Qualche considerazione tecnica e non solo, forse utile ai neofiti e non solo.
Piccole note scialpinistiche
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 18 febbraio 2024)
Premessa fuori titolo
Lo scialpinismo non è uno sport. Per quanto la sua pratica comporti lavoro dell’apparato locomotore e quindi allenamento e possibili traumi a questo; per quanto condurre gli sci, tanto in salita quanto in discesa richieda prassie tipiche delle attività sportive, esso non si svolge in campo chiuso, non ha regolamento codificato, non ha rivali, né punteggi, né classifiche (poi specifico meglio).
Diversamente dal campo da tennis, la montagna non può essere il campo giochi delle nostre passioni alpinistiche che le idee dei commercianti, quelle del culto dello sport e del tempo libero, hanno diffuso così incessantemente da farlo credere. È ordinario sentire dalla bocca delle Guide alpine, degli Operatori del Soccorso, dagli Istruttori del Club alpino, tutti anche di un certo rango, la parola sport abbinata allo scialpinismo, all’alpinismo, al fuoripista, al torrentismo, alle cascate di ghiaccio.
Le attività alpinistiche sono attività culturali. Come non è possibile viaggiare prevenendo i rischi d’inconveniente senza porsi in ascolto per cogliere le usanze e le mentalità locali, così non è opportuno frequentare gli ambienti naturali aperti comprando il biglietto in agenzia o un giro di giostra con la Guida. Sennò sarebbe sport anche falciare un campo a pascolo. Sì, se il montanaro ti dice “falcia”. No, se il montanaro non c’è e hai solo le stagioni a farti compagnia.
Andare in montagna dopo aver acquistato tutto il materiale e l’equipaggiamento migliore per la sicurezza (come da consigli professionali), convinti di non avere altro da fare per ridurre lo spettro degli inconvenienti, è modalità comune e crescente ormai da molti anni. Più esattamente da quando il popolo degli iniziandi alpinisti non è più passato dalla cruna dell’ago delle scuole del Club alpino. Privilegiando la quantità di tesserati, il CAI aveva scelto di tralasciare lo spirito con cui era nato per inseguire gli snowborder e il fuoripista, poi i ciclisti, i ciaspolatori, che gli fornivano i numeri che l’alpinismo non poteva. Il monopolio formativo veniva così meno anche sospinto dalla testa d’ariete dei commercianti, che (finalmente, diranno loro) dopo anni di tanta passione non redditizia, iniziavano a vedere qualche lira. Questi viaggiavano in coppia con la moda dell’estremo e la sua comunicazione. Fatto sostanziale che faceva uscire dalla nicchia alpinistica le immagini ora buone per vendere tutto e a tutti i non adepti. Il colpo definitivo del cambio di paradigma della formazione del popolo alpinistico avvenne per tre motivi più uno. Ma prima di farne cenno, va ricordato che una svolta molto sportiva, in quanto eludeva il mistero e l’esplorazione, quella delle superdirettissime e del deliberato impiego del loro gene di ferro (chiodo a pressione), era stata scongiurata giusto poco prima dell’avvento dell’epoca che tutto ha poi cambiato.
Ed eccoli allora i motivi del nuovo paradigma, che ha stravolto la cultura alpinistica precedente.
1. Il Nuovo mattino/free e clean climbing, cuore gonfio di bellezza e di avvenire, che nonostante il concetto di ri-creazione, introdotto e ben valorizzato da Alessandro Gogna, ha avuto un epilogo all’opposto, di replicazione, quindi molto sportivo, tanto da essere pari a una lama assassina nel burro della tradizione, con la punta avvelenata d’edonismo.
2. Il professionismo calato in un ambiente, almeno retoricamente, ispirato alla purezza, che il fazzoletto a quadrettoni al posto della bandiera del suo antesignano Reinhold Messner voleva esaltare, e che, soprattutto, il by fair means, voleva mantenere, ha di fatto rimestato sul fondo delle coscienze e concorso a cambiare la faccia di Bonatti, si potrebbe dire, e in un secondo tempo quella di tanti altri, quando nello zaino qualcuno non ha trovato niente di strano a infilarci anche internet.
3. Le gare, inizialmente di arrampicata su roccia, poi scialpinistiche e quindi su ghiaccio, con tanto di regole e classifica, non erano state da meno, anzi.
4. Infine, con l’istituzione di nuove figure associative, autorizzate a insegnare. Anche se inizialmente la questione riguardava la sola arrampicata sportiva, all’epoca (e per anni) ingrediente semi-indipendente da mamma montagna, il minestrone che stava ribollendo in merito all’andare per monti e la didascalia del nuovo panorama non potevano più essere quelli che avevano accompagnato, dappresso o di striscio, l’iniziazione di tutti gli alpinisti: “Io credetti, e credo, la lotta coll’Alpe utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede (1913, Guido Rey, 1861-1935)”.
C’era però un altro ingrediente di cui in buona misura la maggioranza di chi ha visto l’excursus qui tratteggiato, non ne ha sentito il sapore. È quello delle Guide, che non hanno in alcun modo – salvo l’opera di singoli professionisti – voluto accogliere la dote della storia dell’alpinismo e ancor più ritenuto di poter partecipare a creare una cultura della montagna che prendesse le distanze dalla identità sportiva con la quale è oggi identificata, che non facesse dell’alpinismo un’esperienza fondata sull’aspetto tecnico della prestazione/attività.
Tutto ciò, per molti, cioè per la maggioranza dei diretti interessati, si tratta di un ottimo minestrone. Sfama il popolo, riempie le tasche a chi vende e tiene alti i tesserati.
La cruna dell’ago si è allargata fino a prendere la forma della carta di credito. Vestiti e attrezzati di tutto punto si usciva dal negozio pronti per la montagna. Come da consigli degli esperti, il massimo per la sicurezza era stato fatto: “Devi avere e sapere questo e quello”. Del come andare in montagna, neanche una parola.
Prima serviva passione e abnegazione (nonostante la frequente e diffusa retorica di basso livello che circolava: il CAI non era il paradiso) per uscire con il senso della disciplina, dell’uniformità di linguaggio tecnico e della montagna come ambiente “da rispettare”. Ora è sufficiente avere il denaro bastante per imitare l’amico, allo scopo di un autoritratto e un gridolino da pubblicare subito, senza neppure valutare se fermarsi lì è opportuno o meno in funzione del rischio d’inconveniente.
Fine premessa fuori titolo.
Tacco 12
L’impiego dei rialzi della talloniera, detti alzatacco, comporta le seguenti considerazioni.
La giusta misura e le giuste parole per descriverle saranno le vostre. Si faranno chiare se si presterà ascolto al corpo e ai gesti durante le salite scialpinistiche.
Preservazione del tendine di Achille.
L’efficienza dell’apparato locomotore è allenabile in tutti i suoi distretti. Con l’allenamento si può aumentare la forza, la resistenza, la velocità, la mobilità – cioè l’ampiezza articolare, a mezzo dell’allungamento muscolare – e il mantenimento della poca elasticità tendinea. Ma anche, per quanto riguarda la fisiologia, le capacità aerobica e anaerobica.
L’attività motoria, rispettosa del proprio gradiente di allenamento, mantiene efficienti tutte le componenti anatomiche. Ciò è un aspetto nodale in quanto è facile sentir affermare il contrario. Infiammazioni ed erosioni non sono causate dall’attività. Diversamente un maratoneta dovrebbe avere con sé menischi di ricambio, e uno della pallacanestro i tendini di Achille di tungsteno.
Il problema emerge invece per un picco eccessivo di lavoro rispetto al gradiente di allenamento specifico disponibile, e/o dopo una buona preparazione dovuta a uno stile di vita inopportuno, nonché dalle predisposizioni genetiche ed epigenetiche. Solo allora, l’attività – anche se compatibile con il livello di allenamento, in stile goccia che fa tracimare il vaso – può far scatenare il problema. Qui andrebbe anche ricordato che il corpo esprime il nostro stato intimo. Una condizione di spirito perturbato agevola la manifestazione fisica, favorisce gli inconvenienti. La questione è ampia e misconosciuta. A mio parere dovrebbe far parte della nostra cultura e consapevolezza.
Tornando al tema dell’alzatacco, si sente dunque dire che il distretto più interessato e a rischio di infiammazioni e rotture, ovvero il tendine del polpaccio (muscoli gastrocnemio e soleo), verrebbe preservato dall’uso dei rialzi.
In un solo caso condivido l’idea: quando la quantità di lavoro supera il gradiente di allenamento del soggetto. Cosa che ha tutte le caratteristiche di un trauma, quindi fuori dal tema che stiamo trattando. Un tendine lesionato/operato e quello di una contorsionista cinese, a parità di lavoro daranno risposte differenti.
Per stimare la quantità di lavoro idonea, non serve un esperto, ma, ancora, la pratica-con-ascolto.
Fatto salvo quanto detto finora, generalmente parlando, si possono valutare altri momenti scialpinistici.
Con l’aumento della pendenza, l’impiego dell’alzatacco si fa necessario. Solo e soltanto l’ascolto ci dirà quando è necessario, quando l’abbiamo inserito inopportunamente, cosa, con il suo impiego, migliora, e quando non è utile. Significa che gli alzatacco non sarebbero da inserire tout court quando la pendenza aumenta, sotto l’egida della preservazione dei tendini, ma quando l’inclinazione implica un lavoro globale svantaggioso (riduzione presa delle pelli, aumento richiesta sforzo muscolare, stabilità, insorgenza di un fastidio tendineo, ecc.).
È opportuno inserire l’alzatacco alla base di un cambio di pendenza di una certa durata, mentre può essere tralasciato in occasione di risalti di breve durata. Ugualmente per il caso inverso: si può evitare di ridurre l’alzata in caso di brevi perdite di quota o abbattimento momentaneo del pendio.
Come ogni faccenda, anche l’alzatacco ha il suo lato negativo. Oltre a quanto già detto, cioè ad un suo impiego tecnico-dogmatico in sostituzione di quello estetico-funzionale, utilizzare l’alzatacco fuori luogo significa spingere il piede in avanti all’interno dello scarpone, con relativo fastidio o trauma. L’alzatacco impropriamente inserito comporta la riduzione dell’ampiezza del passo, nella misura in cui impedisce l’estensione scivolata, quando questa sarebbe possibile. La camminata di una ragazza, con scarpe a tacco 12, ben ce lo dimostra.
In lunghi diagonale/mezzacosta, quando le tracce dei due sci scorrono su quote differenti, a volte anche di diversi centimetri, si può utilizzare l’alzatacco in modo differenziato, facendo in modo cioè di avere quello a valle più alto di quello a monte, oppure quello a valle inserito e l’altro no.
In caso di avvallamenti e piccole perdite di quota, quando il miglior controllo della scivolata richiede di sedersi leggermente, ma contemporaneamente di spingere sull’avampiede, il tacco 12, o anche meno, complica la coordinazione.
C’è un’ultima nota particolare. Può accadere che si rompa un elemento di plastica di alcuni attacchi Dynafit ST. Si tratta del pezzo che impedisce la rotazione fortuita della talloniera da posizione di salita a quella di discesa. Un inconveniente che interessa la diagonale e il cambio di direzione a sinistra.
Bilgheri
Mi avevano insegnato si chiamassero coltelli, lame o bilgheri, dal nome del suo inventore. Una volta erano fissi. Da oltre trent’anni, si alzano insieme allo scarpone e sono detti rampant.
Se il terreno per cui impiegare le lame è abbastanza facile da definire, cioè terreno duro con rischio di scivolate/cadute sconvenienti, lo è meno oggettivarlo. Ovvero l’abilità dell’uso delle pelli/svergolamento del piede-caviglia/aumento della superficie di contatto fa variare il momento in cui è opportuno impiegare i rampant.
Questi attrezzi divengono sconvenienti non solo sul terreno sufficientemente morbido, ma anche su neve ghiacciata in contesto pianeggiante. Come nel caso degli alzatacco che spingono il piede in avanti, il ferreo arresto della scivolata dello sci avanti, alza il costo energetico del procedere e abbassa la soddisfazione del muoversi. In pratica, un impedimento vero e proprio.
Otarie
Questo non me l’ha insegnato nessuno. Me lo sono inventato io per sottrarmi al più lungo pelli di foca o al più urticante pelli.
Salendo, a volte lo sci scivola indietro. Spesse volte si cerca di rimediare con pestoni a scopo conficcante delle otarie stesse nel manto nevoso. A volte funziona. Ma c’è un trucco. Funziona perché le pedate hanno prodotto una superficie di contatto sufficiente a non scivolare più.
Come accennato nel capitoletto bilgheri, su quasi tutti i terreni e pendenze le otarie tendono a scivolare in funzione della superficie di contatto che permettiamo o impediamo loro.
In mezzacosta, tanto più lo stivaletto dello scafo degli scarponi è lasco e tanto più svergoliamo piede e caviglia, e teniamo il piede decontratto per poi spingere opportunamente, detta superficie aumenta. Un aumento che, a parità di terreno, materiali e scialpinista, si riduce in presenza attiva dell’alzatacco.
Alzatacco a parte, in massima pendenza e in funzione della struttura scheletrico-muscolare dello scialpinista, se le pelli non prendono più, può essere utile allontanare un poco le punte degli sci, lasciando una traccia a leggera V. Un espediente che, con neve nuova, diviene via via più inattuabile con il crescere della profondità della traccia.
Ciò può essere da considerare particolarmente da parte di coloro con il ginocchio varo/piede supinato. Per chi non ci avesse mai fatto caso, può vedere come sono consumate le suole delle scarpe ordinarie che, se lise prevalentemente sul lato esterno, ne sono la dimostrazione.
In particolare, alle persone con queste caratteristiche, al fine di ridurre il rischio di scivolata delle otarie, torna utile osservare come e se viene impiegato l’interno del piede (in particolare la zona del metatarso dell’alluce), durante la fase di spinta in avanti. Tanto più si riesce a spingere a terra con l’area del piede radice dell’alluce e alluce – oltre all’efficacia del passo – si ottiene un aumento della superficie di contatto tra pelli e terreno.
In certe condizioni di neve, in diagonale/mezzacosta, le persone con queste strutture anatomiche potranno ridurre le scivolate delle pelli e aumentare la superficie di contato col terreno, anche portando all’interno il ginocchio a monte e accorciare il passo.
I bastoni non sono gambe
Salvo occasionalità, i bastoni non sono da intendere per la spinta in avanti o aiuto alla salita. I bastoni accompagnano la salita puntandosi a braccia aperte. Non è un dogma, ma torna utile al mantenimento dell’equilibrio. Equilibrio che dipende dal grado di allenamento, dalla struttura anatomica, dall’inclinazione del terreno, dal manto, della lunghezza dei bastoni stessi e anche dalla visibilità. Accade di spingere sui bastoni in occasione di cedimento del terreno (neve alta, bagnata, ariosa e altro) sotto il peso dello sciatore, e di scivolata per la mancata presa delle otarie. Ma anche quando il passo è troppo lungo, come in un accenno di passo alternato del fondo. (Infatti i rallisti ne fanno largo impiego). Per evitare ciò, in quanto costo energetico superfluo, si possono puntare i bastoni leggermente avanti, tra spatola e puntale. La cui giusta posa dipende anche dall’altezza dei bastoni stessi che, se troppo lunghi la rendono difficoltosa, e se troppo corti sconveniente. Quindi, buttare il dogma e passare all’ascolto affinché ognuno, in ogni circostanza, trovi la miglior economia globale della propria salita, inclusa la lunghezza – variabile – dei bastoni.
Traccia montanara
L’ampiezza della traccia, ovvero la distanza tra gli sci, rientra nel discorso equilibrio/economia. Su avanzamento in massima pendenza non estrema, diciamo su quella più frequente, è tendenzialmente opportuno realizzare una traccia sufficientemente larga quanto uno sci. L’indicazione è tanto più attendibile quanto più gli sci sono stretti. Ciò comporta la riduzione del contatto/danno tra gli sci, l’agevolazione della salita di chi viene dopo, un avanzamento montanaro che, a differenza della camminata urbana, comporta un leggero dondolare da un appoggio all’altro, utile all’equilibrio/elusione della spinta dei bastoni. Non proprio come Ciro Immobile, calciatore della Lazio, ma in quella direzione. Avanzare senza utilizzare i bastoni – dapprima in piano, poi su terreno inclinato – è un’esperienza propriocettiva utile ad innescare l’automatismo motorio che elude la spinta fondistica delle braccia, e a procedere col leggero pendolamento. I segnali sul miglior avanzamento si evidenziano ancora di più muovendosi a occhi chiusi/bendati.
Detta distanza tra gli sci tende a divenire sconveniente in mezzacosta.
10
Figa, è brutto diventare vecchi. Per me lo scialpinismo era solo un modo, fantastico, di vivere la montagna, la sci, la neve,il piacere di muoversi nella natura con armonia, di cercare di capirla, da ex ragazzo di pianura, ora vecchio di pianura. Ricordi, anche struggenti. Esperienze,avventure,qualche rischio evitabile, ricerca della consapevolezza. Ora tutti atleti, e troppe seghe mentali. Perdita dell’anima.
Si può fare scialpinismo con attrezzatura da telemark, non saremo in molti ma ci siamo.
I punti interrogativi corrispondono a faccina con occhiolino…
Siiii Fabio,il nome storpiato fu usato e abusato ai tempi delle serate Felliniane in casa B.
Un altro che ai tempi usava il(alza) tacco era un “certo” Ghino …mai avrei pensato a dei rimpianti!????
@ 55
Ah, Antonio, che tempi! Quante battaglie di Silvio!
P.S. Hai scritto “Ardcore”. È forse l’unione tra Arcore e hardcore?
:-)Credo ne avesse uno anche da un’altra parte.
L’ unico utile e iconico alzatacco era quello del Silvio, quello della villa di Ardcore,ricordate?
E ora alzo i tacchi e me ne esco dalla referendaria discussione.
Certo, il salame ce lo magnamo a fine gita.
Usate l”alza tacco , la motoslitta, il divano o l’elicottero. Cazzi vostri.
Io non li uso né li consiglio, ma se vi piacciono, fate un po’ come vi pare.
Buone gite.
@marcello cominetti
48
se il tuo compagno fisiomaestrodisci consiglia di muoverlo come ti è più naturale, perché tu nel commento 3 hai scritto che l’alzatacco non serve MAI? Come la mettiamo con quelli che sentono naturale il movimento con alzatacco?cosa ne pensa il tuo amico fisio di questo tuo consiglio? Se in tutto ciò c’è della coerenza, immagino ti dia del salame.
Mi arrendo.
Pensavo si parlasse di scialpinismo con attrezzatura da scialpinismo, ma vedo che non è così.
Concordo con 50, si potrebbe discutere in merito ai temi dell’articolo, argomentando le proprie ragioni/convinzioni.
Vedo invece che si va fuori tema molto spesso, a scuola quando succedeva questo si prendevano brutti voti.
Vedo, anche se mascherato, tanto celodurismo o sbaglio?
Vedo i soliti cigni.
Per finire un elogio all’alzatacco, specie se uso uno scarpone da 1850 gr (uno solo) e con un flex molto limitato(hai voglia a piegar caviglie).
Secondo me serve un moderatore per questo blog, è francamente noioso il dibattito a suon di insulti di queste due prime donne, lasciamo stare le questioni personali, trovatevi fuori dal blog e sfidatevi a duello
Fisio 45, ho riletto il tuo commento e ti confermo il mio assoluto disaccordo su ogni cosa che mi hai scritto.
Hai rafforzato in me la convinzione, che già avevo, della totale inutilità dell’alzatacco.
Conferma ne è ANCHE il fatto che le talloniere degli attacchi da gara ne sono sprovvisti.
Suggerimento tecnico: piega le caviglie.
Ciao.
Fisio, sicuramente hai ragione sulla mia conoscenza radente lo zero in fisioterapia, ma se avessi mai i problemi tendineo che Citi, mi rivolgerei a un fisioterapista che la pensa diversamente da te.
E ti dirò di più. Il mio compagno di molte gite è un fisioterapista, osteopata e maestro di sci, con cui spesso parliamo di acciacchi e rimedi e il suo consiglio perenne è quello di muovermi secondo la mia natura e di lasciarlo in pace. Ciao.
“State buoni, se potete.”
(San Filippo Neri)
@42 Gianni, non ti sentire assolutamente in colpa. Hai fatto benissimo a esprimere la tua opinione e non è stato il tuo commento a accendere i toni. Anche perché Mi pare che sia il sottoscritto che il suo intelocutore di giornata” siano emtrabi CONTRARI all’alzatacco, o meglio al suo uso indiscriminato e cannibalesco de3llo stesso 8caèpita sempre più spesso di vedere gente che mette l’alzatacco al prim o passo della gita e lo tiene per tutta la salita, COMPREI I TRATTI INN PIANO!).
il tema su cui gli animi si surriscaldano, caro Gianni, non ha nulla a che fare con te, né con lo scialpinismo. non mi dilungo, ma c’entra sul fatto di voler ficcare il naso in casa di altri. Io NON sono una Guida, anche e soprattutto per scelta idelogica (voglio che la montagna sia uno dei miei mille interesse e NON la mia professione), cui forse aggiungo anche la mancanza del talento richiesto. Io per esempio non riuscirei a esser assoldato da un cannibale: se capitasse, cammin facendo lo “forgio” a suon di martellate ideologiche e o si scannibalizza o non sopravvive (abituati alla mia abitudine di ricorre a metafore: in questo caso intendo “che si defila e non mi assolda più la volta successiva).
con tale mentalità non riuscirei a fare la GA. Ciò nonostante ho un’immensa stima del mondod elle GA e non ficco il naso nelle loro cose, se non per un piccolo particolare che dovrebbe essere di loro gradimento: come singolo socio CAI sostengo che nel settore dei professionsiti si dopvrebbe fare totale piazza pulita di sigle e siglette collaterali e tenere come unico ordine profesisonale legittimato quello delle GA.
poi non ficco il naso nelle loro cose. invece ci sono alcune GA (non tutte e meno che mai le cariche ufficiali e apicali) che invece pensano di esser legittimati a ficcar il naso nelle faccende del CAI, che è imperniato sul volontariato e non sul professionismto e quindi ha tutte altre finalità e altri parametri. ho storicamente notato che le GA che si esprimono in merito al CAI sono quelle che meno ne sanno dei suoi equilibri interni. La prima grande confuzione che fanno, queste singole e “particolari” GA, è quella di fare un gran pentolone dei soci CAI, senza rendersi conto che esiste, a grandissime linee, una differenza di base fra i soci CAI impegnati nel comparto didattico 8sia lato istruttori che anche lato allievi) e il resto dei soci, che spesso è costituito da quelli che io chiamo i “falsi soci CAI”, cioè gente che si iscrive per le più svariate finalità pratiche (tipo: sconti nei rifugi, coperture assicurative, cercar compagni di gita… al limite anche compagni di vita) e non sono minimamente coinvolti, sul piano ideologico, nel far parte del CAI. Spesso poi vi è una terza famiglia, cioè di quei falsi soci che si iscrivono sì a corsi CAI, ma con l’obiettivo di farsi portare e NON di crescere e formarsi in termini di consapevolezza nell’affrontar la montagna. Certe GA, poi, estendono queste errore metodologico a qualsiasi argomento dell’esistenza (anche non direttamente collegato alla montagna): in pratica, essendo dei “ribelli” di natura, vorrebbero istituzionalizzare la ribellione all’ordine istituzionale e quindi, periodicamente, entrano in conflitto con chi, invece è un esponente della visione istituzionalizzata non solo della montagna ma della vita intera (non è rilevante se è meglio una visione istituzionale o ribelle, rileva invece che i ribelli devono stare nella loro area ideologica ed evita di ficcare il naso nell’area istituzionalizzata, dove per definizione si elabora una visione opposta alla loro: non se ne caverà mai niente).
Tornando la tema CAI, a immemore tempo affermo che, a mio modesta parere, le due famiglie dei “falsi soci CAI” 8sia quelli completamente estranei al mondo didattico sia quelli che si iscrivono solo per esser portati in gita) dovrebbe esser assottigliate da una oculata e intelligente politica gestionale a livello centrale. in pratica anziché corre dietro a ogni tipologia di socio, pur di far numeri umani molto consistenti, dovrebbe fare selezione al nostro interno e verso che fa domanda di associarsi.
Da questo punto di vista il tema “alza tacco” torna di attualità nel dibattito perché è metafora del problema generale: chi opera nel comparto didattico del CAI (sia lato istruttori che lato allievi consapevoli) sa come e quando usarlo. Gli altri in genere no. prima di andar a correggere i 2non soci” CAI, dovremmo porci l’obiettivo di correggere tutti i soci CAI.
@Marcello Cominetti
Non hai capito una parola di quello che ho scritto e credo tu abbia una competenza scientifica sull’argomento rasente allo zero.
Ma ti rispondo con pazienza, perché così mi hanno insegnato a fare con le persone piu anziane di me, che credono di aver capito come va il mondo.
L’alzatacco agisce sul tendine riducendo il carico meccanico globale, sia in compressione che in elongazione. I farmaci ovviamente agiscono in un altro modo, e hanno effetti collaterali, quindi il tuo paragone è una minchiata.tu ipotizzi che alzatacco possa avere l’effetto collaterale di rammollire gli alpinisti, che devono restare duri e puri. Atteggiamento tipicamente testosteronico da alpinista ammuffito. Invece serve per poter praticare più a lungo e senza problemi l’attività che ci piace.
Per quanto riguarda la frase “chi ha tendinopatie sta a casa”, da fisioterapista ti darei un alzatacco in testa. E sono certo che, nel caso tu sviluppassi tendinopatia un giorno, ti vedremmo zoppicare su per qualche traccia, stringendo i denti, con alza tacchi e tutti i gadget possibili, pur di continuare a sciare.
@ 42
“Si è partiti dall’alzatacco e si è giunti ad alzare i toni in modo eccessivo, non va bene.”
Da che mondo è mondo, funziona cosí: prima le diatribe verbali, poi le offese, quindi botte da orbi e infine la guerra.
Gianni, per espiare il tuo peccato stasera dovrai recitare – in ginocchio sui ceci – venti Pater Noster e dieci Ave Maria.
Anzi, facciamo venti e venti. Altrimenti magari salta fuori una transfemminista in stato permanente di sovraeccitazione e mi accusa di bieco patriarcato. E dopo, altro che ceci…
Gianni, non è certo a causa del tuo commento che i toni si siano surriscaldati.
Il motivo è vecchio di anni, come sottolinea il tuo collega, che si vede che tiene il conto, beato lui.
Credo che il Cai (di cui sono socio da decenni e per cui ho fatto l’istruttore di alpinismo nei primi anni ’80) non debba darsi addosso perché chi si iscrive ai corsi lo fa oggi senza possedere il sacro fuoco di una volta, ma semmai dovrebbe interrogarsi se l’avere raccattato soci a destra e a manca sia stata una politica giusta.
Lo sarà dal punto di vista del peso politico di un’associazione che ha circa 300mila soci ma non lo sarà di certo dal punto di vista qualitativo di questi ultimi.
Facendo la guida alpina (da esattamente anni 40) non ti scandalizzi del fatto che chi ti assolda sia un appassionato o una cannibale qualsiasi. Un professionista deve avere lo stesso contegno con chiunque, altrimenti non sarebbe tale. Anzi, potrà rivestire semmai un ruolo di educatore dell’eventuale cannibale ma non si fascerà la testa se ne gliene capitano.
Il dilettante istruttore che crede nella missione originaria del Cai, se si scandalizza che il sodalizio sia diventato un’agenzia di viaggi, può rinunciare al suo ruolo oppure può assolverlo con l’intento di essere anch’esso un educatore.
Ricordo che il Club Alpino tedesco ha al suo interno da decenni una gigantesca agenzia di viaggi che si chiama Summit Club che organizza viaggi e spedizioni nel mondo per i soci. Così facendo ha risolto anticipandolo il problema etico morale della lotta con l’alpe che tanto affligge il club nostrano.
Negli anni ’90 mi è capitato di lavorarci facendo base ai piedi dell’Island Peak in Himalaya, una montagna di 6 e rotti metri vicino al Lohtse. In 14 giorni ci sono salito 14 volte accompagnando clienti del DAV Summit Club che arrivavano e partivano dal campo base. Non mi chiedevo se erano posseduti dal sacro fuoco dell’alpinismo oppure no. Alcuni erano simpatici e preparati, altri erano antipatici o assolutamente inadatti. Dovevo onorare un contratto di lavoro e quello ho fatto, perché vivo del mestiere di guida. Non mi sono posto tanti scrupoli ma alla fine sono andato per un mese in Tailandia a scalare e a divertirmi con la famiglia. Punto.
Mi scuso se sono andato fuori tema alzatacco mischiando argomenti contenuti in dicversi articoli recenti, ma la vita nel gognablog è così.
Accidenti, avessi saputo che il mio primo commento su un blog avrebbe scatenato questo pandemonio, un po’ sopra le righe a mio giudizio, me ne sarei ben guardato dal farlo.
l’ho fatto parlando dei corsi delle scuole, ma il ragionamento può essere esteso a tutto quello che sta divenendo il CAI, perché ho un punto di osservazione privilegiato avendo l’onore di vivere da qualche decennio il mondo delle scuole sezionali, regionali e nazionali, come pure quello della commissione e avendo speso un po’ del mio tempo per la didattica che a quest’ultima compete. Avrei vari argomenti a supporto delle mie affermazioni, ma il solo pensiero che possano ulteriormente alimentare polemiche mi spaventa, anzi mi scuso per aver innescato quelle emerse fino ad ora. Si è partiti dall’’alza tacco e si è giunti ad alzare i toni in modo eccessivo, non va bene.Abbiate un buon fine settimana tutti!!!
Accipicchia, non smetti. Sono sette (sette!) anni che ti dico di esprimere i tuoi opinioni sui vari temi, senza cercare un confronto personale, che NON può esistere fra me e te perché viviamo in due pianeti incomunicanti. Parliamo linguaggi differenti. Non è difficile da capire, no? Eh allora smettila, dai. Una volta per tutte (non che fra tre mesi devo rifarti lo stesso discorso…). Che cosa credi di ottenere? L’acciaio è panna montata al mio confronto, per cui non mi smuovi di un micron. Infine la valutazione di “ridicolo” è solo oggettiva. Tu lo sei abbondantemente per chi ti guarda dal mio punto di vista. In più ci aggiunti pure che, dopo sette anni (sette!) non ha ancora capito… Non mi interessano le opinioni di uno così “legnoso”…
Crovella, se dovessi o volessi risponderti per le rime, sarebbe come sparare sulla croce rossa. E siccome non mi piace, né ne ho bisogno, lascio perdere e ti lascio volentieri con le tue convinzioni e idee fisse, comprese quelle sulla mia persona, che sinceramente non so come e dove tu ti possa essere fatto.
Nella mia vita ho conosciuto, mio malgrado, persone della tua schiatta e ho sempre cercato di evitarle semplicemente ignorandole.
In questo spazio che è il gognablog, trovo spesso interessanti spunti di interesse personale che a volte sfociano inevitabilmente in confronti, più o meno costruttivi, attraverso i diversi contributi individuali dei commenti.
Tra tutti, i tuoi li ho sempre trovati un po’ troppo imbevuti di boria, e privi della sobrietà che reclami solo a parole, anche quando sostieni tesi condivisibili. Diciamo che personalmente ti trovo decisamente privo di stile in tutte le tue manifestazioni. Non si tratta di capire o appartenere a “certi” ambienti, come tu costantemente sostieni, ma di avere o no un minimo di sale in zucca. Cosa che sovente non credo di essere l’unico a pensare che tu non abbia in maniera sufficiente a sostenere tesi e dibattiti sostenibili e comprensibili da quelli cui ti rivolgi.
Sarebbe solo un problema tuo se non lo esternassi continuamente con le tue filippiche sempre uguali. Ma purtroppo non è così.
Abbi cura di te e scendi un po’ dal piedistallo che ti sei costruito da solo. Rilassati. Saresti meno ridicolo.
Non hai MAI visto “nulla di simile”, semplicemente perché non hai MAI avuto occasione di interfacciarti con l’ambiente in cui vivo io. Io ne sono una dei rappresentanti più radicali, è vero, ma non sono controcorrente (altrimenti non potrei conviverci strutturalmente da oltre 40 anni), ma l’ambiente nel suo complesso, anche su posizioni più moderate delle mie, non ti andrebbe a genio (e viceversa). Strano, però, che una Guida non conosca proprio nulla di una scuola storica: è come se un appassionato di calcio non sapesse nulla della Juventus o del Real Madrid. Almeno un’infarinatura dovresti averla, sdia delle scuole storiche sia dell’impostazione del mondo didattico le CAI (la sensazione è che tutto il modello didattico del CAI ti sia ignoto…).. Dopodiché, sono il primo a dire che, da noi, ti troveresti malissimo tu per primo e te ne andresti di tua iniziativa, ma se mai capitasse (ipotesi provocatoria, ovviamente) che ti iscrivessi come allievo, sono abbastanza convinto che, al max in due gite, ti si direbbe di non venire più (pur sapendo che sei una guida). quindi confermo q2uanto ti sto dicendo ormai da 7 anni circas: apparteniamo a due mondi che non hanno nulla in comune (e non solo nell’andar in montagna), è inutile e stupido che cerchi di applicare i tuoi parametri al mondo di cui sono uno dei rappresentanti. Non mi capirai mai, e io non apprezzerò mai i connotati della tua persona, a cominciare da quelli relativi alla montagna. Non so più come dirtelo, spero che sia l’ultima. Esprimi le tue opinioni sui temi oggettivi, senza metterla sulla contrapposizione personale: è un terreno dove non se ne cava nulla, stante l’impossibilità di capirci e apprezzarci a vicenda.
Crovella, il mondo è uno solo.
Contrapponi a una ristrettezza di visioni di rara portata, una fantasia… assai limitata.
Mai vista una cosa simile.
Auguri.
Non sapevo che su sto blog aleggiasse la reincarnazione del buon Ardito Desio… :))
La foto d’antan della linea di discesa è pura poesia. Sull’alzatacco o climbing bar/wires nel mondo a tallone libero li ritengo indispensabili nell’ascesa su pendii con forte pendenza, specie nel 75 mm e con purtroppo scarponi pesanti.
Se Voilè ha in catalogo alzatacchi da 65 e 100 mm che possono essere montati insieme sullo spessore tacco ci sarà un motivo(vuol dire avere circa 45 o 80 mm di alzata).
Nella pratica dello scialpinismo a tallone libero, con attrezzi più pesanti rispetto al 2 pin /bloccati sono utili e fanno risparmiare fatica.
Tenetevela pure la vostra umanità talentuosa… Che motivo avremmo di correrle dietro? Le scuole CAI, almeno qui nel Nord Ovest, spesso mettono un numero massimo di iscrizioni e le domande sono sempre ampiamente superiori. Ergo c’è gente che lasciamo a casa fin dall’inizio, non riusciremmo a gestire numeri ancora superiori. Si vede che qui, nella città dei bougianen, abbiamo tutti la testa fatta in un certo modo, sia quelli che gestiscono le scuole sia quelli che si iscrivono e che trovano attraente il modello proposto. Non vedo questa gran folla di gente che si allontana schifata…
Anzi, l’ho già scritto ma lo ricordo: quando sono in giro, mi capita spesso che della gente mi venga a salutare. Sono ex allievi, magari di 30 o più anni fa: ringraziano me (e ovviamente anche tutti gli altri istruttori) perché li abbiamo impostati “come dio comanda”… Se gli allievi fossero così schifati, eviterebbero affermazioni del genere: non sono obbligati a farle, se le fanno è perché le sentono genuinamente.
Esiste quindi un mondo che ti è completamente sconosciuto. Lo sostengo da una vita: apparteniamo a due mondi antitetici. Sono abbastanza convinto che se tu venissi a iscriverti come allievo, tempo una o due gite e ti segheremmo. Da noi non conta esser atleticamente forti o tecnicamente capaci, ma conta la “testa”, l’imprinting, un certo modo di comportarsi, tutte cose in cui ci riconosciamo e che non compongono il mondo cui appartieni tu. Siccome te l’ho ripetuto almeno mille volte, fattene una ragione: tanto è realtà oggettiva, mica la puoi cambiare!
Dimenticavo, l’ubriachezza molesta di Crovello e i suoi corsi Cai è talmente anacronistica, oltre che inutile a chi vorrebbe informarsi e/o istruirsi, che bisognerebbe metterlo in manicomio.
Una tale ristrettezza di vedute è funzionale solamente a schemi socio-politici che riportano alla sua perversa destrizzazione del pianeta. In pratica, se non arrivo all’uva, tiro giù la pianta.
Magari dicesse che non è matura. Siamo ben oltre.
Sarò fortunato, ma io vedo anche un umanità serena, talentuosa, felice e in via di miglioramento costante e senza tensioni. Sarà che vivo in un altro mondo…
Fisio (di ‘stocazzo, così la prossima volta ti firmi) 20, se uno ha quei problemi al tendine d’Achille è meglio che se ne stia a casa.
L’alzatacco è come l’ibuprofene per chi lo usa. Ma siamo certi che non faccia pure male?
Faccio scialpinismo da 50 anni, certe stagioni faccio più di 100 gite, ho 63 anni e sono convinto (purtroppo per quelli come te e molti altri) che lo stretching si possa fare durante l’attività stessa. Se si conosce il proprio corpo.
Sennò si è come quelli che vanno in palestra in macchina o che pretendono i vetri elettrici perché “sono comodi” e girare la manovella fa fare fatica.
Bisogna vedere se si vogliono vivere le cose (tutte) o se si bada l’esteriorità. Nel primo caso serve ben poco, basta partire.
Per il secondo, tutto è molto più complesso. Basta adeguarsi alla corrente.
“io so di cosa parlo…tu stai parlando di “altro” “
Si certo, come ho fatto a dimenticarlo…
Sei tu che non capisci ‘na mazza. probabilmente non hai esperienza recente delle scuole CAI (certamente non ce l’hai della nostra scuola nello specifico). Un “corsista cronico” non ha voglia di farsi il culo, specie a questi livelli: lui paga per farsi portare, non per farsi il culo. Non è solo questione di “capire” le nozioni per intuizione: occorre applicarsi, studiare a casa, prepararsi, partecipare attivamente alle lezioni in sede e poi dimostrare agli istruttori di aver imparato nelle esercitazioni sul terreno. Chi si iscrive lo fa perché “vuole” imparare, sennò non si troverebbe bene. Ecco perché è impossibile che i corsisti cronici si iscrivano da noi: chi vuole semplicemente farsi portare non ha voglia di farsi così tanto il culo come è implicitamente è richiesto dal modello.
C’è un tarlo di fondo nei tuoi ragionamenti: io so di cosa parlo, sia del modello CAI centralizzato presso la CNSASA sia, a maggior ragione, della scuola di cui faccio parte da oltre 40 anni. Tu non sia neppure che atmosfera ci sia… stai parlando di “altro” (corsi sub, padel, ecc) e lo riferisci alle scuole CAI. E’ proprio sbagliato.
Non so se tu non capisca davvero o se sei impossibilitato a capire.
Dove sta scritto che il corsista in servizio permanente non possa superare i tuoi esami? Non ho detto che è un cazzaro o che sia stupido. Lui segue, studia e si apèlica.
E finito il corso andrà a quello di canoa.
L’anno seguente (beninteso dopo aver fatto un corso da sommelier o qualcosa del genere) se si sarà trovato bene si riscriverà dicendoti che non si sente sicuro e ha bisogno di imparare ancora. Oppure passerà al level 2 dei tuoi 3 0 4 anni di corsi che vorresti obbligatori.
Ma nel frattempo non sarà andato da solo nemmeno una volta.
E’ pieno il mondo di gente così.
E tu sarai anche orgoglione di lui!
@28 NOn riesci proprio ad accettare che la relatà oggettiva NON sia come la vedi tu? ho già detto che NON è così. Perché c’è un modello che è gestito dalla sede centrale, in particolare dalla CNSASA (Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e SciAlpinismo). Nel mucchio ci saranno anche i falsi allievi, ma il modello sta ripulendo la situazione. PS: da noi non esistono proprio, ho già scritto che a metà stagione (quindi più o meno a fine marzo) è istituzionalmente previsto uno step di valutazione allievo per allievo. Se per caso uno si è iscritto per sbaglio pur con la mentalità che non piace, o ce ne accorgiamo prima (tipo 1-2-3 gite) e lo eliminiamo allo step di metà stagione (restituendo metà qwuota di iscrizione). E se si riprensenta l’anno dopo, la Scuola non accetta la sua iscrizione e tutto finisce lì.
Per inciso la nostra selezione a metà stagione è “severa”: c’è un test sulla parte teorica, la valutazione delle presenze sia alle uscite che alle lezioni in sede, la valutazione dell’approccio individuale, sulla base del libretto di ogni allievo, dove ogni istruttori a fine gita segna sia una giudizio alfanumerico sulle capacità dell’allievo sia un commento sulla sua personalità scialpinistica, sulla sua partecipazione alle esercitazioni pratiche e e sulla sua “motivazione”: se uno è un “falso allievo” – cioè uno che si è iscritto per “farsi portare” – state tranquilli lo scopriamo praticamente in tempo reale. Ma da noi il rischio oggettivo di falsi allievi è bassissimo, praticamente nullo: richiediamo un impegno molto intenso e sistematico. Chi si iscrive da noi sa che si farà un bel culo e che dovrà studiare e applicarsi, anche se in un clima di allegria e divertimento. partecipare ai nostri corsi non è una passeggiata, per cui i falsi allievi lo capiscono da soli e o non si iscrivono neppure o si fanno vedere 1-2 gite e poi spariscono di loro iniziativa.
Può darsi che in scuole più piccole e/o di località collaterali, dove magari si fa fatica a metter insieme 15-20 allievi, sia più facile che qualche falso allievo scappi dalle forche caudine e magari venga pure tenuto, pur avendolo “fotografato”. Ma sono prassi che stanno andando verso l’estinzione, per i motivi già detti.
Inoltre non mettete le Scuole del CAI nel paniere con altre tipologie di “corsi” completamente diversi, tipo (sono stati citati) sub, padel, punto-croce. che esistano in giro miliardi di “falsi allievi” desiderosi di iscriversi “falsamente” a corsi (con l’obiettivo di farsi portare) e che questi altri corsi li accettino (“pecunia non olet”) NON ha niente a che fare con il mondo delle Scuole del CAI, mondo che è un modello omogeneo in tutta Italia ed è governato centralmente dalla CNSASA che ne detta le linee comportamentali. Se una scuola viola sistematicamente i parametri, alla lunga rischia di non ricevere il nulla osta all’attività. difficile che capiti, ma questo basta per tenere la gestione delle scuole dentro ai parametri stabiliti dalla CNSASA.
Expo, io non ho mai inteso discutere sulle scuole CAI, ho solo detto che, per mia esperienza personale, l’utenza delle scuole è almeno parzialmente cambiata da quando io ero allievo.
In particolare è apparso un tipo di persona, assolutamente assente quarant’anni fa, che fa corsi per provare cose nuove. Fa corsi di tutti i tipi e reiteratamente.
E sono certo che nella blasonatissima scuola di sci-alpinismo di Torino, che pure ha di certo i migliori direttori possibili, almeno il 20-30% degli allievi appartiene a questa categoria.
Non è colpa della scuola né dei direttori della stessa: è la gente che sono così.
Se poi sia un vero problema non lo so, ma di certo non è negandolo che lo si affronta.
@ Matteo ( 23 )
Senza nulla togliere alla Vostra discussione su quello che accade nelle scuole Cai , vorrei aggiungere una funzione che per me e’ stata molto importante.
Non conoscevo nessuno appassionato di montagna e a casa enfatizzavano l’aspetto del pericolo.
Una funzione del corso che per me e’ stata molto utile e’ farmi conoscere persone che avevano i miei stessi interessi , e darci gli strumenti per organizzare le prime gite in autonomia con prove ed errori.
Per dare un idea di quanto poco ne capissi di scialpinismo , io inizialmente avevo declinato l’invito di un amico a iscrivermi al corso insieme a lui perche’ :”sapevo gia sciare”.
Di tutto il resto sapevo zero.
Il mio riferimento era ovviamente riferito a chi non ha patologie tendinee di sorta.
Ma… avete imparato a legger??? Ho già spiegato per filo e per segno il problema. che poi è un falso problema, se il Direttore della scuola CAI sa fare davvero il Direttore.
Se ci sono dei corsisti compulsivi (quelli che io chiamo i “falsi allievi”), basta che la scuola li faccia “correre”… il messaggio deve essere chiaro anche a chi si iscrivere per la prima volta e, al limite, se c’è stato un equivoco, lo sbatti fuori cammin facendo: con eleganza, restituendogli (in tutto o in parte) la quota di iscrizione, ma te ne liberi.
Inoltre se uno ha fatto il corso un anno e, pur denotando una mentalità sbagliata (cioè che concepisce le scuole come tour operator), basta NON accettare più la sua iscrizione all’anno successivo. Non vedo dove stia il problema. Se accade, allora è colpa della Scuola e non del corsista. Ma l’impostazione centralizzata presso CNSASA è ormai molto chiara sul tema e, a tendere, saranno sempre meno i casi in questione… certo, i Direttori di scuola devono saper fare a puntino i Direttori…
@FisioGrazie per il contributo tecnico.Ho una domanda : ma in una patologia da overuse come una tendinopatia , il tuo tendine non ti “avvisa” che qualcosa non và già durante la gita ?Quanto ad usare o non usare l’alzatacco , non intendevo dare una prescrizione a chicchessia , tanto meno per andare più forte , ma condividere la sensazione di benessere che provo da quando lo inserisco un po’ meno.Prima lo usavo come le marce della macchina : 30° scalo una marcia , adesso che lo uso di meno sento molto più equilibrio e grip dall’otaria , senza indurirmi i polpacci per stare in equilibrio.
“Per quello che mi risulta, le scuole più importanti NON fanno servizio da tour operator”
Non è che le scuole facciano servizio di tour operator, sono gli utenti che le prendono come tali.
Intendo dire che ormai si è affermata una certa categoria di persone (non tutte, ma tante) che potremmo chiamare dei “corsisti in servizio permanente effettivo”, che seguono uno, due, tre corsi all’anno anche di cose completamente differenti (arrampicata, sub, padel, punto-croce…) e che tendono a ripetere gli anni successivi, sopratutto se gli sono piaciuti, senza alcuna intenzione di approfondire o di fare propria l’attività, ma usando i corsi come “accompagnamento”.
@15 Gianni. La trasformazione della mission delle scuole CAI è solo nella testa di quelli che io chiamo i “falsi allievi”, cioè coloro che appunto così concepiscono le scuole del CAI, come dei tour operator. Sta a ciascuna scuola “divincolarsi” da tale pretesa e esprimere una diversa mission, quella della finalità didattica. Il messaggio di ciascuna scuola (ai propr allievi) deve essere molto chiaro, fin dalla prima serata: “Qui ci si iscrivere per imparare a diventare scialpinista maturo e consapevole e NON per farsi portare in giro”. Se la scuola fa un discorso esplicito così, resta difficile che ci siano allievi che “speculano2 sull’equivoco. Se la scuola invece si mantiene su posizioni ambigue, allora può darsi che qualche falso allievo si iscriva.
A livello centrale (CNSASA) l’impostazione è MOLTO chiara: le scuole hanno esclusivamente una finalità didattica. Ovviamente non è che la CNSASA possa inviare i propri ispettori in ciascuna uscita di ogni scuola d’Italia.
Per quello che mi risulta, le scuole più importanti (cioè quelle più storiche, più numerose e normalmente con base in centri metropolitani) NON fanno servizio da tour operator. Il succitato messaggio è molto chiaro fin dalla serata di presentazione (che normalmente si tiene a dicembre) e se uno capisce l’antifona, non si iscrive e la risolve così. Se si iscrive per “sbaglio”, tempo due-tre gite, capisce come funziona e non si fa più vedere. E, se proprio non capisce, in genere la Direzione lo stoppa a metà stagione: da noi c’è proprio uno step istituzionale previsto a tale fine.
Può darsi che scuole più piccole e/o di centri collaterali siano meno rigorose. Un po’ le capisco, magari non hanno le folle immense che abbiamo noi al momento delle iscrizioni e quindi devono un po’ turarsi il naso e prendere quello che passa il convento. Però il fenomeno non piace a livello centrale, questo lo so per certo, e da tempo si sta alacremente lavorando per estendere l’impostazione didattica a TUTTE le scuole sul territorio nazionale. L’applicazione di tale progetto dipende molto dai Direttori delle singole scuole. Però, i direttori (di scuola e/o di corso) devono obbligatoriamente esser istruttori titolati, per cui i “nuovi” passano attraverso corsi-esami-aggiornamenti, dove tutto questo discorso viene martellato per bene. Mi pare difficile che uno, dopo il martellamento, torni alla sua scuola e accetti che funzioni da tour operator. Se ciò accade, è colpevole il singolo e non il modello.
la storia dell’alzatacco (e anche il resto) mi sembra come dire che le corde in nylon rovinano i tendini dei new-climber, torniamo alla corda di canapa legata in vita? Cerchiamo di vedere il progresso come un’opportunità e non sempre come il male assoluto.
Per quanto siano apprezzabili i riferimenti anatomo-patologici su tendine di Achille e carico tendineo, la realtà sull’alzatacco è un’altra.
E temo che questo articolo potrebbe portare alcune persone a farsi del male, per comportarsi in modo stoico e puro, rinunciando all’alzatacco “perché ho letto sul blog che non serve”
Andrebbero innanzitutto conosciute e distinte le tendinopatie Achillee in 2 macro-tipologie:
1) quelle inserzionali (basse, che danno sensazione di spilli piantati nel retro del calcagno)
2) quelle della mid-portion (nel corpo del tendine, che fanno male se si schiaccia o pinza il tendine con le dite). Se la caviglia ripete molte volte il gesto di spinta isometrica-concentrica del polpaccio, richiedendo uno stress in compressione+tensione, in ECCESSIVA DORSIFLESSIONE (pendio ripido, no alzatacco) avvengono dei fenomeni DIVERSI all’inserzione e al corpo del tendine. L’inserzione subisce maggiori stress e può andare incontro a patologie da sovraccarico+stress meccanico.
Quindi occhio a sconsigliare l’alzatacco.
Lascio un minimo di reference scientifica per i puristi:
10.1136/bjsports-2020-103867 10.2519/jospt.2018.0302
“Quello che andrebbe fatto è una traccia intelligente.”
Questo credo sia il consiglio migliore, da estendere mutatis mutandis a tutte le situazioni della vita!
Per chi come me ha iniziato con la forcella Marker (1975), il discorso alzatacco è un di più del quale ho sempre fatto orgogliosamente a meno fino a circa 6-7 anni fa. Adesso lo utilizzo in qualche raro caso, convinto che se la pendenza della traccia dritta (quella che preferisco, e di per sé anche la più sicura) ti sollecita l’alzatacco, forse ci sta il fare una svolta. E per i coltelli (sempre detto che servono a tagliare il salame) il discorso è anche più radicale. Se si ritiene di doverli mettere, è ora di mettere i ramponi. Una buona tecnica di salita con capacità di fare aderire bene le otarie, risolve la situazione in almeno il 90% dei casi. E l’andare di corsa non aiuta ad avere una buona tecnica, si sopperisce con la tanta energia. E va bene per chi quell’energia ce l’ha e crede in quel modo di andare. Ma lo scialpinismo per me è altro.
Premesso che ognuno può fare come vuole, concordo con Cominetti, l’alzatacco non serve mai, la fisiologia muscolare insegna che la massima resa muscolare si ottiene appena prima del massimo allungamento del muscolo cosa che l’ alzatacco non permette di fare. Quello che andrebbe fatto è una traccia intelligente.
O voi veterani che leggete il GognaBlog e sciate e scalate, tenetelo bene in mente:
“La vecchia guardia muore, ma non si arrende!”.
Eh si, per chi come me ha avuto la fortuna di conoscere e frequentare i padri fondatori delle Scuole del CAI è un po’ triste vedere la trasformazione della “mission” delle scuole da “centro di formazione” ad “agenzia di viaggio”.
Oggi chi si iscrive ad un corso delle scuole del CAI pensa di acquistare, a basso costo, un pacchetto di cime da raggiungere in ogni caso, senza particolare distinzione tra inverno o primavera, tra pelli di foca, pardon otaria, o ramponi e piccozza, tra scalata o comminata.
Su rampant e alza tacco non si può che essere d’accordo ma questo temo abbia a che fare con il colore chiaro dei capelli, per chi li ha ancora!
Volendo dare qualche informazione anatomica oggettiva. Vero che il tendine di Achille si rafforza con carico progressivo, come tutti gli altri tendini ( altrimenti non si capirebbe come poter fare una reazione su una lista da 8 mm su due dita senza spaccarsi tutto).
Ma l’angolo fra calcagno e tendine di Achille non può essere chiuso all’infinito. Qui non si tratta di allenare il tendine ma di non creare un conflitto calcagno tendine che sarebbe la causa di grossi problemi. E quando ci si accorge di aver chiuso eccessivamente questo angolo iniziano automaticamente i problemi e spesso è’ troppo tardi. E’ il motivo per cui non si dovrebbe correre in salita chiedendo al piede una iper pronazione eccessiva. I runner o comunque coloro che stressano molto il tendine di Achille in salita sono predisposti ad un ispessimento del profilo calcaneare posteriore che può’ , ripeto, può’ portare a sindrome di haglund.Per il resto mi astengo su alzatacco per cannibali si no ecc.
C’e’ anche qualcuno che copre le lamine ?
In attesa dunque che sia comunicato il limite di battute per i commenti procedo con un commento prolisso , anche perché non intervengo quasi mai. “Lo scialpinismo non è uno sport”. Bene, sono d’accordo! Però…dove lo mettiamo uno come Benjamin Vèdrines che in sole 14 ore e in solitaria ha salito e disceso in sci (per le normali, bontà sua!) il Pelvoux, Il Dome de Neige e la Meije orientale per un totale di circa 7.000 metri positivi e quasi 50 Km. di sviluppo? Lo mettiamo tra gli alpinisti (quelli che non si perdono se escono da una traccia battuta per riassumere la categoria) o tra i corridori d’alta quota (quelli che guardano solo i loro piedi e il cronometro invece che il panorama, sempre per sintetizzare)? Quando ho visto il video del ragazzo nonché guida che si concedeva un sorso d’acqua dopo 3000 metri ho visto brillare nei suoi occhi una luce di gioia, simile quella che avevo io quando ebbi la ventura di fare queste tre salite, una per volta ovvio, a distanza di almeno 10 o 15 anni l’una dall’altra, impiegando anch’io 14 ore circa, ma per ognuna. Sabato scorso m’è capitato di arrivare in cima alla Quinzeina, montagnetta delle prealpi canavesane, assieme a tre o quattro ragazzi, partiti da Santa Elisabetta e fasciati nelle tute da gara: uno diceva all’altro: “Con questa sono 3, fanno 2400 metri…devo fare la Pierra Menta, non va male!”. Io ci avevo messo 2 ore e 35, un tempo per me (settantenne) eccezionale per 1000 metri (da Chappinetto). Come sempre mi succede quando vedo questi atleti sfreccianti, penso che se avessi la metà della loro forza e resistenza partirei all’alba per fare il Gran Paradiso o La Grande Rousse in mattinata, anziché andare su è giù come un criceto e in un impulso di paternalismo ottocentesco vorrei dire loro: “Ma ragazzi! perché correte così? Se andate di corsa non vedete il film!” . Ma evidentemente a loro non interessa guardare il film neorealista dell’alpinista, quanto piuttosto recitare la parte di un attore postmoderno. Nessuno dei due (Lui, atleta sulla Quinzeina e io vecchio scarpone) fa qualcosa degno di essere menzionato e ricordato nella Storia, qualcosa nobile, meritevole, giusto: stiamo entrambi, banalmente, giocando a due giochi che utilizzano le stesse carte ma che hanno regole diverse. Eppure, intossicati dall’egocentrismo e dall’integralismo che contraddistingue tutte le sette, alpinismo incluso, siamo riusciti a trasformare una salita alpinistica, per quanto impegnativa come il K2, in una questione di stato, mentre si trattava solo di un gruppo di maschi adulti che stava giocando a chi arriva prima in cima rischiando la pelle. E il più bravo di tutti ha coltivato per cinquant’anni un rancore finché la sua versione dei fatti ha convinto quasi tutti. Concludendo, si fa per dire, non mi piace lo sport agonistico, né in pianura né tantomeno in montagna, ma non riesco a riconoscermi neppure nelle parole di Guido Rey , perché non vedo nell’alpinismo/scialpinismo nulla di nobile o utile, ma semplicemente un gioco, molto bello se ti piace, ma pur sempre un gioco, come lo aveva giustamente definito un mio vecchio istruttore. Riguardo all’alzatacco, non ho nulla da aggiungere, mentre si poterebbe aprire un dibattito o lanciare un questionario su “lamine scoperte o lamine coperte” dalle pelli, pardon “otarie”. Ognuno poi rimarrà fermo nelle sue convinzioni, come succede quasi sempre dopo un dibattito: solo una scivolata potrà farci cambiare idea.
Solleciterò espressamente la redazione di limitare le battute dei commenti.
Chi volesse esprimere opinioni più importanti può sempre condividere un articolo proprio!
Bello, condivisibile e non tanto sottilmente feroce. Per quanto riguarda il CAI, nel mio caso la SAT ho scelto a malincuore e dopo qualche stemma dorato di non iscrivermi, ritenendolo non più in linea con i suoi principi fondatori.
La questione dell’alzatacco è sintomatica. Oggi si vedono skialper improvvisati che mettono l’alzatacco a prescindere, anche in piano! E in genere lo tengono su pendii ripidi con neve ghiacciata, specie con le piste di salita già segnate con neve marcia e poi magari rigelate nel frattempo. Specie in fase di dietro front, con gli alzatacco inseriti, scivolano giù come il gatto silvestro: anche senza arrivare a farsi male (rischio cmq connesso all’uso sbagliato dell’alzatacco), questi cannibali imprecano perché “non capiscono” come mai scivolano!
L’alzatacco è fatto per esser usato in certe situazioni e NON sempre e inoltre va usato solo da chi ha già acquisito una notevole padronanza dell’uso degli sci con le pelli sotto. Infatti ai neofiti va insegnato a camminare con le pelli SENZA ALZATACCO. Lo metteranno solo “dopo” che hanno imparato ad appoggiare perfettamente la pelle (e non la lamina…) sulla neve. in ogni situazione di pendenza e di tipologia di neve.
Spesso mi sento dire da alcuni allievi neofiti: “Ma come : devo salireSENZA alzatacco? ma se l’alzatacco è fatto per andare più veloce????”
Sì, caro allievo, l’alzatacco è fatto per esser utile, ma solo DOPO che hai imparato ad andar con le pelli a occhi chiusi. Quando mi fa vedere che, su neve ghiacciata e pendio ripido, fai un dietro front a occhi chiusi, “disegnando” la corretta sequenza dei movimenti (sequenza che, ovviamente , ti ho insegnato a martellate!) senza incasinarti e perdere l’equilibrio, allora e solo allora potrai usare l’alzatacco (dove serve, ovviamente!).
Alcuni allievi all’inizio mugugnano (non tutti, pochi, ma qualcuno c’è), viceversa alla fine TUTTI mi vengono a ringraziare perché li ho impostati così. Su questo come su tutti gli altri temi dell’andar in montagna quando è innevata. Ovviamente io non sono un caso isolato, ma rappresento l’istruttore “tipo”, figura oggi sempre più diffusa, anche grazie ai corsi-esami e agli aggiornamenti costantemente realizzati dalla CNSASA. per cui colleghi che agiscono come me sono sempre più numerosi e a tendere saranno la totalità degli istruttori.
Non ci crederete, ma spesso mi capita di incontrar ex allievi della scuola, magari di 20 o addirittura 30 anni fa e anche più (io sono istruttore addirittura da 40 anni): tutti questi vengono a salutarmi e mi ringraziano sempre per come li abbiamo “forgiati” e spesso citano il dietro front in salita su nevi dure e su pendii ghiacciati come uno dei più lampanti esempi per i quali aver frequentato una scuola CAI è fondamentale per imparare ad andar in montagna “come si deve”
Altro che uscite delle scuole “tutti insieme col culo per terra”!
@6 non so che conoscenza tu abbia del mondo CAI e soprattutto delle scuole, ma evidentemente non sai nulla del modello didattico CAI che è finalizzato NON a portare in giro gente ma a creare in ciascun allievo la forma mentis dell’autonomia, in termini di responsabilità e maturità decisionale e comportamentale.
Può darsi che all’atto pratico ci siano ancora scuole e scuole, cioè in lacune questa propensione è più accentuata ed efficace (sia per motivi storici che di recente sue evoluzione) ed altre più stile gita sociale, come le vedi tu… certo può darsi e occorre correggere le seconde, ma il già citato trend di omogeneizzazione del modello didattico a livello nazionale e l’accentramento della sua gestione nella CNSASA stanno lavorando nel senso da me indicato. L’obiettivo dell’attività didattica è far uscire ciascun allievo, dopo un’esperienza di almeno 3 stagioni, con la forma mentis matura, autonoma e consapevole. ovvero l’esatto opposto di ciò che si riassume con approccio “sportivo”.
Prima parte: opinioni e giudizi penosi. Se voleva descrivere come si procede sugli sci poteva passare direttamente alla seconda parte, molto piacevole peraltro.
Rendere obbligatorie le scuole cai? Per far cosa? Imparare ad andare a grupponi nel culo di chi guida davanti e far la mega merenda alla fine? La forma mentis alpinistica comporta autonomia; da coltivare al più presto.
Come spesso accade sono disorientato nel leggere gli articoli di Merlo , e a volte fatico a mettere insieme i puntini.SportSpesso e volentieri sono a disagio con occasionali compagni di gita che misurano il divertimento e la soddisfazione di una gita misurandone principalmente l’aspetto prestativo.Non sono così presuntuoso da dire che io sono nel giusto e il performer si sbaglia , perchè siamo tutti e due liberi di interpretare una disciplina come vogliamo , ma io , arrivato ad una certa , me ne fotto di vergognarmi perchè faccio i IV e V anzichè i 6b , perchè alla fine sono felice lo stesso nel “quì ed ora” , anche senza la celebrazione pubblica del bar e del social.Sono più bravi e belli ?Pazienza.Quanto all’aspetto disciplina/prestazione mi ha colpito un evento dello scorso fine settimana , in cui un gruppo di scialpinisti è stato travolto dal fohn e dal gelo in una gita fra Zermatt ed Arolla.Ho pensato : “Ma io che cosa avrei fatto in quella situazione ?” , e questa è una domanda che arricchisce molto l’aspetto culturale del muoversi sulla neve.Avrei intuito quando e se era meglio ritirarsi ?Sarei stato capace di scegliere un posto adatto per scavare una truna con 130 kmh di vento ?Al di la’ della tragedia , questi aspetti mi interessano molto di più di un “tempone” sulla salita. AlzataccoDopo molti anni di pratica , sto cominciando anch’io a intuire che l’alzatacco non è un obbligo , e spesso e volentieri viene usato quando non è utile.Come dice l’autore è una cosa che spesso induce i polpacci ad un lavoro isometrico supplementare , per mantenere un equilibrio che in condizioni normali è garantito.Interessanti anche le considerazioni sull’alzatacco sui traversi lunghi con gli sci su piani diversi , dove una gamba lavora molto di più dell’altra.
Pienamente d’accordo con il concetto centrale di questo bellissimo articolo, cioè che lo scialpinismo sia fondamentalmente “alpinismo invernale”. Ovviamente NON inteso nel senso che gli sci si usano per arrivare alla base di scalate su roccia durante i mesi freddi, ma che la forma mentis dello scialpinista, anche quando si muove su itinerari tecnicamente modesti, deve esser quella tipica dell’alpinista vecchio stampo e NON quella dello sportivo che “corre” sulla neve come potrebbe correre in un qualsiasi parco cittadino. Discorso troppo lungo, anche se interessantissimo, ma l’ho già fatto e non mi ripeto.
Segnalo invece due problemi del giorno d’oggi.
1) NON tutti i consumisti sono cannibali, ma è certo che i consumisti delle ultime generazioni (quelli dell’approccio “sportivo” alla montagna, specie invernale) molto spesso sono cannibali. Nascono tali e non vengono corretti, anzi il mercato alimenta la loro natura cannibalesca, perché più vanno in quel modo più “comprano”. Chi ha interesse, oggi, a fermare questo trend?
2) Il CAI (per estensione i Club Alpini tutti, ma restiamo al CAI) da un lato negli ultimi decenni ha rafforzato e codificato il suo modello didattico, omogeneizzandolo a livello nazionale e accentrandone la gestione (per cui, nel CAI, c’è un “solco” educativo, esteso a livello nazionale e molto più marcato, almeno rispetto a 30-50 anni fa), dall’altra è condannato a correre dietro all’incremento smisurato dei soci, senza guardar tanto per il sottile. Infatti per il CAI (come per qualsiasi federazione sportiva) agisce la maledetta equazione: “tanti soci = tanti soldini pubblici” (che sono quelli che tengono in piedi la baracca, mica le quote sociali individuali!). Questo comporta che, accanto al sopracitato “solco” educazionale, nel CAI ci sia un corposo sottoinsieme di soci che agiscono da cani sciolti: nessuno sa come evolve la crescita individuale di ciascuno di questi (mentre chi si iscrive alle Scuole CAI viene “martellato” a dovere). Di questi cani sciolti, alcuni procedono in modo maturo e con sapevole, molti, purtroppo, vengono assorbiti nell’approccio cannibalesco alla montagna. Ergo il CAI stesso produce un sacco di cannibali…
Il problema è molto complesso, eccede il semplice scialpinismo (anche se nello scialpinismo trova, purtroppo, una delle sue espressioni più intense): occorrerebbe agire su più fronti, sia all’interno che all’esterno del CAI.
Ma di tutti i passi da fare, il primo dovrebbe essere quello di rendere obbligatoria ai soci CAI la frequentazione delle sue scuole (intendo 2-3 stagioni consecutive, non tre uscitelle e basta). Della serie: “Vuoi esser socio CAI? Benissimo, benvenuto! Ma ti sottoponi all’addestramento e acquisisci l’approccio mentale “alpinistico” che diffondiamo attraverso le nostre scuole”.
Di fronte all’eventuale faccia storta dell’aspirante socio, il CAI dovrebbe dire: “Scusa amico, come dici? ah vuoi associarti, ma solo per gli sconti in rifugio e le coperture assicurative ecc e non ti interessa andare in montagna secondo l’approccio delle nostre scuole? Bhe, caro amico, liberissimo, ma allora vai per la tua strada perché non puoi esser socio del CAI e comportarti in modo “diverso” rispetto all’approccio che il CAI ha fatto suo e diffonde.”
Credo che sia chiaro, ma lo scrivo esplicitamente che la forma mentis che è l’anima e al spina dorsale del modello didattico del CAI è di tipo “alpinistico” vecchio stile (capitemi bene: come forma mentis, non come materiali o tecniche) e assolutamente “NON sportivo”.
Invece oggi il CAI non può premettersi di fare quel discorso, per il già citato collegamento “numero soci = importo finanziamenti pubblici”. Ergo abbiamo nelle nostre fila una massa crescente di cannibali, in genere consumisti e con approccio prettamente sportivo alla montagna. Finché non riusciremo a rompere il collegamento “numero soci = importo finanziamenti pubblici”, questo specifico problema non si risolverà.
A parte il problema interno al CAI, per le considerazioni generali io sono convinto che l’approccio sportivo sia come una moda e che fra circa 15-20 l’approccio sportivo sarà molto ridotto, quasi annullato. E’ un trend fisiologico, tale approccio e il relativo interesse economico che lo alimenta si trasferiranno ad altri ambiti, non sapere dire quali, forse alcuni da inventare del tutto. Quindi nel medio-lungo termine io sono ottimista: gli sportivi (=quelli con mentalità sportiva) si ridurranno e resteranno quelli con la mentalità “alpinistica” tradizionale. Purtroppo nel medio breve termine, non andrà così: assisteremo ancora a un prolungarsi di cospicui flussi di “sportivi”. Bisogna vedere se vincerà la “riminizzazione” degli sportivi di breve termine (trend che tende a distruggere le montagne e la bellezza emotiva di frequentarle) o se vincerà il trend di lungo periodo. Vedremo.
Tutto vero, purtroppo.
Mi trovo in valle del Brennero per una settimana scialpinistica. Era un po’ che non ci venivo. È stupendo! Fondovalle primaverile, oggi di più, cime ben innevate, birra al sole dopo ogni gita, itinerari per ogni gusto. Ma:
Parcheggi a pagamento, indicazioni ovunque (anche fuorvianti), bar ristoranti suggeriti da cartelli per la bauernmerende. Tutto organizzato, cazzo!
Come lo sci su pista, solo che la fatica della salita resta, almeno quella. Assieme alle valanghe appese a ogni pendio.
La cosa più triste è che tutti sono contenti.
L’alzatacco , comunque, non serve MAI!
E anche sottilmente feroce e ironico..
Bello, bello, bello. Genera riflessione.