Più montagna per pochi – 1 (1-2)
di Carlo Crovella, 8 settembre 2019
a) Come selezionare l’accesso “consapevole” ai monti
C’è troppa gente in montagna, ormai è indiscutibile. Basta guardare il Monte Rosa nei periodi di punta: maggio-giugno per lo scialpinismo, luglio-agosto per l’alpinismo. Intere carovane in fila, un piede dietro e l’altro avanti. Il fenomeno è esteso a tutte le Alpi, probabilmente a tutte le montagne del mondo, compreso l’Everest. Ma io limito queste mie considerazioni all’arco alpino.
Troppa gente in montagna, dicevo. E’ un concetto quantitativo, ma anche qualitativo. Ci sono moltissimi che non sanno “andare” in montagna, non hanno la testa giusta. Non è una questione di capacità tecnica, di quale grado fai arrampicando o quanto forte vai in salita. E’ una questione di mentalità, anzi di forma mentis.
Recupero un termine utilizzato nel lessico famigliare in cui sono cresciuto. In montagna, oggi, ci sono troppi “cannibali”. E’ una definizione che cozza con la dittatura imperante del politically correct, ma è la realtà. Non stupisca l’utilizzo da parte mia di termini anche così sprezzanti: il tutto va contestualizzato con i tempi. Ricordo che nel libro, proprio intitolato Lessico Famigliare, Natalia Ginzburg raccontava che suo padre, stimato professore universitario e appassionato di escursioni in montagna, ripeteva ai figli che, sui monti, non si dovevano fare “cose da negri”, intendendo stupidaggini, cose insensate e non consone all’ambiente. La famiglia Levi (il cognome da ragazza di Natalia), ebrea e antifascista, non poteva certo essere accusata di razzismo. La stessa Natalia, in età adulta, fu parlamentare fra le file del PCI, seppur come indipendente. Insomma una famiglia antifascista e di sinistra, caratteristiche però, che negli anni ’20 e ’30 (circa) non impedivano l’utilizzo della locuzione “cose da negri”.
Non mi rammarico, quindi, se nella mia famiglia di origine si utilizzasse il termine “cannibali” per indicare uno che “non sa comportarsi a dovere”. Il tutto riferito all’andare in montagna, non a un pranzo di gala con la Regina Elisabetta. Però immaginatevi un cannibale, con tanto di osso che gli trafora il naso, portato al party di Buckingham Palace e capirete il contrasto: i valletti in livrea, il protocollo reale, la regina che parla con le labbra strette e il cannibale che mangia con le mani, rutta, si pulisce il naso con il dito. Focalizzata l’immagine? Ecco ora trasportatela metaforicamente in montagna e capirete chi sono i cannibali dell’alpe: quelli che si comportano in dissonanza con le leggi della montagna, che poi sono le leggi della Natura.
Non è una valutazione tecnica o atletica, dicevo: anzi, molti cannibali sono fortissimi, arrampicano sull’8c, salgono stalattiti strapiombanti, corrono in salita per 2500 m di dislivello e sciano in canali a 55 gradi. Ma la testa che hanno resta quella dei cannibali. Altri cannibali non sono invece particolarmente dotati: questo per sottolineare che l’essere cannibale è una caratteristica trasversale alle fasce di frequentatori della montagna.
Sia chiaro: non mi preoccupo per la loro incolumità, non apro neppure questo discorso. Quindi la mia avversione verso i cannibali non è perché rischiano di morire come mosche. E’ oggettivo: i cannibali si avvicinano più facilmente al punto di non ritorno, proprio perché “non capiscono” le leggi della montagna e quindi non identificano i limiti della sopravvivenza. Ma non sono affezionato ai cannibali: non dico che gioisco in caso di loro scomparsa, ma sicuramente non mi straccio le vesti.
Piuttosto mi preoccupo del fatto che troppi cannibali stiano producendo profondi danni, sintetizzabili in due filoni principali: i danni all’ambiente alpino (decisamente stressato dall’abbondanza di frequentatori, specie se cannibali) e i danni ai “non cannibali”, in termini di fastidio e disagi a carico di questi ultimi.
Tempo fa, durante un dibattito sul tema, alcuni miei interlocutori (decisamente più giovani di me e questo potrebbe essere determinante per la comprendere le diverse visioni) sostenevano che l’esplosione delle numerose attività praticabili in montagna (dall’alpinismo alla MTB, dallo sci al canyoning, dalle carovane accompagnate alle varie gare) sia un valore positivo, in termini di maggior estensione del diritto di godere delle montagne.
“Più montagna per tutti” sintetizzavano così la loro posizione.
Il mio istinto mi ha spinto su posizioni diametralmente opposte. Ne è nato un parapiglia dialettico. Ma sul momento non riuscivo a focalizzare con lucidità le motivazioni della mia scelta ideologica, battibeccavo con gli interlocutori spinto più che altro dal mio innato animus pugnandi.
Poi ho riflettuto a lungo sul tema, per molti mesi ho covato le idee, le ho sottoposte a revisioni interne, finché ho deciso di renderle note, sintetizzandole così:
“Più montagna per pochi”. Voglio dire: più spazio alpino a disposizione di meno individui. Meno effetto gregge, meno folla, meno disagi uguale più piacere per i non cannibali.
Andiamo con ordine e ripartiamo dal principio: c’è troppa gente in montagna. Innanzi tutto è un concetto quantitativo. Lo stesso Messner disse qualche anno fa che il Cervino a fine stagione è “una montagna che puzza”. L’intensa frequentazione provoca effetti collaterali: urina, escrementi, vomito, avanzi di cibo. Li si incontra a fianco della via o poco più in là. Un gabinetto a cielo aperto, ecco come si riduce il Cervino nel corso dell’estate. Ci vorrà un intero inverno perché la natura lo ripulisca. Poi ci sono i residui non smaltibili in modo naturale: attrezzatura rotta o abbandonata, capi di abbigliamento, bombolette dei fornelletti, ecc. Ho citato il Cervino agganciandomi all’affermazione di Messner, ma l’analisi impietosa riguarda tutte le montagne. Le principali almeno. Certo esistono ancora valloni isolati, rifugi lontanissimi, ghiacciai senza quasi anima viva. Anzi personalmente mi piace avventurarmi in questi territori poco battuti, ma si riducono anno dopo anno e, in ogni caso, le montagne più alla ribalta sono anche le più “belle” e disturba che la loro fruizione possa essere sminuita o danneggiata dall’affollamento.
Oltre a un discorso quantitativo, ce n’è uno qualitativo. Quello dei cannibali. L’effetto deflagrante è la combinazione fra i due elementi: in montagna ci sono tanti individui e tantissimi di loro sono cannibali. Non necessariamente i cannibali sono imbranati, anzi. Torniamo al Cervino, per salire il quale un alpinista deve disporre di una certa capacità: non stiamo parlando della passeggiatina fuori porta. Abbiamo detto, partendo da Messner, che tanta gente in assoluto significa tanti escrementi lungo la via. Già questo è un effetto negativo, ma la cosa peggiore è che quegli escrementi in gran parte derivano dai cannibali: persone che ti superano pestando le tue mani con i loro piedi, salvo scivolare pochi metri dopo averti superato. In tal modo mettono a rischio la tua incolumità e, anche se non capita così, ti trovi poi impegnato nell’assistenza, cosa che magari ti fa rinunciare alla vetta. Oppure devi dormire di coltello per l’eccessiva affluenza: poi a colazione ti guardi in giro, in capanna, e non vedi altro che cannibali. Zainetti da merenda al parco, scarpettine da pista di ballo, leggins da struscio in centro, giacchette da gagà al caffè. Per cercare di ottundere il frastuono e il vocio, inizi a calcolare quanti di questi cannibali avranno problemi o forse addirittura ci resteranno secchi. Per intanto la montagna la “sporcano”, sia in senso diretto che figurato. Con che diritto?
Il fenomeno è trasversale a qualsiasi rifugio, almeno di quelli grandi, dal Bianco al Rosa, dal Delfinato all’Oberland. Pur non frequentando da un po’ le Dolomiti, gli amici mi confermano che anche là si avvertono fenomeni analoghi: grovigli umani alle soste, code di ore alle doppie, gente che ti arrampica sulle mani e così via…
Un passo in più: la caratteristica determinante del cannibale moderno è la mentalità “sportiva”. Attenzione, non intendo questo concetto in termini atletici (alcuni corrono come diavoli, oppure superano strapiombi su un dito solo o sciano in canali ghiacciati a 55 gradi, però non sono tutti così), ma come concezione dell’attività. Intendo dire che il cannibale moderno concepisce l’andare in montagna come uno sport. Come un qualsiasi altro sport. Quindi ragiona riferito alla montagna come si ragiona praticando un qualsiasi sport: dopo la partita di tennis, faccio la doccia calda negli spogliatoi; se corro al parco, trovo un chiosco dove rifugiarmi in caso di maltempo; sulle piste da sci c’è l’assistenza garantita in caso di infortunio (ultimamente ti costringono a pagare l’assicurazione insieme allo skipass). Questo intendo per approccio sportivo: è un concetto che può inglobare, ma non necessariamente, la prestazione atletica. Ho visto cannibali anche non atletici, ma sempre cannibali restano.
Poco tempo fa proprio su questo Blog si è sviluppato un dibattito in merito ad un nuovo bivacco posto su una vetta della Val di Susa, un cocuzzolone erboso-detritico di 2900 m circa. Se innevato costituisce una classicissima scialpinistica. Non ci vuole Messner per realizzarla. Ebbene, nell’ambito di quel dibattito, è emerso che qualcuno era favorevole all’esistenza del bivacco in vetta perché così, anche in caso di vento gelido, si potevano togliere le pelli con tranquillità e magari anche fare delle foto…
Ecco questo è un approccio tipico del cannibale moderno non necessariamente top climber. L’affermazione deriva proprio dalla concezione “sportiva”: se corro al parco, ho un bar dove rintanarmi al calduccio. Trasmigrando lo stesso approccio alla montagna, reputo naturale, ovvio, anzi addirittura irrinunciabile che io possa trovare in cima un cantuccio dove riposarmi e scaldarmi. E’ questo approccio che è sbagliato e che fa male alla montagna. Montagna intesa come insieme di montagne, ma anche come insieme di “veri” appassionati della montagna.
Una verità di cui sono sempre stato convinto, ma a maggior ragione negli ultimi anni di fronte al proliferare dei cannibali moderni, è che andare in montagna non è uno sport, ma un’attività, forse addirittura una scelta di vita.
L’approccio “sportivo” (e quindi cannibalesco) alla montagna è stato notevolmente facilitato dal recente sostegno tecnologico: GPS, smartphone, relazioni scaricabili, altimetro incorporato e chi più ne ha più ne metta (compresi i bivacchi in vetta, gli integratori, i motorini delle e-bike) consentono di saltare la barriera della natura, per cui – senza doping tecnologico – molti “sportivi”, di fronte alla durezza della montagna, alla fin fine andrebbero a correre al parco e lascerebbero stare le montagne. Ecco la mia idiosincrasia per la tecnologia: è un cavallo di Troia per consentire l’accesso ai monti anche a chi non è provvisto della corretta mentalità. In Germania hanno coniato il termine “smombies” (crasi fra smartphone e zombie) per indicare quei passanti che procedono barcollando in quanto ossessivamente concentrati sul loro telefono. I cannibali sono il corrispondente alpinistico degli smombie e spesso lo sono davvero in senso stretto: quante volte ho visto alpinisti barcollanti su creste affilate, solo perché interessati a scattare un selfie, magari da caricare in diretta sui social?
Se mettiamo a fuoco tutti questi concetti, allora capiamo davvero la differenza fra i due mondi e quanto i cannibali moderni siano deleteri per la montagna. In generale ci sono alcune attività (come andar per mare, l’esplorazione dei deserti, l’avventura in senso lato) che comprendono anche un risvolto sportivo (per arrivare in cima devo salire e quindi faticare…), ma il cui vero nocciolo ideologico è qualcosa di più profondo. E’ una questione esistenziale e culturale, prima che sportiva. E’ una scelta di vita: a volte mi spingo ad affermare che andare in montagna sia una vocazione, come il sacerdozio.
Torniamo all’oggi. Il punto è che siamo a un livello di inquinamento (sia fisico che ideologico) dei cannibali così intenso che dobbiamo intervenire per sfrondare le loro fila. Uhhhh! Sento già i fischi e le urla di protesta: “sei un dittatore della montagna, vuoi che sia riservata solo alla élite intellettuale, vuoi eliminare quelli che ti danno fastidio, ma che diritto hai?….” e così via.
So anche che le mie posizioni sono avversate dai soggetti che, in diversi risvolti, traggono vantaggio dalla crescita del numero di frequentatori: aziende produttrici, negozianti, tour operator, rifugisti, albergatori, ristoratori, Guide alpine, accompagnatori vari (MTB, canyoning, escursioni naturalistiche, ecc.) e non ultimo tutti coloro che sono felici di condividere le giornate in montagna con molti amici. I sostenitori della convivialità, io chiamo così questi ultimi.
In questi mesi ho anche riflettuto a fondo sui meccanismi che potrebbero creare una selezione fra i frequentatori della montagna. Li vedremo poco oltre, ma ora lasciatemi concludere un ragionamento sull’andar in montagna e il rapporto con gli altri esseri umani.
Ho già detto che andare in montagna non va considerato un semplice sport, ma una scelta di vita, non a caso mentre si cambia sport ogni tot anni, il “vero” andare in montagna si prolunga per tutta l’esistenza. Come tale è un’avventura individuale, è ipocrita negarlo. Con questo intendo che è un piacere condividere la gita con i propri amici, ma ciò che conta è la gita, non l’amicizia. Altrimenti la gita diventa un semplice pretesto per passare del tempo con gli amici, ma allora potremmo sostituire la gita con il gioco delle bocce o una partita a scopone scientifico. Questo modo di concepire strumentalmente la montagna è un altro risvolto dei cannibali: se la gita o le bocce sono la stessa cosa (perché ciò che conta è la compagnia degli amici) allora perché affollare le montagne? Lasciatele a chi le ama in quanto tali e riempite invece le bocciofile e gli agriturismi.
Che il problema del sovraffollamento esista in assoluto e non sia solo una mia fisima da “dittatore delle vette”, lo si evince dai diversi e un po’ abborracciati tentativi di contingentare l’afflusso. Il più eclatante è quello del refuge du Goûter lungo la più affollata delle vie normali francesi al Monte Bianco. Il sindaco in persona ha emesso un’ordinanza che permette l’accesso solo a chi dimostra la regolare prenotazione in rifugio. All’uscita del trenino, al Nid d’Aigle, i gendarmi (la Brigade Blanche) effettuano i controlli e non lasciano passare chi non ha la prenotazione. In più è prevista un’ammenda (pare addirittura di 300.000 euro) per chi pone le tende sul ghiacciaio. Roba che il nostro famigerato Decreto Sicurezza bis risulta uno scherzo da ragazzi.
Ebbene questo tipo di regolamentazione del flusso non incontra la mia approvazione. Non è così che si fa la selezione giusta, o meglio non è così che si fa la selezione che piace a me. In tal modo infatti viene realizzata una selezione economica (la mezza pensione in rifugio è molto “salata”) oppure in base alla capacità di smanettare (notizie di corridoio dicono che all’apertura delle prenotazioni on line del giugno scorso, tutti i posti dell’intera estate sono andati via in un battibaleno). Non è così che si disincentivano i cannibali.
Parallelamente non farei una selezione sulla capacità tecnica o atletica: in tal caso andrebbero in montagna solo i più bravi, mentre il mio obiettivo è cercare un criterio per consentire l’accesso ai monti ai veri appassionati, che spesso sono di livello intermedio.
Non mi convince neppure il modello sovietico (nel senso che fu adottato nell’URSS) della patente alpinistica, conseguita al termine di un corso più o meno lungo, con esame finale. Non mi convince perché la patente misura l’eventuale bagaglio di conoscenze tecniche (come si fa il tal nodo, come ci si lega, ecc.), ma non può valutare la passione, che per definizione è cosa immateriale. Inoltre la patente sarebbe appannaggio dei cannibali con preparazione elevata, ma sempre cannibali e spesso capaci di cambiare completamente sport ogni 4-5 anni.
Dopo diversi tentativi, al seguito di lunghe riflessioni, sono giunto a una conclusione più o meno fondata. Può darsi che abbia qualche risvolto poco chiaro o contradittorio, ma la vita non è perfetta. Ricordo che l’obiettivo è scremare l’accesso ai monti: per far ciò occorre riproporre un meccanismo di selezione naturale, togliendo tutte quelle facilitazioni (tecnologiche ma non solo) che consentono ai cannibali di cimentarsi sulle nostre vette. Vedremo nella prosecuzione della mia analisi il modello che ho cercato di costruire.
(continua)
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I cafoni in montagna ci sono sempre stati, non esistono i bei tempi passati in cui si era pochi e buoni. Come non è vero che in montagna ci andavano solo gli appassionati… Il problema è il sovraffollamento. Anche chi si storce il naso per la tanta gente che affolla e rumoreggia dovrebbe ricordarsi che anche lui probabilmente si è aggiunto a qualcuno che già c’era prima di lui. Ricordo negli anni 90 che per entrare in val San Nicolò per arrampicare significava scontrarsi con ” l’orso Bruno” che riteneva tutti quelli al di fuori del suo clan, degli intrusi non aventi diritto , eppure eravamo ancora in pochi in quelle zone… Credo che il problema del sovraffollamento non si risolva creando delle élite e i sistemi volti a ridurre il numero. Se le montagne più famose sono prese d’assalto dobbiamo forse parlare di colonizzazione e prenderne atto. Le vie normali del monte Bianco anni fa erano una frontiera,( ai tempi del rifugio cosmique inagibile era prassi dormire in tenda o negli igloo )oggi sono un luogo di pratica sportiva e confronto “controllato”con elementi naturali. Quindi come a una palestra possono accedere in tanti , pagando il biglietto sotto forma di prenotazione del rifugio o di guide alpine . Inutile lamentarsi della troppa gente, é l’effetto no limits.., riviste, pubblicazioni,manuali, marketing… Quello che occorre gestire è l’impatto antropico, l’inquinamento di varia natura. Come in qualsiasi luogo occorre mettere regole mirate alla preservazione e sanzioni per chi non le rispetta. Certamente contenere le infrastrutture entro limiti da stabilire.I veri amanti della montagna potranno frequentarla in luoghi e periodi meno affollati con la fondata speranza di trovarla pulita e silenziosa.
È un bene che ci siano opinioni diverse, addirittura opposte, perché così c’è vero dibattito. In queste due giornate di scambi piuttosto vivaci, questo blog ha dimostrato che è un bel luogo di incontro di persone che si interessano di montagna, anche se a diverso titolo. Questa constatazione mi pare la prima cosa da sottolineare. Per il resto, anche se apprezzo di cuore le manifestazioni di solidarietà e di comunanza di idee, rassicuro tutti che ho una pellaccia da rinoceronte tale per cui non patisco per nulla gli attacchi personali. Per deformazione professionale, poi, da molto tempo mi e’ capitato di partecipare a tavole rotonde e dibattiti dal vivo e quindi mi sono forgiato adeguatamente alle “tenzoni”. Pero’ gli interventi sbagliati nei toni mi irritano e questo non per gli attacchi personali, ma perché i toni sbagliati non contribuiscono alla crescita del dibattito. Chi poi mi taccia di assolutismo “leghista” (o similare) non comprende neppure che, così facendo, dimostra lui stesso di non saper accettare le idee diverse se non opposte alle sue. Non resta altro che attaccare perché non si hanno argomenti logici da contrapporre. Le mie tesi infastidiscono la platea media di oggi o, meglio, infastidisce il solo fatto che uno si sia preso la briga di dedicare giornate di lavoro alla stesura di articoli ben argomentati, investendo tempo a pensare, scrivere, rileggere, limare. Tutte caratteristiche sempre più rare, non solo fra gli alpinisti. Chi invece si trova in assenza di argomenti, pensa di risolvere la questione lanciando le pietre. Ma io sono “goregno”: termine dialettale piemontese, pronuncia guregn, intraducibile in italiano. Avete mai provato a spezzare con le mani i rami dell’acacia? Legno fibroso, filamentoso, rognoso, non molla mai. Guregn, appunto
è giusto e fondamentale che ci siano opinioni diverse, opposte. Il confronto è giusto ed essenzile.
Quello che mi chiedo è se questo confronto non può essere fatto senza scadere nelle offese e nella totale mancanza di rispetto delle diverse opinioni come è stato fatto in questo intervento.
Con riferimento al commento 32, sappi, Carlo, che hai la mia solidarietà. E la mia stima.
Caro Carlo Crovella,
i cannibali sono sempre gli altri vero? Ciascun individuo nella massa vorrebbe che gli altri sparissero. Sei semplicemente come tutti, gli altri, e perciò cannibale allo stesso modo degli altri.
Hai il meccanismo mentale comune dei leghisti dei nostri tempi e magari ti senti anche fiero di te stesso e chissà se speri ad un rilancio della tua immagine per aver scritto queste cose, se è così buon per te. Ma questo tuo pensieruccio mediocre da frustrato fa ridere.
Mi consola solo il fatto che in montagna non ti incontrerò mai, quindi sdcrivi pure tutte le boiate che ti passano per la testa.
un abbraccio
“C’è troppa gente in montagna, ormai è indiscutibile. Basta guardare il Monte Rosa nei periodi di punta: maggio-giugno per lo scialpinismo, luglio-agosto per l’alpinismo”. E’ un po’ come dire: c’e’ troppo traffico in Liguria, basta guardare la A10 le domeniche sere d’estate.
Il problema e’ a mio parere molto diverso: c’e troppa gente su ALCUNE montagne o su alcuni itinerari in certi momenti dell’anno. E a guardar bene queste montagne sono quelle famose e/o con facili accessi.
“Il fenomeno è esteso a tutte le Alpi” mi sembra veramente una generalizzazione sbagliata. Ci sono valli e valloni “fuori moda” che non vedono accessi per stagioni intere. E anche su monti famosi ci sono itinerari che permettono di godersi la solitudine, anche in alta stagione. Il 18 agosto sulla normale al Bianco vedevo la coda. Sulla mia cresta senza nome a meno di un chilometro di distanza non abbiamo incontrato nessuno per 14 ore.
Allora secondo me il discorso e’ che c’e’ spazio per tutti la’ fuori, basta volerselo andare a cercare. Perche’ se pretendiamo di essere soli sulla normale francese al Bianco a ferragosto, allora stiamo sbagliando noi. Se non siamo in grado di ritagliarci spazi di liberta’, lontano dalla fama di monti e itinerari, allora vuol dire che per noi e’ piu’ importante il nome del montagna che scaliamo (o dell’itinerario che saliamo) dello stesso fatto di essere in montagna.
Per Luca Revelli e Giambambo: stride il tono “scandalizzato” e sprezzante dei vostri commenti (come di altri commenti più o meno simili), perché ci sono diverse persone che invece condividono le considerazioni esposte (vedi commenti 27 e 29 della seconda parte).
Stride in particolare definirmi “quest’uomo”, visto che scrivo di montagna dai primi anni ’80 senza soluzioni di continuità, pubblicando libri e articoli sulle più importanti riviste del settore (non ultimo questo blog).
Questo tipo di superficialità di analisi è il primo sintomo di scarsa cultura di montagna e dell’annesso ambiente culturale e ideologico, prologo di quello che io definisco l’approccio “sportivo”, deleterio per il mondo della montagna.
Buona serata!
Non sono riuscito nemmeno a terminare questa prima parte, il vomito mi ha sopraffatto. La domanda è: quest’uomo parla seriamente o ha semplicemente scritto un articolo comico per suscitare l’ilarità di tutto noi?
L’autore dell’articolo, essendo un terrone, per definizione non può essere razzista. Mi piacerebbe incontrarlo su un tragitto dove tentasse di inibirmi il passaggio, per verificare se può corroborare con la forza fisica le sue argomentazioni alla Marchese del Grillo in sedicesimo.
Certo, nessuno di noi si vuole ammazzare in montagna. Come istruttore CAI non invito la gente a farsi del male.
Utilizzare gli strumenti SI ma dipende molto: come, dove e quanto. Perchè oltre a salvaguardare la nostra vita dobbiamo anche salvaguadare i luoghi in cui ci muoviamo.
Qualcuno mi ha detto che le discussioni e le polemiche che si fanno sono una guerra tra poveri. Io non credo affatto che sia così. Per il semplice fatto che quello che abbiamo intorno è una grande ricchezza.
Chi è il cannibale? Quello che supera prestando le mani oppure quello che ha una cordata più veloce al deretano e vuole tenere la posizione come se fosse in coda alla posta? Forse entrambi?
Dimentichiamo cosa è l’abbandono della montagna? Non considerate che dietro ogni guida alpina, dietro ogni gestore di rifugio, dietro ogni negozio di materiale tecnico c’è una famiglia e ci sono persone che non hanno abbandonato la montagna? Vivo quasi ai piedi del Cervino, in questi giorni le condizioni sono splendide e l’affollamento non c’è, se si cerca avventura e solitudine ci sono i tempi e gli spazi. Ma se vado sulla Tour ronde ad agosto posso pretendere di essere solo? O incontrare solo dei pari spirituali, monaci ed eremiti delle quote? Non si capisce bene quale sia l’intento dell’articolo. Per quanto riguarda il termine cannibali lo ricordo usato dalla buona borghesia subalpina, quelli della Sestriere degli Agnelli e della fiat, in disprezzo della classe operaia ed impiegatizia che negli anni ’70,’80 si permetteva qualche giornata sugli sci. Gente meno brava a sciare, talvolta pericolosa soprattutto per sé stessa e meno alla moda, gente con linguaggi più scurrili e popolani. Il termine cannibali era in definitiva usato da quelli su cui Villaggio ironizza nelle mitiche sequenze di Courmayeur. Contessa Serbelloni Mazzanti etc. Sono sinceramente stupito che esistano ancora ragionamenti di tal fatta. La lotta di classe del popolo è finita, vedo resistere imperterrita la lotta di classe
di chi si ritiene élite. E questo non mi piace.
Ci sono luoghi, cime e gruppi molto frequentati in particolari momenti dell’anno. Purtroppo c’è una forte concentrazione in alcuni posti che crea problemi. Nei miei primi anni di alpinismo “la fila” si faceva su moltissime vie e in moltissimi gruppi. Oggi c’è molta gente concentrata su alcune vie a spit comode, nelle falesie o in particolari zone o isole; fuori c’è molto meno gente di una volta, soprattutto dove gli avvicinamenti sono lunghi, le vie trad o la spittatura lunga. Gente poco corretta c’è sempre stata e sempre ci sarà. Non vedo come gli spit o altri dispositivi possano aver modificato la situazione. Ritengo doveroso utilizzare tutti gli strumenti possibili per salvaguardare la vita, salvo non cadere nell’illusione che i marchingegni possano sostituire la preparazione, la consapevolezza dei propri limiti etc. etc.
In ogni campo, sportivo e non, si utilizzano tranquillamente tutti i dispositivi possibili per ridurre il rischio. Mi chiedo perché in alpinismo no? Nella storia anche i grandi hanno utilizzato ciò che di meglio la tecnologia forniva ( corde, chiodi vestiario etc etc)
Vedo ragazzi e non, che si allenano duramente per chiudere progetti, per migliorarsi. Vedo persone che passano il tempo libero a spazzolare massi, ripristinare sentieri in disuso e accessi che altrimenti sarebbero invasi da spine e arbusti. Fanno qualche buco su qualche falesia, è vero; francamente non mi sembra gran danno anche perché le falesie adatte sono pochissime e soprattutto quando non utilizzate e curate in brevissimo tempo erbe, muschio ed edera coprono tutto.
In un periodo in cui demograficamente la popolazione è stabile, vedo molta più gente che fa attività outdoor; questo inevitabilmente crea maggiori problemi di convivenza e richiede molta più educazione e formazione.
Dino Marini
Evviva la montagna democratica dove tutti hanno il diritto di fare tutto in massima sicurezza.
Del resto è un dono che il creatore ci ha messo a disposizione e come tale lo dobbiamo sfruttare e sottomettere.
Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dire apertamente quello che pensa: c’è troppa gente in montagna che da fastidio. Bravo Crovella!
Ziofà Crovella quanto sei pesante. Più che animus pugnandi direi pugnettis
Ragazzi, qui bisogna accordarci sulla corretta definizione di “cannibale” della montagna. Altrimenti, parlando due linguaggi differenti, non riusciamo a comunicare: c’è chi dice A, ma l’ interlocutore intende B.
Chi è il “cannibale”? Lo sportivo del 7a oppure lo scalzacani che avanza intruppato nel gregge?
Talmente imbarazzante che non si sa se prenderlo sul serio, e polemizzare, o semplicemente sorridere ‘simpaticamente’ agli spigoli che derivano dall’’anzianità’ di servizio’
I cannibali di Crovella sono un po’ la summa di tutti i fantasmi del vero montagnard : i più’ bravi di noi ( quelli che ci superano in salita, che fanno l’8c o sciano sui pendii a 55 gradi ), ai quali non si tarderà’ a trovare difetti inammissibili ( non hanno la testa giusta, l’esperienza, la mentalità’ ), gli sportivi ( insomma, la montagna non e’ una palestra! ), la tecnologia ( la montagna bisogna sentirla! ). I cannibali sono destinati naturalmente all’incidente, ma come Crovella ci ricorda non ci si preoccupa, visto che infestano le montagne meglio la selezione naturale.
Attendiamo di sapere qual e’ l’ulteriore proposta per toglierceli di torno. Forse la costruzione sistematica di campi da bocce? Tornei di scopone scientifico?
Ma guarda te, tocca essere d’accordo con Fabio Bertoncelli!
No Diego, il problema non è che è facile stare lontani dalle masse, il problema è che le masse non stanno lontane da te.
La massa, i cannibali iniziano a frequentare alcuni posti (normale al Bianco, cime del Rosa, il Cervino), quindi si inizia a “facilitare” questi posti.
Poi dicono “che bello” e si spostano un po’ in qualche altro posto. Ma prima lo dicono agli amici e tra tutti si inizia a pretendere che anche questi altri posti siano facilitati. E che i primi lo siano di più.
E, lentamente ma inesorabilmente (forse) the shit is to the fan.
Io non credo che la gente in montagna sia molta di più e anzi ho il sospetto che in realtà in molti posti sia di meno. Ma è molta di più quella in fondovalle e che pretende di salire un po’ più in su, con strade, funivie, rifugi-albergo, ferrate, sentieri segnati, sicurezza e ristoranti
Lunga vita al cannibale che fa 8c e che ti arrampica sulle dita. Scommetto che nella seconda parte proporrai dei bei divieti (vietato l’uso del GPS, vietato l’uso del cellulare, etc., etc.) …
Ti assicuro che è ancora possibile stare lontani dalle masse, basta mettersi sul difficile (relazioni approssimative, avvicinamenti lunghi, gradi sostenuti, poche ripetizioni, etc.). Altrimenti, se non hai voglia di camminare o di metterti in gioco, accontentati di affollare, insieme agli altri cannibali, la parte di montagna accessibile a tutti.
No, Crovella non è infastidito dall’umanità. È infastidito dalla folla, dall’orda.
Può essere piacevole arrampicare con una cordata incontrata per caso sulla via: ci si conosce, si scambiano due parole, può nascere un’amicizia. È invece estremamente sgradevole – oltre che rischioso – arrampicare con dieci cordate incontrate sulla via: la poesia dell’ascensione viene spazzata via, l’avventura si trasforma in disavventura, e aumenta il rischio che uno scalzacane ti faccia precipitare una pietra in testa, con conseguente frattura del cranio e forse la morte.
Ecco che cosa teme Carlo.
Rispondo molto volentieri a questo articolo! Mi sento tirato in causa perché io sarei stato tra quei giovani che sintetizzavano la loro posizione con “più montagna per tutti”. La frequentazione della montagna porta degli indiscutibili benefici, allora perché non volere che più persone possibili godano di questi benefici? Sarebbe troppo semplice rispondere a tono parlando del fatto che questo articolo è elitario (più montagna per pochi, se non è elitarismo questo?). Sarebbe facile definire l’autore addirittura un Salvini della montagna. “Prima quelli con la forma mentis giusta”. Invece mi interessa tendere all’unità e non alla divisione!
Nonostante questa premessa non credo che questa sia una posizione elitaria, invece è l’espressione di un’attenzione ad un fenomeno, cioè l’aumento di persone che frequentano le montagne. Un’attenzione sana, giusta che esprime un punto di vista, secondo me sbagliato.
1. La montagna è uno spazio di libertà, e questo non bisogna mai dimenticarlo. Il bello della montagna è proprio questo, chiunque può andare in montagna e le sue motivazioni possono essere le più diverse: stare con gli amici, fare sport, pregare Dio, ascoltare il silenzio, faticare etc. etc. Benissimo! Buon per lui!
2. Il problema nasce se il suo comportamento è irrispettoso verso l’ambiente o verso le altre persone!
3. Il problema nasce se mette in pericolo sé stesso e gli altri per mancanza di preparazione. A me invece dispiace che ci siano più morti in montagna, accidenti se questo è un problema! E non sono tutti “cannibali”!
Per questi problemi è necessario pensare dei sistemi di gestione, non per limitare la libertà degli alpinisti, ma per il sacrosanto dovere di protezione della nostra cara montagna. Quindi sono molto curioso di sentire la tua proposta. Ovviamente è brutto sentire che per salire sul Bianco devi per forza prenotare al rifugio e se non lo fai multone, non penso sia la strada giusta, probabilmente avrebbero dovuto già anni fa porsi la questione di come gestire i flussi, questa è una misura drastica che arriva tardi e genera frustrazione. Ma il problema di gestione dei flussi lo vediamo oggi sul Bianco e sull’Everest, ma lo vedremo sempre di più su tutto il resto delle Alpi tra qualche anno. Bene che si parli di questi argomenti!
Si, il Crovella, e non solo lui, è infastidito dall’umanità. Lo poteva scrivere in una frase, senza ammantarlo di filosofia.
Dicesi “cannibale” di montagna chi (turista, escursionista, alpinista, ecc.) la frequenta ignorandone – o violandoli bellamente – i principi elementari di convivenza civile. Per esempio, chi urla, chi telefona in continuazione col cellulare, chi chiacchiera incessantemente senza rispetto per il vicino, chi disturba con schiamazzi quanti si stanno gustando in tranquillità il panorama dalla cima, chi canta in coro al rifugio sino a notte, chi si muove come pecora nel gregge, chi fa precipitare con menefreghismo i sassi sulle cordate sottostanti, ecc. ecc.
E pure, a mio giudizio, lo è chi si muove su itinerari superaffollati, come orda inconsapevole, mettendosi in fila in luglio e in agosto sulle vie normali del Gran Paradiso, Punta Gnifetti, Monte Bianco, ecc.
Ma perché non ci vanno invece a fine settembre o in ottobre, quando regna di nuovo la solitudine, quando la Cresta delle Bosses si riveste di tutto il suo splendore?
Ma perché in agosto non se ne vanno sulla Becca Rayette, sull’Aouille Tseucca, sulla Grande Sassiere, sulla Sengla, sui Dents de Bouquetins? Per conformismo.
Ecco, ancor piú di quanto scritto sopra, qual è l’essenza del “cannibale”: il conformismo. Il “cannibale” è un conformista che si muove in gregge: teme il silenzio e la solitudine.
Non mi pare che Carlo abbia in mente brevetti e selezioni e sicuramente l’educazione gioca un ruolo fondamentale.
Non mi pare nemmeno che Carlo stia demonizzando qualcuno, il punto della questione è un altro e, per similitudine (anche se con risvolti ben diversi), lo si può paragonare al fumo passivo.
Faccio parte di una generazione che ha visto la nebbia nei cinema degli anni settanta. Poi finalmente qualcuno si è svegliato e ha deciso che nei locali pubblici non si possa più fumare. All’estero sono ancora più intransigenti e in certi posti non si può fumare neanche all’aperto.
Ergo, ci sono persone, e non sono poche, le quali sono costrette a subire gli hobby altrui, hobby che spesso e volentieri inquinano l’ambiente e le nostre teste.
Aggiungo che si tratta di hobby i quali sono molto spesso, per non dire quasi sempre, nati in contesti diversi, magari in ambiente urbano e con connotazioni tipicamente urbane oppure anche in ambiente non urbano ma all’uopo modificato.
Il problema è che continuando a cannibalizzare sempre più spazio andrà a finire che per coloro i quali desiderano un ambiente vergine semplicemente per goderne i benefici non ci sarà più.. spazio.
Secondo me non è quindi solo una questione di educazione, perchè uno può anche essere un cannibale educato, ma una questione di sensibilità verso il bello, verso il naturale così com’è, anche con le sue difficoltà che non sempre e necessariamente devono essere superate.
Forse, anche se per un alpinista possono sembrare parole inascoltabili, può essere bello trovarsi di fronte a una parete inaccessibile e lasciarla per l’appunto inaccessibile, non è che per forza di cose la si debba superare.
Ma se vogliamo il sistema per dare un taglio al cannibalismo ci sarebbe e consisterebbe nel dare un taglio netto ai limiti oggi raggiungibili soltanto tramite la tecnologia.
Quando la Federazione di atletica leggera si accorse che il giavellotto, il disco e il martello rischiavano di finire addosso al pubblico perchè gli atleti lanciavano sempre più lontano, sono stati aumentati i pesi degli attrezzi, azzerando i precedenti record mondiali.
Voglio vedere quanta gente scalerebbe certe pareti se si smettessero di utilizzare gli spit o quanti si avventurerebbero in certi siti senza tutta un’attrezzatura tecnologica di supporto.
Ovviamente, non essendo l’alpinismo uno sport con regole ben precise, non si può pensare a una presa di posizione dall’alto, si può solo contare su una sensibilizzazione delle persone alle quali andrebbe insegnato che non conta tanto ciò che fai ma come la fai.
Forse sono anch’io un cannibale o forse no. La cosa che non riesco a capire è perchè si ‘demonizzino’ sempre le persone che hanno degli hobby e/o una visione diversa dalla propria. A me piace andare per rumeghi, fare avvicinamenti di ore per ritrovarmi su tiri con roccia di qualità dubbia… Altre volte, invece, preferisco fare poco avvicinamento e randare su spit.. Ma non è che la montagna mi piaccia meno nel secondo caso.. Come capisco mia mamma, che le piace fare passeggiate per rifugi. Siamo persone diverse, con gusti diversi, è tanto difficile accettarlo? Piú che brevetti e selezioni bisognerebbe imparare un po’ di educazione.
Il termine “cannibali”, in senso spregiativo, era in uso almeno sino alla fine degli anni Settanta e forse poco oltre. Carlo Crovella non se lo è inventato.
Da allora la parola si adopera assai di rado, ma i “cannibali” – del tutto inconsapevoli di se stessi – sono molto aumentati di numero.
sinceramente a vedere come orde di persone prendono d’assalto le rocce che vengono considerate e trattate alla stessa stregua di muri di resina, senza porsi nessuna altro motivazione se non quella di tirare prese, CANNIBALI mi sembra un termine fin troppo gentile.
Contrariamente ad altri che si sono già espressi trovo interessanti gli spunti di Carlo e azzeccato il termine “cannibali”.
Non ci resta che aspettare il seguito, inutile tirare le somme a metà del ragionamento.
Anche io attendo le conclusioni della seconda parte per tirare le somme ma per quanto lo spunto di partenza -il sovra affolamento in montagna- sia argomento attuale su cui ragionar, le prime considerazioni dell’articolo sono sideralente distanti dal mio pensiero.
Pronto a cambiare idea, ma l’esordio mi sembra a dir poco discutibile.
Forse i veri cannibali sono quelli: ” ai miei tempi caro Lei…..”
watch out for the stupid!
ho letto questo articolo, tutto! Anche se mi fa ridere, mi sto dando dell’idiota ancora adesso per averlo fatto. Non so chi sia il personaggio che l’ha scritto, ammetto l’ignoranza. Ma il senso di averlo pubblicato in questo blog quale sarebbe?Contribuire alla diffusione della stupidità e dar spazio agli stupidi? Oppure cosa??
Temo che il problema non sia risolvibile e non riguarda solo la montagna. Il cannibalismo è una forma mentis accentuata dalla quantità. Ad esempio non sopporto quanti camminando chiacchierano in continuazione, hanno tutto il diritto di farlo ma la magia del silenzio scompare. Il cannibale teme il silenzio, non lo cerca. Non resta che fuggire negli spazi residuali che ancora esistono e non solo in montagna. Una pedalata lungo il Po a novembre regala silenzi inimmaginabili. E il silenzio dunque.
Mah… io cambierei metafora, perché il povero cannibale “con tanto di osso che gli trafora il naso”, che a Buckingham Palace mangia con le mani e rutta, ha istintivamente tutta la mia simpatia.
Sono curioso di leggere il seguito.
fino a quando si costruiscono sempre più impianti di risalita, si realizzano più ferrate e i sentieri sono sempre più spianati e resi percorribili anche con i passeggini, in una parola si favorisce il turismo di massa, non ci si può poi lamentare se c’ è troppa gente impreparata in quota
sono curioso di leggere la conclusione dell’articolo, ma per ora le argomentazioni sono piuttosto flosce. così come l’identificazione del cannibale appare alquanto fumosa.
Io diminuirei darasticamente il numero di sentieri segnalati.Secondo me molti “cannibali” perderebbero gran parte dell’entusiasmo nel perdersi tra i monti cercando ometti traballanti
Basta abbassare il sistema del guadagno.
Elicotteri, soccorsi, guide, sentieri, cartellonistica, spa, rifugi-alberghi, anche solo le docce, spit dappertutto, …..
Impossibile che si cambi rotta finché tutta la gente non avrà potuto provare ciò che la attira, ci vorrebbe molta intelligenza nelle strutture strategiche di sviluppo sociale per scegliere altrimenti.