante, in particolare il link a Ivan Cavicchi
Fantastico. Pur effettuando ragionamenti da scienziato, disquisisce sulla opportunità di erigere un muro tout court all’antiscienza imperversante. Sembra uno di quei dibattiti sui massimi sistemi all’interno del PD. Sottigliezze incomprensibili per i sostenitori dell’antiscienza, che da discorsi del genere traggono solo la (erronea) convinzione di essere nel giusto.
Considerazioni.
1
«… i fenomeni che, attraverso il metodo scientifico, vengono strutturati e inquadrati in sistemi di metafore utili a descrivere le “leggi generali” con le quali si costruisce la griglia del “sapere”».
Più opportuno sarebbe stato scrivere alcuni fenomeni.
2
… che, attraverso il metodo scientifico, …
Cioè attraverso una precisa modalità, non la sola esistente. Si può comprendere la difficoltà dell’autore ma, sarebbe stato opportuno precisare che la modalità scientifica è autoreferenziale, appoggia su se stessa, che, dunque non è tutto, o la sola valida, ma nient’altro che la modalità scientifica.
3
…strutturati e inquadrati in sistemi di metafore utili a descrivere le “leggi generali” con le quali si costruisce la griglia del “sapere”
Inquadrati, allude alle modesta quantità di contenitori entro i quali alloggiamo i dati del cosiddetto sapere. Tuttavia, se il nostro io ritiene pericoloso per la propria stabilità o sopravvivenza un certo dato, questo, o non è alloggiato, o viene deformato o compresso o scartato, dalle scatole del sapere.
4
“sapere”
Lo scrive tra virgolette, penso, per la ragione di cui sopra. Nessun scientista le può comprendere, visto che al loro posto, spesso ho visto impiegare la Maiuscola.
5
«…postulati tecnici o “scientifici”…»
È forse la prima volta che trovo chi impiega i due termini in alternativa. Un bene per avviare una cultura emancipata dall’assolutismo coercitivo della mente scientifica.