Plomo o plata?
(con questa domanda dei narcos Trump cambia i giochi su Russia e Ucraina)
di Fulvio Scaglione
(pubblicato su it.insideover.com il 29 gennaio 2025)
Ci sono tante ragioni per cui l’atteggiamento sull’Ucraina di Donald Trump può insospettire gli ucraini, inquietare la politica europea e infastidire una certa parte (importante, ma si direbbe ormai minoritaria) dell’opinione pubblica mondiale. Ma la ragione più vera e profonda, secondo noi, è anche quella meno dichiarata, ovvero: il radicale cambio di paradigma che Trump usa nell’affrontare il problema. Sappiamo bene qual è stata la vulgata di questi tre anni di guerra, l’interpretazione corrente: la Russia è intimamente imperialista, quindi è nella sua indole aggredire i vicini per allargare il proprio potere. Come nella favola della rana e dello scorpione. La rana traghetta lo scorpione attraverso il fiume e lo scorpione la punge a morte. La rana, prima di affondare, chiede: perché l’hai fatto? Moriremo entrambi… E lo scorpione risponde: perché è nella mia natura. Così, è il ragionamento, è la Russia.

Di questo modo di ragionare, che in fondo riprende la famosa definizione reaganiana dell’Urss come “impero del male” (e che la riprendiamo già conferma quanto sopra), abbiamo avuto e abbiamo tuttora infiniti esempi. Impossibile darne un’antologia adeguata. Ne riprendiamo uno recente, e nemmeno tra i più “accaniti”, a mero titolo di campionatura. Scrive Alexander Palmer per il Center for Strategic and International Studies (CSIS) che “Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina in parte per riaffermare ciò che considera il giusto posto degli ucraini all’interno della sfera di influenza di Mosca. Questo desiderio si è manifestato in diversi modi, tra cui l’affermazione di Putin che l’Ucraina è una parte intrinseca della Russia, la sua convinzione che la permanenza dell’Ucraina sotto l’influenza russa sia essenziale per ripristinare lo status della Russia come grande potenza e la sua paura dell’espansione della NATO”. Al di là delle radici non sempre limpidissime degli orientamenti dei grandi think tank, anche i più autorevoli (processo che ci ha spiegato bene Roberto Vivaldelli in queste pagine), troviamo in queste poche righe una specie di sunto di quanto si diceva prima: la Russia come Paese inevitabilmente imperialista, pericoloso per gli altri, quindi maligno non perché spinto dalle circostante ma maligno in sé.
L’enfasi sul riarmo
Non importa la misura in cui questa narrazione corrisponde alla realtà. Che l’Ucraina serva alla Russia per sentirsi “grande potenza” è concetto almeno acrobatico. Idem come sopra che la Russia voglia tenere l’Ucraina sotto la propria influenza. Tutta l’Ucraina? Davvero? O non piuttosto quella parte di Ucraina chiamata Novorossija su cui già nel Seicento, dopo l’accordo con i cosacchi guidati da Bogdan Chmel’nyc’kyj e la spartizione con la Polonia che dominava sull’altra riva del Dnepr, zarine e zar aveva esteso il proprio potere. Ma non è questo che importa. Ciò che davvero importa è far passare la narrazione che la Russia porta in sé i germi dell’aggressione. Sappiamo bene, e in altro clima sarebbe inutile ripeterlo, che invadendo l’Ucraina la Russia ha violato una lunga serie di trattati e di accordi, cosa che da sola le varrebbe una scomunica internazionale.
Ma è tale narrazione quella che ha giustificato tutto ciò che di più paradossale abbiamo visto in questi anni. Per esempio la scomunica inflitta all’intero popolo russo, ritenuto colpevole quanto i vertici politici per le decisioni prese da Vladimir Putin, quando nessuno si sognò di colpevolizzare gli americani o gli inglesi per l’invasione dell’Iraq (che provocò molte più vittime civili) decisa da George Bush e Tony Blair, come nessuno oggi si sogna di colpevolizzare tutti gli israeliani per i massacri del governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu. Per esempio il continuo incitamento a combattere che i governanti europei rivolgono agli ucraini, investiti (anche a rischio della disgregazione del loro intero popolo) della sacra missione di arginare il “male russo”. O, per finire, l’enfasi posta sul riarmo, che ha per unica giustificazione l’idea che, se appena potrà, la Russia tornerà a colpire. Anche se, palesemente, per la Russia sarebbe meglio tornare allo status quo ante, quando faceva i soldi vendendoci gas e petrolio e le nostre economie prosperavano potendo disporre di gas e petrolio sicuri e a buon prezzo.
Ucraina e Georgia come Canada e Messico
In più, la storia di questi decenni mostra piuttosto chiaramente che la presunta vocazione imperiale o imperialistica del Cremlino necessita di alcune verifiche. Perché questa vocazione non si manifestò quanto entrarono nella Nato i Paesi Baltici? Perché la Russia non ha mai cercato, quando poteva, di prendersi la piccola e indifesa Moldavia? Perché dal 1991 (indipendenza dell’Ucraina) al 2014 (Maidan) si è accontentata di fare affari con l’Ucraina, fornendole tra l’altro per molti anni gas a prezzo di favore? Chi non è cieco ha capito che, in realtà, la Russia ha solo due punti per lei non discutibili: la presenza dell’Alleanza Atlantica in Ucraina e in Georgia, non a caso i due Paesi dove il Cremlino negli ultimi anni (2008 e 2014) ha lanciato operazioni militari. Perché Ucraina e Georgia stanno alla Russia come il Canada e il Messico stanno agli Usa: qualcuno crede che Washington permetterebbe l’installarsi in quei due Paesi di regimi filo-russi o filo-cinesi? E che nel caso non prenderebbe provvedimenti seri? Di Cuba 1962 ci siamo già scordati?
L’esempio di Canada e Messico ci riporta a Trump. Il presidente Usa è lontano anni luce dall’impostazione “bene contro male” così cara ai suoi rivali democratici. Trump sembra invece riconoscere ai Paesi rivali degli Usa, tipicamente Russia e Cina, il diritto a competere sull’agone internazionale. Perlomeno non se ne stupisce. È vero che in uno dei suoi recenti discorsi ha ritirato fuori la storia del “destino manifesto” degli Usa, che è interessante rievocare brevemente: l’espressione fu escogitata nel 1854 da un sostenitore del Partito democratico, John O’Sullivan, per incitare ad annettere la Repubblica del Texas, essendo “destino manifesto” degli Usa espandersi sul continente. A proposito di imperialismo e di espansione…
Il senso di Trump per gli affari
Ma si diceva di Trump. Questi sa che il predominio Usa non è senza rivali. E non se ne stupisce. Non pensa che a sfidare gli Usa, che ovviamente considera il meglio sul pianeta, siano entità malefiche ispirate dal demonio ma potenze che hanno ambizioni e interessi concreti, peraltro simili a quelli degli Usa. E come farebbe un uomo d’affari si domanda: come posso uscirne con il massimo vantaggio per il mio Paese? Palesemente Trump si offre due strade. La prima è approfittare di ogni situazione per arrivare a una contrattazione che gli procuri un guadagno. La seconda è la guerra, militare o commerciale che sia. E infatti in questi pochi giorni d’avvio della seconda presidenza lo abbiamo visto agitare la tipica offerta dei narcos messicani: plomo o plata? Piombo o argento (denaro)? Voi europei comprate più americano o preferite le nostre sanzioni? Tu Russia, vuoi negoziare con l’Ucraina o vuoi altre sanzioni? Tu Ucraina, vuoi fare qualche sacrifico territoriale o preferisci proseguire in una guerra disastrosa? E così via.
La convinzione di Trump è che tutti, alla fine, preferiscano la plata, ben sapendo di avere gli strumenti, se fosse necessario, per passare al piano B, quello muscolare. Comunque vada a finire, questo cambio di paradigma già basta a mandare a gambe all’aria tutti i ragionamenti che i radicali europei hanno prodotto in questi anni. Perché dovremmo, come chiede a gran voce Mark Rutte, segretario generale della Nato, tagliare pensioni e sanità per comprare armi se, usando la politica, c’è un altro modo per sventare il pericolo? Perché dovremmo farlo se il nemico non è un assatanato assetato di sangue ma un rivale (magari detestabile e pericoloso ma tale) che persegue certi interessi su cui si può discutere ma che magari sono componibili con i nostri? Questa domanda, a lungo demonizzata, è diventata finalmente dibattibile con il ritorno sulla scena di Trump. Aspettiamo di vederlo all’opera.
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Matteo . Il termine “sovietizzato” usato per descrivere la Russia attuale denota una totale ignoranza della questione. Ma grande grande.
Però Putin ha politiche imperialiste da sempre. Prova a chiedere in Moldavia, in Bielorussia in Cecenia poi.
O in Siria ..
E taccio sulle politiche in africa
“Il problema è la Russia di Putin, cioè una Russia ancora sovietizzata, sotto un regime dittatoriale e soprattutto imperialista.”
E da quando in qua l’occidente in generale e quelli come te in particolare hanno problemi con dittatori e imperialisti in quanto tali?
Comunque definire sovietizzata la Russia è ridicolo (a meno di usare il termine come sinonimo di “babau”) e Putin come imperialista mi pare decisamente inane e velleitario, visto la fatica che sta facendo in Ucraina…
Mi sa che la tua analisi e la tua visione del mondo sono alquanto fallaci, come al solito…
…della serie ” ha stato (ancora)Putin!
Ancora? Ancora!
Tutto presumibilmente fondato. Il problema NON è la Russia in assoluto, perché la Russia, pur con delle sue personalizzazioni, è un paese europeo e potrebbe benissimo stare nelle UE. Il problema è la Russia di Putin, cioè una Russia ancora sovietizzata, sotto un regime dittatoriale e soprattutto imperialista. Come risolvere il problema? Semplice: eliminando Putin. Mi stupisce che CIA ecc, non abbiano ancora organizzato un attentato per eliminare Putin. Intendo proprio “eliminare” in senso stretto. In assenza di ciò, Putin andrà avanti ancora per anni ed anni (è ancora abbastanza giovane) e quindi il problema sarà strutturale… Dovremo cioè rientrare nella logica della “Guerra Fredda” e ragionare come abbiamo ragionato per decenni dopo la II Guerra. Se accettiamo la sopravvivenza di Putin, allora dobbiamo lasciargli intatte le sue regioni collaterali, dall’Ucraina alla Georgia, ed evitare di andarlo a stuzzicare, cercando di fare entrare questi paesi o nella UE o nella NATO… l’incongruenza dell’attuale politica occidentale è che andiamo a sollecitare questi paesi a entrare nel “nostro” mondo, ma così facendo facciamo incazzare Putin, che reagisce con guerre e minacce di bombardamenti atomici sull’Europa. O lasciamo Putin al suo posto, ma allora gli concediamo i suoi “giardinetti” collaterali, oppure eliminiamo Putin e incameriamo nelle UE non solo Ucraina e Georgia e chissà quanti altri stati analoghi, ma incameriamo nell’Europa addirittura la Russia, ovviamente de-putinizzata.
Concordo con l’analisi di Scaglione fino al punto in cui sembra diventare un tiepido sostenitore di Trump o perlomeno a sperare che questa Presidenza possa avere effetti benefici.
L’imperialismo di Trump lo ha portato a scatenare una guerra economica con l’intento evidente di farne pagare le spese agli europei…non cambia molto per le nostre pensioni e la nostra sanità se invece di armi paghiamo direttamente gli USA.
Il vero problema è la totale insipienza e miopia dei sedicenti sovranisti europei, che sono già li a far la fila con la lingua fuori sperando di riuscire a prendere qualche briciola in più degli altri, evidenziando chiaramente limitatezza del loro ideale e concezione. La sovranità limitata del capo-servo, diciamo.