Perché non sono più vegana

Premessa
di Lorenzo Merlo

Il seguente articolo corrisponde a un cambio di bandiera o meglio, di fede. È una confessione – forse neppure autentica – di una vegana. Racconta i motivi che l’hanno costretta a tornare da dove era venuta. Ovvero a reintegrare nella dieta le tanto criminalizzate proteine di origine animali. 

«Egoistico è non attribuire a nessuna cosa un valore proprio o “assoluto”, ma cercare sempre in me il suo valore».

Lo racconta bene. Con dettagli e ragioni che tutti possiamo riconoscere nella loro autenticità e forza. Se non in contesto identico, certamente in altri di pari architettura. Nei quali noi, come l’autrice dell’articolo, abbiamo voltato le spalle a qualche fede, fornendoci autopoieutiche ragioni a sostegno. 
L’autopoiesi è la permanente produzione di verità necessarie all’equilibrio dell’io. Un’entità in permanente oscillazione di stato.

Dunque un articolo come specchio dal quale qualcuno tenterà la fuga, ma in cui è opportuno riconoscersi. Un breve testo qui strumentalizzato a favore della nostra evoluzione. Per riconoscere di aver seguito il medesimo percorso raccontato dall’ex vegana.

Noi, come tutti, al momento opportuno realizziamo quanto Max Stirner nel suo L’unico e la sua proprietà (1844) aveva affermato: che le esigenze del singolo saranno sempre più forti di qualunque ideologia. 

«Di fronte al sacro perdiamo ogni potenza e intrepidezza: nei suoi confronti siamo impotenti e trepidi. E tuttavia nessuna cosa è sacra in virtù di sé stessa, ma invece perché io la dichiaro sacra, cioè in virtù della mia sentenza, del mio giudizio, delle mie genuflessioni, insomma della mia coscienza».

Se per tanti è un’ovvietà, non lo è per gli ideologici, né per i paladini della coerenza tout court, presunto valore assoluto da ridimensionare.
Aver coscienza delle debolezze umane e della turnazione di queste entro tutti i nostri cuori e attraverso tutte le nostre morali, realizza uomini, politiche e società differenti da quelle che osserviamo. 

«Gli ideali riescono a vincere completamente solo quando non avversano più l’interesse personale, cioè quando soddisfano l’egoismo».

Perché non sono più vegana dopo 10 anni
di Giulia Mattioli
(pubblicato su it.mashable.com il 26 settembre 2019)

Non mangio carne da vent’anni. Sono stata vegana per circa dieci. Non lo sono più. Gradualmente, ho ricominciato a mangiare latticini, uova e miele. Dopo qualche anno anche il pesce (non la carne).

Questo ‘curriculum’ serve solo a dire che non ho cambiato alimentazione in base alle ‘mode’, come spesso si sente dire, ma ho un discreto ‘pedigree’. Ma non sono più vegana, e nemmeno vegetariana, anche se moltissime persone – diciamo tutti tranne i vegetariani – pensano che mangiare il pesce ti faccia comunque rientrare tra i vegetariani. No, signori, il pesce è un animale, e ora lo mangio. E questo è il mio personale coming out alimentare.

Innanzitutto avevo fatto la scelta di abbandonare i derivati animali per ragioni etiche, non salutiste. L’industria della carne e dei derivati è orribile, lo so ancora, non l’ho dimenticato. Solo che ora su certe cose riesco a far finta di nulla. Semplicemente. Come quando si fa benzina sapendo che inquineremo. O si mangiano le patatine fritte avendo il colesterolo alto. Sì, lo so che è male, ma il piacere che ne traggo oggi vince sul senso di colpa.

Se dovessi spiegare in poche parole la mia scelta sarebbero: esaurimento della forza di volontà e ‘l’Italia non è un paese per vegani’. Innanzitutto, l’ammissione incondizionata: non ne potevo più. Avevo voglia di mozzarella, di yogurt (no, quelli di soia non sono uguali), della cremosità dei piatti al burro, di cornetti alla crema e dolci di pasticceria. E di uova: sono addicted allo ‘yolk porn’.

Non ne potevo più di mangiare preparati, perché diciamoci la verità, uno può essere tranquillamente vegano se ha almeno quattro ore al giorno per cucinarsi pasti che non siano insalate. Amo la cucina, quando ho tempo libero mi ci dedico con passione, e i miei ingredienti sono ancora per la maggior parte di origine vegetale, ma dover preparare una torta (nella speranza che senza uova l’impasto leghi e non diventi un mattoncino secco) solo perché ho una vaga voglia di dolce… uno strazio.

Poi c’è l’aspetto della socialità, delle cene e degli aperitivi fuori e qui ci leghiamo al secondo tema. Sì, nel nostro paese se vai in trattoria non trovi null’altro che la pasta al pomodoro nella maggior parte dei casi. E qualche contorno. Buoni eh, ma quanto posso trarre piacere da una cena in compagnia quando tutti godono della loro abbuffata e io sto con la pasta al pomodoro? Fra l’altro le grandi città offrono la possibilità di variare un pochino, di scegliere il locale in base al menu, ma chi vive in provincia (sono di origine veneta, vi sfido a trovare un piatto naturalmente vegan nella cucina veneta) si deve molto spesso immolare all’insalata mista. E comunque l’Italia non è un’eccezione. Al contrario, sono eccezionali i paesi che contemplano sempre una parte di menu vegana tra le loro proposte, ma per quanto ne so io si contano sulle dita di una mano – di mezza mano.

Ho voglia di mangiare con piacere, non con sacrificio. Non costante almeno. Non ce la faccio più. Amo viaggiare, e quando sono all’estero voglio assaggiare tutto. Comunque evito ancora la carne, e mi tolgo tre quarti dei menu del mondo. Il mio sforzo già lo faccio. La motivazione è, non senza ipocrisie, specismo: i mammiferi e gli uccelli mi fanno più pena dei pesci. So che i polpi sono intelligenti, ma riesco a non pensarci. Non riuscirei mai a fare lo stesso con un maiale, o una mucca. E certo, soffrono anche quelli che vengono allevati per i prodotti derivati, ma in fondo sono qui ad ammettere la mia consapevole ipocrisia, no?

Ho attraversato una fase che è stata simile a un coming out. Inizialmente è stato strano, stranissimo mangiare di nuovo dei latticini, ma lo sapevo solo io e poche persone intime. E comunque all’inizio l’ho fatto mentre avevo un incazzatissimo virus intestinale durato mesi, a causa del quale digerivo solo gli yogurt, dunque chi poteva obbiettare? Una volta guarita, il desiderio di latticini si era fatto largo in me, come se avessi riaperto una porta della percezione che avevo chiuso da tempo. La gola ha preso il sopravvento, ma l’autoassoluzione ci ha messo un po’ ad arrivare. Mi vergognavo di dire alle persone che non ero più vegana.

Come se stessi affermando ‘non sono più quella che credevi’ e ‘non sono più integerrima’. E la gioia dei carnivori alla notizia mi infastidiva terribilmente. Quando dico a qualcuno che non sono più vegana di solito la reazione è un moto di giubilo, come se dicessi che sono guarita da una malattia, o avessi curato una dipendenza. Fra l’altro, dopo anni ancora certi conoscenti, anche persone relativamente vicine, mi identificano come ‘la vegana’: marchiata a fuoco, etichettata. Che i percorsi possano cambiare, che le scelte siano fluide, non è contemplato. Ma questo è un altro discorso.

Insomma, spiegazioni razionali a parte, la vera, grande ragione per cui non sono più vegana è la gola. E l’aver fatto pace col fatto che non posso soffrire io per non far soffrire una sardina. Ok, è una frase orribile, che implica che uno per il proprio piacere possa soprassedere al dolore di qualcun altro (la storia del capitalismo, in fondo!), ma io la mia parte la continuo a fare. Mangio sano, fresco, a km zero quando posso, sono rispettosa dell’ambiente, insomma, sono persino fiscale in confronto ai più. Sono d’accordo con i vegani e li stimo, siete bravi se riuscite a portare avanti questo stile di alimentazione. Ma al momento il mio contributo alla causa si ferma qui.

Postfazione (di Lorenzo Merlo)
Ci sono due personalità in noi. A seconda di quella prevalente si può dire che una delle due, leggendo questo post, avrà cercato più o meno determinatamente di trovare in sé i momenti in cui è stato fedele a se stesso o alla linea. È giusto. Si tratta di una dialettica di autostima alla quale è difficile sottrarsi. L’altra personalità avrà invece accettato di andare a spasso per la propria biografia in cerca delle sue contraddizioni. La prima non avrà trovato interessante il post, la seconda avrà trovato materia per proseguire la ricerca di sé e della umana condizione.

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Perché non sono più vegana ultima modifica: 2019-11-24T04:45:18+01:00 da Totem&Tabù

16 pensieri su “Perché non sono più vegana”

  1. Marino Niola, Viaggio nelle tribù alimentari. €11 
    “Siamo entrati nell’era di Homo dieteticus. Crudisti, sushisti, vegetariani, vegani, gluten free, no carb: fra etica e dietetica la ricerca del modello alimentare virtuoso è diventata la nuova religione globale. E come tutte le religioni nascenti produce continue contrapposizioni, scismi, eresie, sette, abiure. Ciascun credo si ritiene l’unica via verso la salvezza. E verso l’immortalità. O almeno quel suo succedaneo salutistico che chiamiamo longevità. Così anticipiamo il giorno del giudizio e facciamo del dietologo una sorta di Dio giudice. O di Dio una sorta di dietologo improprio, che dispensa premi e castighi qui e ora. Ecco perché la dieta non è più una misura di benessere, ma una condizione dell’essere.“

  2. Personalmente pratico il pensiero: finché ce n’è bisogna mangiare.
    Non capisco però la prefazione e la postfazione a un articolo che ha veramente poco bisogno di ciò.

  3. Una possibilità è di mangiare alcuni prodotti di latte e evitare la carne. Il latte e tutti i prodotti di latte creano una buona relazione con la terra. Se manca totalmente questo cibo la filosofia della nutrizione diventa spesso ideologica, isolata e senza relazione con la vita sociale.

    su questo di linee di pensiero ce ne sono diverse.
    Alcuni dicono che l’uomo è nato e si è evoluto dall’epoca delle caverne sfamandosi con la   carne, pesce e bacche. Cioè prodotti che  la natura gli dava. In seguito ha iniziato a coltivare e si è inventato lui tanti altri prodotti tipo i cereali.  Quindi non è vero che la carne fa male. Fa male la carne elaborata come gli insaccati di maiale e la carne di manzo e di pollame di certi allevamenti che è ripiena di medicinali e troiai vari.
    Quanto al latte anche questo, per alcuni, non è vero che è un alimento che fa bene, anzi! Va bene il latte della mamma, ma in seguito da adulto  l’uomo è l’unico animale che usa il latte e prodotti derivati.

  4. Mangiare vegano per uno o due anni non crea un grande danno, secondo me. Il problema si crea dopo 5 o più anni. La connessione tra animali e esseri umani è importante per la psiche del bambino e anche degli adulti.
    Una possibilità è di mangiare alcuni prodotti di latte e evitare la carne. Il latte e tutti i prodotti di latte creano una buona relazione con la terra. Se manca totalmente questo cibo la filosofia della nutrizione diventa spesso ideologica, isolata e senza relazione con la vita sociale.

  5. Al di là di ogni opinione personale, la testimonianza di Giulia è importante, innanzitutto perché rompe un perverso monopolio maschile sul gognablog e poi perché ci mette davanti uno dei problemi socioculturali della nostra era del “benessere”. Era che genera condizioni umane assurde che simboleggiano l atavica necessità degli umani di rendersi la vita intricata, come in un sano (non sempre) allenamento alla sopravvivenza. Il che è interessante.

  6. Giulia, quelli che tu chiami “carnivori” in realtà sono onnivori. È la natura che ha stabilito cosí, qualche milione di anni fa.

  7. P.S. Il commento n. 7 è stato scritto da uno che si limita al massimo nel consumo della carne, ma non è ancora stato accecato dal fanatismo.

  8. Sono stato anch’io vegetariano (non vegano) per circa 10 anni. Le motivazioni erano filosofiche e non salutistiche.
    In ogni caso, come diceva un Tale (..), non è importante ciò che entra dalla bocca dell’uomo ma ciò che esce. Purtroppo la storia ci insegna che di porcherie ne sono uscite da tutte le bocche, a prescindere da cosa vi sia entrato.

  9. P.S.: è bruttura “filosoficamente” equivalente nutrirsi di prodotti che arrivano dall’altra parte del mondo e che perciò contribuiscono alla sofferenza di una gran quantità di animali (uomo incluso) 

  10. Personalmente non ho alcuna obbiezione a mangiare carne o derivati animali e non trovo motivi razionalmente validi per averne. Ho invece fortissime obbiezioni alla sofferenza inutile e gratuita che l’attuale modo di consumo infligge.
    Detto in altre parole, mangiare una bestia cresciuta e vissuta come a lei si conviene mi va benissimo.
    E’ pretendere di avere sempre e comunque la carne e che costi poco lo sbaglio. Non mangiarla

  11. Ma l’essere “umano” è proprio sempre uno squilibrato?
    Oscilla sempre da una posizione ad un’altra?
    Chissà come scala? 🙂 

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