Prime gite scialpinistiche (AG 1964-028)
(dal mio diario, 1964)
Lettura: spessore-weight*, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**
5 dicembre 1964. Prima gita scialpinistica! Chicco ed io ci siamo iscritti al corso di scialpinismo, diretto da Gianni Pàstine. E’ già incominciato il 3 dicembre con la prima lezione teorica, “montagna invernale” e “introduzione allo scialpinismo”. Mentre ero in Grigna con Ravajoni e c., Chicco era con Gianni Pàstine, Margherita Pàstine, Gianni Calcagno, Carlo Morozzo, Augusto Martini, Maria Grazia Vianello e altri in gita scialpinistica al Monte Ventasuso, sopra il Colle della Maddalena. E in discesa si è trovato molto male, con frequenti cadute, perché, come tutti, non è abituato a sciare su neve fresca o ghiacciata, bensì solo sulle piste. Forse io, che manco so sciare in pista, mi troverò meglio… Dunque riesco ad avere sci e pelli da Augusto Martini, così posso provare.
A Vinadio, per mancanza di soldi, vorrei dormire in macchina, ma “gentilmente” non mi è permesso fare simili “scemate” e così entro in albergo, perché mi hanno graziato le spese di benzina e autostrada…
6 dicembre 1964. Dopo un bel po’ di altri km in Valle Stura, ci fermiamo a Grangie, una frazione di Argentera a 1800 m circa, e da lì partiamo. C’è un freddo cane, circa 6° o 7° sotto zero. Appena partito, mi stupisco di quanto sia facile e poco faticoso. Procediamo abbastanza velocemente su per il Vallone di Puriac che a un certo punto si stringe notevolmente: qui di sciabile c’è ben poco, dobbiamo salire a scaletta. Dopo tanti scalini usciamo al sole, verso il Colle di Puriac 2506 m, che raggiungiamo alle 12.15. Qui lasciamo gli sci e, sferzati dal vento, ci leghiamo. Io sono con Margherita e Giuseppino Grisoni, mentre Gianni Calcagno è con Chicco e Gianni Pàstine. Noi attacchiamo la cresta della Cima delle Lose 2813 m, un po’ sulla sinistra per rocce innevate. Loro preferiscono ancora più a sinistra per un pendio di neve troppo fresca. Poi però ci ricongiungiamo. Renato Avanzini e Rita Corsi erano partiti un po’ dopo di noi e adesso stanno arrivando al Colle di Puriac. Noi intanto, oltre la Bassa di Colombart, per una cresta magnifica, interrotta da roccette e su neve ben ramponabile, arriviamo in cima. Dopo questi circa mille metri di dislivello abbiamo una fame orba. Ore 13.30. Vogliamo ripartire presto, per non fare tardi, le ore di luce sono poche. Con una temperatura di circa -10° cominciamo a scendere. Arriviamo al Colle di Puriac mentre Renato e Rita iniziano la discesa dalla vetta. Sciolinatura e via!
Ora iniziano i dolori. In tutta la discesa ho contato 23 cadute, la maggior parte delle quali all’inizio, perché di sci ricordavo proprio poco (di quel poco che sapevo…). In compenso ho superato benissimo la strettoia del vallone e questo mi ha rinfrancato; in più le mie cadute non hanno rallentato nessuno, perché mi rialzavo in fretta e non mi fermavo mai, al contrario degli altri che preferivano riposarsi un po’ ogni tanto. Al fondo mi vengono fatti i complimenti per la mia “truce grinta” che mi permette di scendere anche senza saper sciare. Cadute fatte in sicurezza e controllo. Scio maluccio ma con prudenza, questo il giudizio di Gianni. Comunque siamo tutti un po’ affaticati per via della neve schifosa. Ritorno senza storia.
13 dicembre 1964. Partenza da Genova alle 4.45, in auto con Giuseppino e Luigi Felolo, che guida. Gli altri si accodano a Sampierdarena. La conversazione non è troppo vivace, oggi nessuno dei tre è chiacchierone. Comunque il tempo è buono e speriamo di arrivare in cima a qualche vetta. Non ero mai stato a Frabosa Soprana. In seggiovia fino al Monte Moro, poi a piedi (perché senza neve) fino al rifugio del Prel. Qui calziamo gli sci. Il tempo è bello e si vede tutta la cerchia alpina occidentale. Giuseppino ed io filiamo come matti per il gusto della velocità, salvo poi fermarci per aspettare gli altri, Arrigo Bellone, Giovanni Bisio e Lorenzo Bonacini. Alle 11 siamo al rifugio Balma 1883 m, poi proseguiamo aggirando il costone orientale delle Rocche Giardina. E qui dobbiamo togliere gli sci perché per un bel pezzo di neve non ce n’è più. A piedi traversiamo sotto le pendici meridionali delle Rocche Giardina, poi finalmente ancora su neve, ma a piedi, arriviamo in vetta al Monte Mondolé 2382 m. Arrigo e Giovanni si fermano a metà salita. In discesa, magnifica sciata sugli scarponi fino agli sci. Al rifugio Balma sbraniamo un po’ di cibo, poi via ancora al Prel, con neve scarsa ma buona. Questa volta ho contato 7 cadute.
20 dicembre 1964. Solidarietà valligiana è un’iniziativa dei soci della Sezione Ligure del CAI, non ho capito bene se ufficiale o del tutto privata. Si tratta di portare, la domenica prima di Natale, dei doni alle frazioni più sperdute del nostro Appennino Genovese. L’anno scorso sono stati portati a Bertone, sopra Gorreto (questi posti mi ricordano una certa gita con Marco Ghiglione…). Quest’anno si andrà a Carrega. Le due auto sono zeppe di roba. In autostrada fino a Vignole Scrivia, poi su per la Val Borbera, orrida nella sua struttura conglomeratica. Queste rocce di puddinga presto riceveranno una mia visita… Carrega è un comune che, pur non essendo in condizioni floride, non desta pietà. La miseria e lo squallore si vede ben di più nelle piccole frazioni, dove in decine di case vive più solo una famiglia, o due al massimo. Le condizioni in cui questi montanari vivono d’inverno, bloccati dalla neve, a quote tra i 1000 e 1300 metri, sono spaventose. Il parroco ci racconterà, al nostro ritorno dal Monte Carmo, alcuni episodi agghiaccianti. Queste frazioni, Cartasegna, Veneunzi, Connio, Magioncalda, Berga, sono votate a sicura morte, ma almeno è necessario essere un po’ vicini a quelli che le abitano ancora.
Alle 10.35 partiamo per il Monte Carmo, io parto in tromba per la cresta nord-ovest e supero i 710 m di dislivello in 49 minuti, compresi quattro di sosta. Dai 1350 m in su c’era neve. Gli altri impiegano un’ora e 25 minuti. Poi scendiamo per il vallone a nord-ovest e ritorniamo a Carrega. Qui mangiamo all’osteria il pranzo offerto dal parroco, poi andiamo a casa sua consegnando i doni e parlando ancora un po’. Quindi torniamo a Genova, su una strada così fangosa da essere pericolosa. Ci fermimo u momento alle rocce della Costa della Ripa solo per vedere se si possono arrampicare queste rocce di puddinga. Poi, al buio, ci mettiamo in viaggio per casa.
Consuntivo 1964
Dal punto di vista spirituale e contemplativo non c’è bisogno di commenti e penso che anche in futuro non ne parlerò più. Basterà leggere le mie righe su questo diario e parleranno da sole.
Guardiamo dal punto di vista tecnico. Quella poca attività turistica l’ho svolta andando in Valle d’Aosta, in Grigna e in alcune valli del Cuneese. Ho percorso 2205 km in treno, ho migliorato il record di distanza a ovest di Genova, portandolo nel Vallone di Puriac, nei pressi del Colle della Maddalena. Ho aumentato di due il numero delle provincie da me percorse. Quest’anno purtroppo non ho svolto alcuna attività di campeggio. Mentre sull’escursionismo non mi posso lamentare, mi sono preso le mie soddisfazioni. Quando non arrampicavo, camminavo sempre a velocità sostenuta, se poi ero solo, sempre spaventosa. Attività sciistica in pista, ben poca (Lurisia, Limone Piemonte), ma ho ormai deciso di abbandonare questo genere e di perfezionarmi solo nella discesa scialpinistica. Quanto al fondo, lo stesso: solo che la discesa dal Valasco (vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/il-primo-bivacco/), non potendo essere definita “discesa”, mi va di chiamarla “marcia”, quindi una specie di fondo. Ho iniziato poi l’attività scialpinistica con tre gite, nelle quali (Lose, Mondolé, Valasco) mi sono comportato abbastanza bene: posso ritenermi soddisfatto. Grave lacuna per quanto riguarda la speleologia: non ho fatto assolutamente nulla. E veniamo alla roccia e al ghiaccio, che insieme sono il terreno dell’arrampicatore. In roccia ho fatto un mucchio di salite, in ghiaccio pochine (Canalone Freshfield, qualche pendio di neve, il superamento del ghiaccio nero del Gh. del Sasso Levante e della Grande Forcella del Latemàr). Grave mancanza che per un po’ non potrò riparare. Ma su roccia ho fatto davvero tanto. Di tutta la Sezione Ligure sono quello che più è stato in movimento per tutto l’anno. Certo, come qualità di salite non sono certo il primo, però mi difendo onorevolmente, lasciando la supremazia ai vari Gianni Ribaldone, Ottavio Bastrenta, Piero Villaggio, Euro Montagna, Piergiorgio Ravajoni, Gianluigi Vaccari e Renato Avanzini. Ho compiuto 75 ascensioni (comprese le scialpinistiche) e 5 tentativi, 37 uscite in palestra, 5 gite propriamente escursionistiche. Ingente, forse troppo, l’attività solitaria. Alla lista dei monti ne ho aggiunti 92, stessa cifra per i passi. Ho abolito il record dei rifugi. Ho avuto il mio primo addiaccio e bivacco. Ho portato il record d’altezza a 4160 m. Le ore passata in arrampicata e sci, in salita e discesa, sono state 231 e 15’. I metri in salita di arrampicata e sci sono stati 19.710. Alla conoscenza della montagna ho dedicato molte ore (corso di alpinismo, lezioni teoriche di scialpinismo, guide e libri letti, solidarietà valligiana. I due gruppi, del Latemàr e del Marguareis sono stati al centro della mia attenzione. Del Latemàr ho intenzione di percorrere tutte le vie fatte non fatte, nonché redigere una monografia. Al suo riguardo ho consultato moltissime opere, oltre che in italiano anche in tedesco e inglese, per avere più informazioni possibili. Devo anche scrivere a Gabrielli di Predazzo e a Plank di Nova Levante per ulteriori delucidazioni. Nel CAI ormai sono conosciuto da tutti e tutti mi hanno in simpatia. Ho pubblicato anche un articolo sul Latemàr sul notiziario, apprezzato. Il mio scopo era di far aprire un po’ gli occhi su quei luoghi, e anche di procurarmi dei compagni per l’esplorazione.
Con i miei genitori le relazioni sono mutate. Sanno tutto sul mio conto, ma io continuo a fingere. Per le gite scialpinistiche non mi dicono niente. Quanto vorrei che questa situazione cambiasse del tutto!
E infine alcune considerazioni sul mio alpinismo. Sono stato prudente? Sì, questo è indubbio. Soltanto in alcuni casi mi sono sbagliato e ho tentato troppo (Schmitt, Carrega del Diavolo, Latemàr, Finestrone ad Arco). Le salite solitarie sono senz’altro le più pericolose, però le facoltà psicologiche dell’arrampicatore solitario sono triplicate. Ormai mi è chiaro che sono un buon soggetto per soddisfazioni alpinistiche. Tutto sta ad amministrare bene le mie capacità. Dipende solo da me.
Quanto alle altre attività (marcia, corsa campestre, campionati d’istituto) non le ho mai considerate fini a se stesse, bensì all’alpinismo. Tutto fa allenamento. Ho inteso così anche la ginnastica pre-sciistica. In complesso è stato un anno ottimo, che mi ha dato tante soddisfazioni. Purtroppo il 1965 non sarà così. Ho l’esame di maturità e non posso scherzarci troppo. In programma ci sono il corso di scialpinismo, la prima ascensione dello spigolo nord-est della Rocca Rossa, l’inizio dell’esplorazione del Latemàr, il perfezionamento della mia tecnica in Dolomiti (vie di V con passi di VI). Da settembre in poi non so cosa farò, ma spero di recuperare tutto il tempo perso d’inverno e primavera.
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A distanza di anni..oggi 2021,osservando le foto…stesse vicissitudini iniziali mie e di amici nel 76. si iniziava con gli sci di fondo con aggiunte pelli o scioline aggrippanti e poi il salto di categoria con sci per discesa ed attacchi Silvretta a leva e cavo, brigosi nel passare da basculanti a fissi, e scarponi di cuoio ..e rimpiango di averli regalati.Oggi salgono alla Forca Rossa dal passo san Pellegrino con un tremila di capitale ai piedi, quando ai tempi bastavano gli sci fondo larghi da escursione , e pure le gare scialpinistiche avevano 2 categorie: fondo ( con numeri di tempi da maratoneti e virtuosismi da galera)e scialpinismo, con due percorsi.
Si rimane..colpiti , dai tempi di salita ..e da tutto quello che riguarda quel periodo, con poca attrezzatura si facevano grandi cose . Complimenti a “Alessandro…bei racconti.. Un c. saluto..G.C.
Così una volta si imparava a sciare! Direttamente fuori pista. Cadendo. Anche io ho imparato così. In questo modo, oggi considerato pura eresia, ci voleva più tempo ad imparare ma, dal punto di vista del feeling per la neve e dei risultati, si imparava molto meglio a sciare fuori pista. Complimenti ad Alessandro per i tempi di salita, notevoli davvero con l’attrezzatura di allora.