I commenti relativi a Piccole note scialpinistiche pubblicate qui su GognaBlog, il 21 marzo 2024, mi hanno segnalato aspetti di cui non avevo parlato e offerto spunti per ulteriori considerazioni, qui presentate.
Piccole note alla riscossa
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 1 aprile 2024)
Postfazione alla Premessa fuori titolo
Piccole note scialpinistiche si avviava con: “Lo scialpinismo non è uno sport”. Quale errore! Non perché rinneghi ora quell’affermazione così netta, ma in quanto ho dato per scontato la conseguenza sconveniente, che la formula voleva evidenziare, quando lo si concepisce alla pari di qualunque altro sport. Ovvero, considerare lo scialpinismo comune, quello che tutti pratichiamo liberamente, uno sport, induce comportamenti, valutazioni e scelte di tipo tecnico-sportivo-prestazionale-quantitativo, non relazionale all’ambiente, il momento e il prossimo. Un po’ come dire che quello della tua squadra ha sbagliato il gol. Giusto! Se guardi il tuo interesse e l’ipotetico vantaggio sportivo. Sbagliato! Se consideri che ha comunque fatto del suo meglio nel contesto in cui si trovava, col talento e la stanchezza che aveva, la spinta del terzino che ha subito.
Oppure, come mettersi a giudicare un incidente accaduto a qualche scialpinista, citando tutto il citabile per dimostrare il suo errore, senza avvedersi che noi, semplicemente non eravamo là, che non sappiamo l’impegno che ha messo per prevenire e gestire l’inconveniente (1).
Quando l’attenzione è posata sugli aspetti sportivi ha in sé un potenziale di inconveniente maggiore di quanto non accada concependolo come attività culturale. Anche solo quantitativamente i due atteggiamenti hanno a che fare con numeri ben diversi e impari: qualcuno e certi, per il primo, molti e incerti, per il secondo.
Nello sport la prestazione, il punteggio, la tecnica, l’allenamento, la polvere, i curvoni, i grassi, il dislivello all’ora, sono buona parte degli argomenti che assorbono l’attenzione. L’ora, la stagione, lo zero termico, l’andamento stagionale, la brina di superficie, quella di profondità, il versante, l’orientamento dei pendii, il vento in forza e direzione, le cornici, i sastrugi, gli accumuli, gli altri gruppi di sciatori, l’assestamento, la trasformazione, il consolidamento, la rinuncia, l’osservazione permanente, la misura il meteo e uno zaino culturalmente composto, lo sono per gli alpinisti che concepiscono la montagna come soggetto a cui relazionarsi, più che come un oggetto da sfruttare. E non ho dimenticato il bollettino, la pala, la sonda, l’arva e l’esperienza pregressa. Li ho lasciati fuori perché secondari rispetto al potere di riduzione del rischio dei primi e della loro vivente coniugazione.
Se nello sport il terreno è tecnicamente considerato, cioè valutato se troppo o poco ripido, nella concezione culturale, il terreno parla. E lui che dice la sola verità cui attenersi. Se sul sentiero inciampi nella radice e batti l’incisivo, dai la colpa alla radice?
Se nello sport c’è un modello per quanto inconsapevole davanti a noi; nell’attività culturale ci siamo noi, la nostra misura e sensazione. Uno prevede il rischio d’irruenza. Per imitazione e autostima si travalica l’ascolto e il rispetto di noi stessi, che sono invece endemici in una concezione dello scialpinismo culturale, così come lo è la falciatura di un pascolo dettata dalla stagione e dal momento, non dal desiderio, dalla voglia, il piacere.
In tutto ciò stava il senso di quella didascalia in Piccole note scialpinistiche, che diceva, lo stambecco non fa sport.
Nota ipertinente (senza emme)
Dedicata a chiunque volesse ritornare a sé, fin dove se la sente.
A chi è disponibile a riconoscere che siamo spesso dominati da un io competitivo. Esso è per sua natura separativo, difensivo, incapace di offrire riconoscimento, geniale nell’escogitare come ottenerlo. La rinuncia è per lui motivo di frustrazione e caduta di autostima.
Un contesto-gabbia in cui la sicurezza, o meglio, la miglior riduzione d’inconveniente, si genera da noi stessi, dal nostro modo di concepire, ascoltare e praticare, non più dal negozio di gps, di goretex, di scarponi e bastoni, zaini a palloncino e tutto il resto. Tutta tecno-sicurezza a volte, impiegata inopportunamente e, sempre, posta in cima alla fuorviante classifica di ciò che conta. Un picco, dal quale si perde di vista l’uomo, le sue dinamiche, la sua natura energetica e sottile, così predisposta a sentire l’ambiente, ma anche così obnubilata dal mito della tecnologia, dai dati del sapere cognitivo, che neppure avverte più quel suo talento ancestrale. Abbiamo il potere di essere rabdomanti, ma i sussidiari ci hanno detto che non è vero e noi ci abbiamo creduto.
Nota
(1). In merito agli errori e ai gol sbagliati, si può ascoltare questo servizio della televisione Svizzera relativo alla vicenda della Teté Blanche. Il video è qui postato in quanto a mio parere si sviluppa, tanto da parte della giornalista che l’ha confezionato, del conduttore in studio e della guida alpina ospite, su una comunicazione piuttosto buona, raramente adottata da parte di stampa e esperti in pari occasioni.
Tacco 12, bilgheri e otarie, tutto un pastone
Appunti e spunti per merito dei commenti a Piccole note scialpinistiche.
Davide, commento 7, relativamente all’articolo, tra l’altro dice: “Prima parte: opinioni e giudizi penosi”. E pensare che avevo fatto del mio meglio. Per una revisione storico-cognitiva sarebbe opportuno conoscere il perché di tanta pena.
Guido Rey. È citato non perché nella sua nota formula – “Io credetti, e credo, la lotta coll’Alpe utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede” – tutti si riconoscessero, ma in quanto comune riferimento di un’epoca in cui l’aspetto semimilitaresco, l’evocazione semispiritualistica, l’appello candidamente etico, e lo stile letterariamente sfruttato si sono lungamente protratti, entrando così nella costituzione di buona parte degli alpinisti. Poi, seppur via via dissolvendosi nelle epoche successive, segnando l’andare in montagna delle relative generazioni, fino agli anni ’80.
Marcello Cominetti, al commento 43, a suo modo, e a mio parere, ne fa cenno quando scrive: “sacro fuoco di una volta”.
In merito ad Achille e al suo tendine. Questo, con lo sviluppo dall’infanzia alla maturità, aumenta la dimensione e la tenuta crescente, contemporaneamente sviluppata dai muscoli. Nell’attività successive, non si ingrossa proporzionalmente alla crescita della forza sviluppabile, ovvero all diametro del muscolo stesso. Semmai, con il crescere della forza muscolare, il corpo del tendine e le sue inserzioni, integrano la capacità di supportare la forza crescente. Senza subire sostanziali variazioni di dimensione.
Osservando, gli avambracci dei grandi arrampicatori, e confrontandoli con i nostri, riscontriamo infatti una considerevole loro maggiore circonferenza, in corrispondenza dei corpi muscolari, mentre, mentre troveremo la zona tendina molto simile alla nostra mezzetacche.
Enri, commento 14. Se non fraintendo. La flessione dorsale del piede, forse da lui chiamata pronazione – che è un’altra cosa –, o chiusura dell’angolo nei confronti della gamba, non è necessariamente limitata dal tendine. Più spesso è il muscolo, allenato a contrarsi, che impedisce la massima flessione dorsale disponibile, cioè quella che raggiunge gli impedimenti meccanici del sistema ossa/cartilagini/legamenti della caviglia.
Paolo, commento 17. La massima resa di forza del muscolo, ha così tante variabili che dopo l’esame di biomeccaniche ancora non basta ad avere le idee giuste per ogni situazione reale. Tanto per dirne una: intendevi con, o senza, caricamento elastico? Con lavor isometrico o pliometrico? In laboratorio, a muscolo isolato, la forza massima sviluppata avviene a partire dalla cosiddetta L0 del muscolo o a riposo.
Fisio, commento 20. In occasione di tendinopatie o sentori relativi, muovendosi secondo sentire (vedi il significato anche in Cominetti commento 48) si interrompe l’attività e/o si capisce come meglio comportarsi per evitarle, (come anche da Expo, commento 24, e, ancora a suo modo da Cominetti, commento 33) non solo nell’attività ma anche in come conduciamo la vita, dalla dieta più o meno velenosa ai sentimenti più o meno tossici, alle consapevolezze più o meno all’altezza di tenerci in armonia.
Marcello Cominetti, commento 33. Importante il richiamo allo scivolare verso le comodità senza la consapevolezza di cosa comporti la vita facile. Per info citofonare il lato B della société sécuritaire.
Paolo Corti, commenti 36 e 60. Giusto inserire nel discorso il tallone libero, che ho malamente dimenticato di menzionare, almeno per dire che l’argomento dell’articolo era imperniato sul tallone bloccato. Pardon.
Fisio, commento 53. Temo un miscuglio di soggetti. Come ti è più naturale forse intende secondo l’anatomia. Chiunque, anche chi odia gli alzatacco può trovare il proprio modo più naturale.
Fisio, commento 45. Se non intendo male, sembra che il tacco12 sia necessario a chi macina isolivelle. Stile di vita a parte, limitando tutto l’universo alla sola fisiologia (come se fosse possibile), siamo tutti diversi, quindi, ci sarà il meno dotato e il più dotato, come per gli 8000, il 9a e l’apnea a meno 214. Alzatacco mai e sempre sono verità. Serve la prospettiva opportuna per poterle traguardare come tali.
Paolo Corti, commento 51. “Piegar caviglie”. Da non prendere in senso stretto. Esse hanno un limite personale sebbene in una certa misura allenabile. Lo scarpone da 1859 grammi potrebbe non essere la causa dell’impedimento, ma la sua forma o il gancio chiuso inopportunamente. Hai “molta esperienza”, quindi avrai già verificato questi aspetti. È che non capisco come il peso possa incidere sulla mobilità della caviglia. Anche nel caso avessi citato il peso solo per alludere ad un’epoca lontana, in cui gli scarponi erano molto più scarponi di oggi.
Achille, commento 61. Perdita dell’anima. Per me buona sintesi. Grazie.
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Grazie delle risposte
Ritorno sul “piegar caviglie” nella pratica a tallone libero in salita con alzatacco.
Volevo ricordare che lo scarpone odierno da telemark sia esso 75 mm o 2 pin ha un flex estremamente limitato rispetto agli scarponi da scialpinismo per talloni bloccati. Forse l’alzatacco aiuta visto che non posso piegare la caviglia come con uno scarpone da skialp
Ho provato a modificare gli F3 scarpa tagliando pezzi di plastica per aumentare il flex, poi però essendo uno scarpone nato per lo skialp senza la protezione interna subisce l’usura da taglio del soffietto, alla fine si apre un taglio sul soffietto ed entra la neve.F3 è fuori produzione da anni,
Quindi ritorno a Scarpa TX Pro con poco flex e pesante, per fortuna Scarpa uscirà in autunno con un nuovo scarpone da telemark con un flex di oltre 60 gradi dopo 15 anni.
Grazie per questa puntuale RISCOSSA delle “piccole note” !! Ne consiglierei una attenta lettura a tutti i vecchi e nuovi adepti dell’andar per monti e dello sci-alpinismo in particolare; potrà essere da stimolo a mente ed occhi per una pratica consapevole, ideale e di grandi soddisfazioni per tutta la vita. Per me è una conferma delle convinzioni che sorreggono e stimolano, ancora oggi da anziano, nel proseguire,….. seppur con passo lento.
Dario Mura anziano “skialp” (1° rally – 26/04/1964)
@ 2Sport e passione per i montiTempo fa’ ero ad una cena con amici mtbikers e mi presentano un tipo che era nei primi 5 in lombardia , poi si è ritirato e non pedala più.Chiedo perchè ?Risposta : “Ma che ci vado a fare a pedalare ? Non sono più nemmeno fra i primi 10 !”.Io invecchio come tutti e le mie “prestazioni” inesorabilmente caleranno , ma dubito che calerà il mio interesse per le giornate all’aperto praticando una disciplina.
Ho apprezzato questo articolo e il precedente anche se sono abbastanza ignorante sullo sci alpinismo per l’approccio e le considerazioni.
Vorrei solo aggiungere che andare in montagna non è uno sport, secondo me, perché non si svolge in condizioni e su terreno controllato e confrontabile e quindi è impossibile una scala reale delle prestazioni.
Quanto ad Achille e il suo tendine, o meglio ai tendini in generale e all’apparato scheletro muscolare (e ancora una volta da ignorante in materia), mi pare evidente che si sia tutti diversi, ma c’è qualcosa che ci accomuna: i nostri muscoli potenzialmente possono essere distruttivi nei confronti degli altri componenti.
Questo credo vada ricordato e sottolineato sempre, in particolare quando si spinge sull’allenamento e si può ricadere nella routine.
Ricordo che un noto calciatore, Karl Heinz Rumenigge, praticamente mise fine alla sua carriera strappandosi i muscoli di tutte e due le gambe mentre faceva scatti di riscaldamento prima della partita
Sono contrarissimo all’andar in montagna (con o senza sci) inteso come uno “sport” per due motivi base: 1) lo sport vive sul continuo miglioramenti personale: oggi faccio 100 m di dislivello in più dell’ultima volta, ci metto 15 minuti in meno, scio su 5 gradi di pendenza in più, arrampico su mezzo grado in più ecc ecc ecc. Ma a un certo punto, ognuno arriva al suo limite. Ciascuno ha il suo limite che può variare moltissimo da individuo a individuo. Es: per uno il limite è 1500 m di dislivello, per un altro 2500 o 3000 m. ecc ecc. Ma inevitabilmente ci si avvicina e allora gli incrementi marginali si assottigliano sempre più, finche si azzerano. A quel punto per l’alpinista/scialpinista “sportivo” viene meno lo stimolo ad andar in montagna: senza più miglioramenti tecnico-atletici, non sono non c’è più la “cissa”, ma subentra la frustrazione. Come reagisce lo “sportivo”? Alla fine molla tutto e passa ad un altro sport, completamente diverso dalla montagna, dove, ricominciando da capo, ha davanti a sé aMpi margini di miglioramento individuale. Questo significa che in 3, massimo 5 anni, esaurisce il suo andar in montagna: così ricomincia la giostra. Invece chi va in montagna per interesse profondo, riesce a farlo per tutta la vita, perché trova in altri risvolti gli stimoli per alimentare la passione. 2) Non c’è dubbio che l’approccio sportivo espone maggiormente al rischio di errori e sottovalutazioni. Si è preda dello spasimo di “migliorarsi”, ci si concentra su questo obiettivo e si dimentica che “la montagna è severa”.
Al mio commento 14 avevo usato erroneamente il termine di pronazione anziché dorsiflessione e cioè’ il movimento che avvicina la parte superficiale del piede alla tibia. Vero che la limitazione di questo movimento può essere causata da una limitata mobilità’ articolare di caviglia. E’ anche vero che anatomicamente, in fase di elevata dorsiflessione come in alcune fasi scialpinistiche o quando si corre in salita molto pendente e piatta senza gradini, la parte posteriore del calcagno tende a comprimere la parte inserzionale e preonserzionale del tendine di Achille. Con relativi ingrossamenti della borsa ecc.. E’ evidente che la morfologia del calcagno non è’ identica in tutti ( così come la forma dell’acromion più o meno appuntito può’ determinare o non determinare un conflitto subacromiale di spalla). Nel caso si avvertano sintomi di questo tipo è’ bene, come dicevo, non esagerare con l’eccessiva dorsiflessione e stiramento del tendine di Achille. Ma questo per me vale non solo in Scialpinismo ma anche in tutte le altre situazioni che prevedono queste posizioni. E’ un aspetto da considerare anche per chi fa corsa in salita, anche se di solito la conformazione di un sentiero offre piccoli gradini e punti in cui il piede può’ essere messo nel modo migliore. Ho apprezzato questo e l’articolo precedente.