Percorsi inutili – 8
2008
Durante la vacanza del 2008 fui più impegnato a scrivere che ad arrampicare. Mi ero portato i documenti originali della lunga storia di Severino Casara, prestatimi da Italo Zandonella Callegher: così passavo ore e giorni a scrivere, cercando una luce nell’affascinante mistero della vicenda del Campanile di Val Montanaia. Ne nacque il libro La verità obliqua di Severino Casara, opera che per la verità ebbe un successo inversamente proporzionale alla fatica impiegata per scriverla.
Le giornate scorrevano veloci, specie dalle undici di mattina in poi quando nessuno era in casa, perché le donne erano tutte al mare, anche se Alessandra non aveva potuto, quell’anno, essere della partita.
Per la verità, avevo una distrazione, quella di uccidere le centinaia di mosche. Un vecchio nastro giallo appeso al soffitto non era più appiccicoso da tempo, era lì forse ancora dall’anno prima e non lo avevamo sistemato noi. Nessuno lo aveva tolto solo per lo schifo che incuteva, con i suoi rinsecchiti cadaveri di mosca.
Avevo affinato tre tecniche di esecuzione, c’era quella di massa con un giornale, quella individuale con lo schiacciamosche a rete e quella sadica, di pura abilità, con un coltello.
In assenza delle donne, la cucina, sede del mio ufficio, aveva le finestre rigorosamente chiuse. Esercitavo le esecuzioni subito, in modo da poter lavorare in pace. Quando poi Guya e le ragazze tornavano dalla spiaggia, più o meno alle 18, le finestre venivano riaperte, costringendoci quindi ad altre esecuzioni. La più interessata alla mia abilità era Elena, che comunque mi descriveva come uno psicopatico, specie quando facevo lo show di segare in due la mosca con un colpo netto di coltello. Ma anche lei imparò a dare il colpo con lo schiacciamosche mirando a un punto leggermente più spostato nella stessa direzione del muso della mosca, in modo da anticiparne la fuga. Il tocco artistico risiedeva anche nel colpetto inferto con la giusta velocità, senza provocare cioè lo spappolamento dell’insetto ma soltanto la sua rapida morte.
Eccezioni a questa routine furono la discesa a canyoning del rio Petrisconi con Elena e Petra (1 luglio) e l’annuale gita a Tavolara (4 luglio). Ogni volta che andavamo là ricordavo la bella salita della cresta sud-est, fatta con Guido Daniele e Marco Marrosu il 23 agosto 2000. Paolo Giusto ci aveva gentilmente dato un passaggio in barca da San Teodoro, eravamo saltati sugli scogli e avevamo afferrato l’evidente cresta pensando d’essere i primi. Ma nel punto che poi risultò essere il più difficile della via occhieggiava un chiodo arrugginito. Negli anni seguenti venni a sapere di almeno altre due ripetizioni dopo la prima dei tedeschi.
Quanto alle serate nella Morgenstern by night Guya e io ne sapevamo sempre meno. Le adolescenti al proposito erano mute come tombe. Milo aveva preso la patente, dunque c’era più autosufficienza. Ma occorre dire che Markus non concedeva così spesso l’auto al figlio. C’era più tranquillità rispetto all’anno precedente, accontentata qualche volta la bramosia di uscita notturna, e constatato il livello qualitativo della frequentazione dei locali di San Teodoro, per fortuna il desiderio aveva perso la sua forma più acuta.
Alessandro Gogna e Guido Daniele sulla cresta sud-est di Tavolara (Punta Lucca), 23.08.2000
Ancora una volta Elena e io ci accordammo per un’uscita di primissimo mattino alla Rocca de su Ballizzu, questa volta per fare una via nuova a destra di Mamma Drago. Senza pietà la svegliai alle 4.30, sapendo perfettamente che non aveva dormito che una o due ore, dopo la Morgenstern soirée. Ricordo una gran bella arrampicata e il tentativo di salire direttamente un muro estetico, che però mi respinse e che dovetti aggirare a destra per un camino. In cima, avevamo aperto le Narici del Porco (9 luglio).
In arrampicata sulla parete ovest della Rocca de su Ballizzu, Narici del Porco, 9.07.2008
In arrampicata sulla parete ovest della Rocca de su Ballizzu, Narici del Porco, 9.07.2008
L’11 luglio raggiunsi Marco Marrosu e una delle sue fidanzate, Barbara Idda. Mi aspettavano sotto al Monte Limbara, in Gallura, dove Marco era di casa. Lui aveva appena pubblicato una monografia del gruppo, ma innumerevoli erano ancora le possibilità di nuovi percorsi.
Quella volta ci rivolgemmo al Monte Biancu. Dapprima salimmo il bellissimo sperone sud-ovest (Tiro bollente) della Quota 1041 m, addossata al Monte Biancu, solo per accorgerci che in cima non c’era mai stato nessuno. Dopo una laboriosa discesa e traversata al corpo principale del monte, attaccammo lo sperone sud-ovest del Monte Biancu che si lasciò salire senza opporre grandi resistenze, anche se per poco, nel superare slegato un facile passo in spaccata, non precipitai. Non successe solo perché fui agile come un gatto a fermarmi: i due mi avevano visto e si erano spaventati, forse più di me. Ma non è il caso che qui racconti le ragioni psicologiche di un simile incidente mancato. Di certo non dimentico.
Gruppo del Limbara (Gallura), Monte Biancu e cresta sud-ovest. A sinistra è la Q. 1041 m
Gruppo del Limbara (Gallura), Q. 1041 m con il tracciato di Tiro bollente, 11.07.2008
Gruppo del Limbara (Gallura), Monte Biancu con il tracciato sulla cresta sud-ovest
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Mi par di vedere le mie due figlie. La differenza e’ che loro rifuggono nel modo più assoluto l’abbronzatura perfetta 🙂
Questa storia è lunga, ma non me la perderò.
Ho già letto la prima puntata e sarà uno dei miei piaceri di agosto.