Una strisciante abitudine anglofila sta eliminando l’uso del “Lei”: una perdita “enorme”?
“Possiamo darci del tu?” “No”
di Andrea Cionci
(pubblicato su liberoquotidiano.it il 14 novembre 2020)
Tra tutte le moine politicamente corrette, la “presidenta”, l’”avvocata”, l’asterisco per non discriminare le donn* e gli uomin*, le braghe sulle statue, i presepi inclusivi, i “diversamente questo” e gli “alternativamente quello”, CI FOSSE QUALCUNO che invocasse il minimo sindacale del rispetto-base, antico come la lingua italiana, trasversale, unisex, ecumenico, efficace per mille usi, come il bicarbonato: darsi del Lei.
Non molliamo anche su questo. Non cediamo all’americanizzazione imperante, allo svacco formale, alla maleducazione strisciante, a quell’ipocrita modo di sembrare “tutti amici” quando nemmeno ci si conosce e poi magari ci si odia ferocemente, anche se qualcuno ha bandito l’odio dal novero dei sentimenti umani.
Il Lei, nonostante qualche ambiguità sulla terza persona (ma lei chi, Lei, o lei la signora?) è così rassicurante, rasserenante, delicato, per non parlare di quel “Voi” che ancora si usa al Sud, lussureggiante di signorilità, di cortesia borbonica, di humor partenopeo, di antica identità nazionale, contro l’omologazione barbarica dell’inglese, dove il pronome allocutivo fra gli amanti è lo stesso di quello col professore: only You.
(Ora qualche testa gloriosa ci accuserà di rivalutare Starace: garantito).
Capita infatti che incontrando una persona per la prima volta la quale, pure, ha ricevuto un’istruzione regolare, non è coetanea, né collega, né familiare, scatti improvvisamente, goffa e a sproposito come l’avances di un adolescente, la domanda ammiccante: “Ci possiamo dare del tu?”.
“No”.
“Grazie, magari sul lavoro preferisco uno stile più professionale”, si può aggiungere, o anche “Guardi, è solo una questione di rispetto, non di distanza”, per stiepidire la doccia gelata.
Ma siate spietati, non abbiate rimorsi: si tratta di salvare la nostra lingua, la nostra cultura, i rapporti umani, la buona educazione.
Il “Tu” si riserva a un amico, a un parente, a una persona che ben si conosce, o con la quale si condivide il lavoro, al massimo l’età. Basta.
Per tutto il resto c’è uno stupendo ed efficientissimo canale formale-linguistico-comunicativo: il Lei.
E’ così comodo, facile, pieno di rispetto e di grazia, di cortesia, perfino la voce si imposta in un modo più educato e la mente si accende in un modo diverso di ascoltare e di parlare che gratifica, che eleva, che vince le timidezze.
Avete presente quelle persone che magari hanno un’età venerabile, se non matusalemmica, e poi vi chiedono: “Ma dai, dammi del tu, non farmi sentire vecchio/vecchia”.
Uff…
Siamo cresciuti in un mondo che ci ha inculcato a scuola e in famiglia di dire buongiorno e buonasera, di dare del Lei alle persone più grandi… E poi, quando questo sistema di comunicazione si è ben consolidato, è diventato naturale e istintivo, arrivano persone con 40 anni di più e vi chiedono di romperlo perché LORO hanno problemi ad accettare la propria età. Un egoismo senza limiti.
E quindi vi impongono di trovare un nuovo modo di comunicare, un ibrido laborioso che, attraverso una forma confidenziale, mantenga comunque un aplomb di rispettosa distanza. Una fatica in più in un mondo già tanto faticoso.
A volte però non te lo chiedono neanche. A Roma la scena si vede spesso: un signore brizzolato sopra i 45 va al bar, o dal giornalaio e il gestore ventenne gli fa: “Sciao garo, che ti do oggi?”.
Perché?
La forma è stata inventata per mantenere rapporti cordiali e cortesi con tutti… a una debita distanza che peraltro va molto di moda di questi tempi.
Col Tu abusivo, infatti, ci si prendono subito troppe confidenze; si stabilisce una complicità che non è supportata da alcuna esperienza od obiettivo comune. E’ un terreno pericoloso, sabbie mobili. Un po’ come quando il capoufficio simpatico e giocherellone poi ti tiene al lavoro 4 ore in più senza straordinari, per amicizia. Il Lei usato reciprocamente impone il rispetto anche verso i sottoposti, dato che un ruolo di superiore sul lavoro spesso può dare spazio a prepotenze o a tracotanza. Per non parlare dell’obbrobrio di scolari e studenti che a scuola danno del tu ai docenti e magari li chiamano anche per nome: quanto di più diseducativo esista al mondo.
Non cedete al tu: non siamo tutti amici, non siamo tutti fratelli, il mondo è pieno di persone da prendere con le pinze, in primis noi stessi.
Il Lei è un po’ come quando le formiche si incontrano, incrociano le minuscole antennine, si sondano, si fiutano, capiscono i rapporti di forza. Piano: prima conosciamoci, vediamo che tipo sei e poi, forse, se ci andiamo a genio, darci del tu verrà naturale. E sarà bellissimo, il sigillo di una nuova amicizia.
Oppure non ci daremo mai del tu, magari per una distanza di età, e sortirà uno di quei deliziosi rapporti in cui il Lei diventa un gioco condiviso, un velo che cela un universo di simpatia ed umorismo.
Cosa sarebbe il mondo se tutti si dessero del Lei? Oggi i figli trattano i genitori a pesci in faccia, se non addirittura a parolacce; una cosa inaudita che appena pochi decenni fa sarebbe stata messa a posto da sistemi “diversamente verbali”.
Ce lo immagineremmo un adolescente rispondere: “Mamma non mi rompa le…. E se ne vada a… ”? Sarebbe impossibile, proprio non viene. E se marito e moglie si dessero del Lei? Sembra folle, ma quanti sgarbi del quotidiano che rovinano la vita di coppia verrebbero contenuti, arginati? Si potrebbe proporre un divertente esperimento: provate a darvi del Lei in coppia per una settimana e vedete l’effetto che fa. Chissà, magari anche l’eros ne sarebbe stuzzicato.
Il Lei è preziosissimo: disteso ed elegante come una bella donna bionda (sì, bionda), al contrario del rozzo, corto, sbrigativo, maschile Tu.
Non fatevi togliere anche questa gemma della nostra lingua, quella che canta, prega, declama e sorride: l’italiano.
Andrea Cionci, storico dell’arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal MIUR e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall’Afghanistan e dall’Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo Eugénie (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi – vive una relazione complicata con l’Italia che “ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore”.
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L’uso del Lei o del Voi sono molto identitari del nostro passato e della nostra lingua di origine. Sono delle bellezze raffinate uniche e strepitose. Sono una forma di rispetto erogata tramite la lingua parlata ed ovviamente data che fa trasparire stima ed oltremodo rispetto ma che mai può essere pretesa. Io mi rivolgo con il Lei o del Voi a persone che stimo profondamente, mai a persone per le quali non provo senso di profondo rispetto.
Appunto: è la sostanza che conta. Ma il «Lei» non è sostanza, bensì forma.
Il mio consulente bancario (non il Direttore) fu lui a chiedermi se potesse darmi del Tu. Avendo 42 anni, ovviamente ho risposto affermativamente: sta ancora lì e non ha subito alcun demansionamento.
Sono tutti formalismi sciocchi e superati.
Mi spiace non poterLa aiutare per i suoi conti in rosso, ma non sono ne banchiere ne bancario, solo modesto, ma onesto
Che il Sig. Carlo sia un banchiere oppure un più modesto bancario..? che comunque aspetta il tonto che si fa lisciare il pelo? Altrimenti il banchiere – padrone lo liscia al bancario disubbidiente…e addio carriera.
Direi meglio mora si mora rappresenta di più la Mediterraneità a cui l’italiano appartiene.
Lo liscia solo a chi si mette nelle condizioni di farselo lisciare. Forse è quella la cosa da capire
Certo che no. Ma il diavolo ti liscia sempre il pelo.
Sveglia!! Sig. Carlo non faccia finta di non capire.
Mentre dandoLe del “tu” Le lascia aperto il conto???
A mio avviso è la sostanza che conta ed l’uso del Lei la confeziona in modo più elegante, rispettoso ed educato. Ci sarà tempo dopo aver approfondito la conoscenza per passare al “tu” ed alle prese per i fondelli.
Per poterli rimuovere i paletti ci devono essere
Anche quando ti chiama il direttore di banca, per dirti che ti chiude il conto che devi rientrare alla svelta, pena pignoramenti vari, ti da del LEI .
Insomma spesso e volentieri è soo un modo elegante di mettertelo nel fiocco.
Io, sommessamente, credo che il «Lei» di cortesia sia inutile e che darlo sia una semplice cosa che si fa tanto per farla, perché (quasi) tutti la fanno, ma sia ben lungi dall’avere una utilità pratica. È, secondo me, la solita formalità fine a sé stessa. Ci si può portare rispetto anche dandosi del «tu», così come ci si può mancare di rispetto usando il «Lei». La stima nei confronti d’una persona si vede da ben altro, non da un pronome.
Personalmente, mi rivolgo a tutti col «tu», sia a scuola sia altrove. E non sono una persona dalla mentalità progressista, né un fautore dell’inglese (lingua che detesto), ma non trovo alcuna motivazione per cui dovrei dire a qualcuno «Lei è…» anziché «Tu sei…».
Grazie. 😊😊😊
Chi lo ha detto che non sei più giovane, Fabio? Se ti senti vuol dire che lo sei, perché il sentirsi di essere fa parte dell’essere.
Se Lei vuole farsi dare del Lei e il Suo interlocutore insiste nel darLe del Tu, allora è giusto che Lei non sottostia alle scelte altrui. Se, invece, il suo interlocutore preferisce che gli sia rivolta la forma del Tu, e Lei insiste in direzione opposta, in quel caso è Lei ad imporre la Sua scelta. Dipende, quindi, dalle circostanze che si verifichino. E poi se il Lei sta andando in disuso è dovuto a voi formalisti che avete legato tale forma allocutiva all’età, destituendola, in questo modo, del carattere della rispettosità. Se il Lei fosse stato utilizzato per tutti gli sconosciuti, a prescindere dall’età, ciò non si sarebbe verificato. Invece avete operato delle differenziazioni che al giorno d’oggi, col mutare delle condizioni sociali, sono oramai superate. I 50 anni di oggi, ad esempio, non sono i 50 anni degli anni ’80. A lavoro, infatti, donne di 55 anni si fanno dare del Tu dal ragazzo del bar.
Quando ero giovane, a volte mi disturbava se mi davano del tu.
Ora che non sono piú giovane, a volte sono contento se mi danno del tu.
… … …
Depende.
Da che dipende? Da come guardi il mondo tutto dipende.
Non lo so, ma la MIA scelta? io darei del lei comunque, anche alla/al quarantenne che non conosco… Ma come prima, anche io ho diritto alla mia scelta, o devo sempre sottostare alle altrui scelte? Gli altri non possono, a loro colta, accettare le mie?
Con un’ottantenne, ma non con una quarantenne. E se la prima preferisse il Tu, io dandole del Lei rispetterei la sua scelta?
Sarà, ma se io, a 67 anni, incontro e scambio quattro chiacchiere con una o un ottantenne, dò del lei. la reputo una forma di rispetto, cosa che scompare ormai da questa società… Un’amica insegnante si è incazzata a morte con i suoi studenti liceali perché all’inizio le davano del tu, giustificandosi che “è normale”…
La società non è fatta solo di giudici, i quali, peraltro, hanno anche una vita privata, oltreché professionale, nella quale possono optare per il Tu. E ce ne sono, con riferimento alla generazione nata dalla seconda metà degli anni ’70.
Tuttavia, Lei converrà che se circoscriviamo la validità del Lei al caso da Lei prospettato, è evidente che tale forma allocutiva risente di un margine di gradimento sociale pressoché residuale, quindi non rappresentativo del pensiero collettivo.
Sign Mimmo, non c’è nessuna legge, ma ammeterà che è più rispettoso dare del LEI al giudice che determina la condanna che non del TU. Grazie a Lei ho scoperto che non parlo da vecchio ma da “ageista”. Capeau.
E quindi se uno non la pensa a questo modo deve essere censurato? Chi adopera la forma del Tu (ed è in netta maggioranza, peraltro destinata a crescere) non preclude di certo la libertà a chi voglia utilizzare il Lei (oggi non più desiderato, neanche passati i 50). Se voglio vedere nel Tu e non nel Lei una forma di rispetto c’è una legge che me lo vieta? Per me quest’atteggiamento è ageista.
Il LEI è segno di rispetto, educazione e di mano porta come quando si stringe la mano. Il TU verrà casomai dopo per segnare una avvenuta confidenza, amicizia, condivisione.Altrimenti tra uno estraneo ed un conoscente non c’è differenziazione .
Per quanto riguarda l’età per me varrebbe ancora il VOI
Vorrei capire: se uno “con 40 anno di più” preferisce farsi dare del Tu dove sta il problema? Per un modello di comunicazione che oramai non si usa più (soprattutto tra ragazzi 18/45) vogliamo abolire la libertà di pensiero e di espressione?
Non mi stanco mai di ripetere che gli inglesi danno del lei a tutti, non del tu. L’antica forma equivalente al tu, ora in disuso, era “thou”. Col tempo il “thou” è diventato scortese ed è stato considerato degradante, per cui il cortese “you” ha preso il sopravvento. A parte questo, articolo dalla tesi a mio avviso ineccepibile.
“Un fenomeno del genere, così diffuso e istituzionale, non mi è capitoto di vederlo in nessuna altra città.”
A parte il fatto che non ne traggo motivi di tanto vanto, ma nell’altro post lei scrive che non si sposta da Torino oltre i 250 km. Non vorrei sbagliare, ma mi sembra che in Italia ci siano città anche oltre quella distanza. Ah già ma per lei ciò che esula dal regno sabaudo non merita la sua valutazione. Cordialità.
Nell’ottobre 1974, 21 anni fresco di nomina e giuramento a sottotenente degli Alpini fui assegnato al Battaglione Cividale 8° Reg Alpini quale comandante del plotone esploratori. Arrivai in caserma in ottobre di pomeriggio e l’aiutante maggiore mi affidò al furiere della Compagnia Comando per ritirare tutto l’equipaggiamento. Il magazziniere, un caporale più vecchio di me, per tutto il tragitto si rivolse a me in modo molto evasivo. Io non avevo la benchè minima idea del “tu” o lei” perchè l’obbligo di dare del “lei” agli ufficiali nei reparti, dipendeva da ufficiale a ufficiale e io non mi ero nemmeno posto il problema. Finita la consegna il caporale, dandomi del “tu” mi chiese qualcosa. La domanda fu pronunciata a voce bassa, io non capii e chiesi “prego? Il caporale si irrigidì immediatamente ripetendo la domanda passando dal “tu” al “lei”. Pochi minuti dopo in caserma tutti mi diedero del “lei”. Radio scarpone aveva diffuso la notizia. Il “lei” mi seguì, indipendentemente dalla mia volontà, tutta la naja. Ciò non mi impedì colossali bevute con i miei Alpini che conoscevo quasi tutti ben da prima perchè alpinisti prima che Alpini.
Insomma, già qualcuno, per star nel sicuro, ha detto che userà il loro. Giosuè Carducci infarciva le sue lezioni all’università di églino ed élleno.
Io, almeno qui nel forum, propongo un borbonico vossia.
Come al solito sono modi diversi di vivere e di vedere le cose.
Modi diversi di misurare il peso di ciò per qualcuno è solo forma e per altri invece è anche sostanza.
Fortunatamente in questo caso i danni che si possono fare sono marginali.
Personalmente ritengo che, per non offendere nessuno, non ci sia niente di male nel partire con il Lei e che non sia necessario forzare un TU non voluto.
A che scopo?
OK ci siamo chiariti, per me è più rilevante constatare che questa filosofia è interclassista, trasversale e non peculiare di una specifica classe né economica né culturale. Tra l’altro la peculiarità che ho ravvisato a Torino almeno in termini di particolare diffusione numerica, non è solo dare il Lei di primo acchito, ma aver piacere Di continuare con il Lei anche in conoscenze che durano decenni e decenni. Dall’Avvocato con i suoi amministratori fino al sottoscritto con il mio barista e lo skiman. Un fenomeno del genere, così diffuso e istituzionale, non mi è capitoto di vederlo in nessuna altra città. Buona serata!
Riflettendo per avere questa particolare caratteristica occorre esser nati e cresciuti in una famiglia che, a prescindere dall’estrazione socio-economica, ha quella soecifica mentalità
Appunto.
Detto in altre parole è un’occorrenza socio-culturale e non di censo (che cmq è anch’esso una caratteristica sociale)
30 mmmh…giusto per comprenderci. Non riesco a seguirti in pieno. Non intravedo proprio la contraddizione che tu sottolinei. Provo a rispegare coda intendo io: la “freddezza” torinese è trasversale a ogni tipo di classe, cioè classi sociali, di censo, religiose, di cultura ecc. Quindi qui puoi trovare i freddi (io preferisco chiamarli i sabaudi, ma è una mia definizione) fra gli altolocati dal cognome nobile, ma anche fra gli artigiani, i commercianti e perfino fra gli operai di Mirafiori (ne ho conosciuti a migliaia di operai che erano sabaudi come imprinting). Puoi trovare i freddi torinesi (cioè i sabaudi) fra i laureati ma anche fra quelli con la terza media, puoi trovarli in parrocchia e nei circoli comunisti (anzi più spesso li trovi nei circoli comunisti, quelli duri e puri d’un tempo), puoi trovarli fra i nordisti doc e fra gli emigrati anni 50-60 o loro figli (come il mio barista) ecc ecc ecc. Da questo punto di vista, questa caratteristica è assolutamente trasversale e NON è peculiare di una specificaclasse sociale. Altrettanto puoi trovare dei “non sabaudi” sia fra gli altolocati che fra gli operai, sia fra i laureati che fra i terza media, sia in parrocchia che nei circoli comunisti ecc ecc ecc. Chissà se sono stato esaustivo?
Riflettendo per avere questa particolare caratteristica occorre esser nati e cresciuti in una famiglia che, a prescindere dall’estrazione socio-economica, ha quella soecifica mentalità. Se cresci a pane e sabaudita’, chiaro che la interiorizzi.
Il Lei è un elemento che permette di riconoscere chi ha queste caratteristiche, ma non è un fattoru risolutivo. Conosco persone che danno del Lei ma che non sono caratterialmente dei sabaudi. Altrettanto conosco gente di altre città che cmq preferiscono il Lei senza esser né torinese né sabaudi.
Quello che ho registrato, in 60 di esperienza di vita, è che Torino ha una delle più intense concentrazioni di individui che gradiscono il Lei non solo come primo approccio ma anche e soprattutto nel corso di conoscenze molto lunghe, a volte pluridecennali.
Per esempio il tipo cui porto gli sci dell’intera nostra famiglia a far manutenzione. Ci vediamo diverse volte a stagione, ci conosciamo da oltre 30 anni, anche lui e’ uno scialpinista sfegatato, tutte le volte che ci vediamo parliamo a fondo di montagna, ma… ci siamo sempre dati del Lei in 30 anni consecutivi e a nessuno dei due è mai passato per la testa di proporre di passare al tu…
In conclusione: per me in particolare, ma non solo per me fra i torinesi, il Lei non è solo una questione di forma ma e proprio una questione di sostanza. Con il Lei si tiene un sano distacco che è di reciproca tutela: “io non invado i tuoi spazi (sia fisici che immateriali) e tu non invadi i miei”.
un pò come il nostro ciao, gli spagnoli usano il termine HOLA per un saluto semplice quando ci si incontra.
Mi piace!!
Avendo duettato con Carlo Crovella su Gianni Agnelli, e non volendo alimentare il mito di CC contro il Resto del Mondo, ci tengo a precisare, per quanto imteressar possa, che anche io parto di regola con il lei, e passo al tu, semmai, dopo. E dà fastidio, dunque, anche a me se qualcuno attacca con il tu senza motivo.
Certo che in montagna mi viene assai più facile il tu, in situazioni pratiche, immaginatele voi, nelle quali il lei sarebbe abbastanza ridicolo. “Chiedo scusa, le segnalo che sta sbagliando strada, stia attento”, oppure “Le sarei grato se evitasse di occupare inutilmente tutta la sosta”. Quanto in particolare ai saluti sui sentieri, in zone tedescofone si usa il grussgott che, se capisco bene, usa il tu.
Buon pomeriggio a CC e a tutti
Crovella, come al solito dai per scontato di sapere a priori cosa qualcuno intende dire e ti guardi bene dal leggere quello che uno scrive.
Io non ho mai inteso parlare di torinesi o di sabaudi o di chissà che altro, ma evidenziare una contraddizione.
Io ho scritto che l’approccio alla vita o la religione (laica o meno, aggiungo) sono a tutti gli effetti frutto e conseguenza di una situazione sociale, economica, storica, politica, culturale e che quindi scrivere “Sono questi specifici torinesi quelli che io chiamo i “sabaudi” e non hanno nulla a che fare né con l’estrazione socio-culturale né con quella economica” è un contraddizione logica.
Non ho assolutamente messo in questione della “torinesità” del “lei” e tantomeno azzardato un qualsiasi tentativo di analisi socio-culturale di Torino o dei suoi abitanti
@27 il tuo assioma sull’origine socio-culturale è sbagliato, almeno con riferimento al discorso che faccio io (“>sabaudi” ecc). Ho detto più volte esplicitamente che le caratteristiche “sabaude” sono trasversali alle fasce sociali, economiche e culturali (mi stupisce che ti lanci nel fare un’analisi socio-culturale di Torino, quando magari non ci hai mai neppure messo piede e se è successo sarà stato per un brevissimo lasso di tempo, mentre io ci sono nato e cresciuto e ci vivo da 60 anni).
Ma chiedo venia. E’ colpa mia: probabilmente, col senno di poi, ho sbagliato io a introdurre il concetto di sabaudi nel dibattito connesso all’articolo del Lei. A me pare naturale per il fatto che a Torino c’è una elevatissima concentrazione di persone (fra cui il sottoscritto) che indiscutibilmente prediligono il Lei e io collego tutti costoro abbastanza direttamente, al concetto di sabaudi (ribadisco: NON necessariamente altolocati).
Ho sbagliato io nel coinvolgere il concetto di “sabaudi”, immaginavo che fosse concetto chiaro a tutti. Invece mi dovevo limitare a dire che in 60 anni di vita io NON ho mai verificato nessuna altra località con una così elevata presenza di persone che prediligono il Lei come a Torino. ATTENZIONE: Due cose: 1) evidentemente anche a Torino esistono anche quelli che preferiscono il tu. 2) invece esistono anche persone nate e residenti lontano da Torino (e che magari non ci hanno mai messo piede) che preferiscono il Lei. Ma in altre località, specie al giorno di oggi, queste persone (quelle del Lei) sono tendenzialmente rare e cmq costituiscono una minoranza. Per esempio a Milano – 150 km anche meno da Torino – la situazione è completamente diversa, se non addirittura opposta.
Per quanto riguarda gli influssi sulla società nel suo complesso, io sono da tempo convinto che se stessimo tutti più sulle nostre (come consegue quando si predilige il Lei) vivremmo molto meglio di come si vive nella melassa della società liquida. Padroni di mantenere le vostre opinioni, ci mancherebbe, ma legittimo anche il mio diritto a pensarla come piace di più a me e poterlo dire apertamente (tra l’altro lo scrivo da molto tempo ripetutamente nei mie interventi di stampo economico-politico, nonché nel mio impegno sia politico che civile…).
Infine (Benassi): in montagna io saluto sempre chi incontro e tendo a farlo per primo (sia per educazione sia anche per “simpatia” – incredibile dictu), ma dico sempre “Buongiorno” o i vari corrispondenti nelle diverse lingue. Non dico MAI “ciao”. Il problema di chi parla inglese (come nell’esempio dei giapponesi) è che in inglese vige il tu e la seconda persona singolare, ma questo io lo considero un male, non un bene. Se posso lo evito.
La forma può essere apprezzabile per chi ci tiene ma la sostanza di cose e persone, secondo me, è più importante. Nella melassa crovelliana c’è di tutto e io sono portato a vederci quello che sicuramente di buono può esserci. È la storiella del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno.
Nella Londra degli affari della prima metà del secolo scorso, indossare cravatta e giacca grigia significava “ti puoi fidare”. Oggi non possiamo dire certamente la stessa cosa perché l’interpretazione che ne è risultata è ” te lo metto in quel posto con eleganza” e tutti lo sanno e si guardano bene dal fidarsi. Quindi bisogna irrimediabilmente affidarsi alla sostanza e non alla forma se non si vuole soccombere. Bisognerebbe piuttosto combattere il “mors tua vita mea” che dietro la facciata di una certa correttezza si è sviluppato.
Poi di come ti trattano al bar o nei negozi ce n’è da dire, ma è anche vero che cadiamo nel vizio delle abitudini e del clima rassicurante. Io abitudini non ne ho mai avute (uccidono il piacere delle cose) e mi sento rassicurato se esco dal negozio con quello che cercavo. Poi, cazzo, il marocchino! Se non è un prodotto della società liquida quello… dai, dai.
La contraddizione sta nel fatto che l’approccio alla vita, una religione laica sono, fanno parte e nascono da una certa e ben precisa collocazione socio-culturale (che non significa meramente censo o titolo di studio).
Quanto al fatto che una società basata sul lei significhi efficienza, rettitudine, senso del rispetto e del dovere potrebbe essere opinabile (basterebbe pensare al sistema sociale inglese del ‘800).
Che una società basata sulle sullodate caratteristiche sia perciò stesso desiderabile mi trova decisamente contrario, tanto da un punto di vista filosofico che pragmatico. Basta pensare a cosa sono state, cosa hanno prodotto e come sono finite le società fortemente gerarchizzate, delle quali il rispetto formale è espressione tipica.
quando persone che non si conoscono, s’ incontrano sulla stessa via. Capita spesso, a me tante volte, anche con arrampicatori di altre nazionalità. Quando feci il Pilier Gervasutti al Tacul con noi c’erano 2 giapponesi.
Ci si deve dare del TU o del LEI ???
Si deve essere freddi e distaccati, oppure solidali e sorridenti??
Sinceramente non colgo la contraddizione interna… me la spiegheresti? (a paret il fatto che anche se ci fosse una contraddizione – che cmq non c’è – che rilevanza ha???)
Conosco sabaudi che sono capitani di industria e altri che fanno i baristi… il barman del caffè dove vado tutti i giorni da 20 anni si chiama Salvatore è di chgiara origine partenopea, ma essendo nato (50 anni fa) a Torino, ha interiorizzato un certo modo di vivere e di pensare ed è più sabaudo di me… anche se ha un chiaro accento napoletano e tifa Napoli, e ci facciamo un sacco di risate nel prenderci reciprocamente in giro in tono affettuoso, rigorosamente col Lei (Dottore, il suo solito marocchino?, Certo Salvatore come solo Lei lo sa fare, Dovere, dottore…)
Ma poi che importanza sondare la fondatezza dielle abitudini tyorinesi, da parte poi di persone che probabilmente non sono mai neppure state a Torino in rima persona? Quello che mi preme chiarire è che non tutti i “torinesi altolocati” sono “sabaudi” e non tutti i “sabaudi” sono “altolocati”… per cui non c’è correlazione diretta ed esclusiva.
In ogni caso, il punto NON è capire la “sabaudità”, quanto il fatto che ci sono persone (abbastanza numerose a Torino, ma non solo) che preferiscono il Lei (e tutto ciò che il Lei presuppone, ovvero: distacco, rispetto, rifiuto del “latte & miele” ecc ecc ecc) e ritengo che siano legittimati a vivere ed esporre le loro preferenze.
Discorso aggiuntivo (“aggiuntivo” e non basilare) è quello che riguarda le considerazioni sulla società nel suo complesso: una società impostata sul Lei anziché sul Tu, non sarebbe una società liquida (come invece purtroppo abbiamo) e io penso che sarebbe molto meglio per tutti. Più efficienza, più rettitudine, più senso del rispetto e più senso del dovere… vivremmo tutti meglio di quanto viviamo nella società liquida che è solo una gran melassa che tutto annacqua e tutto sfalda.
“non hanno nulla a che fare…é con l’estrazione socio-culturale…E’ una questione di approccio alla vita. E’ una religione laica”
Francamente è difficile non notare una certa contraddizione interna…a meno che non si voglia pensare a una differenza biologica o genetica, ma non parrebbe il caso
Nonostante i mie milioni di spiegazione dei mesi scorsi, interpretate sempre la mia citazione rivolta una “certa” Torino in modo snob e invece NON è così. Con quella citazione, io faccio riferimento ad una Torino concreta, spuria e severa che si riconosce nei valori del lavoro e dell’applicazione senza smancerie. Sono questi specifici torinesi quelli che io chiamo i “sabaudi” e non hanno nulla a che fare né con l’estrazione socio-culturale né con quella economica (né tanto meno con Casa Savoia). Ci sono sabaudi ricchi e raffinati come l’Avvocato, ma c’è un’infinità di “sabaudi” sconosciuti ai più e che ricoprono ruoli anche umili, sia sotto il profilo professionale che come tenore di vita.
E’ una questione di approccio alla vita. E’ una religione laica: siamo una specie di calvinisti di fatto. In tale approccio, molto articolato e complesso, si inserisce la preferenza per il Lei (al posto del Tu), questione che di per sé è un risvolto marginale e insignificante, ma che rappresenta un po’ lo slogan riassuntivo del paradigma di vita.
Quando io entro in un negozio e mi sento salutare “Buongiorno, mi dica” percepisco che, con elevata probabilità, l’interlocutore è un “sabaudo”. Se invece mi sento salutare “Ciao, dimmi pure…”, comprendo che non lo è. Va da sé che mi sento a mio agio con il primo, mentre detesto il secondo. Per inciso anche a chi mi dà inizialmente del tu, io rispondo sempre con il Lei. All’inizio è una situazione ridicola: un commesso ventenne da del tu a un cliente sessantenne (come sono io) e quest’ultimo che dà invece del Lei al primo… Ma sapete come va a finire? In due modi. 1) Nel 90% delle volte il commesso entro la sua terza frase (rivolta a me) passa di sua iniziativa al Lei e lo tiene per l’intera interlocuzione senza cadere più nel tu. Anzi normalmente sono molto deferenti. 2) Nel restante 10% dei casi, se entro la terza frase il commesso non passa al Lei, io (senza dire una parola in più) mi giro ed esco dal negozio.
Mi rifaccio a Jepp Gambardella, il protagonista del film La Grande Bellezza, in quale dice (all’incirca): “A 65 anni non ho più voglia di fare quello che non mi piace fare”. Io di anni ne ho 60, ma sono giunto da diverso tempo alla stessa conclusione. Tra le altre cose non mi va di interfacciarmi con persone che, senza conoscenza pregressa, non mi diano del Lei. Non mi piace la confidenza a “pacche sulle spalle”, meno che mai con degli sconosciuti.
Io sono molto preoccupato per il futuro dell’Occidente perché la globalizzazione, fra i tantissimi “mali” che ha portato da noi, non ultimo il Covid, sta spargendo il linguaggio uniforme e mediocre del “tu” anglofono. Il Tu appiattisce, annulla le differenze e quindi i ruoli, pialla le gerarchie, ma anche le responsabilità. La società che ne deriva, la famosa società liquida per dirla alla Bauman, ha bisogno del Tu elevato a sistema. Il Tu è il Cavallo di Troia per introdurre e poi affermare la società liquida e siccome detesto quest’ultima, ne detesto anche i segnali premonitori come il Tu.
Comprendo quindi e condivido il contenuto dell’articolo pubblicato qui.
Buona giornata a tutti!
L’avvocato preso a modello di stile, secondo me, ha rappresentato il sogno/simbolo del “vorrei ma non posso” italiano del secolo scorso.
Ho diversi amici e conoscenti torinesi (anche di una “certa” Torino) ma nessuno di loro cadrebbe di stile dimostrando ammirazione per l’avvocato o citandolo come esempio di eleganza.
Comunque nella mia famiglia erano più quelli che si davano del Lei che quelli che si davano del Tu. Sarà per quello che preferisco il Tu il più delle volte. Anche per non prendermi troppo sul serio o dare troppa importanza a chi se ne sente.
Comunque massima libertà di agire ognuno secondo i propri gusti, abilità, sicurezza e concezione stilistica del rapporto interpersonale.
Io passo al LORO. Così non mi sbaglio
Mi è venuto in mente un risvolto personale che è in tema con l’articolo senza ombra di dubbio. Abito da 20 anni nello stesso palazzo torinese. I miei vicini di pianerottolo, tre famiglie, abitavano già lì quando noi siamo arrivati. Quindi sono 20 anni che ci incontriamo per le scale praticamente ogni giorno. Sempre molta cortesia, ma in 20 anni a nessuno delle 4 famiglie è mai venuto in mente di passare al Lei al Tu. Parimenti né a noi né ai nostri vicini è passato per la mente di invitare gli altri a prendere il caffè e far due chiacchiere. Nemmeno le altre 3 famiglie fra di loro. Quindi è proprio un modello di vita che coinvolge i torinesi doc. Questo per segnalare che a Torino siamo così, freddi e distaccati, poco anzi nulla espansivi. È la Torino dei torinesi doc, quelli che io chiamo i sabaudi, il cui modus viventi da noi del ceto medio arriva su su a coinvolgere anche le famiglie altolocate (in questo senso c’entra il riferimento all’Avvocato, che per noi è cmq stato un importante punto di riferimento, specie per quelli che hanno condiviso i suoi decenni più noti). Nasciamo in questo clima emotivo, “distaccato”, e inevitabilmente lo preferiamo anche da adulti. Praticamente per tutta l’esistenza. Buona serata.
Caro Salvatore (o egregio Bragantini? Mah… Questo articolo mi ha confuso le idee…), in vita mia sono sempre stato convinto che, se le persone potessero confrontarsi sui singoli fatti e problemi concreti e non sulle ideologie politiche, troverebbero un accordo nella maggioranza dei casi. Forse nella stragrande maggioranza.
Quello che hai esposto tu è uno di quei casi.
Un po’ tutti si va fuori tema, in ogni post: se per quello era fuori tema anche la signora fiorentina. Il valore o meno dell’Avvocato (dove ovviamente ho un’opinione diametralmente opposta rispetto alla tua) non incide nulla sul tema del Lei. La citazione delle abitudini dell’Avvocato è però la cartina di tornasole di un modus viventi in cui a Torino siamo abituati a comportarci, anche nei risvolti spiccioli della quotidianità, come appunto preferore il Lei al Tu. Io preferisco il Lei con tutti perché preferisco tenere un sano distacco con tutti, come l’Avvocato teneva il distacco perfino con il suo Amministratore Delegato, anche quando erano vis a vis solo loro due in riunione. Se voi preferite il tu, fate pure, chi vi vuole condizionare. Non si compre però perché a tutti i costi vi sentiate legittimati a imporre le vostre preferenze anche agli altri. Buona serata a voi (inteso come pluralità di lettori, non come alternativa al Lei).
Facciamo altri esempi di eleganza che è meglio!!
poi c’è LAPO…altro charme
Commento 12,
Carlo Crovella, tu sei (o lei è, se stiamo sul prudente) andato fuori tema, ma non mi sottraggo; il noto avvocato torinese sarà stato un gran charmeur, come dicono, ma per il resto…
Come imprenditore valeva poco, amava il fascino dell’auto di lusso, ma del prodotto (e quello della Fiat di lusso non era) non si interessava, ed era meglio così. Giunge al comando dell’azienda senza nessuna gavetta, dopo una vita che mi pare molto poco sabauda (anche se non sono del ramo).
Il suo mestiere sarebbe stato fare l’azionista, ma anche lì va male; sceglie Romiti, buono a tenere i legami con il potere politico romano (e con Mediobanca che tirava i fili), e induce Ghidella, che invece di auto se ne intendeva, ad andarsene. Compra l’Alfa Romeo e lascia che i suoi dirigenti la radano al suolo, convinti che Fiat sappia tutto e non possa trarre profitto da Alfa. Questa allora perdeva, ma se nel 2013 Marchionne si rifiutava di venderla ai tedeschi per tanti miliardi, vuol dire che a metà degli anni ’80 era un giacimento di know how gigantesco. Buttato però nell’immondizia.
Se parliamo dell’uomo (a parte il figlio suicida, tragedia su cui ogni persona rispettosa deve solo tacere): la sua famiglia litiga sull’eredità e se Margherita A. che fa causa a Marella A. e al proprio figlio John E. pare squallida, peggio di lei sono quelli che hanno sottratto a lei, e probabilmente agli azionisti della Fiat, almeno un miliardo. Non di lire, di euro, neh!
La mia opinione, espressa, sia chiaro, per tabulas quando l’uomo sembrava il Re d’Italia, era ed è questa. Ciò detto, anche per lui la terra sia lieve.
Buona sera a tutti
qui si da del TU
-Allora ragioniere che fa…batti?
-Mha?! mi da del tu?
no..no!! Dicevo: “Batti Lei??”
La signora fiorentina sbagliava, ma non nel dare del Lei o nell’essere antipatica, quanto nell’insistere con le guide e forse anche nel fare gite in assoluto. Evidentemente non era roba per costei, ma era suo incontestabile diritto utilizzare e pretendere il Lei.
Cmq e’ tutto relativo ai singoli individui. L’Avvocato Agnelli ha dato sempre del Lei anche ai suoi più fidati collaboratori (Romiti, Gabetti, Franzo Grande Stevens i primi che mi vengono in mente…) pur interfacciandosi quotidianamente con loro per decenni e decenni di seguito… e non si può certo dire che l’Avvocato non avesse charme ed eleganza… è che a Torino abbiamo un certo modo di fare “nostro” che uno non coglie se non ci vive quotidianamente fin dalla nascita
Sono quello dei racconti, ma mi vengono tirati fuori.
All’inizio di una gita scialpinistica di almeno 35 anni fa mi presentai ai miei clienti tra cui c’era una distinta e ingioiellata bella signora fiorentina. Ci presentammo e appena partiti lungo una stradina poco ripida ci mettemmo a chiacchierare.La signora fiorentina, scoprimmo, conosceva persone che l’avevano indirizzata a me e io le chiesi se avesse conosciuto anche il sig. XY. Lei ostentando altezzosità e sicurezza mi rispose che siccome non apparteneva a una “certa Firenze” non lo conosceva di sicuro.
Quel giorno mi impegnai a fare faticare al limite dell’infarto la distinta signora fiorentina (che non era particolarmente in forma) che infatti, non vidi mai più. In compenso seppi che era stata con altri miei colleghi i quali le riservarono lo stesso trattamento a causa del suo atteggiamento piuttosto antipatico e lei era così costretta a cambiare guida. Venni a sapere che morì in qualche modo e dei suoi conoscenti organizzarono una festa, non so se per celebrarla o per la felicità di essersi sbarazzati di una brutta persona.
Ovviamente ci davamo rigorosamente del Lei, anche perché io avevo 23 anni e lei almeno 50.
L’intelligenza di ciascun individuo è quella di cogliere le preferenze di chi si incontra (sia fisicamente che metaforicamente) e adeguarsi di conseguenza. Tre esempi. 1) Incontrate uno che vi fa capire subito che predilige le pacche sulle spalle e il clima tarallucci e vino? Bene, dategli pure sul tu fin dalla prima frase. 2) Incontrate invece uno che ama starsene sulle sue, che non dà confidenza e che preferisce un sano e reciproco distacco? Ma perché volete imporgli il tu? E’ come una violenza. 3) Infine: non capite bene se l’interlocutore è dell’una o dell’altra specie? Partite prudenti col Lei, pronti eventualmente a saltare al tu, ma sarà costui a farvelo capire con facilità se così desidera. Se invece continua a restare sulle sue, l’educazione impone di conservare il Lei.
Se si è vivi e finché si è vivi, ogni giorno si può trovare e imparare qualcosa di nuovo.
Oggi per esempio ho trovato una nuova, buona ragione per preferire il tu.
Ottima riflessione, abbiamo un meraviglioso strumento della lingua per difenderci e lo snobbiamo..il “tu” risulta patetico in classe e falsissimo sul lavoro. Peccato che non condivida quel “lei” dato ai genitori di una volta, sono gli ultimi a meritarlo, madri e padri per costrizione, incattiviti dalle fatiche e dalla frustrazione, meritavano sia il “tu” che il “vaffa..” in molti casi.
E anche se fosse? Non è così e, come al solito, non hai proprio colto il senso profondo delle mie riflessioni, ma… anche se fosse come insinui tu? Preferisco di gran lunga metterglielo io nel didietro agli altri che farmelo mettere dagli altri che approfittano della confidenza per avvicinarsi e sorprendermi… Tenendoli distanti, riduco le probabilità che succeda a mio danno. Direi che è darwiniano come modus operandi. Ma cmq non è così, il modello ideologico è strutturalmente diverso, però mi rendo conto che chi non ha percezione diretta del “clima” torinese (di una certa Torino, non di tutti i residenti a Torino), non può cogliere in profondità la nostra filosofia. Stammi bene.
o più sinceramente per metterglielo nel didietro…ma educatamente.
Io sono un accanito sostenitore del Lei, specie in ambiente professionale ma non solo. Deriva dall’educazione ricevuta, ma anche da una mia convinta preferenza. E’, o forse “era”, abitudine consolidata a Torino, anche nella spicciola quotidianità. E’ una componente formale, ma non solo: noi torinesi (specie di una certa Torino) siamo tendenzialmente freddi, distaccati e soprattutto diffidenti (“torinesi falsi e cortesi”). Il Lei è apparente espressione di rispetto verso l’altro, mentre in realtà è un modo per tenerlo a distanza: non ci piacciono le pacche sulle spalle, nemmeno metaforiche.
Il “tu” implica una immediata confidenza che, tendenzialmente, non mi piace. Quando io entro in un qualsiasi negozio e sento dirmi da uno sconosciuto “Ciao, dimmi pure…”, mi viene voglia di uscire immediatamente. Il Lei garantisce un giusto distacco, è come un fossato intorno al castello. Con il Lei, io sto da questa parte del fossato e l’altro sta dall’altra parte del fossato. Il bello del Lei è che è reciprocamente rispettoso e cautelativo: agisce automaticamente in entrambe le direzioni. Con le controparti professionali (sia clienti che fornitori) io uso e “pretendo” esclusivamente il Lei da che lavoro (oltre 35 anni) e, a questo punto, penso che farò così finché lavorerò. Ci sono clienti che sento quotidianamente da decenni e continuiamo a darci del Lei: loro sanno che io gradisco così, ma anche io “so” che anche loro gradiscono così.
Purtroppo, invece, nella quotidianità d’ufficio ormai è inevitabile il tu anche a Torino, ma molto spesso ho rimpianto di esser giunti a tale livello di confidenza in ufficio, perché si tratta di un passo irreversibile. Le pacche sulle spalle vanno bene in piola (e ancora…), ma tendenzialmente non in ufficio.
Mio padre ripeteva spesso un proverbio tipicamente torinese: “Tropa confiensa, ven men la riverensa” (troppa confidenza, viene meno il rispetto). Il Lei garantisce un sano distacco e quindi un sano “rispetto” reciproco. Finché riesco preferisco utilizzare il Lei: sarà anche obsoleto, come comportamento, ma a me piace di più così e non vedo perché dovrei comportarmi diversamente.
Inutile fare confronti con la cultura anglofona, il Lei rispecchia in pieno la cultura della forma (esteticamente apprezzabile, ben inteso) che permea l’italianità. Forma che troppo spesso non è sostanza, ahinoi. In questo non credo proprio che un po’ di globalizzazione ci faccia male. Maleducati si è sia dando del tu che del lei. E anche del voi…
Non condivido nulla di quanto riportato nell’articolo. Io auspico che il “Lei” e il “Voi” vadano in pensione più prima che dopo. Per fortuna sul lavoro non ho questo genere di problema.
Commentatori sportivi di varie reti televisive ( suppongo ben pagati)..commentano le prestazioni di atlete donna con il “gli”,il “le”e’ in via di estinzione.
” Gli ho detto che e’ stata molto brava!”
“Ho qui la vicitrice…xx”-“Passagli il microfono..domandagli se…”
“Gli”,dunque, indica però solo ed esclusivamente il maschile (e cioè “a lui”, “loro”, “a loro”, “a essi”), “le” il femminile e cioè “a lei”.
Tanti anni fa dissi al mio allora datore di lavoro: “Lei è uno stronzo”. A distanza di decenni lo incontrai e mi ricordò di quanto l’avessi ferito in quell’occasione proprio perché glielo dissi dandogli del Lei.
A parte le molte considerazioni anacronistiche dell’articolo, preferisco il “Tu”, ma il “Lei” può servire a vantaggio di chi lo usa in certi casi.