Il peso delle ombre

Il peso delle ombre
(racconti veri o false storie?)

Lettura: spessore-weight**, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**

Leggere Il peso delle ombre è stato come degustare un buon piatto, quando si assapora capitolo dopo capitolo, come boccone dopo boccone.
Devo dire subito che il titolo esprime molto meglio la sostanza del libro che non il sottotitolo. Perché Il peso delle ombre, di Mario Casella (2017, GabrieleCapelliEditore, GCE, 15×21 cm, 192 pagine, EAN: 9788897308416, € 18,00) non è un libro-inchiesta sulla veridicità di alcune vicende di storia o di cronaca alpinistica, bensì un’accurata ricerca sugli effetti che una menzogna, o di una menzogna presunta tale, hanno sui protagonisti, volenti o nolenti.

Scrive Casella: “L’impatto di una bugia, o il solo sospetto di una menzogna, hanno condizionato molti destini. Sono ombre che i protagonisti di questo libro hanno portato nel proprio zaino per tutta la vita. A incuriosirmi erano due aspetti: la dinamica della nascita di una vera o presunta menzogna e le conseguenze sulla vita del protagonista volontario o involontario di queste polemiche. Che cosa accade nella nostra testa quando decidiamo di mentire? A stimolarmi nella scrittura di questo libro è stata anche la scoperta dell’influenza che questo sterile gioco di “vero” o “falso” ha avuto sui destini personali di ogni suo attore. Nell’alpinismo non c’è la necessità di una prova di onestà/colpevolezza, come quella del DNA che può salvare un condannato dall’esecuzione capitale. Cancellare l’ombra di un dubbio rimane spesso un’impresa impossibile. Mentre lavoravo a questo libro mi è ricapitata tra le mani la mia foto di vetta sul Cho Oyu: sullo sfondo si vedono solo nuvole e qualche sprazzo di cielo. Nessun punto di riferimento per localizzare il luogo in cui è stata scattata. Se qualcuno volesse mettere in dubbio la mia scalata? In quel momento ho avvertito quanto possa pesare un’ombra”.

Il piacere della lettura, oltre che dalle diverse storie raccontate, nasce perciò dalla lieta sorpresa di comprendere subito, già dalle prime pagine, che l’autore non è ossessionato dalla verità al punto da volerla “piegare” alle cosiddette “prove”.

Diamo per scontato che tutti ricerchiamo la verità (sui fatti che riguardano gli altri, soprattutto) e dimentichiamo che spesso siamo portati ad archiviare nel più profondo di noi stessi fatti e fatterelli magari inconfessabili. Non riusciamo a realizzare che la prova migliore per poter ritenere di essere esenti da circostanze ambigue è costituita dal non provare alcuna curiosità morbosa e dal non essere soggiogati da una pretesa di verità che giunga perfino a superare l’impresa stessa.

L’attuale necessità di fornire le prove di qualunque cosa sta letteralmente divorando il fatto stesso: diventa più importante la prova che l’impresa.

Non si vuole qui negare l’importanza della verità, bensì si vuole qui ribadire che la ricerca della verità deve essere rispettosa e non deve in alcun modo preponderare. Nessuno nega che nelle grandi imprese ci siano componenti di ambizione ed esibizionismo. Bensì si afferma che l’immediata esibizione delle prove rischia di alterare la sostanza della genuinità della ricerca d’esperienza.

Quando Mario Casella racconta casi noti e meno noti che hanno attraversato la storia dell’alpinismo lo fa con delicatezza, in punta di piedi. Non c’è alcun atteggiamento giudicante, bensì solo l’interesse umano su una vicenda umana sulla quale sono scese delle ombre, pesanti, appunto.

L’autore giunge a scusarsi quando sente che questa sua ricerca è incompleta, come nel caso della vicenda Messner-Nanga Parbat, in quanto non ha potuto parlare direttamente con il protagonista. Ma non si scusa mai per non fornire alcun giudizio sulla veridicità di una storia.

Le storie raccontate nel libro sono 17, ma avrebbero potuto essere ben di più. Si va dal modernissimo caso del K2 di Christian Stangl al Campanile di val Montanaia di Severino Casara; dal Cerro Torre di Cesare Maestri all’Everest di Hans Peter Duttle; dalle polemiche della prima salita al Monte Bianco al doping.

L’autore conclude: “E’ stata per me una scalata carica di emozioni e a momenti fonte anche di inaspettate riflessioni che credo possano essere estese ad altri ambiti dell’attività umana: dal lavoro al tempo libero, dalla vita privata alla malattia. Sono temi che c’interpellano: la vita, la morte; l’amore per chi ti vuole bene; l’autostima e l’egoismo; la competizione e il rispetto degli altri. Un passo dopo l’altro ho portato i miei piedi in vetta: ora devo scendere. Pubblico”.

Mario Casella

Mario Casella (1959), svizzero, è laureato in lettere e fin da ragazzo pratica attivamente l’alpinismo. Nel 1985 ottiene il diploma federale di guida alpina. Nello stesso anno inizia la sua attività giornalistica abbinandola a quella di guida.
Il giornalismo diventa poi la sua professione a tempo pieno, dapprima per la radio (RSI) e poi per la TSI (Televisione della Svizzera italiana – vedi www.rsi.ch ) dove realizza documentari e inchieste soprattutto all’estero (caduta muro Berlino, ex Germania est, ex paesi dell’est, Russia, Cernobyl, Croazia, Bosnia, Serbia, Kosovo, Cecenia, ecc.).

Per un paio d’anni ricopre la funzione di responsabile della Redazione esteri al Telegiornale e dal 1997 alla fine del 2000 si trasferisce a Washington in qualità di corrispondente per la TSI dagli USA. Rientrato in Svizzera, lavora a tempo parziale per la TSI dove produce specialmente documentari e reportages lunghi. Nel rimanente tempo realizza documentari come free-lance e frequenta le montagne del mondo intero partecipando tra l’altro a numerose spedizioni extraeuropee.

Dopo molteplici esperienze sull’intero arco alpino, ha salito alcune tra le cime più alte del mondo (Cho Oyu senza ossigeno 8201 m, Nevado Huascaran 6768 m, Mount Mc Kinley 6195 m, Pic Lenin 7134 m, Muztaghata con sci 7546 m, Traversata Nord-Sud con sci Elbrus 5642 m, vulcano Damavand 5671 m (Iran), Ararat 5137 m, Kazbek 5047 m con sci (Georgia) e altre ancora.

Sull’esperienza di una delle sue avventure, il tentativo di scalata al Gasherbrum IV 7929 m ha pubblicato il libro Cime di guerra – Il Gasherbrum IV nel conflitto tra India e Pakistan, ed. CDA-Vivalda, Torino, 2004.

Dal 2004 al 2007 è stato produttore responsabile del “Magazine” d’informazione televisivo della TSI Falò (cfr. www.rsi.ch/falò). Nella primavera del 2007, pur mantenendo un contratto a tempo parziale con TSI, ha lasciato questa carica per dedicarsi maggiormente alla montagna, alla documentaristica indipendente, alla scrittura e alla famiglia.
Ha realizzato vari documentari come indipendente, in collaborazione con Fulvio Mariani e la casa di produzione Iceberg-Film, e nel 2011 ha pubblicato un nuovo libro, Nero-bianco-nero: un viaggio tra le montagne e la storia del Caucaso.
Nell’estate 2012 con Fulvio Mariani ha ideato e prodotto una nuova trasmissione settimanale estiva di montagna per la TV svizzera di lingua italiana – RSI (SOTTOSOPRA: orizzonti di montagna cfr.www.rsi.ch/sottosopra ). Il programma, forte del successo di pubblico e di critica, è ormai giunto nel 2017 alla sua sesta stagione.

Nel 2014 ha pubblicato il suo terzo libro, il volume di racconti Calendario verosimile. Negli ultimi quattro inverni, sempre con l’amico regista Fulvio Mariani, Mario è stato impegnato nella produzione di un lungo documentario sulla vita delle popolazioni che vivono tra le montagne lungo l’antica Via della seta. L’uscita della trilogia di documentari, dal titolo Le nevi della seta, è avvenuta a inizio 2016. Alcune TV (RSI, ARTE, ecc.) ne hanno già proposto alcune versioni, mentre la versione originale integrale viene attualmente proposta in proiezioni puntuali in sala da cinema e in vari Festival del film di montagna. Mario è sposato con Lisa e padre di due figli: Emma e Zeno.

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Il peso delle ombre ultima modifica: 2017-10-17T05:44:37+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Il peso delle ombre”

  1. Il libro dev’essere interessante.

    Condivido le considerazioni di Lorenzo.

  2. La bidimensione del contesto amminstrativo non prevede né contempla ombre. Purtroppo quella logica si è metastatizzata riempiendo di sé anche ambiti non comprimibili alla bidimensione stessa.

    Da qui l’ossessione di fare chiarezza, di sete d’oggettività.

    Come se le innumerevoli  forze che agitano il mondo, e gli uomini con lui, fossero davvero nello stato in cui stupidamente le osserviamo: ferme.

    Da qui il giudizio sul prossimo, come se davvero fosse cosa differente da noi.

    Da qui il fanatismo a causa dell’identificazione con quel quel giudizio.

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