Pitting

Pitting
di Giampaolo Mocci
(già pubblicato su http://giampaolomocci.atmagazine.it/articles/10.html il 19 aprile 2017)

Primavera inoltrata ed estate alle porte, sono un chiaro segnale di belle giornate e di scalate con vista mare. Il periodo è quello ideale, non troppo caldo col giusto sole per la prima tintarella, attaccati ad una delle tante vie che si snodano sulle scogliere.
Noi climber siamo sempre stati attratti dalle falesie a picco sul mare del nostro “belpaese”, o in qualche isola dell’Egeo, oppure in una qualsiasi altra parte esotica del mondo dove il tema ricorrente è sempre lo stesso: vacanza con parete attrezzata vista mare.
Ma… c’è sempre un ma.
In questi ultimi anni sempre più spesso si legge qua e là di protezioni che cedono a causa dell’erosione per pitting. Questo mostro infimo, che agisce mestamente e subdolamente dando miseri segnali della sua presenza e in più percettibili solo a occhi attenti ed esperti.

Pitting

Ancora poco è stato fatto per affrontare la questione e vista l’enorme quantità di itinerari soggetti al problema, non sarà una situazione che ci si lascerà alle spalle tanto presto. Molte le iniziative di richiodatura, di aggiunta del terzo punto in sosta, dell’utilizzo dell’acciaio 316L, di protezioni in titanio (rare, visto il costo esorbitante) e/o dell’indicazione della data di chiodatura o ripristino alla base della stessa. Tutti buoni interventi, ma questo argomento meriterebbe sicuramente attenzioni ben più accurate e soprattutto non basta qualche articolo sul web, o qualche presa di posizione radicale come quella prospettata da qualche climber che proponeva la chiusura delle aree esposte al problema.
Personalmente non ho mai ritenuto la “chiusura”, in senso generale, una buona forma di tutela, inoltre creare un precedente di questo tipo significherebbe aprire la strada a tante altre “chiusure”, sfruttando ogni possibile piglio sulla sicurezza di uno sport che si pratica in luoghi per natura insicuri e pericolosi per tanti motivi.

Manovra in sosta

Sì… perché è così, l’arrampicata è uno sport pericoloso che si pratica in luoghi ad alto rischio, anche se, per molteplici motivazioni si evita di ricordarlo.
Le recentissime evoluzioni del mondo dell’arrampicata sportiva, con il continuo aumento dei praticanti che provengono da sempre più numerose palestre, vogliono questa attività sicura e protetta da tutti i pericoli, volendo in tutti i modi traslare la situazione di zona di conforto che si respira in sala boulder, anche in falesia. Tutto questo è pura utopia e presto o tardi bisognerà farci i conti. Prima che qualche legislatore zelante e senza la giusta conoscenza di questo ambiente metta in atto norme, dettate da buoni propositi, ma come al solito dalla dubbia pertinenza col contesto.
Personalmente sono convinto che attendere non serva a niente, i tempi non saranno mai maturi e poi quale maturità serve e soprattutto di chi? Ciò che è veramente importante è avviare processi e discussioni atti a una rinnovata presa di coscienza. Quindi cosa fare per dare un contributo che possa essere d’aiuto in un contesto così variegato e particolare?

Un caro amico che si dedica al volontariato in modo “non convenzionale” mi ripete spesso: regalare un pesce a un affamato soddisferà la necessità di quel momento, ma insegnargli a pescare potrà allontanare la fame per sempre. Partendo da questo semplice concetto che non si può non condividere, ho realizzato un breve tutorial che spiega cos’è, come e dove si sviluppa l’erosione per “pitting”.
L’idea e lo scopo di questo video è di rendere disponibile un documento che fornisca informazioni utili a formare quelle conoscenze necessarie per imparare a riconoscere gli effetti di questa annosa problematica, magari come step iniziale di approfondimenti personali futuri.

Tutorial

 Volutamente in questo contesto, pur avendo ovviamente una personale opinione sulla questione, non voglio esplicitarla per evitare di condizionare e distogliere l’attenzione sui punti che ritengo fondamentali.
Bisogna ri-imparare a tutelarsi, ri-partendo dalla conoscenza e dalla capacità di gestire le situazioni critiche in falesia col giusto grado di autonomia. Atteggiamento e comportamento che è stata la norma in passato, ma che col tempo si è persa facendo più affidamento sui materiali e sull’amico esperto che predispone e controlla l’ambiente in cui ci si muove.
A completezza dell’informazione oltre al pitting, nel tutorial vengono descritte due importanti manovre, utili sia nello specifico della questione che si sta trattando che in tante altre situazioni, ma che in ogni caso risultano importanti per innalzare il livello di sicurezza in tutte quelle circostanze che l’arrampicatore lo riterrà necessario.
Nella scalata, affrontare le paure sta alla base di tutto, i pericoli fanno paura ma non è ignorandoli o delegando altri al loro controllo che si allontanano: riconoscerli e imparare a gestirli è l’unico modo per non essere colti di sorpresa e/o travolti.
Buone scalate a tutti, sempre e comunque.

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Pitting ultima modifica: 2017-06-25T05:35:31+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Pitting”

  1. Magari stiamo aiutando Mamma Natura fornendole dei nuovi sistemi di selezione di massa: le persone che vanno in falesia e su vie “sicure” sono enormemente più numerosi di quelli che scalano senza spit. Se la Mamma approfitta con un pò di inquinamento, acidi e salì no buoni…

  2. Un bel lavoro, utile a spiegare il problema e ben fatto. Molto interessante la manovra con il machard ma non credo rappresenti una vera soluzione, nel senso che se la sosta è talmente conciata da rompersi, probabilmente gli spit che stanno sotto non staranno molto meglio; anzi essendo più bassi, cioè più vicini alla fonte di ioni cloro (il mare) è probabile che siano conciati anche peggio: il risultato più probabile secondo me sarà una “sbottonata” fino a terra. Certo l’energia persa rompendo un certo numero di ancoraggi intermedi mi rallenterà e quindi c’è la speranza di un atterraggio meno traumatico, quindi la manovra suggerita è sicuramente consigliabile ma non certo risolutiva.
    Mi poi permetto alcuni appunti ingegneristici.
    Il primo è che il fenomeno del pitting sull’acciaio inox dipende dalla prolungata presenza di uno strato di acqua sull’acciaio con ioni Cl in soluzione, ma non dipende dal tipo di roccia tanto che si presenta normalmente anche su acciaio non a contatto con la roccia. Questo per dire che il fenomeno è relativo solo a luoghi in cui la presenza contemporanea di acqua e atmosfera salina è frequente: in pratica le falesie a pochi metri dal mare. Ritengo che su una parete di 300 metri che parte dall’acqua, il fenomeno potrà riguardare i primi 100 metri.
    La seconda sottolineatura, secondo me mai abbastanza ricordata perché importante in molte altre situazioni, è che la manovra della moulinette sollecita la sosta con una forza che è almeno il doppio della discesa in corda doppia, quindi aumenta moltissimo le possibilità di rottura. Nel tutorial Giampaolo si appende a un fittone della sosta e non succede nulla, poi si fa calare insistendo su due fittoni e questi si rompono: è una buona simulazione di ciò che potrebbe avvenire. Avesse fatto una doppia probabilmente non sarebbe successo nulla; avesse fatto una doppia, dicendo al socio di tenere in sicurezza la corda e con il machard su questa avrebbe davvero diminuito i rischi (ma sempre però con il dubbio della tenuta residua degli ancoraggi intermedi).
    L’ultimo appunto è solo semantico: la traduzione in italiano di pitting è “vaiolatura”

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