Più montagna per pochi – 2

Più montagna per pochi – 2 (2-2)
di Carlo Crovella, 8 settembre 2019

b) Il ruolo delle Guide
Nella prima parte della trattazione ho condotto l’analisi sui danni che produce l’eccesso di affollamento delle montagne, sottolineando che l’affollamento è un fenomeno quantitativo, ma anche qualitativo. Ci sono troppi “cannibali” in giro per i monti. Non mi dilungo a spiegare l’utilizzo del termine cannibale (rinvio alla prima parte) e affronto invece l’esposizione del modello che ho ipotizzato.

Partirei innanzi tutto dal ruolo delle Guide. Fatto salvo il principio che, purtroppo, esistono anche delle Guide cannibali (pochissime, ma le ho viste), in genere le Guide sono depositarie di un approccio rispettoso alla montagna e alle sue leggi. Spesso poi sono dei valligiani e quindi aggiungono anche l’affetto verso la propria terra. Ecco, ho pensato che le Guide dovrebbero avere uno spazio d’azione estremamente più ampio di quello attuale, funzionando implicitamente sia come vigili (cioè controllori dei propri clienti) che come educatori di chi vuol essere introdotto alla montagna.

Processione verso i ghiacciai del Monte Rosa

Mi spiego, ma devo partire un po’ da lontano. Qualche anni fa, in un affollatissimo rifugio del Rosa (3 turni per cenare!), capitammo in modo casuale allo stesso tavolo di una Guida. Chiacchierando del più e del meno, venne fuori che io ero un istruttore di scialpinismo. La Guida si lanciò in un’accesa invettiva contro le Scuole del CAI, in particolare quelle di scialpinismo (ma non solo), accusandole di fare concorrenza sleale alle Guide: in parole povere sosteneva che le Scuole “accompagnano” gente a costi inferiori di quelli delle Guide, perché gli istruttori sono volontarie quindi non remunerati. Lì per lì mi irritai moltissimo, ribattendo che si tratta di due segmenti completamente diversi: le Scuole – pensavo allora – sono frequentate da allievi che intendono imparare ad andare in montagna, non semplicemente essere accompagnati in sicurezza (attività legittimamente riconosciuta in esclusiva alle Guide). Ne nacque un acceso parapiglia verbale a tal punto che il rifugista, per separarci, ci spostò di tavolo.

Ebbene a distanza di qualche anno devo riconoscere che quella Guida aveva ragione nei contenuti (non nei toni). Le Scuole, in particolare di scialpinismo ma non solo (quindi anche di alpinismo, di arrampicata, di escursionismo, di canyoning, di MTB, ecc.) sono diventate il coacervo di chi vuol farsi accompagnare “in sicurezza” (locuzione chiave della nostra epoca, un vero tarlo dei nostri tempi) e cerca accompagnatori a costi inferiori di quelli delle Guide.

In parole povere sono rari i “veri” allievi, cioè coloro che si iscrivono per assimilare una forma mentis adatta a realizzare future gite private in sicurezza. La stragrande maggioranza degli attuali allievi sono “falsi” allievi, cioè cercano due obiettivi molto precisi: farsi accompagnare in sicurezza e trascorrere piacevoli giornate in compagnia di tante persone. La controprova è che la quasi totalità degli allievi realizza esclusivamente le gite ufficiali del corso: cioè pochissimi fanno gite private, magari inizialmente con persone più esperte, ma con l’obiettivo di crescere sia mentalmente sia come esperienza pratica. In soldoni: i falsi allievi partecipano a gite “organizzate” finché hanno la “cissa” (locuzione piemontese per “mania”, NdR) della montagna e quando tale cissa passa (perché hanno conosciuto altra gente, perché si sono innamorati, perché vengono spostati come sede di lavoro, ecc.) smettono completamente di fare montagna.

Evoluzione dell’umanità verso gli smombie

Ecco tutti questi falsi allievi dovrebbero rivolgersi obbligatoriamente alle Guide che, o a titolo diretto o organizzando dei corsi (ma, attenzione!, differenti dai corsi e dalle Scuole del CAI, vedremo poi perché) gestiscono chi, incuriosito, vuol provare cosa significa far gite in montagna. Non sto dicendo che tutte le Guide obbligatoriamente devono mettersi a organizzare corsi: le Guide che preferiscono, per attitudine personale, mantenere clientela diretta, saranno liberissime di farlo. Sto dicendo che la fase di iniziazione alla montagna non dovrebbe più essere appannaggio delle Scuole del CAI, ma dell’attività delle Guide. Ė un concetto semplicissimo, ma prevede una rivoluzione radicale rispetto all’attuale impostazione.

Le Guide potrebbero così vigilare sull’attività dei neofiti, impostandoli verso la giusta fruizione della montagna. In pratica si verrebbe a creare una selezione alla fonte o quanto meno nella fase iniziale: chi, fra i neofiti, si sentirà stretto e non si troverà a suo agio, abbandonerà le montagne e si dedicherà subito ad un altro sport. Le Guide avrebbero un bacino ancor maggiore per la loro attività.

Nelle Scuole è più complicato ipotizzare un meccanismo analogo per la selezione iniziale, perché le attuali Scuole vivono sulla convivialità, sulla (sbandierata) amicizia, sul vogliamoci tutti bene e più siamo e più ci divertiamo.

Affollamento in vetta al Gran Paradiso

c) La finalità delle Scuole
Già, le Scuole del CAI: che potranno fare, allora? Semplice: devono tornare alla loro funzione originaria: dovranno dedicarsi solo ai “veri” allievi, cioè a persone che sono, per loro conto, motivate ad apprendere come si va in montagna senza Guide. Via tutti quelli che cercano “sicurezza”, compagnia, amicizia. Per carità: tutti concetti che devono esser presenti nell’attività delle Scuole, ma non come fine principale, bensì come corollari di ciò che si fa. L’obiettivo fondamentale è: da fratello maggiore, facendo gite insieme, ti insegno come vestirti, cosa mangiare, quando riposarti, come preparare lo zaino, cosa portarti, come dormire, e così via.

Come si evince immediatamente, le cose importanti non sono le manovre iper-perfette: vedremo invece che, da una ventina d’anni circa, il mondo delle Scuole ha preso una strada che lo sta chiudendo in una gabbia ideologica, prigioniero della maniacale ricerca delle perfezione nelle manovre.

Cercando dei riferimenti ideologico-concettuali per focalizzare la rinnovata finalità delle Scuole, mi sono tornati in mente i due punti cardini della mia esperienza personale.

Gran Paradiso: affollamento sul mauvais pas verso la Madonnina. Foto: Paolo Effe.

Il primo è costituito dall’impostazione di Massimo Mila (accademico torinese ed anche appassionato scialpinista), secondo il quale l’alpinismo è una delle poche attività umane in cui si fondono insieme pensiero e azione. Mi piace molto questo principio. Io interpreto il riferimento di Mila all’alpinismo come andare in montagna in tutte le sue accezioni (con o senza sci, su roccia, ghiaccio, sentieri…) e lo declino (didatticamente) in questo modo: a casa leggo, mi istruisco, conosco le montagne in ogni loro versante, consulto cartine e memorizzo dati, nomi, percorsi, punti critici; poi vado sul terreno e realizzo la gita, l’ascensione, la traversata o quel che è; camminando mi guardo intorno, scorgo una cresta, un vallone, una parete e ciò suscita la mia curiosità; tornato a casa, consulto libri, guide, cartine per capire di che si tratta e così facendo innesco in me un nuovo desiderio che alimenterà una successiva azione. Questo approccio, che con un “dai e vai” continuo dura per tutta la vita, è l’esatto opposto dell’approccio sportivo e cannibalesco.

Il secondo riferimento ideologico per la finalità delle Scuole è costituito da un concetto di Primo Levi (scrittore torinese con discreta frequentazione dei monti): la “carne dell’orso”. Non mi dilungo ora nel descrivere tale concetto (rimando all’articolo uscito su questo Blog il 31 luglio 2019: https://gognablog.sherpa-gate.com/levi-le-alpi-e-la-liberta-di-sbagliare/).

Levi dipinge un approccio che è l’opposto di quanto oggi ricercato dai fautori della società sicuritaria e deresponsabilizzante. Riferendosi alla carne dell’orso, Levi scrive: «Ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino».

Capite che c’è un fortissimo contrasto fra questo approccio e chi desidera il bivacco in vetta per ripararsi in caso di vento gelido o l’app che ti ritrova ovunque tu sia finito. Il concetto di Levi non ha nulla a che fare con la difficoltà, cioè non si assaggia la carne dell’orso solo sulla Nord delle Jorasses. Anche una normalissima scialpinistica di medio impegno può essere terreno per vivere la montagna in modo più naturale e assolutamente non “sportivo” (nell’accezione che io do a questo termine).

Groviglio in vetta. Foto: Carlo Crovella

Temo che nessuna Scuola al giorno d’oggi insegni queste due cose, cioè le eredità concettuali di Mila e di Levi. Spero di sbagliarmi, ma, ammesso che esistano delle eccezioni, saranno davvero limitatissime. Purtroppo le Scuole, oggi come oggi, si sono ridotte a svolgere il ruolo di contenitori social-ricreativi per offrire “compagnia” (non necessariamente in senso pruriginoso) e accompagnare a far gite in sicurezza.

Occorre quindi che le Scuole cambino radicalmente. Oltre che nella mentalità e nella finalità, sono necessarie anche altre mutazioni. Innanzi tutto nelle dimensioni. Le Scuole si devono ridurre a numeri piuttosto contenuti. L’organico istruttori non dovrebbe eccedere mai i 20-25 nomi, con una presenza media di 15. Gli allievi dovrebbero essere limitati al numero che deriva dal moltiplicatore previsto (3 allievi per ogni istruttore nelle gite scialpinistiche, 2 allievi per ogni istruttore nelle gite alpinistiche o scialpinistiche su ghiacciaio e con difficoltà alpinistiche). Di conseguenza: 15 istruttori presenti convivono con un massimo di 45 allievi nelle uscite scialpinistiche ed un massimo di 30 allievi nelle uscite su terreni alpinistici.

In altri termini il gruppo complessivo di una scuola non dovrebbe eccedere le 50-60 unità totali. Può far ridere che io ora mi sia dilungato su questo risvolto, ma spiego il perché. Io sono nato e cresciuto (fino a dirigerla) nella Scuola di scialpinismo della SUCAI Torino proprio nel periodo del suo massimo storico dimensionale: 4 pullman da 50 più alcune auto (per una media di 215-220 persone) nelle gite invernali e circa 150 partecipanti nelle gite primaverili in rifugio e su ghiacciaio. Non rinnego affatto quei periodi (ne sono letteralmente figlio, prima ancora che padre), ma sottolineo che allora era diverso, la frequentazione della montagna in generale era molto meno intensa. Oggi già un gruppo di 100 persone è un fattore inquinante, sia in senso diretto che metaforico (cioè a carico degli altri individui contemporaneamente presenti in gita). Occorre limitare moltissimo il numero dei partecipanti, contenendoli, come ho spiegato, entro le 50 unità. Se poi esistono già scuole più piccole per loro natura, ben vengano: l’importante è non eccedere i limiti descritti.

Un altro cambiamento viscerale che le Scuole dovrebbero affrontare è quello inerente al contenuto dell’insegnamento. Per rispondere ai due riferimenti ideologici che ho citato poco sopra (Mila e Levi) bisogna che il mondo delle Scuole abbandoni in modo significativo l’attuale tendenza alla ricerca parossistica della perfezione nelle manovre. Un po’ di manovre di base sono certamente necessarie, ma la piega che si è presa da qualche tempo (all’incirca una ventina di anni) sta snaturando la finalità didattica. Innanzi tutto le manovre cambiano ogni anno e spesso si torna alla versione di qualche anno fa: tutto ciò crea disorientamento didattico, non miglioramento. Inoltre le manovre sono diventate talmente “perfette” che sono oramai complicatissime e inapplicabili all’atto pratico, pena tempistiche che non sono coerenti con i tempi della montagna. Qualche mese fa ho partecipato a un aggiornamento istruttori dove ho appreso che per legarsi in cordata, secondo le ultime direttive, occorre una smisurata quantità di materiale (cordini, cordinetti, moschettoni, moschettoncini…) da utilizzare in una procedura talmente astrusa che, se immagino di doverlo fare fuori dal rifugio al buio con due allievi che non sono avvezzi (e quindi li devo legare io), impiego più di un’ora per l’operazione. Metteteci in più che magari abbiamo i ramponi ai piedi e che, nell’angusto spazio fuori dal rifugi, ci sono altre cordate impegnate nella stessa operazione: un’ora scappa con facilità. Ebbene quell’ora è persa, la montagna non te la restituisce nella sua evoluzione diurna (rialzo della temperatura, ecc.): per cui o ti alzi un’ora prima, perdendo un’ora di sonno, o parti dal rifugio che sei già in ritardo rispetto ai tempi fisiologici della montagna. Il rispetto dei tempi è uno degli assiomi fondamentali di un altro mio pensatore di riferimento, Gaston Rébuffat, colui che, guarda caso, coniò il concetto dell’ “apprenti montagnard” cui è stato dedicato un articolo su questo Blog (https://gognablog.sherpa-gate.com/lapprendi-montagnard-di-rebuffat/).

Una qualsiasi scuola di scialpinismo su una qualsiasi vetta. Foto: Carlo Crovella

A scrivere queste cose sulle Scuole non faccio altro che scoprire l’acqua calda, cioè mi imbatto in concetti che alpinisti e istruttori molto più importanti di me hanno elaborato moltissimo tempo fa. Giusto Gervasutti (che, oltre ad essere un alpinista di punta, fondò e diresse la Suola di alpinismo Boccalatte del CAI Torino), perfezionò la sintesi dell’attività didattica in montagna: “La Scuola si prefigge lo scopo di fornire ai giovani le basi di un sicuro indirizzo tecnico e spirituale ed educarne la naturale inclinazione, affinché possano praticare, preparati e coscienti, l’alpinismo accademico in ogni sua forma”.

Non c’è nulla da aggiungere.

Queste parole, scritte verso la fine degli anni ’30 del ‘900, sono quanto di più attuale possa esistere ancor oggi come faro di riferimento per il riordino ideologico del mondo delle Scuole.

Ė evidente che le “nuove” Scuole, come ho cercato di descriverle nelle righe soprastanti, non possono generare cannibali, anche volendolo, perché una loro impostazione del genere educherebbe a un approccio maturo, consapevole e sicuramente “non sportivo”. Guardate invece gli spazi web di molte Scuole attuali: dopo ogni uscita vengono scaricate valanghe di foto. In genere si tratta di foto che immortalano i partecipanti: in gruppo, da soli, con facce strane, smorfie, dita a V per vittoria, quello che fa le corna sulla testa del vicino, la bella ragazza con la tutina attillata. Mai una foto di montagne, di creste, di pareti, di valloni, percorsi o da percorrere la prossima volta. Solo foto di persone: potrebbero essere in un agriturismo, in una discoteca, in una bocciofila. Tutti sempre che ridono, allegri, schiamazzanti: insomma sono prossimi cannibali, non prossimi alpinisti maturi e consapevoli. Queste scuole incentrate sulla convivialità, sulla ricreazione, sull’importanza di essere tanti e sempre felici, io le chiamo le “Scuole Club Med”. E’ una definizione un filo caustica, ma rende bene l’idea. Gli istruttori sono come gli animatori del Club Med: non vedete che contrasto con le parole di Gervasutti? Infatti se le Scuole sono piene di “falsi” allievi, significa che gran parte degli istruttori sono dei “falsi” istruttori: non ricoprono il ruolo coerente con la finalità didattica espressa da Gervasutti, ma sono delle macchinette che, oltre a garantire l’intrattenimento, ripetono manovre e procedure decise da altri. L’istruttore attuale, quello che piace tanto all’establishment della didattica ufficiale, può essere visto come un’alternativa a un tutorial su You Tube. Viceversa la vera essenza dell’andare in montagna non è (per fortuna!) ingabbiabile in un video.

Per tutti questi motivi, al momento mi sono completamente defilato dall’impegno attivo nella didattica: non mi interessa contribuire alla produzione di altri cannibali. Conduco la mia personale attività didattica come fosse un’attività politica che si esprime attraverso scritti, conferenze, prese di posizioni.

So che con queste mie idee susciterò molto clamore, ma sono convinto che il mondo della montagna vada risistemato e assottigliato nei numeri e nella tipologia dei frequentatori. L’obiettivo non è far piacere a me, ma invertire la rotta che sta provocando danni all’ambiente montano e ai “veri appassionati” di montagna.

Cartello stradale tedesco: smombie forbidden!

Riassumendo, in conclusione
C’è troppa gente in montagna, sia quantitativamente che qualitativamente.

Ci sono troppi “cannibali” e questo crea danni all’ambiente e danni ai “non cannibali”.

Nella scelta di meccanismi di selezione vanno scartati meccanismi economico-organizzativi, oppure di capacità tecnica o strumenti come le patenti sovietiche.

Il ruolo delle Guide dovrebbe assume maggior rilievo: chi vuole farsi accompagnare, dovrebbe obbligatoriamente appoggiarsi alle Guide che potranno così svolgere un’implicita funzione di vigili e di educatori dei loro clienti.

Le Scuole del CAI (o comunque tutte quelle incentrate su istruttori volontari) dovrebbero cambiare radicalmente. La finalità tornerebbe quella di insegnare come si va in montagna rivolgendosi solo ai “veri” allievi, cioè a chi è interessato a far gite private con cognizione di causa. Le linee guida delle Scuole dovrebbero avere due riferimenti base: il concetto di Mila (l’alpinismo è una delle poche attività umane in cui si fondono insieme pensiero e azione) e quello di Levi (liberi di sbagliare e padroni del proprio destino). Occorre snellire sensibilmente le dimensioni delle scuole e liberarle dall’attuale e soffocante gabbia ideologica delle manovre maniacalmente particolareggiate.

Il tutto inquadrato in un assioma di fondo: andare in montagna è una attività e non uno sport. Ė un’attività bellissima che, se correttamente impostata e alimentata, dura per tutta la vita, ma è un’attività che si svolge su terreni pericolosi, con frequenti disagi e possibili rischi anche mortali. Per cui è impossibile ingabbiare tale attività nei parametri soffocanti della società sicuritaria.

Se riusciamo a far prevalere questo principio, vedrete che tutti coloro che hanno un approccio “sportivo” si dissolveranno come neve al sole e si otterrà così l’obiettivo citato ad inizio articolo: “Più montagna per pochi”.

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Più montagna per pochi – 2 ultima modifica: 2019-10-01T05:44:44+02:00 da GognaBlog

114 pensieri su “Più montagna per pochi – 2”

  1. Dopo 2 anni di confinamento, ritengo che  in montagna non si andra’ tanto per il sottile , che vengano in massa pagante. Diceva Toto’ che e’la somma (meglio l’addizione, piu’corretto) che fa il totale( equivalente a somma).Se le casse si riempiono, poi si perdonano i turisticafoni , non sirimproverano neppure, si fa finta di niente. Esempio:se coi botti di Capodanno incendiano un bosco…ci appost ai valloigiani  vigili volontari, se sanzioni i  pitotecnici improvvisati,  , poi non tornano piu’ o se la svignano senza saldare il conto o ti denigrano nei social. Si fara’ in stagione  “morta” la “settimana ecologica”,sacramentando contro i vandali ma non in loro presenza..Altrimenti alberghi e resort ,se in crisi, se li compra la criminalita’ organizzata.

  2.  “il problema dell’assembramento sulle vette più famose,  sottende un problema ben più grande che riguarda la tutela complessiva della montagna dalla qualità della massa che la frequenta e che dipende “dall’offerta”
    mi pare che sia proprio la posizione di Crovella, il quale (a parte i termini impiegati) tende a una soluzione che modifichi la cultra di chi più va in montagna tale da rendere l’attuale offensiva dell’ “offerta” meno attraente o addirittura obsoleta. Non so se possa funzionare o essere sufficiente negli effetti, però io concordo con lui.
    Ovviamente non esime dal contrastare con forza i caroselli, i nuovi impianti, le nuove valorizzazioni, ma creare un substrato di cultura differente è l’unica sul lungo periodo

  3. …cari amici… homo homini cannibalus: della serie che tutti abbiamo i nostri cannibali da odiare, ma tutti noi siamo cannibali odiati da qualcuno.
    quindi se scendiamo tutti dal piedistallo autocostruitoci e iniziamo a vedere la cosa non dalla prospettiva dei buoni vs cattivi/tutine vs pantaloni alla zuava/caimani vs “anarchici” , forse ci prendiam bene tutti. 
    altrimenti continueremo una guerra di posizione che, 1°WW docet,  lascia solo vittime senza progredire di un passo

  4. non CAGARE  e non lasciare assorbenti nel grottone alla base della parete est del monte Procinto.
    Non è un CESSO e per altro serve da riparo quando piove.

  5. Sí, potete andare. A patto di non urlare, non sporcare, non disturbare gli animali, non gettare sassi, non servirvi di elicotteri per voli turistici, non percorrere in automobile le strade forestali, non occupare in venti un bivacco del CAI, non assordare il prossimo con grida sguaiate, non disturbare i vicini con continue chiacchiere insulse al cellulare, non cantare in coro sulla vetta, non sghignazzare.
    Possibilmente non usate impianti di risalita: sono uno sconcio ambientale.
    Per il resto, potete ammassarvi dove volete. Anche in tremilacinquecento al Passo Sella. Buona ammucchiata.

  6. ‘sto fine settimana si pensava di fare una gita in AA, io e una ventina di altri cannibali. che dite, chiedo prima il placet al Crovella o possiamo andare?

  7. no, no.. non sono arrabbiato.. ma il problema (minimo,  ma si potrebbe dire con una frase di moda: da “radical chic”) dell’assembramento sulle vette più famose,  sottende un problema ben più grande che riguarda la tutela complessiva della montagna dalla qualità della massa che la frequenta e che dipende “dall’offerta”!!

  8. Commento 105: ma perché sei così “arrabbiato”?
    e poi non c’è bisogno di certificare nulla, nè di dividere fra buoni e cattivi: se appunto togliamo molte delle “facilities” (a cominciare dalla copertura telefonica cellulare), la montagna nel suo complesso diventerà più spartana e di conseguenza si innescherà un meccanismo fisiologico di scrematura degli accessi. 
    non è vero che il dibattito si è sgonfiato nel nulla: sono trascorsi alcuni giorni, anzi una settimana, è ovvio che l’attenzione dei lettori si sia spostata, perché nel frattempo siano arrivati altri post (uno al giorno).
    Però il tema è stato posto e vedrete che, piano piano, germoglierò.
    Chi avanzava testi ambientaliste 30 anni fa veniva tacciato di essere un pazzo scriteriato e invece oggi scendono in piazza 150.000 persone in un solo giorno (in tutta Italia).
    Ciao!
     

  9. come era prevedibile la discussione si è sgonfiata nel nulla proprio perché la partenza era basata sul nulla: cannibali e alpinisti puri, chi certifica chi, quando e come si diventa l’uno o l’altro..ma alla categoria Alpinisti e/o Montanari, intesi come i depositari del corretto “Andar (vivere) per monti”,  ricordo che i tanto sputacchiati Cannibali non si sono materializzati dal nulla, sono quelli  arrivati sull’onda della montagna Luna Park, della montagna “come passare il pomeriggio al centro commerciale”, della montagna come palestra ecc. con tutti i richiami del caso: impianti, strade, accessi, permessi, ferrate, eventi discutibili, eliski, trial, quad e … venghino siori!!.. tutto questo non è opera dei “cannibali” ma precise scelte politiche fatte da amministratori (politici o meno) che rispecchiano il sentire delle popolazioni residenti (perlomeno della maggioranza).. ci si lamenta che i boschi sono devastati dai fungaioli però il gettito dei permessi fa comodo.. ci si lamenta dei rifiuti lasciati in montagna ma ben vengano le compagnie che ti svuotano la cantina.. c’è troppa gente sulle cime e così ci facciamo anche la ferrata,  e il turista danaroso lo portiamo a zonzo con l’elicottero .. forse il “cannibale” è figlio del “Puro Alpinista/Montanaro” che ora si affretta a disconoscerlo.. figlio di puttana insomma!

  10. Pochi chi ?
    31 esimi nel medagliere dei campionati mondiali di atletica 2019: una medaglia di bronzo !

  11. Forse sono troppo pessimista ma in un mondo che mi sembra in gran parte di furbetti e/o individualisti mi stupisco come ci siano ancora tanti istruttori o accompagnatori CAI che si dedicano ad insegnare o ad accompagnare persone inesperte gratuitamente prendendosi delle responsabilità e con il rischio di avere delle grane quando potrebbero divertirsi di più andando in montagna con amici esperti a fare cose più impegnative e con meno grane in caso di incidente?  
    Io che ho approfittato benevolmente della loro generosità per imparare ad andare in montagna in sicurezza non posso che ringraziarli. 
    Egoisticamente non mi sento di fare altrettanto e diventare a mia volta accompagnatore CAI con tutti  gli sbattimenti e le responsabilità del ruolo.
    Il più delle volte vado in montagna con amici e, raramente visto i costi,  se voglio togliermi lo sfizio di fare una salita più impegnativa pago una Guida.

  12. … e quando tutte le montagne del mondo saranno sottoposte a regolamentazione e divieti … a noi non resterà altro da fare che infrangere regole e divieti, riacquistando quel primitivo romanticismo che sentiamo perduto. 

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