Mi chiamo Stefano Longhin e vivo in val Vigezzo, nell’alto Piemonte. Ho 45 anni, sono un alpinista della domenica (purtroppo ormai anche di una domenica sì e una no) che ha sempre preferito la montagna ad una comoda falesia ma, come tutti quelli della mia specie, che si è anche divertito su tante falesie. Ed è proprio al riguardo di queste che scrivo. E lo faccio per avere un parere su una delicata questione che riguarda le falesie della mia valle, sapendo comunque che questa problematica si è già verificata altrove e, purtroppo per certo, si diffonderà ulteriormente.
In val Vigezzo ci sono due siti d’arrampicata attrezzati: Le Viette, falesia di più settori, bella e abbastanza nota (Ossola e Valsesia, ora Ossola Rock, edizioni Versante Sud); Falesia Primo Bonasson, una struttura raggiungibile a piedi in mezzoretta, con vie di più tiri aperti negli anni ‘80, poi abbandonata e infine ripulita e riattrezzata tra il 2017 e il 2018 grazie anche al CAI locale che ha donato il materiale necessario.
Forse per il fatto di sentire una qualche responsabilità per aver fornito il materiale per l’attrezzatura della Falesia Primo Bonasson o anche per aver messo il logo e il nome della sezione sulla bacheca e sui pieghevoli (senza però ovviamente assumerne alcuna paternità formalizzata), la sezione del CAI Valle Vigezzo, ma più esattamente il suo presidente Raffaele Marini, vorrebbe invece formalizzare una forma di “gestione” o di “sicurezza” nei due siti d’arrampicata.
Vorrebbero stipulare un contratto di comodato con i comuni proprietari delle aree dove si trovano le falesie, per far sì che la copertura assicurativa CAI, che la sezione ha già in essere, copra anche i due siti d’arrampicata; su questo sono stati “rincuorati” da figure interne al CAI centrale che si occupano del settore assicurativo; per questo serve anche un certificato di conformità (o collaudo) della struttura con validità annuale da parte di un professionista abilitato (guida alpina) e una relazione geologica che attesti la sicurezza dei siti.
Da un paio di anni faccio parte del consiglio della sezione CAI Valle Vigezzo e la questione è dibattuta da un annetto: io e altre due persone (che arrampicano) riteniamo questa una cattiva prospettiva, contrapposti al presidente e al resto dei consiglieri che lo “seguono” (che non arrampicano, non lo dico assolutamente per fare distinzioni di merito, ma è un dato di fatto che comporta conoscenze differenti della materia e del contesto) che invece vorrebbero attuare il progetto.
Vi allego un mio scritto, e vi chiedo la pazienza di leggerlo, dove riassumo le motivazioni per cui io non sono d’accordo con questa iniziativa, in particolare sono convinto delle ragioni scritte nella seconda parte, per cui è importate mantenere il carattere di sito naturale e non gestito, dove imparare a muoversi e a responsabilizzarsi con la consapevolezza che una quota di rischio rimane inevitabile, e tali condizioni verrebbero snaturate e perse in un sito “assicurato”.
Il presidente Marini, in passato mi ha detto: “Posso condividere o meno i tuoi principi ma, se succede un incidente alla Bonasson, chi mi dice che la sezione CAI non è coinvolta nelle responsabilità? Al CAI centrale mi dicono che potremmo avere delle responsabilità anche solo per aver donato l’attrezzatura, peraltro tutta certificata, e mi dicono pure che per essere coperti dall’assicurazione che la sezione ha già c’è comunque da seguire questo percorso”.
Io sono convinto che la sezione non avrebbe rischi o responsabilità di cui temere, ma questo potrebbe essere solo il mio parere.
Perciò mi piacerebbe che a questo scritto seguisse un dibattito in rete che possa:
– o aiutarmi a ricredermi se non vi trovate d’accordo con me;
– o essere molto utile per convincere il consiglio a non intraprendere un percorso che io giudico sbagliato e che soprattutto può creare un precedente in Italia, dove dilaga una forviante e pericolosa concezione secondo la quale “tutto deve essere messo in sicurezza (o assicurato)” (Stefano Longhin).
Quale sicurezza alla Bonasson?
di Stefano Longhin
Riporto qui le mie ferme convinzioni riguardo la proposta di stipulare un contratto di comodato d’uso tra la Sezione Valle Vigezzo e i municipi per le falesie Bonasson e Viette.
Innanzitutto occorre dire che la pratica dell’affidamento di una falesia in comodato ad una sezione locale del CAI (o in un caso capitato nel lecchese, ad una ex comunità montana) è stato attuato in pochissime situazioni in Italia, più che altro come soluzione per falesie site su terreni privati, dove il proprietario aveva vietato l’accesso per evitare ogni possibile responsabilità in caso di incidenti. Si è fatto così per evitare la chiusura della falesia.
Nel nostro caso le falesie Bonasson e Viette non sono su terreno privato, ma su aree dei comuni di Malesco e di Villette, e i comuni non hanno posto nessuna perplessità sul loro utilizzo (ma è chiaro che sono pronti a stendere il tappeto rosso ai piedi di chiunque voglia prendersi delle responsabilità).
Le responsabilità che ha ora il CAI Valle Vigezzo in caso di incidenti alla falesia Bonasson sono praticamente irrilevanti.
L’aver acquistato e donato il materiale necessario alla nuova attrezzatura (azione fatta anche da tanti altri comuni, da comunità montane, associazioni e anche da enti parco per tante altre falesie della provincia e in tutta Italia), l’aver posto il logo e il nome della sezione sui pannelli informativi al solo fine di farla conoscere (e giustamente, perché si è contribuito alla sua realizzazione) e il fatto che viene “chiamata” la falesia del CAI, senza che vi sia nessun atto giuridico che lega la sezione Valle Vigezzo al sito d’arrampicata attribuendole responsabilità, tutti questi sono elementi che, appunto, non assegnano alla sezione nessuna responsabilità o dovere sulla falesia. Il CAI non è responsabile della sua pulizia, della sua manutenzione, del fatto se sia stata attrezzata in maniera corretta o se malauguratamente dovesse capitare un’incidente.
In un approfondimento dell’AIPIA (Associazione Italiana Preparatori Itinerari d’Arrampicata) su “responsabilità giuridiche nell’arrampicata sportiva su pareti naturali” si dice chiaramente che in caso di incidente le responsabilità verrebbero ricercate nell’ordine tra: 1) il comportamento di chi assicura; 2) il comportamento di chi arrampica; 3) il comportamento di terzi presenti; 4) difetti o errori nell’attrezzatura degli itinerari; 5) difetti dei materiali utilizzati: attrezzatura personale e attrezzatura del sito (quindi eventualmente viene chiamato in causa il costruttore); 6) il proprietario del sito nel caso di caduta di pietre o eventi simili.
Questo è importante (e mi sembra anche molto ovvio) per capire che chi ha acquistato l’attrezzatura (tutto materiale certificato) e l’ha donata, ma non l’ha posata, non ha alcuna responsabilità.
Se invece, come è stato proposto, venisse stipulato un contratto di comodato tra il proprietario dell’area (comune) e la sezione CAI, allora LO SCENARIO CAMBIEREBBE radicalmente.
La sezione CAI, quale comodataria, ne diventa direttamente responsabile e in caso di incidente verrebbe subito chiamata in causa. Qualcuno potrebbe dire “ma così ci sarebbe l’assicurazione”… Io ci penserei molte ma molte volte prima di prendermi in capo la gestione e la responsabilità di un sito d’arrampicata, attività che su ogni testo e in ogni sede viene definita “attività potenzialmente rischiosa”, pur avendo un’assicurazione.
La falesia Bonasson è una sicura
palestra d’arrampicata su roccia naturale?
No: stante la distanza tra le protezioni e il fatto che tutte le vie sono di
più tiri e che l’accesso non è proprio immediato, è più propriamente una parete
attrezzata con vie di stampo alpinistico con protezioni molto più distanti di
quanto viene raccomandato dalle “linee guida per l’attrezzatura”.
Queste caratteristiche, unitamente al fatto che a monte della parete non c’è roccia compatta ma bosco e roccia (quindi con tutti i rischi di caduta sassi), ne accrescono il grado di rischio rispetto a una comune falesia con monotiri.
Non è per niente scontato che una guida alpina ne collaudi l’attrezzatura e che un geologo attesti la sicurezza del sito. Sarebbe opportuno capirlo prima.
Ma c’è un altro motivo, per me molto più importante, per cui sarebbe un grosso errore se la sezione diventasse comodataria delle falesie: tutti i siti naturali d’arrampicata non gestiti e di libero accesso sono e devono essere sempre ben distinti dalle strutture sportive.
Questa fondamentale differenza (e ciò che ne consegue) è rimarcata nelle linee guida per l’attrezzatura dei siti naturali per l’arrampicata e dei percorsi attrezzati, primo e unico testo di riferimento in assenza di norme specifiche, redatto nel 2016 dal Collegio Nazionale delle Guide Alpine Italiane e ancor più rimarcata con forza dall’Osservatorio Per la Libertà In montagna, (organismo costituito nel 2012 alla presenza dei rappresentanti del Club Alpino Italiano, dell’associazione Guide alpine italiane, del Club alpino accademico, del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, della Commissione nazionale scuole di alpinismo scialpinismo e arrampicata libera del CAI).
I siti naturali d’arrampicata sono sempre soggetti a una naturale quota di pericolo; anche se attrezzati rimangono compresi tra i terreni naturali (boschi, fiumi, pareti rocciose o di ghiaccio, ambienti innevati, ecc.). Chi li percorre ne deve essere consapevole e decidendo di percorrerli (arrampicando, nuotando, sciando, ecc.) si assume le conseguenti responsabilità.
E questo aspetto non è un limite, anzi, ne rappresenta un valore di estrema importanza, fortemente educativo, che va difeso e mantenuto, a dispetto della tendenza (a volte dell’illusione) sempre più dilagante di mettere in sicurezza e di assicurare ogni contesto in cui ci si muove.
Su questi terreni si deve imparare a muoversi cercando e affinando la concentrazione che aumenta la sicurezza e diminuisce il rischio, quell’elemento fondamentale che tutto il mondo alpinistico chiama attitudine alla percezione del rischio.
I siti naturali non devono essere affiancati o confusi con le strutture sportive come palestre indoor o palestre d’arrampicata gestite, che sono da considerarsi alla stessa stregua delle piscine e delle piste da sci, ma anche di strade, piste o percorsi artificiali. In questi spazi non ci si deve preoccupare della sicurezza che deve invece essere garantita dal gestore che ne ha tutte le conseguenti responsabilità. Lì si possono fare tutte le attività sportive in sicurezza, ma senza la possibilità di apprendere e migliorare quella componente formativa detta prima che, dovremmo essere tutti d’accordo, è fondamentale nell’andare in montagna.
Concludendo, porre un gestore o un comodatario assicurato in capo a un sito naturale d’arrampicata assimilerebbe quel sito a una struttura sportiva, snaturandola. E, se questa iniziativa malauguratamente si diffondesse ad altre falesie, succederebbe proprio il contrario di ciò di cui c’è bisogno e che deve, anzi, essere anche una preoccupazione formativa del CAI: responsabilizzare chi va in montagna e rendere le persone sempre più consapevoli dei rischi.
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@ pasini carofiglio… ? dunque ti sara perfettamente chiaro il perche vi siano più dubbi che certezze e perché la questione del chiodatore bidello non abbia una soluzione matematica e possa avere mille sfumature…
@govi grazie a te per il confronto, forse non ho davvero capito cosa non ti convince.
Caro ocio , non sono un qualunquista, so bene, per esperienza e conoscenza diretta, quante persone serie e oneste ci sono in magistratura. Mi riferivo alla battuta di Riva sulla prescrizione. Ci sono dei meccanismi che tu conosci bene probabilmente in modo diretto, io solo per racconti amicali, che spesso sono un ostacolo a chi vorrebbe realizzare davvero nella pratica quei valori a cui crede e che magari lo hanno portato a scegliere un certo mestiere. A volte si vince a volte si perde. Non sempre per le ragioni giuste. Tanti casi, che hanno coinvolto anche alpinisti, lo dimostrano. È una cosa che da fuori è sempre molto difficile da capire. Per di più sono un lettore appassionato di Carofiglio e quindi sui rapporti giudice e avvocato sfondi una porta aperta. Nell’ultimo libro c’è la descrizione di un’immaginaria lezione dell’avvocato Guerrieri ai giovani uditori, come si chiamavano una volta, che vale per noi profani più di un articolo tecnico.
@ocioalfix
chiudo qui per l’evidente incomunicabilita’ reciproca che a questo punto tedierebbe
Esplicito che non era mia intenzione sottoporti a esame ( pubblico ) ma semmai ‘usare’ la tua competenza per mia ( e penso degli altri ) educazione. Scopo peraltro parzialmente raggiunto, e per il quale ti ringrazio.
@pasini, essendo realista non disconosco che in parte può essere vero.
ma io sono anche assolutamente convinto che nella stragrande maggioranza dei casi ci sia un giudice a Berlino, e che (lo dico a ragione assai veduta) vi sia molto meno marcio di quel che si suppone.
Un bravo avvocato, a differenza di del che si suppone, fa spesso la differenza solo perché ha la capacità di fra vedere al giudice aspetti nuovi.
E ti posso assicurare che per il magistrato un avvocato con le palle è un aiuto, non un ostacolo.
Insomma, caro Roberto, “nihil novi sub sole”.
Detto per anime semplici: il solito tran-tran.
@michelazzi grazie per la lancia.. devo dire che concordo, anche se dovrei dirlo a bassissima voce, oggi l’interpretazione giurisprudenziale tende a spaccare il capello in quattro e alla fine, a fronte di un paese elefantiaco, burocratizzato e con una produzione normativa infinta e di pessima qualità spesso fatica a rendere una giustizia apprezzabile sotto il piano sostanziale.
Del resto i nostri antenati dalle parti del Colosseo dicevano “summum jus, summa iniuria…”
Tuttavia l’aver eleborato o concetti per qualche tempo, fornendogli adeguata base giuridica, specie in materie che sono ancora allo stato embrionale può non essere inutile anche nell’orientare le pronunce dei giudici (tra l’altro su temi che hanno anche una connotazione così particolare che difficilmente appartengono al patrimonio di conoscenza e sensibilità del magistrato medio, magari preparatissimo sotto il profilo tecnico, ma cui il termine spit dice quanto un vocabolo ostrogoto).
Dipende anche se sei in grado di pagarti l’avvocato giusto, se hai i soldi per indennizzare generosamente i parenti della vittima e se la corporazione a cui appartieni fa quadrato. As usual. Non c’è differenza rispetto ad altri campi della vita sociale.
@govi boh, magari sono io che non riesco a esprimermi, ma sto davvero facendo fatica…
Non ho mai detto che io ritengo giusto responsabilizzare chi piazza materiale in parete, ho però detto che ad ogni azione umana che comporta riflessi nell’altrui sfera giuridica (anche la morte e le lesioni le sono) l’ordinamento connette una conseguenza, che può essere esclusa a fronte di determinati parametri.
(prevengo l’osservazione che si dovrebbe andare a cercare Piola se salta uno spit su voiage, dicendo che a mio avviso lì si possono sostenere ragioni diverse, ma non mi pare il caso di addentrarvici ora).
Quello che ho dunque chiesto è per quale ragione il chiodatore amatoriale di falesie dovrebbe essere immune da quel principio che riguarda tutti i consociati (anche a me stesso, perché magari ti sarà sfuggito ma io al momento non ho tratto alcuna conclusione, ho solo invitato a porsi qualche domanda in tema di attrezzatura di falesie di fondo valle destinate alla fruizione pubblica di un numero indeterminato di persone, evidenziando che vi sono alcuni principi giuridici da cui le falesie non sono a priori immuni).
Ho poi espresso un’opinione personale – precisando che era tale e che era una posizione che sono conscio sia poco condivisibile e condivisa dal mondo arrampicante – che a mio avviso non dovrebbe essere consentito a chiunque qualunque cosa ovunque, norma che perlatro prescinde nella mia visione anche da criteri di mera sicurezza e abbraccia parametri du tutela di beni che sono di tutti e non di chi un giorno si alza decidendo di andare a sforacchiarli, magari a capocchia).
l’incongruenza/opacità l’ho già spiegata il post prima, se non ti arriva non so che farci: se vai al quarto piano con la scala non può citare il condominio perché mancano tre gradini, sei in grado di guardare dove metti i piedi e quindi sei tenuto a non caderci. se prendi l’ascensore e quello precipita, è improbabile che tu possa, prima di salirci, accertarti che tutto l’impianto sia in ordine.
A mio avviso questo fa una certa differenza, la stessa che ritengo sussista fra la via trad – ove la gestione della sicurezza è affidata al singolo salitore anche a fronte di chiodi già presenti – e la via a spit in falesia, destinata ad una frequentazione multipla e ricreativa, dove chi scala si affida ad un impianto creato da altri.
magari vi sono ragioni pratiche e giuridiche che io non vedo, se qualcuno le ha chiare che le esponga.
dopodiché di fare il botta e risposta sul “non hai spiegato, non hai sviluppato”, mi sarei anche un pò rotto le palle, visto che non stiamo ad un esame di diritto penale e non ho neanche contezza della qualifica degli esaminatori 😉
@riva grazie, un intervento davvero risolutore.
Mi permetto di spezzare una lancia in favore di ocioalfix (sembra un nome nativo americano… 😀 ).Non ha proposto la valutazione di regole stabilizzate e riconosciute, perché non ne esistono. Ha invece aperto una serie (piuttosto ampia ipotizzo…) di dubbi valutativi, il ché è diverso.Per esperienza personale sia in ambito professionale che privato, ho avuto modo di testare i concetti di dubbio nella magistratura ( i perché sono indubbiamente molteplici ma menzionarne significherebbe aprire discussioni infinite senza alcuna possibilità di trovare un filo conduttore). Per il profano (come il sottoscritto) che confida in un margine ampio di valutazione stabilita da norme è … una delusione…!Ecco perché anticipare eventuali situazioni che potessero in qualche modo creare gravi precedenti è importante. E’ importante discuterne per non trovarsi impreparati, visto che a priori comunque, al momento almeno, non si può fare nulla. Come ho già scritto non sono felice assolutamente di questa situazione avanzante ma il “nuovo che avanza” non sempre dev’essere positivo… l’importante è sapere che esiste ed agire noi a priori di conseguenza.Per questi motivi, tornando al discorso di base, la mossa ipotizzata dal CAI
Valle Vigezzo la considero fuori luogo…
Si incomincia a capire perchè la maggior parte dei reati vengono prescritti.
“in altre parole in falesia arrampichi affidandoti totalmente a materiale predisposto e verificato da altri è sostanzialmente senza possibilita di verifica a priori. A mio avviso qualche differenza la fa.”
Si parlava di filosofia del diritto, cioe’ del fatto che per te, e’ giusto responsabilizzare chi piazza uno spit. Da quello che leggo, desumo che per te non e’ invece necessario responsabilizzare chi piazza chiodi. E’ questa incongruenza/opacita’ che rende ( per me ) poco credibile la tua sicurezza nell’affermare la necessita’ di una ‘regolata’. Sull’altro punto, piu’ generale ma forse piu’ importante, e cioe’ il principio per cui ‘chi piazza materiale alpinistico’ in una parete, ne e’ responsabile, non hai elaborato, ma spiegherebbe il perche’ di tutta questa discussione.
”Perche’ un anello che cede per cattiva preparazione della resina dovrebbe costituire imperizia e caricare di responsabilita’ penale e un chiodo piazzato troppo frettolosamente in una fessura invece no? ”
premesso che non ho dato nulla per scontato ed ho ispirato al dubbio ogni mia riflessione, la differenza fra un chiodo e un resinato messo male mi pareva di averla già evidenziata almeno un paio di volte. nel primo la possibilità di valutazione e di intervento dell’agente è totale così che la sua decisione di utilizzarlo cosi può risultare sufficiente ad interrompere il nesso causale con altre condotte ed a figurare come elemento da solo sufficiente a cagionare l’evento.
nella falesia attrezzata si va facendo affidamento su quel che si trova. Io non ho mai visto nessuno salire con la chiave per verificare i fix (ammesso che tale valutazione serva) o con una cartuccia di resina di scorta ( tanto se non è messo bene te ne accorgi quando è tardi…).
su una via chiodi tradizionali nessuno che non sia folle (ho visto gente moschettonare con la canna e tirarsi a chiodi tradizionali di 40 anni al corno stella, ma li stiamo nell’esoterico) si affida sic et simpliciter a quel che trova (lo so, sui tiri non ribatti tutti i chiodi, ma quella è ancora un’altra faccenda, accetti il rischio per non metterci sei giorni).
in altre parole in falesia arrampichi affidandoti totalmente a materiale predisposto e verificato da altri è sostanzialmente senza possibilita di verifica a priori. A mio avviso qualche differenza la fa.
se invece vuoi spiegare tu, sotto il profilo giuridico, perche debbano ritenersi situazioni identiche provo a capire meglio
a Pasini e Michelazzi invece dico che sono meno pessimista di loro… magari questa vicenda almeno ad alcuni insegnerà ad essenzializzare ed a sfrondare, apprezzando un po di più il senso di quello che fa.
Sul discorso rischio e cultura, si potrebbe aprire un altro dibattito. Concordo con Michelazzi, io credo che lo spit abbia innalzato il livello tecnico ma (almeno in quei casi dove ha massificato e/o mosso interessi) è stata la morte del free climbing, dando a free tutti i possibili significati.
Per quanto trovo realistico che si possano figuare scenari giuridici come quelli ipotizzati da Ocioalfix ( responsabilita’ del chiodatore dilettante per incidente dovuto a cedimento di ancoraggio ), trovo un poco affrettata la sua riflessione sulla filosofia del diritto. Non si tratta di difendere poeticamente la figura tradizionale dell’alpinista del suo operare con liberta’ nell’ambiente. E’ la vaghezza del principio che esprime che e’ in qualche modo inquietante – per i duri e per le anime belle – nonostante ce lo presenti come del tutto consolidato. Perche’ un anello che cede per cattiva preparazione della resina dovrebbe costituire imperizia e caricare di responsabilita’ penale e un chiodo piazzato troppo frettolosamente in una fessura invece no? Con quale principio giuridico chi “piazza protezioni su un pezzo di roccia” ne assume la responsabilita’. Puo’ darsi che per Ocioalfix tutto questo sia chiarissimo e privo di opacita’, e allora potrebbe proseguire nella suo sforzo istruttivo.
Caro ocio, compressione delle libertà individuali e sicurezza collettiva sono strettamente legate. Essendo tu uomo di legge, così percepisco dal linguaggio, sai bene che la protezione della sicurezza collettiva è sempre stata alla base anche delle più infami legislazioni liberticide, comprese le leggi razziali. L’idea dello scarso valore dell’individuo e della sua soggettività rispetto alla collettività e all’incedere del destino e della storia ha basi lontane. Ho ricordi giovanili ancora forti di un impegnativo seminario sulla Filosofia del Diritto di Hegel in proposito. Dietro la sicurezza, c’è la paura della morte. Leva fortissima che ispira gran parte dei nostri comportamenti e delle nostra vita emotiva. Non c’è partita se si cerca di opporle la fredda ragione o più banalmente il buon senso. Visto che siamo in giornata, suggerisco la lettura del libro di Schiavone su Pilato. Cerca di ricostruire le ragioni di sicurezza e di consenso popolare che indussero il giudice monocratico di ultima istanza dell’epoca a sacrificare la libertà e la vita dell’oscuro predicatore ribelle che oggi parte del mondo ricorda. I runner e gli arrampicatori rischiano sicuramente meno, ma hanno anche meno speranza di influenzare la storia dell’umanità (anche se qualcuno qualche speranza in proposito l’ha coltivata e la coltiva). Auguri.
L’analisi giuridica di ocioalfix non fa una piega (e ci mancherebbe…), tocca punti che a prima vista e per tradizione non siamo abituati a vedere appunto toccati ma come dice lui, prima o dopo, purtroppo, capiterà…Non c’è vittoria da parte dei professionisti della montagna per tutto questo (come qualcuno ha ipotizzato) e lo abbiamo ribadito già anche ufficialmente in occasione di diverse situazioni dove si voleva limitare accessi vari all’accompagnamento con Guida Alpina ed il perché è semplice da capire… il nostro universo si fonde perfettamente con quello dilettantistico, lo siamo stati anche noi e fuori dall’attività professionale la maggior parte delle G.A. continua la sua attività passionale.Ciò che a mio parere è venuto a mancare e difficile ipotizzarne un ritorno in tempi brevi, è l’accettazione del rischio. Quella concezione mentale nata dall’alpinismo (senza non ci sarebbe alpinismo e chi non lo comprende non fa alpinismo ma attività ludica stile gardaland), che abbiamo perso con lo sviluppo fine a se stesso della sportiva.Chi avrebbe dovuto pensarci, non ci ha pensato (non certo per malizia) e oggi ricostruire questo tessuto di apprezzamento anche del fattore rischio sta inesorabilmente scomparendo. Prodotto della société sécuritaire che anche nei frangenti attuali delle disposizioni d’emergenza in fato di epidemia, ha preso il sopravvento stravolgendo la società come la conoscevamo ed imponendosi con limiti che fanno venire i brividi, se non ci penseremo immediatamente per forzare la curva di andamento futuro.
Altro atteggiamento che si sta insinuando anche in questi ambiti è l’arroganza, confusa spesso con quella genuina anarchia (auto-determinazione) che segnò l’ambiente pere secoli ed oggi viene appunto confusa.Per far fronte a tutto ciò l’unica medicina sarebbe la cultura, difficile nella sua impollinazione, con tempistiche lunghe… direi oramai utopistica… Rassegnamoci perciò o cominciamo a farlo, alla previsione di Ocioalfix che con tempi ben più rapidi snaturerà quello che per secoli è stato un bel gioco e sta diventando sempre più un gioco controllato.Per la mia professione, tanto per tornare sull’argomento, sarà una disfatta, altro che vittoria…!
Aggiungo un paio di riflessioni meno giuridiche.
Con riguardo a ciò che scrive Pasini, anch’io temo che questa ondata di follia collettiva non passerà indenne, ma non credo si rifletterà in un maggior bisogno di sicurezza con conseguenze su chi arrampica, temo piuttosto che non si tornerà indietro tanto facilmente dalla brutta prassi di comprimere libertà fondamentali in maniera sommaria e con provvedimenti discutibili, specie dopo che si è aizzata una intera popolazione alla paura, alla diffidenza, ai discutibili hashtag iostoacasa e andràtuttobene.
Sotto il profilo più filosofico, invece (intendendo per tale la filosofia del diritto) mi piacerebbe che le anime belle che si indignano per la possibile sussistenza della responsabilità del chiodatore spiegassero anche per qual ragione il chiodatore dilettante di falesie dovrebbe essere l’unico soggetto nell’ordinamento giuridico di questo paese che sfugge al principio di causalità legato alle proprie azioni (ribadisco che parlo unicamente di incidenti che possano accadere per cedimento dell’ancoraggio malposizionato/difetto del materiale, apparentemente idoneo). Ovvio che se si discute di spit alti/lontani è l’utilizzatore che si assume il rischio con la sua scelta di percorrere l’itinerario.
Si discute per fortuna, di ipotesi quasi solo teoriche data l’incidenza (tanto che vi è chi, in ambito pubblico, ha ritenuto che sotto il profilo statistico il gioco valesse la candela https://gognablog.sherpa-gate.com/gli-aspetti-giuridici-della-fruizione-turistica-della-montagna/, anche se si tratta di scritto che sfiora solo marginalmente la problematica di cui si discute in questa sede).
In ultimo l’attività sportiva non costituisce scriminante, è tale negli sport di contatto (calcio pugilato, etc) dove non risponde di lesioni (anche se sul punto c’è cospicua elaborazione giurisprudenziale per delimitare il perimetro della condotta scriminata) l’atleta che le causa ad altri durante l’evento sportivo. Ma se gioco a calcio e muoio perché mi cade la porta in testa, state sicuri che chi ha messo su la porta e chi l’ha fornita non sono scriminati.
Buona pasqua.
Io trovo invece piuttosto istruttivo questo scambio di idee. Bisogna tenere presente che la stragrande maggioranza dei siti attrezzati ( “falesie” ) dove la gente arrampica non sono gestiti o certificati, e sono state attrezzati, appunto, da dilettanti. In piu’, costoro spesso recuperano i soldi spesi con la vendita di guide, concorrendo cosi’ alla promozione dell’utilizzo della loro attrezzatura, con i conseguenti problemi ipotetici di affidamento.
Dino, se capisco bene, sostiene che non essendo questi siti inquadrati nelle esplicite categorie di ‘siti sportivi’, il loro utilizzo presume la capacita’ dell’utente di poter valutare l’affidabilita’ dell’attrezzatura, scaricando cosi’ il chiodatore da ogni responsabilita’ in caso d’incidente. Secondo quanto dice Ocioalfix, tale assunzione e’ da ritenersi tutt’altro che scontata e in un eventuale inchiesta, gli orientamenti possono essere diversi da quelli immaginati.
Vista la direzione nella quale la societa’ sta andando in termini di richiesta di sicurezza, mi pare plausibile che le cose evolvano in modo da richiedere una sempre maggiore formalizzazione delle attrezzature di uso pubblico. Che poi sia auspicabile, e’ altra faccenda.
Ad ogni modo, gia’ nell’ambiente il timore circola. Ho gia’ sentito di chiodatori che hanno esplicitamente rifiutato di comparire nelle guide.
@dinom a te parrà starata, ma è l’approccio sostanziale e processuale alla materia della colpa e del relativo accertamento, in caso di evento dannoso. che ti piaccia o meno.
Mi sembri piuttosto tu poco in grado di comprendere i riferimenti.
Non ho assimilato alcuna falesia, ho semplicemente detto che, ovunque accada un incidente mortale ci sarà una indagine e quella indagine sarà volta ad accertare responsabilità – ove esistenti – riguardo a quella morte.
quanto alla capacità di valutare il materiale in sito, io resto convinto che sul quel genere di materiale se tiene o non tiene lo scopri spesso solo quando ci voli sopra (salvo che non abbia, come ho presso, incidi evidenti di inaffidabilità).
Il problema non è se il chiosatore è bravo o meno ma se c’è un ancoraggio difettoso e non apparentemente tale per imperizia nella posa; se tu sei in grado di individuarlo già da lontano, buon per te.
Il riferimento a Tito era solo per esemplificare quali sono i parametri di indagine con riguardo ai soggetti che possono venire coinvolti, su base ampia. ovvio che siano casi completamente diversi.
La legge sulla professione di guida l’ho citata semplicemente per dire che è l’unica figura, sotto il profilo normativo, abilitata ad effettuare talune attività.
Io ho provato a dare qualche spunto di riflessione, su un tema che non è affatto definito e chiaro, ma magari mi esprimo male e non sono riuscito a farmi comprendere.
se tu hai le tue certezze, buon per te. Ti auguro di non incrociare mai la c.d giustizia, perché viaggia su parametri un pò diversi da quelli in cui ti ritrovi così tarato.
però evita di attribuirmi affermazioni e deduzioni che non sono mie.
Con riferimento all’intervento di Ocioalfix, posso unicamente rilevare che a me sembra completamente starato; non capisco perchè si debbano assimilare falesie spittate “amatorialmente” a quelle “certificate” quasi fossero strutture sportive. Questa forzatura, esclusa anche dalle GA invalida tutto il discorso successivo. Nemmeno il discorso sui materiali infissi è vero, nel senso che ciascuno di noi che arrampica, capisce immediatamente se chi ha chiodato è capace o no. Il climber sceglie autonomamente in che falesia andare, che difficoltà affrontare, che tiro scalare. I chiodi e gli spit hanno problematiche simili ma il chiodo ha caratteristiche anche inferiori ed è più delicato. Non mi sembra che uno spit che spunta mezzo fuori o che ruota, oppure messo sul marcio o tutto di traverso sia difficile da vedere. Gli stessi resinati se mal polimerizzati spesso ruotano, anche se concordo che siano più difficili da individuare. Non ci vuole molto a distinguere uno spit da 8 rispetto a uno 10 o se volando dal terzo spit si arriva in terra o se la catena è consumata …….insomma non ci sono differenze a mio modo di vedere. La presenza di mezzo metro di rovi o di arbusti vari o spit con due dita di ruggine non sono certo indice di buona manutenzione. Se poi uno incurante scala ugualmente credo sia sua colpa. Il caso di Tito è completamente diverso, poichè esisteva l’affido; salvo l’accompagnatore tutti sono stati assolti. Qui non c’è affido non c’è promessa di sicurezza: nulla.
In questo caso la legge 6/89 non c’entra nulla. Insomma mi sembra che tutto il discorso sia poco concreto e per nulla pertinente. Altro è che siccome bisogna guardarsi le spalle ( per i noti motivi di incertezza del diritto) si possano usare, per chiodare vie nuove o fare manutenzione, le specifiche Al.Si. Poi certo ognuno ha un a sua percezione delle problematiche ma quella di Ocio mi sembra un po’ starata.
Non sono un operatore del diritto e quindi non entro nel merito della discussione sulle tematiche tecniche. Ho imparato tuttavia, avendo lavorato nel campo delle relazioni industriali, che l’esercizio concreto del diritto risente del clima e delle condizioni di contorno. Non dovrebbe essere così, ma di fatto è ciò che accade, al di là del formalismo giuridico. Il linciaggio pubblico dei due fratelli guide alpine protagonisti nei giorni scorsi di incidenti in montagna e in falesia ci può dare qualche indicazione in proposito, a prescindere da una valutazione di merito sul loro comportamento. Abbiamo visto che in questa fase, tra libertà individuale e sicurezza, la prima ne è uscita perdente. Abbiamo assistito ad una limitazione pesante di importanti libertà costituzionali sulla base di provvedimenti dalla fragile base giuridica. Il sentimento popolare, influenzato dalla paura, ha appoggiato questa linea d’azione, senza esprimere grandi dubbi in proposito, anzi a volte invocando azioni anche più restrittive. E ora vedremo cosa accadrà sul tema del “tracciamento”. Abbiamo anche assistito ad una caccia al disubbidiente, a volte anche a prescindere da una valutazione specifica della pericolosità concreta dei comportamenti individuali. Gli amministratori locali hanno spesso assecondato questa tendenza, assumendo il ruolo popolare di sceriffi e di cazziatori di chi è stato additato come irresponsabile, narcisista e potenziale approfittatore di risorse pubbliche di assistenza per futili motivi, primi fra tutti i runner. Questo ci può dare un’idea del clima in cui si riprenderà ad andare in montagna questa estate, se si potrà. Possiamo immaginare come reagiranno le persone incitate dai media di fronte ad eventuali incidenti e soccorsi. È un tema sollevato anche in un dibattito di ieri tra guide su Montagna Tv. Guai a chi rischia: un nemico della società e della salute pubblica. Una versione ingigantita di quel sentimento di disapprovazione che ogni estate caratterizza le cronache dei soccorsi in montagna. Questo mi fa pensare che potremmo trovarci di fronte ad provvedimenti di limitazione e chiusura da parte dei comuni di situazioni (falesie o montagne) ritenute pericolose (vedi Monte Bianco ad esempio o Cervino). Azioni molto auto- protettive e peraltro anche di facile successo. Temo questo sarà il quadro. Pertanto o si lascia perdere e si aspetta che “passi la nottata” o si cerca di mettere in sicurezza più che si può alcuni luoghi che si vogliono salvaguardare, ma questa seconda strada pur essendo meritoria potrebbe essere davvero rischiosa per chi ci si trova coinvolto. Anche le Procure in questo clima non vogliono rimanere indietro rispetto alle forze dell’ordine e già si sente un eccitato “tintillar di manette”. A livello individuale bisognerà stare molto attenti non tanto ai pericoli della montagna ma ai pericoli della stigmatizzazione e del linciaggio.
Intervento molto istruttivo di Ocioalfix. Un passo significativo e’ “vieterei ai dilettanti di alzarsi una mattina prendere il trapano e fare quello che vogliono dove vogliono e come credono”. Ognuno si farà’ la propria idea sulla condivisibilita’ di tale principio, che evidentemente, piaccia o no, rappresenta sulla carta la direzione sempre più’ probabile degli orientamenti giuridici. Sarebbe bene che i numerosissimi dilettanti se ne rendano conto prima di avere grane. Probabilmente, a fattaccio avvenuto con conseguente rinvio a giudizio, cominceremo a vedere schiodare le prime falesie. Piccola/grande vittoria per professionisti ( saranno più’ indispensabili ) e per ecologisti…
chiarisco solo alcuni aspetti dei miei interventi e il riferimento ai bidelli, che non era dispregiativo ma era solo volto a sottolineare la differenza professionista /dilettante (nè lo era verso i bidelli, professione nobile come qualunque altra ma che, con ogni evidenza non si occupa di cemento armato).
Detto ciò, esistono bidelli bravissimi con il cemento armato così come ingegneri mediocri e, allo steso modo, chiodatori dilettanti bravissimi e guide alpine mediocri.
In questa sede non mi interessa la filosofia sulla falesia, sulla opportunità di gestione, sull’avventura e la vita selvaggia, perché quello non entra nei tribunali.
interessa invece, sotto il profilo della responsabilità, quale conseguenza possa derivare dalla attrezzatura di falesie, ed in quello – per semplificare – rileva la differenza guida/dilettante, come peraltro ha ben indicato Michelazzi (anche se io la vedo per alcuni aspetti in maniera un pò diversa da lui).
La legge 6/1989 istitutiva del professionista guida alpina, che risente un pò del tempo ed espressamente non prevede fra le qualifiche quella di chiodatore, certamente attribuisce al professionista della montagna anche tale attività, almeno in via interpretativa, ai sensi degli artt. 2 e 14. Poiché la guida è l’unico professionista che per legge può esercitare nei confronti di terzi l’attività di accompagnamento e insegnamento (e le collaterali) relative alla montagna (ho semplificato, ma altrimenti diventa lunga), se sbaglia ne risponde esattamente come l’architetto o l’ingegnere che hanno progettato e realizzato male casa nostra.
Per valutare il suo operato certamente saranno utilizzate anche le linee programmatiche che le stesse guide si sono date (le AL.SI), che a mio avviso non hanno valenza normativa ma che certamente guideranno il giudice (che potrà comunque integrarle con ulteriori valutazioni e analisi, anche tecniche) nel valutare la colpa del professionista intervenuto (tralascio gli aspetti sulla durata di tale responsabilità, sull’obsolescenza, etc, poiché le linee in parte risolvono anche quello, seppur con parametri aperti).
Questo tipo di garanzia non sussiste ovviamente con il chiodatore bidello che, per quanto bravo, non garantisce alcunché. Il chiodatore dilettante ha anche un altro problema: oltre a non garantire, rispetto alla guida, alcun parametro certo di responsabilità professionale, non garantisce neanche alcun tipo di uniformità, poiché la guida – per lo stesso fatto di aver superato un esame ed essere iscritta all’albo garantisce parametri minimi di formazione (poi ci sarà quella più o meno brava ad attrezzare, ma questo è un altro discorso), il dilettante è una mina vagante, può essere più bravo di una guida o può usare tecniche e materiali mortali (visti con i miei occhi).
su tale aspetto io ho una visione drastica, perché si scherza con la vita della gente e si interviene comunque su beni che sono patrimonio collettivo, quindi vieterei ai dilettanti di alzarsi una mattina prendere il trapano e fare quello che vogliono dove vogliono e come credono.
So che è criticabile ma preferisco qualche falesia in meno e qualche tiro decente in più. Oppure si istituisca per legge un patentino per chiodatori, diverso dalla figura di guida e si sanzioni severamente chi agisce fuori da quei parametri.
Rispetto alle schifezze che si vedono in giro, per fortuna, succedono pochissimi incidenti, ma non è una buona ragione per continuare a farle.
L’altro aspetto, che prescinde al moemnto da aspetti culturali, libertari e filosofici (che comprendo ma che non interessano a chi indaga e a chi giudica) è a chi deve essere ascritta la responsabilità di incidente capitato in falesia attrezzata dal dilettante.
Qui il principio è a mio avviso più sfumato, ma non credo che le analisi libertarie di alcuni possono trovare riscontro nelle procure (e successivamente nelle aule giudiziarie): se qualcuno muore in falesia per una caduta imputabile esclusivamente al cedimento di materiale (inadeguato a malposizionato), il procuratore della repubblica da corso ad una indagine volta ad accertare i responsabili; in quella indagine inevitabilmente si cercherà anche chi quel materiale ha fornito e posizionato perché all’inizio l’indagine funziona un pò come una rete a strascico, si indagano tutti quelli che – astrattamente -potrebbero avere una responsabilità (anche in via concorsuale) nella causazione dell’evento.
Non sfuggirà che nell’incidente di Tito, il ragazzino caduto per aver usato rinvii mal predisposti ed in cui era passata nel moschettone solo la clip elastica e non la fettuccia, sono stati indagati tutti i componenti della possibile cerchia di responsabili, ivi compreso il produttore del materiale, sino a che non si sono individuate una (o più) responsabilità esclusiva che elidevano le altre.
Come poi venga valutata la responsabilità del chiodatore dilettante rimane il vero ampio punto oscuro (come ho già detto, non mi risultano precedenti), poiché da un lato esiste un parametro preliminare e dall’altro uno di metodo.
Dubito che possa sostenersi che sia da imputare esclusivamente a colpa della vittima l’essersi affidato al materiale presente (cosa che potrebbe essere invece sostenibile in alpinismo ove la tenuta di una sosta tradizionale o di un cordino per le doppie trovato in cima al capucin, richiede necessariamente una valutazione discrezionale e cautelativa dell’agente che può intervenire e sostituire, sicché laddove si affidi a materiale inidoneo si può ragionevolmente sostenere che il fatto colposo dell’agente è idoneo ad escludere totalmente il nesso di causalità con condotte altrui).
In falesia, ove chi scala non ha alcuna possibilità di valutazione e intervento sul materiale che trova in loco, tale tipo di analisi a mio avviso non può aver luogo in maniera automatica. Ovvio che chi si cala su due tasselli per i pensili della cucina, una catenella da orologio e un grillo del 4 ben può ritenersi un suicida (ossia potrebbe farsi valere il ragionamento sulla colpa dell’agente di cui sopra), ma chi si cala su una sosta o vola su una protezione apparentemente idonea e che cede per erroneo posizionamento a quale fattispecie deve essere ascritto?
Io credo che il magistrato chiederebbe al perito che certamente nominerà (e che quasi sicuramente sarà una guida) di valutare gli aspetti tecnici (che potrebbero essere valutati anche con riferimento alle AL.si, anche se non vincolanti) e una volta accertata la causa tecnica si preoccuperebbe di identificare chi ha predisposto l’ancoraggio causa dell’incidente.
Dico le Al.si poiché a mio avviso non sono dissimili ad una norma Uni, che è norma tecnica dettata da associazione privata, che non ha di per se valenza normativa o precettiva, ma che certamente va ad integrare il precetto astratto di legge in talune ipotesi (la responsabilità colposa dell’elettrcicista o dell’installatore di caldaie, ad esempio, può venire valutata anche in base alla rispondenza del suo operato a quelle previsioni).
Non dimentichiamo infine che il processo, anche quello penale e anche quello in fase di indagini, è dialettica fra le parti e quindi gli in pagati nomineranno a loro volta un tecnico (magari un’altra guida) che sosterrà tesi diverse (e talvolta peregrine) a scopo difensivo (visto con i miei occhi), con ulteriore difficoltà per il giudice o il procuratore a pervenire ad un risultato interpretativo ben calibrato.
Allora credo, senza dare soluzioni che non ho, che la comunità dei chiosatori e dei fallisti dovrebbe cominciare ad interrogarsi su quali possibili regole rendano tale mondo meno complicato e più sicuro epr tutti, frequentatori e chiodatori , sia in falesia che in Tribunale (nella malaugurata ipotesi che ci si dovesse arrivare).
Sono d’accordo che ogni normativa recinti un pò e che in montagna i recinti siano fastidiosi, ma la falesia è un terreno particolare, con problemi particolari e l’attuale far west non credo ponga problemi minori di quelli che potrebbe addurre una specifica disciplina, chiara e ben formulata (da addetti ai lavori, cosa che in Italia non è così scontata).
Quindi la distinzione falesia, falesia multipitch, falesia sportiva, terreno d’avventura, etc. può non aver alcun rilievo concreto, a meno che non si chiarisca – nelle guide o sul luogo con adeguate tabelle – che quella falesia è terreno selvaggio e chi vi si avventura è tenuto a gestirsi e a proteggersi in piena autonomia (come si usa in Francia in alcuni settori).
Assai più dubbi mi sorgono invece per quei luoghi di cui si pubblicizza ampiamente la frequentazione, in cui si legge sulle guide “falesia di recente (ri)chiodatura”, e in cui si legittima – comunque – un affidamento da parte dell’utilizzatore.
il tema non è semplice e non è di semplice risoluzione.
Buongiorno a tutti! Sono fermamente convinto che si debba combattere per la nostra libertà in montagna, il che ovviamente presuppone un’assunzione PERSONALE di responsabilità da parte di chi la frequenta. L’andazzo odierno è sotto gli occhi di tutti, non solo, come in questo, per attività in falesia, ma anche, cosa a mio avviso ancora più grave, in alta montagna (Monte Bianco). Se TUTTI gli appassionati di montagna, quale che sia la loro attività, non metteranno da parte i dissapori e le antipatie per combattere per un’obiettivo comune ci troveremo con i tornelli anche sui sentieri. Pertanto no a certificazioni, no a comodati, ma ovviamente questo presuppone che chi si fa male si prenda le SUE responsabilità e non denunci Comune, Sezione CAI, Chiodatori e compagnia bella
@Giacomo, per questo immagino che l’unica soluzione sia quella di mettere un “bollo”: falesia certifica e gestita da…., se non c’è equivale ad essere in ambiente.
Perché ci sono troppi casi intermedi.
Altrimenti perché chi cihoda in falesia dovrebbe essere responsabile e chi lo fa in ambiente no?
Oltre alle questioni già poste sulla manutenzione. E se io volessi tracciare una via poco protetta in una falesia?
In sostanza fare distinzione tra parco giochi e parco naturale 🙂
Michelazzi, Peace and Love non è del mio amico George e non si sa chi l’abbia inventata, ma tra noi quattro l’ho sempre usata io.
L’accesso a pagamento o meno e’ solo uno degli aspetti che il magistrato possa considerare nel caso di incidente. La questione non e’ cosa/che servizio/che standard l’utente sia legittimato ad aspettarsi, ma come la legge consideri la ‘messa a disposizione’ di attrezzatura alpinistica a persone terze. Le domande restano senza una risposta precisa e per il futuro questo mi pare possa destare preoccupazione. Per quale tipo di responsabilita’ possono essere chiamati i centinaia di chiodatori volontari? Incidenti non nascono necessariamente da errori di chiodatura ( concetto per altro, per i motivi visti, difficile da definire ), ma dall’invecchiamento della stessa e da valutazioni la cui arbitrarieta’ puo’ essere del tutto legittima.
Sono comunque d’accordo che sarebbe interessante avere sottomano degli esempi concreti di incidenti e relative cause inerenti a queste tematiche.
Tralasciando la filosofia e i “o tempora o mores”, penso che la difficoltà ad uscire dal “buonsenso (o se preferite dal buon padre di famiglia), sia che non esiste soluzione di continuità.
Falesia: esiste una definizione univoca?
Falesia trad… ops
Falesia con vie a più tiri, ops oops
via in ambiente spittata.. ooops
via in ambiente solo con soste predisposte ooohhh
via in ambiente senza neppure le soste arghhh
Per fare un esempio concreto le vie di più tiri spittate di Arco cosa sono?
Credo che tra le pieghe dei vari discorsi ci sia una soluzione molto pragmatica:
pago (direttamente o indirettamente): pretendo che tutti sia a norma: certifico la falesia con i nomi e cognomi dei responsabili
non pago: non posso pretendere nulla, chi vuole va apre una via, se piace qualcuno la sale, se non piace viene coperta di edera.
questo taglierebbe la testa al toro, lascerebbe al mercato decidere, non ci sarebbero ambiguità.
forse 🙂
Il suo punto l’ho colto. Il fatto è che di motivi per non fare ce ne sono sempre a palate come di rischi in ogni parte della vita che viviamo ogni giorno. Quando affronto un argomento mi piacerebbe parlarne concretamente del tipo ” è successo questo e questa è stata la conclusione”. In questo modo si riesce a capire meglio come operare e come difendersi e se io chiodassi, avrei qualche buon consiglio. Credo che Ocioalfix, da come scrive, sia un avvocato e ne capisca di quel tipo di problemi e perciò un contributo concreto potrebbe davvero darlo.
Evidenti errori di chiodatura che abbiano causato incidenti importanti, che abbiano comportato problemi legali non ne conosco, mentre scalando molto vedo in giro materiali e criteri vecchi. All’estero funziona tutto molto meglio.; la vetustà prima o poi causerà incidenti e innescherà problemi di divieto d’accesso. Soldi pubblici per professionisti a pagamento ce ne sono pochi.
Credo che non sia stato colto il punto di Ocioalfix. Che la maggior parte delle centinaia di falesie esistenti sia opera meritoria di “bidelli” non c’e’ dubbio. Personalmente spero bene che in caso di incidente, non li si vada a cercare. Da quanto dice Ocioalfix qualche dubbio ce l’ho, ed e’ abbastanza inquietante. Il punto pero’, e’ che quando si vuole trattare la falesia come un impianto sportivo ( per me pessima idea ) e quindi garantirne gli standard di sicurezza, se ci si e’ affidati a professionisti ( magari seguendo le AlSi ) si ha comunque maggiore garanzia di poter dimostrare di aver operato con perizia.
Io continuo a pensare che la promozione di falesie mantenute o certificate, e la stessa catalogazione e’ un enorme errore che non diminuira’ gli incidenti, anzi paradossalmente potrebbe aumentarli. In piu’, portera’ una ulteriore crescita della cultura securitaria, che poi e’ il motore principale per generare ingerenze giudiziare sempre piu’ frequenti.
Mi permetto di dissentire da “ocioalfix”.Quando si parla di chiodatura, occorre sapere che le prime Al.Si (almeno che io conosco ) sono quelle della Cosiroc Francese, che appunto segue da molto tempo questa attività e sono del tutto simili alle nostre. Recentemente ha affrontato una chiamata in giudizio; quindi se desideriamo capire qualcosa sulla gestione “ufficiale” delle falesie naturali forse bisognerebbe guardare li. Si potrebbero avere esempi che riportati potrebbero dare un contributo alla discussione che altrimenti rischia di essere generica.
Nelle indicazioni Al.Si . delle GA ci sono distanze tra spit, diametri e tipi attrezzatura per i vari tipi di roccia, e indicazioni sul posizionamento. Fa poi riferimento alle indicazioni del costruttore del materiale per la posa. Io credo che sia difficile andare oltre.
In molte parti del mondo ci sono falesie o zone boulder gestite, dove per scalare si paga, ed allora ovviamente si possono garantire gli standard di manutenzione di tipo impianto sportivo. In Italia Arco, ha creato zone ad hoc quindi posso capire che una Sezione Cai possa valutare questa opportunità peraltro meritoria anche se impegnativa.
Permettimi però una considerazione finale. Io non so se tu scali e quanto, però i “bidelli” ( tra cui anche tantissime GA non retribuite) hanno ad oggi attrezzato, a spese loro in massima parte, migliaia e migliaia di tiri. Altri “bidelli” hanno creato un centro di studio dei materiali e delle tecniche di livello assoluto che contribuisce in modo sostanziale alla sicurezza di tutti noi. Moltissimi “bidelli” insegnano gratuitamente come si usa correttamente un freno o una corda. Io credo che i “bidelli” nel loro complesso di “volontariato” pur con tutti i loro tanti limiti e difetti, un contributo lo abbiano abbondantemente dato.
Non risultano ( a me ,forse mi sbaglio e tocco ferro) ad oggi incidenti particolari dovuti alla loro imperizia quindi la tua affermazione, oltre che poco rispettosa, è anche sostanzialmente sbagliata. Forse un grazie invece non guasterebbe.
Resta il fatto che oggi in Italia in molte falesie ci sarebbe bisogno di manutenzione e trovare le risorse per farla è complicato, mentre all’estero questo tipo di attività ha un forte sviluppo.
@ocioalfix:1) non me la sono presa, neanche un po’… mi da solo fastidio, visto che in questo blog si tenta di mantener un minimo almeno di serietà, dover discutere con dei nick invece che con dei nomi. Esperienze passate (leggi forum PM che era all’inizio un sito di discussione e dibattito e nick appositamente buttati lì per creare caciara hanno fatto morire) mi dicono che non va bene.
2) mai detto che le linee guida siano irrilevanti a livello amatoriale, anzi, ma che sono un utile strumento per il professionista. L’amatore chioda per se, può usarle o meno mentre un professionista chioda per gli altri ed un riscontro di confronto ritorna utile. Ho scritto male? Rileggendo non mi sembra, però la lingua italiana malgrado sia bellissima, a volte un punto o una virgola possono renderla complicata. Nel caso chiedo venia, errore non voluto.
3) di materia giuridica mi interesso da profano appassionato, quindi ben vengano correzioni ed affini, in questo campo (quello tecnico di cui tratta questo articolo), qualcosina ho imparato e di sicuro ho imparato che malgrado tutti gli sforzi che si facciano per dare un’impronta regolamentare, poi arriva il magistrato di turno totalmente incompetente e ti smena tutto… pregi e difetti del nostro sistema.
4) gli spunti, come dici tu, ci sono tutti ma effettivamente di precedenti sui generis , per fortuna non ce ne sono anche per questo sarebbe meglio evitare di crearli (metter il culo nelle pedate). Le linee guida non a caso sono piuttosto generiche altrimenti si rischierebbe di dare adito ad interpretazioni fatte magari da incompetenti sulla materia ed il danno è fatto… non siamo proprio così imbecilli come Guide…
5) pararsi però il fondoschiena anticipatamente fa parte di quella massima del: prevenire meglio che curare ed in questo senso nascono le stesse, che come ho già descritto in parte sono state sorpassate dalle norme UNI-EN ma lì (ferrate) parliamo di strutture che era quasi ovvio prima o poi venissero parificate ad un impianto e così è stato. Non vale lo stesso per le falesie (i motivi sono molteplici e sono sicuro che non serve che te li identifichi anzi, magari me ne puoi indicare qualcuno che sfugge alla mia valutazione).Sul resto: tutto si può discutere, apprezzare e/o contestare, posso comprendere benissimo che ci siano delle motivazioni nel tuo anonimato ma ovviamente il peso che può avere un post (sempre che ci sia un valore nel peso) scritto da un nome e cognome è diverso credo tu possa concordare. Ovviamente la questione non tocca solo te. Spesso entrano in dibattito dei nick e vengono loro rivolte le stesse valutazioni.
Peace and love (che bella frase che ha inventato George Harrison!!!)
Caro Michelazzi, direi con certezza che ti sbagli, l’unico luogo dove ti ho incrociato (solo io, leggendola) è una (bellissima) guida sulle dolomiti, che ho comprato qualche anno fa.
Quanto al resto, mi spiace tu te la sia presa, ma non dico poi cose molto distanti da quelle che affermi tu. Concordo sui culi e pedate, concordo su diversi degli aspetti che hai evidenziato, assai meno sulla valenza normativa delle linee guida e sulla loro irrilevanza in caso di chiodatura amatoriale, anche se si tratta di un documento che – probabilmente – contribuirebbe a formare il convincimento del giudice in caso di incidente legato alle modalità di attrezzatura (certamente in caso di falesia curata da guide ma anche , a mio avviso, in caso di falesia gestita da dilettanti, compreso quel territorio grigio costituito dalle scuole cai).
Magari l’ho fatto un pò bruscamente, e me ne scuso, ma volevo semplicemente mettere in luce che alcune affermazioni erano un tantino drastiche (e talune improprie) in una materia che è invece assai più fluida e che va oltre le tue competenze tecniche per abbracciarne altre.
Quanto alle soluzioni, non ne ho (non mi risulta che sul punto vi siano precedenti giurisprudenziali), ho ovviamente sviluppato nel tempo alcuni ragionamenti ed ipotesi interpretative, fatte proprie anche da tuoi colleghi, qui ho fatto semplici riflessioni su aspetti contigui e collaterali a quelli che tu hai esposto e che, a mio avviso, dovrebbero costituire spunto di riflessione fra gli addetti ai lavori (in senso ampio, dunque non solo i professionisti guida) perché potrebbero essere di significativo spunto anche per la loro rilevanza in eventuali procedimenti giudiziari.
Tutto qui, posso anche capire il fastidio davanti all’anonimato, ma se tu fossi Stef la guida, io mi limiterei comunque a valutare, in questo contesto, quanto affermi.
Se fossimo ad un convegno pubblico sulla sicurezza in montagna invece vorrei vedere il tuo nome e il logo sul segnaposto e tu vedresti il mio e la mia qualifica sul mio (così come in un processo devono essere chiari i rispettivi ruoli), ma sono contesti diversi, in cui la qualifica professionale di ciascuno diventa elemento determinante.
In questa sede preferisco, per ragioni che considero prioritarie e legate alla mia professione (e che posso anche esplicitare al gestore del sito), non comparire.
Avevo però piacere di dare, comunque, un contributo alla riflessione (non una soluzione).
peace and love
Caro “ocioalfix”, tutti i genitori insegnano ai figli di presentarsi col nome, per elementare educazione. A scuola ti domandano nome e cognome, all’università ti domandano nome e cognome, sul posto del lavoro ti domandano nome e cognome, i carabinieri e i magistrati ti domandano nome e cognome, sul pianeta Terra ti domandano nome e cognome.
Quando ti sei presentato alla ragazza che poi sarebbe diventata tua moglie – o quella che lo diventerà – hai forse detto: “Ciao, sono ocioalfix”?
E al momento dell’assunzione, tu, dotto giurista, ti sei forse presentato cosí: “Sono ocioalfix. Se mi volete, questo è il mio nome”?
E loro che ti hanno risposto? ???
Che vuoi che ti dica? HAI RAGIONE, nel senso che mi sta prepotentemente su
gli zebedei discutere con un fantasma… che ci vuoi fare sono limitato, ma vivo bene lo stesso.Interpreti, decidi, ti appigli sulla virgola (eh sì sei un giurista…) senza tenere conto di quale sia il significato di ciò che è stato scritto, perché aldilà di alcuni riferimenti, nei quali sono convinto si possa far affidamento malgrado non siano la bibbia come ho già avuto modo di scrivere (ti è sfuggito?) non ho dato indicazioni su come procedere ma informazioni sull’esistente, se non quella di evitare di mettere il culo nelle pedate, questa sì che è un’indicazione … Allora caro anonimo, dacci qualche lume di saggezza invece di pontificare senza arrivare mai a conclusione, visto l’anonimato lo puoi fare no? Nessuno direbbe mai che gliel’ha detto ocioalfix… sta tranquillo… la neuro funziona malgrado il corona virus.Visto il modo di scrivere comunque (magari mi sbaglio eh… la memoria può fare brutti scherzi) mi sa che ho capito bene chi si cela dietro il paravento e col quale ebbi già a che fare qualche annetto fa su questo blog… 😉
Caro Michelazzi
continui a guardare il dito e non la luna. Non ho sparato sentenze, ho speso argomenti tecnici, qualche sia la mia qualifica per farlo alla fine è irrilevante, magari confrontati nel merito, se sei in grado.
Non sono peraltro sentenze ma spunti di riflessione, nessuno ha una soluzione univoca né mi risulta vi siano sentenze sul tema specifico. Ho semplicemente indicato una serie di aspetti problematici di una attività, aldilà dello specifico caso della falesia del post e dell’incidente causato dall’imperizia del praticante ma ascrivibile unicamente ad elementi oggettivi (attrezzatura/conformazione rocciosa), che cominciano a presentarsi e che negli anni a venire (con l’obsolescenza dei materiali e il plausibile aumento di frequentatori) diventeranno ancor più urgenti.
Ti ho detto che sono un giurista, che opero nel pianeta giustizia e che mi occupo di questi temi da alcuni decenni. E’ indispensabile il mio nome cognome indirizzo e codice fiscale per farti star sereno o quello di cui mi occupo in concreto? Non ti è sufficiente confrontarti su un tema,a, devi per forza confrontarti con una persona?
Se poi ti vien più comodo attaccarti all’anonimato e dire fumati qualcosa, fai pure. apprezzo il contributo costruttivo alla discussione.
Quanto allo sparar sentenze e dare soluzioni con parametri erronei (perché non funziona così come dici) mi pare sia stato tu a farlo da tutto principio, con affermazioni tanto perentorie quanto sbilenche sotto il profilo del diritto “Le Linee guida Al.Si. citate nell’articolo (unica fonte normativa riconosciuta) sono strumento di lavoro per il professionista (per stabilire la Regola d’arte) ma non sono in alcun modo vincolanti per il dilettante.
Le stesse riportano al capitolo 4 come la struttura naturale è soggetta a mutazioni dovute alla caratteristica, appunto naturale, dei siti.L’implicazione professionale è evidente, in quanto, come normalmente avviene, obbliga ad una revisione a cadenza fissa del sito ma come già detto, se l’allestimento non è di tipo professionale ma sportivo (dilettantistico) in assenza di normative specifiche che nel caso della falesia non esistono (le vie ferrate sono oggi normate da linee guida UNI-EN che ricalcano quelle AL.Si. del Co.Na.G.A.I.) non si può venir considerati responsabili per la fornitura di materiale, peraltro omologato e quindi ineccepibile da questo punto di vista.”
si parla tanto, si parla di “montagna”, si sogna di un ambiente…. mitologico, si parla di Francia come esempio, e non si conosce per niente il contesto giuridico del quale si parla a vanvera
leggete qui
https://www.ffme.fr/decision-de-la-cour-dappel-de-toulouse-relative-a-laccident-de-survenu-a-vingrau/
e qui
https://www.ffme.fr/le-dossier-de-planet-grimpe-sur-le-futur-de-nos-falaises/
e la
https://www.ffme.fr/wp-content/uploads/2019/03/analyse-juridique-cdes.pdf
sappiate che la politica ffme in materia di siti gestiti, CAMBIA da quello che credete: la gestione che a spinto a convenzionare fino a quasi 1000 negli anni 2000 è ormai passato
benchè la ffme sia una federazione con mezzi e competenze nemmeno lontanamente paragonabili al cai, la constatazione è la seguente : IMPOSSIBILITA’ di assumere la gestione ed il NECESSARIO controllo permanente delle falesie … costi, personale, tempo, sono inverosimili
ed il “beneficio” di una gestione delle falesie, è tutto da dimostre
l’unico intevento veramente sensato, posato, competente, è quello del Sig.Castagnoli, avvocato piaccia o no, ne sa piu’ di tutte le guide
ognuno il suo mestiere
p.s. tanto per far polemica
la guida, per formazione, è una specie di “tassinaro”
ma che ti vuole far credere che è anche pilota da rally, tecnico motorista, specialista di circuiti F1, designer tipo Pininfarina, esperto di carburanti e industria petrolifera, e SOPRATTUTTO, che è L’UNICO ad avere questi DIRITTI DIVINI INALIENABILI, ricevuti con la patacca… medaglia
OCIOALFIX, certo che sei bravo a tentare di imputare a qualcuno paternità di argomenti mai evidenziati (in questo caso al sottoscritto).Evito di rispondere oltre ad un nickname che sputa sentenze senza dare alcuna indicazione su quali siano le sue qualifiche per farlo. Magari sei un coltivatore di lombrichi che si diletta a polemizzare senza dare un reale contributo se non tante chiacchiere… Nel tuo caso FUMA QUALCOSINA VA…Peace and love
“Sono d’accordo con Matteo che meno si norma meglio è, però di fatto le Al.Si. ( Michelazzi avevo capito che sono state riviste è possibile?) ci sono, depositate al ministero e soprattutto “protocollo” che le GA, di solito nominate perito, dovrebbero seguire. Sono anche fatte bene e ignorarle è sciocco secondo me. ”
come prendere il toro per la coda invece che per le corna. difficile tenerlo, facile farsi male.
Mi sono preso la briga di andare a vedere questo straordinario documento che risolverebbe ogni disputa.
Documento meritorio, per carità. una bellissima e lunghissima pippa su aspetti filosofici, sociali, culturali, storici, tecnici, etc.
Un encomiabile sforzo di catalogazione sistematica di una materia eterogenea e complessa, sino a che non arrivo a quello che secondo Michelazzi è risolutivo degli aspetti relativi alle responsabilità, e leggo (piccolo brano indicativo, ma si potrebbe discutere su molto altro, anche se le indicazioni di massima certamente denotano uno sforzo di uniformazione e gestione di procedure):
“Procedura generale per la realizzazione di un sito d’arrampicata
Scegliere gli ancoraggi idonei al tipo di roccia. Il materiale utilizzato dovrà essere certificato dalle ditte costruttrici e dovrà essere messo in opera applicando le indicazioni tecniche fornite dal costruttore e/o dal progettista.
Mantenere una distanza tra le protezioni che rispetti la sicurezza generale dei frequentatori a prescindere dalle loro capacità tecniche.
Individuare i punti di posizionamento dell’ancoraggio affinché quest’ultimo siano funzionali ad un facile moschettonaggio.
Verificare l’affidabilità della roccia in corrispondenza del punti di posizionamento dell’ancoraggio.
Utilizzare come punti di calata soste certificate, possibilmente pre-assemblate dal costruttore, composte dadue ancoraggi collegati tra loro (ancoraggi di tipologia corrispondente a quella degli ancoraggi lungo il tiro: fix o resinati).
Completato l’itinerario rimuoveretutto il materiale provvisorio.
A completamento degli interventi deve essere effettuata unapulizia generale della struttura anche dalla vegetazione arbustiva ed erbacea che può essere di intralcio all’arrampicata sulla linea di salita e nelle vicinanze.
Prevedere una manutenzioneperiodica della struttura rocciosa e delle opere installate su diessa.
Rispettareeventuali divieti di arrampicata nei periodi di nidificazione degli uccelli ed eventuali piante o endemismi presenti sulla parete.”
Si faceva prima a scrivere: fate i bravi.
E’ del tutto analogo a quanto oggi, in tempi di epidemie, si scrive circa il divieto di uscire: è consentito fare attività in prossimità dell’abitazione, è consentito uscire per comprovate esigenze lavorative…
Il precetto normativo deve essere generale, ovviamente, ma non generico. Ed anche eventuali norme tecniche che possono essere fonti secondarie volte ad integrare il precetto in campo penale (ed esempio nella valutazione della colpa), devono individuare parametri oggettivi.
Una disposizione che prevede “verificare l’affidabilità della roccia in corrispondenza dei punti di ancoraggio” è una raccomandazione, non una indicazione tecnica né un parametro ideo ad integrare il precetto normativo primario.
allora forse il problema è che è difficile se non impossibile, in questa materia, dare indicazioni tecniche che non siano quelle strettamente legate alle caratteristiche di uso e posizionamento dei materiali.
Io credo però che il problema delle responsabilità relative alla attività di arrampicata in falesia, che è strettamente connesso alla loro attrezzatura, vada inquadrato e gestito a monte.
Fermo restando che trovo folle che strutture naturali debbano diventare impianti sportivi gestiti da una qualche associazione (in tal caso tuttavia, sotto il profilo giuridico, il problema si semplifica) le direttrici da indagare e su cui sarebbe utile riflettere, anche in vista di future possibili vicende giudiziarie, riguardano l’applicabilità delle norme in tema di custodia e di colpa a strutture ed attività che sono di fatto incontrollabili.
Mentre l’alpinista è in grado di valutare e rinforzare una sosta su cui deve calarsi, il falesista che si cala su una sosta a resinati (ma il ricorso cambia poco per i fax) non ha modo alcuno di valutare da quanto sia lì’, come sia stata messa, se la resina ha polimerizzato, se i fittoni sono corrosi internamente dall’aria salmastra piuttosto che da fenomeni chimici legati a quel tipo di roccia (Si trovano in rete interessanti report di oviglia su tale aspetto).
Allora il magistrato che sia chiamato a valutare la responsabilità per un incidente così verificatosi dovrà escludere la responsabilità di alcuno, ascrivendo la vicenda all’esercizio individuale di attività pericolosa o dovrà verificare se vi siano errori/fattori imputabili ad altri che hanno concorso alla causazione dell’evento?
In che termini si può arrivare a disciplinare in maniera uniforme tale attività e le sue conseguenze? che non vuol dire necessariamente mettere paletti normativi, ma semplicemente stabilire in via normativa che determinate attività comportano un rischio che ricade unicamente sul frequentatore, vado per eccesso… perché se il frequentatore muore un errore palesemente imputabile ad altri, dubito che se ne esca comunque fuori.
A colui che chioda una falesia e poi pubblicizza il sito magari scrivendo una guida può essere imputata qualche responsabilità o è sufficiente il disclaimer “l’arrampicata è attività pericolosa, i frequentatori lo fanno a proprio rischio e pericolo?”
io qualche dubbio ce l’ho, e le famose Al.Si non me l’hanno affatto tolto.
Sotto quelle domande c’è un universo che rappresenta una buona fetta del percorso di chi si occupa di diritto nei Tribunali.
Allora sarebbe interessante un confronto fra soggetti che si occupano professionalmente di quegli aspetti interpretativi, più che fra coloro che – pure meritoriamente – hanno cercato di dare una linea di indirizzo ad una attività che ancora troppo spesso è terra di nessuno e terreno di pressappochismo.
Vi sono luoghi, anche molto noti, in cui le amministrazioni locali si giovano della pubblicità e del flusso turistico (e di denaro) che l’arrampicata muove, e tuttavia molti di quei tiri vedono soste con i moschettoni consumati a metà, spit del 1989 e via discorrendo, materiali su cui la gente continua a calarsi e ad assicurarsi.
E’ giusto che una Pubblica Amministrazione consenta la libera fruizione di beni (pubblici) ad un numero elevatissimo di persone senza preoccuparsi di investire sulla sicurezza di quei luoghi (in quel caso le guide e le loro Al.si verrebbero di utilità) e lasciando di fatto interi settori in un limbo gestionale con la segreta speranza che non accada nulla?
Di materia su cui ragionare, discutere e approfondire ve ne sarebbe moltissima, aldilà della polemica cai si, cai no.
E, a scanso di equivoci, dico che personalmente credo che se si deve gestire un luogo del genere, vada fatto fare a dei professionisti e non al chiodatore per passione, fosse solo per una questione di certezza e uniformità dell’intervento e di responsabilità ascrivibili chi lo effettua.
Fareste riparare un ponte a uno che, per quanto bravo, si diletta di colate in cemento armato per passione e di mestiere fa il bidello a scuola?
Sono d’accordo con Matteo che meno si norma meglio è, però di fatto le Al.Si. ( Michelazzi avevo capito che sono state riviste è possibile?) ci sono, depositate al ministero e soprattutto “protocollo” che le GA, di solito nominate perito, dovrebbero seguire. Sono anche fatte bene e ignorarle è sciocco secondo me. Poi però bisogna anche dare un taglio realistico alle cose.
I punti critici delle vie in falesia sono i primi 4 spit da terra o sopra gli ostacoli e la catena. Se si usa materiale specifico ( non materiali autocostruiti) e si presta attenzione alla qualità della roccia e al posizionamento i rischi sono davvero bassi o inesistenti.
Il “farsi male” in falesia dipende in maggioranza assoluta dal comportamento individuale. Non per nulla la causa più frequente in assoluto è la corda corta in calata, il nodo fatto male, la sicura statica o fatta male o la mancanza del casco cioè comportamenti individuali di chi arrampica.
Il concetto di “mettere in sicurezza” è relativo alla qualità del materiale in loco; occorre sempre poi tenere presente che i carichi applicati in caso di volo sono molto più bassi dei carichi sopportabili dai materiali infissi.
Io almeno la vedo così. E’ giusto porsi problematiche “legali” però occorre anche dimensionare le cose altrimenti non si esce nemmeno di casa per paura di essere investiti. Fare le cose bene e non avere paura, con un occhio alla schiena.
A mio modo di vedere è anche intelligente l’idea di classificare le falesie in modo che se dal 4 spit la spittatura si allunga, gli utilizzatori ne siano consapevoli e nel caso abbiano materiale per integrare. Altro modo positivo di affrontare la questione è trovare fondi per fornire il materiale a chi sa fare il lavoro.
Quanto poi al concetto di libertà in montagna io credo che non sia violato. Ognuno può andare nella falesia che vuole, affrontare la difficoltà che vuole e se non vuole la falesia fa vie in montagna. Il concetto è che nell’arrampicata sportiva ( di quello stiamo parlando) il volo è normale e quindi se uno cade mettendo il 4° spit non deve arrivare in terra.
Cosa diversa invece è affrontare la preparazione di una falesia nuova dove oltre ai problemi geologici (frane etc) occorre affrontare con equilibrio i problemi ambientali, oppure la spittatura “marittima” con i problemi di corrosione e quindi di manutenzione.
Io penso che il proposito di prendere in comodato una falesia è certamente molto , ripeto molto forte e presuppone una FORTE volontà poi di cura, manutenzione e gestione NEL TEMPO, poichè assimila molto la falesia ad un qualsiasi impianto sportivo. Quindi una decisione molto molto forte. Segnalo che anche in zona Arco alcune falesie sono state appositamente attrezzate da GA .
L’Abbraccio alla Presolana (2017).
Save the Mountains (2019)
Giornata regionale per le montagne (lombarde) (dal 2020).
Non sanno più cosa inventarsi per “tutelare” la Montagna.
Marcello dixit: “Come sarei fiero di un Club Alpino selettivo, elitario ed esclusivo. D’altronde “nell’alpinismo la democrazia non esiste” (cit. Rolo Garibotti),”
Perché?
Io che salgo un VII- (oggi) non posso pronuciarmi sulla schiodatura di una via di VII (ma su una di VI sì?), e domani quando salirò il VII+ che faccio, riapriamo i procedimenti?
E chi solo chi sale il 10a può pronuciarsi sul tali vie?
Il CAI è un ente politico, perché in una democrazia, se vuoi avere peso devi essere capace di fare lobby. Altrimenti sei irrilevante. Per fare lobby devi avere numeri, ossia voti. La democrazia reale funziona così, è il meno peggio che finora siamo riusciti a trovare.
E i numeri non li da chi arrampica, ma chi cammina la domenica fino ad un rifugio per la polenta e magari il paesaggio e magari la natura. E magari ammirano chi arrampica e gli viene voglia di tutelare se stesso e quelli che sente “simili”.
Perché le guide hanno un’associazione? Esattamente per lo stesso motivo.
Le persone non voglio problemi, vogliono regole sopportabili. Non pensare, ma soluzioni e un gioco abbastanza leggero da non stramazzarle.
Tutti noi facciamo così, ognuno nel proprio ambito. Poi c’è chi pensa di più, chi di meno, chi è più libertario, chi meno. Ma se si vuole vivere in una società si deve delegare una parte di libertà.
Il CAI elitario c’è, si chiama CAAI.
Se chiudiamo il CAI o lo riduciamo a 1000 iscritti, chi tutela la montagna?
Detto questo non amo neppure io i giochi di potere, ma rassegnamoci è la natura umana.
Al Cai interessa “esserci” per raccogliere adepti sempre e comunque. Proselitismo di cristiana ispirazione.
Come sarei fiero di un Club Alpino selettivo, elitario ed esclusivo. D’altronde “nell’alpinismo la democrazia non esiste” (cit. Rolo Garibotti), tantovale…
Concordo con Massettini: “alla fine di tutti i discorsi non si capisce a cosa corra dietro il presidente di quel cai. “
O come aveva detto Michelazzo all’inizio, “Mettere il culo nelle pedate” sembra stia diventando di moda…”
Per tutto il resto della discussione, personalmente la penso come Shakespeare: “The first thing we do, let’s kill all the lawyers.” [ENRICO VI (Parte II, Atto IV, scena II)]
In altre parole, meno si norma, meno si gestisce, meno si legifera meglio è; in particolare in montagna, parete, ghiaccio, sci, falesia o sentiero che sia!
state avallando la morte di un sogno di libertà.
Il CAi e molti dei suoi adepiti sono in prima fila nel portare avanti questo .
Complimenti.
alla fine di tutti i discorsi non si capisce a cosa corra dietro il presidente di quel cai. che gli importa di caricarsi solo di problemi e responsabilità? che tornaconto ha? occorrerebbe chiarire questo, perché il suo comportamento è incomprensibile: nessuno corre dietro alle responsabilità che non gli competono. la cosa è strana
@longhin” La realtà è che i magistrati e le sentenze seguono il flusso, è sempre stato così, gli indirizzi delle sentenze non sono uguali in Francia, in Norvegia o negli USA.
In una società sempre più securitaria le sentenze andranno sempre più in quella direzione. Per questo la cosa peggiore che si può fare è farsi trascinare alla deriva.Se non ci si rassegna e si prova a contrastare questa corrente, perlomeno nel campo del muoversi in natura (e anche in falesia), si può dare un esempio che può diventare virtuoso.”
Non è così. le sentenze seguono una indicazione interpretativa che deriva tendenzialmente da orientamenti di legittimità (ossia espressa dalla Cassazione) fondati su principi consolidati nel tempo (che peraltro nulla vieta che possano essere innovati, quando non ribaltati).
Nel campo della responsabilità civile e penale da incidente in montagna quegli orientamenti consolidati non ci sono, così come non vi sono norme specifiche e inequivoche, sicché il magistrato è chiamato ad inquadrare nei principi generali del diritto (sotto il profilo causale e di imputazione) un fatto estremamente specifico e governato da logiche e dinamiche assai peculiari, che di solito demanda ad un esperto (quasi sempre una guida) il compito di individuare.
Il senso dei miei post sotto era proprio quello di stimolare un dibattito fra gli addetti ai lavori (smuovendo un pò le certezze che sembrano introdurre alcune affermazioni di michelazzi sui parametri normativi, che tali non sono) perché i criteri ermeneutici utilizzati dal giudice possono mutare laddove cambi la cultura e cresca l’approfondimento e qualcuno, ove accada un incidente che finisce a processo, sia in grado di suggerire nuovi modi di vedere e di ricondurre il fatto ad ipotesi normative e interpretative che consentano di discostarsi dai canoni tradizionali di lettura.
In questo le guide e gli altri esperti – sotto il profilo tecnico – e chi si occupa di diritto – sotto il profilo giuridico – potrebbero lavorare in sinergia e dare un bel contributo.
A Michelazzi dico semplicemente che non dubito che abbia la capacita di individuare parametri e prassi tecniche e di fissare anche in testi tecnici ma che ciò è cosa ben diversa dall’avere la competenze nel campo del diritto, che evidentemente non ha, come ben emerge nel momento in cui pretende di addentrarvisi e di indicare – con modi sbrigativi e trascinati – soluzioni in quella direzione.
i Tribunali e le interpretazione dei giudici non sono immutabili, ma occorre che qualcuno accenda la scintilla di una nuova chiave di lettura che si fondi su presupposti tecnicamente e giuridicamente sostenibili.
E lo dico da addetto ai lavori della parte giuridica, anche se non pubblico qui sopra il mio codice fiscale e la mia qualifica.
Roberto Pasini, grazie per l’aggancio, ho trovato anche altre realtà simili a Pennavaire e approfondirò.
E grazie a tutti per ciascun contributo.
Aggiungo una considerazione:
Dino Marini dice “…prima che qualcuno chiuda con ordinanze e divieti l’accesso alle falesie stesse è indispensabile metterle in sicurezza…”.
ATTENZIONE! “Mettere in sicurezza”: sta proprio in queste tre parole il problema strisciante.
Tutte le parole hanno un preciso significato e sottintendono un modo di vedere la realtà.
Il solo pensare di poter “mettere in sicurezza” una falesia, così come magari lo si può pensare per una salita in montagna, oppure come già avviene per un posto di lavoro o per un’intera attività lavorativa, e perché no, si può pensare anche di “mettere in sicurezza” un matrimonio o un rapporto tra due persone, tutto ciò può essere forviante e molto pericoloso.
In tanti contesti si può migliorare la sicurezza, si devono ridurre i rischi, ma il concepire la “messa in sicurezza” implica l’assenza di rischio, o perlomeno induce questo pensiero, e questa illusione sempre più diffusa può andare solo a discapito della sicurezza.
I rischi vanno ridotti, ma occorre diffondere la necessaria consapevolezza che è naturale e anche educativo dover convivere con i rischi, serve imparare a farlo, a prevederli e dove serve, ad affrontarli.
Invece oggi, è proprio vero, la société sicuritaire genera mostri… dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti.
Nel mio lavoro mi occupo anche di sicurezza nei cantieri e potrei portare decine di esempi di questi mostri!
Il guaio è che la ricerca ossessiva della sicurezza è ormai talmente radicata che, in tanti ambiti, se porto le considerazioni che ho appena detto, mi sembra di parlare arabo o di essere visto come un folle.
Sono certo invece che chi ha cercato un po’ di avventura tra i monti (ovviamente non solo tra questi) può benissimo capirmi; il mondo della montagna può ancora rappresentare un baluardo a difesa della deriva della società verso la “sicurezza a tutti i costi”.
Tornando alla falesia da cui è partito tutto, capisco benissimo che si deve essere concreti, che se c’è un incidente, oggi, scattano i processi e si cercano delle responsabilità; la mia lettera mirava anche a cercare precedenti e fatti accaduti per dare elementi ai consiglieri della sezione del CAI. Sarebbe molto utile conoscere, come si sono conclusi i processi che penso ci siano stati per alcuni dei vari incidenti in falesia accaduti negli ultimi anni, e capire se ci sono mai state imputazioni di colpe per chiodatori o addirittura per la fornitura del materiale.
Ma tornando ai bei discorsi di cui sopra, che qualche precedente intervento ha definito “idealistici”, non sono per nulla separati dalla concretezza della realtà.
La realtà è che i magistrati e le sentenze seguono il flusso, è sempre stato così, gli indirizzi delle sentenze non sono uguali in Francia, in Norvegia o negli USA.
In una società sempre più securitaria le sentenze andranno sempre più in quella direzione. Per questo la cosa peggiore che si può fare è farsi trascinare alla deriva.
Se non ci si rassegna e si prova a contrastare questa corrente, perlomeno nel campo del muoversi in natura (e anche in falesia), si può dare un esempio che può diventare virtuoso. Si deve smettere ad esempio di usare slogan come “sicuri in montagna”, diffondendo invece la naturale e educativa consapevolezza dei rischi, (che non vuol dire cercarseli).
La lettera aperta al giudice Guarinello https://gognablog.sherpa-gate.com/wp-content/uploads/2014/02/Guariniello-lettera-aperta.pdf , anche se non ha avuto risposta, è stato un bel passo in questa direzione.
Parto da un concetto semplice e comprensibile: in qualunque contesto che voglia avere titolo di affidabilità (e per evitare altre accuse di tracotanza da parte tua, ti informo che non è il sottoscritto a deciderlo ma è consuetudine), l’anonimato vale meno del due di picche.
La maniera con cui mi pongo potrà anche non piacerti (mica si può piacere a tutti…) ma non mi crea un problema. La materia di cui parlo invece, seppure in termini piuttosto sintetici, visto il contesto (non pretenderai di leggere un trattato in un post , spero…), mi appartiene eccome, non foss’altro che per il fatto di essere stato il primo ad applicare quelle norme (di questo si tratta che ti vada bene o meno) in un ambito ufficiale (come, dove, quando, sono indicazioni che non appartengono a questa discussione e quindi in questo caso, su questi, manterrò l’anonimato).
Non ti tedierò (te né nessun altro) con i requisiti personali che mi permettono di fare certe cose e di definirle (negli ambiti di riferimento e non oltre ovviamente, come appare evidente da ciò che scrissi ma che evidentemente non hai afferrato), perché irrilevanti.
Ma se tracotanza, com’è vero, significa presupponenza, fidati che l’errore lo fai tu e lo dimostri da come ti poni, anonimato compreso.
Se avessi la cortesia di definirti quindi, avrebbe rilevanza diversa, sì…, questo è certo e non bisogna essere dei geni per capirlo, visto che dispensi pareri sottintendendo finemente, la conoscenza della materia, oltre a non obbligare gli interlocutori a discutere con una tastiera, atteggiamento che personalmente trovo quantomeno poco elegante.
La materia come detto, poche righe più su, è sicuramente complessa ma di dati certi ne esistono eccome. Le citate Linee guida in assenza di parametri diversi ed in questo caso di confronto, sono, e ripeto sono, le uniche norme di riferimento esistenti per ciò che riguarda l’attrezzatura delle falesie. Per le ferrate invece, contemplate nelle stesse, esiste una normativa UNI-EN 16869 del 2018, ricalcante guarda caso le nostre, che ovviamente diventa riferimento principe, malgrado appunto si ricalchino. Indovina chi sono stati i consulenti…E questo è solo l’ossatura di una regolamentazione per attività a titolo professionale, della quale sia il professionista, sia il magistrato nel caso, possono avvalersi per giustificare chi una parte chi l’altra. Parametri.
Assolutista per il solo motivo che non esistono altre norme che siano state fatte registrare (su richiesta ministeriale oltretutto) e quindi non vi sia nulla in proposito di accreditato, aldilà di un milione di scritti di vario tipo e genere che ovviamente lasciano il tempo che trovano. Di esperti sedicenti tali in questo ambiente si possono regalare…
Il magistrato poi, in caso di dibattimento o di inchiesta in proposito, concordo che può valutare se farvi affidamento o meno (è sua facoltà) e non siamo così’ avanti come ad esempio la Francia in ambito di attività outdoor o montane se preferisci (anche se i francesi hanno anche loro qualche lacuna…).Quindi se tutto è discutibile va da se che un impianto di regolamentazione è l’unico elemento che PUO’ mettere fine alle discussioni stesse, in questo modo hanno lavorato le Guide Alpine, senza quella presunzione che tu ci leggi e che viene definita anche nella prefazione del testo. Leggere non fa male, prima di arringare e sicuramente in un post (qui presumo eccome) ipotizzo che vista la facilità di reperire il documento, non sia necessario “copia-incollarlo” ma basti lasciare gli indizi di riferimento a chi può essere interessato.
Il resto delle informazioni che “richiedi” lo puoi trovare proprio su quel testo che ovviamente, come spero, si sia capito non è la bibbia ma riassume nel modo attualmente migliore tutta una serie di indicazioni utili al professionista per fornire un servizio a regola d’arte e quindi consono.
Peace and love
@ocioalfix
Visto che mi sembri competente in materia, vorrei sviscerare il problema come da tua proposta. Uscendo per un momento dallo specifico caso proposto dall’articolo, e ponendoci in una situazione piu’ generale. Una falesia ‘anonima’, perduta da qualche parte. Si rompe il fix e qualcuno si spacca. Eccoci alla questione: Il magistrato di turno puo’ caricare di responsabilita il chiodatore – ammesso che si cerchi e alla fine si trovi, cosa non scontata?
@michelazzi: trovo tracotante questo modo di porsi “Le Linee guida Al.(lestimento) Si.(ti), sono un riferimento normativo pubblicato nel 2016 dal Co.Na.G.A.I. (Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane) e depositato presso l’U.P.S. della Presidenza del Consiglio dei Ministri (ex Ministero dello sport).Altre responsabilità sono di ordine etico-morale (cosa che appare piuttosto sconosciuta di questi tempi). Un consiglio: FUMA DE MENO!”
Semplicemente perché il problema è più complesso di quel che tu tendi a delineare, impropriamente, nella tuo post e perché ti poni in cattedra in maniera sgarbata su materia che, con ogni evidenza, non ti appartengono.
tracotanza s. f. [tratto da oltracotanza]. – L’essere tracotante, arroganza dovuta a eccesso di superbia o presunzione
tutto qui. Peraltro dai tuoi interventi traspaiono una serie di indicazioni d elementi utili a sviluppare una riflessione seria anche sotto il profilo giuridico, che è un versante che per gli aspetti alpini sta ancora ad un livello embrionale ma è destinato – a mio avviso – a richiedere un approfondimento con gli anni a venire.
Quanto all’anonimato, ho usato volutamente uno pseudonimo perché siamo su una piattaforma virtuale e preferisco non qualificarmi. Cambierebbe qualcosa se scrivessi che sono marito rossi presidente della terza sezione del tribunale di Canicattì?
Magari rileva di più quel che si scrive che quel che si dice di essere, non credi?
Allora il punto è? la guida certifica un lavoro, il cui finisce materiale certificato.
LA mia domanda è: siete sicuri che quelle linee depositate presso un ministero siano un riferimento normativo univoco? siete certi che il mero ruolo di fornitore esima colui che lo riveste da qualunque responsabilità successiva, l’attestazione che la guida effettua circa la posa del materiale a regola d’arte (concordo con te che quale professionista ordinistico sia abilitato a farlo), che durata ha?
perché guarda che sono temi su cui si sono interrogati parecchi giuristi, pervenendo a risultati non univoci; e se si tratta di meri professionisti del diritto che non hanno adeguato background alpinistico o conoscenza specifica della materia, i risultati sono talvolta inquietanti. ,
il tizio che cade e si fa molto male o muore (in tal caso i suoi eredi) chi possono (devono) andare a cercare? e un magistrato siete sicuri che deciderà secondo le tue indicazioni, un po assolutistiche (se lo preferisci a tracotanti).
la mia riflessione era certamente provocatoria, ma aveva contenuti costruttivi e, ti assicuro, fondati su una pratica quotidiana di questi temi.
Anche se, per ora, rimango ocioalfix.
quanto a Cominetti, neanche rispondo. Se ti sei perso, prova a ritrovarti. che a volte scrivi anche cose interessanti.
se poi preferite la caciara e lo sberleffo alla discussione sul tema, poco male. divertitevi.
Ogni volta che ci si mette in mostra o in vendita, bisogna specificare per bene con quale parte del corpo lo si fa, se con la faccia o con il culo.
“Ocioalfix”, siamo alla canna del gas!!! Dire che siamo nel ridicolo equivarrebbe al considerare questo anonimato come un elevato elemento culturale.
Non c’è limite allo sbizzarrirsi della povertà d’animo.Tanto che, a me saltano più agli occhi certe assurdità, che l’argomento dell’articolo. Ecco, mi sono perso.
OCIO al FIX… interessante … all’anagrafe sei registrato in questo modo?
Perché pare palese che se qualcuno voglia dare indicazioni, in questo caso, piuttosto impegnative e che di soluzioni possono averne molte, sarebbe il caso che ci mettesse la faccia non solo la tastiera.Il sottoscritto lo fa, con annessi e connessi.Tracotanza… l’accusa che mi rivolgi (potrei definire oltremodo superficiale il tuo intervento), sulla base di quale frase o concetto che ho espresso? La grammatica è una bellissima materia che bisogna conoscere almeno in parte per non incorrere in battute, per lo meno poco consone. Se mi indichi dov’è tracotante a tuo avviso (visto che si parla sempre di opinioni derivate da scambi di altre opinioni) , il mio intervento sarò ben lieto di prenderne atto. Se poi invece di girare attorno alle altalene, magari esprimi un concetto che abbia un senso e dia un’indicazione (magari non da ocio al fix di modo da capire chi, si esprime), di cosa stai parlando sarebbe interessante…Peace and love!
non voglio alimentare la diatriba sicurezza si, sicurezza no (per me è no).
nè quella sulle guide.
Trovo però grande tracotanza nella risposta di Michelzzi, che apprezzo per le sue guide e per le sue realizzazioni alpinistiche, meno per queste sparate.
Gli aspetti giuridici sottesi al materiale presente in falesia non sono né semplici né chiari, in un paese dove di chiaro – specie in materia di diritto – vi è molto poco.
Il problema si pone in linea teorica fino a che qualche ancoraggio non cede e qualcuno si fa male, dopodiché rischia di porsi in maniera pratica e urgente e a quel punto dipende dal magistrato chiamato ad occuparsi del caso stabilire quali parametri di valutazione soccorrano nel caso concreto.
Se credete possiamo anche sviscerare il proplema sotto il profilo giuridico, per provare a capire insieme dove si va parare.
però qualche riflessione sulla portata normativa (!?) delle linee AL.si predisposte dalle guide la farei, con grande attenzione, così come mi chiederei, con altrettanta attenzione, se una sezione del cai fornisce materiale e compare sulle tabelle intorno alla falesia con i propri loghi non induca nel frequentatore un affidamento che poi potrebbe essere valutato a suo carico.
Così come mi chiedo, anche se quel materiale era certificato, sia in sè sia per la posa (dalla guida), quale durata abbia quella attestazione, che ciclo di obsolescenza debba considerarsi, etc…
Finché l’arrampicata era una attività per pochi smandrappati nessuno si è mai sognato di incazzarsi con qualcun altro perché gli era saltato un chiodo a cui si era appeso.
Oggi che esistono siti attrezzati (spesso e purtroppo molti ormai vecchi e pericolosi), in cui la possibilità di verifica sull’ancoraggio da parte dell’utente è pari a zero e dai quali, con mentalità tutta italiana, si vorrebbe trarre lustro ma non responsabilità, qualche domanda su chi debba rispondere di cosa sarebbe bene farsela.
E’ un problema serio e la soluzione meno opportuna per i praticanti può arrivare dalla magistratura.
quindi guide, cai, istruttori, chiodatoti, e altre figure di quella galassia farebbero bene a riflettere sulla opportunità di darsi qualche regola.
Che vada un pò oltre quel poco, non esaustivo, anche se indicativo, che ha riportato Michelazzi.
Ovviamente l’ipotesi di comodato (ammesso che si possa comodare un bene come una falesia) pone problematica di tutt’altra natura, che alla fine sono più semplici e nette da delineare.
I temi sono complessi, la “deriva” è in atto da tempo. La rincorsa della sicurezza dovuta e pretesa ad ogni costo anche per i siti d’arrampicata è in continua crescita.
L’unica legge cui farei riferimento è quella dello sforzo, alla rovescia: se cerchi di stare a galla, vai a fondo, se invece cerchi di immergerti, galleggi. Questo per dire che tutti questi tentativi per renderci sicuri alla fine portano insicurezza.
Solo accettando che in questi spazi naturali non abbiamo modo di essere sicuri, ci rende più sicuri..
Aggiungo qualche mia opinione al complesso argomento. Purtroppo sono convinto che da questa situazione di difficile gestione per i rimpalli di eventuali responsabilità ed interpretazioni legislative difficilmente potremo mai uscirne. Per noi di MW rimane fondamentale la difesa degli ambienti naturali con l’intento, di tutelarne il più possibile le peculiarità, evitando le modificazioni volte agli scopi prettamente ludico sportivi. Poi molto più direttamente e banalmente la pratica della frequentazione turistico e ludico sportiva della montagna pone per forza di cose ad individuare responsabilità di gestione, in particolar modo alle amministrazioni locali.
La questione della responsabilità in caso di incidente è quantomai delicata. In altro ambito (arti marziali) un istruttore mio amico è andato avanti 5 anni con una causa per danni colposi a seguito di un banale incidente accaduto ad una allieva durante un comunissimo esercizio di ginnastica, lo squat a corpo libero. Ci andrei piano con il comodato di una falesia, esattamente come nelle certificazioni di corretta installazione dei supporti su una via di arrampicata da parte di un non professionista. Penso che in questo caso il professionista migliore sarebbe una Guida Alpina geologo con la capacità di valutare correttamente sia la roccia su cui insiste la via attrezzata che i materiali utilizzati e la sequenza di installazione (sempre che esista una figura del genere in ambito Guide Alpine). Comunque non vedo il motivo dell’astio verso le Guide Alpine che leggo in alcuni interventi, ne ho conosciuti alcuni e non ho mai riportato impressioni negative. Anzi…con uno in particolare alla distanza di 30 anni ci sentiamo ancora e ci incontriamo quando le nostre strade si incrociano (troppo poche volte per quanto mi riguarda, ma purtroppo la vita non sempre concede occasioni facili per incontrare gli amici). Cordiali saluti a tutti.
Stefano, credo potresti contattare l’Associazione Rock Pennavaire che gestisce la falesia di Albenga per capire come si regolano loro con il Comune e con i problemi di responsabilità. Esistono ormai da un po’ di anni e sono un caso interessante. Guardando il loro sito io non ho capito bene come hanno affrontato i problemi che qui sono stati discussi. Se riesci ad avere informazioni più approfondite potresti poi socializzarle.
Ritengo il contributo di Leonardo chiaro e di buon senso e i contenuti mi erano già noti poiché esaminati nella gestione di una parete comunale di arrampicata indoor. Come interessante il contributo di Matteo. In effetti molte attività organizzate dalle Sezioni in ambito alpinistico sono decisamente rischiose. Alcuni pensano che sia arrivato il momento di affidare l’organizzazione di queste attività ad una GA e quindi di togliersi il pensiero. Io non credo che la presenza della GA sia il “salvacondotto” per togliersi il problema; la realtà dei fatti dimostra che gli incidenti capitano a tutti. Come non è vero che le attività organizzate dalle Sezioni siano una ecatombe organizzata da incompetenti. I fatti dimostrano che gli incidenti durante le attività sezionali sono decisamente pochi in confronto ai numeri di persone movimentate. Il problema vero è che la nostra “civiltà” richiede sempre un colpevole che paghi un indennizzo e come un missile col radar impazzito la cosa gira gira fino a trovare un bersaglio che, malcapitato, paghi.
Una volta esauriti i bersagli facili (Istruttori, capigita etc) la cosa inevitabilmente colpisce altri (GA). A me pare che la situazione sia questa, bisogna prendere atto che piaccia o meno.
Quindi se desideriamo continuare a fare queste attività ( nel caso arrampicata sportiva in falesia) prima che qualcuno chiuda con ordinanze e divieti l’accesso alle falesie stesse è indispensabile metterle in sicurezza, lavoro costoso e impegnativo. I soldi pubblici per farlo non ci sono e i pochi che si accollano, sotto traccia, l’onere devono essere salvaguardati il più possibile e aiutati. Ecco io credo che in questa ottica i protocolli delle G.A. (Al.Si.)e i manuali del CAI (che ormai giusto o sbagliato ci sono), siano strumenti utili a questo scopo poiché le metodologie riportate sono valide ad aumentare la sicurezza nei posti dove andiamo ad arrampicare e se seguite, possano essere d’ausilio per evitare di diventare facile bersaglio.
Provo a dare un piccolo contributo (sono avvocato di un ente pubblico), ritornando alla questione centrale dell’articolo, se cioè, con la stipula di un contratto di comodato il Cai non si assuma una responsabilità eccessiva.
Con il contratto di comodato verrebbe trasferito dal Comune al CAI il possesso delle falesie e il CAI, a quanto si desume dall’articolo, assumerebbe sostanzialmente la gestione del sito di arrampicata(“la sezione del CAI Valle Vigezzo, ma più esattamente il suo presidente Raffaele Marini, vorrebbe invece formalizzare una forma di “gestione” o di “sicurezza” nei due siti d’arrampicata”)
Il CAI, in quanto possessore e gestore delle falesie si configurerebbe, sotto un profilo giuridico, come custode delle falesie stesse.
E qui sta il pericolo, perché il codice civile (art. 2051) presume una responsabilità di tipo oggettivo in capo al custode per i danni cagionati dalla cosa in custodia (le falesie nel nostro caso).
Se cioè si verificasse un incidente il CAI verrebbe considerato responsabile per il solo fatto di essere custode delle falesie: se volesse allontanare da sé la responsabilità dovrebbe dimostrare che l’incidente si è verificato per causa di forza maggiore (inversione dell’onere della prova: sarebbe una situazione processuale assai scomoda).
Personalmente, pur comprendendo i buoni propositi dell’iniziativa (ma senza condividerla sotto il profilo etico, come la quasi totalità degli autori dei commenti), facendo un ragionamento esclusivamente in termini di costi/benefici, credo che il CAI avrebbe tutto da perdere da questa operazione.
Buona scalata a tutti
Concordo e sposo le posizioni di chi è contrario alla piega che vorrebbe dare il presidente. Aggiungo una domanda da fare a questi: ma ogni uscita sezionale è effettuata sempre e solo su itinerari preparati manutenuti certificati controllati e a regola d’arte? Ferrate, sentieri attrezzati vie classiche di roccia? Ma anche itinerari cicloescursionistici, itinerari con le ciaspole per non parlare di uscite scialpinistiche in zone bonificate? Cioè un atteggiamento del genere è mantenuto coerentemente su ogni attività promossa e organizzata dalla sezione? Ritendola probabilmente una domanda retorica pensandoci però forse non converrebbe farla che magari ci pensa e sospende ogni attività… O magari rimette il Mandato.
Ciao
Matteo.
P. S. Ciao stefano michelazzi!!!!
Le Guide non si definiscono professionisti della montagna, sono i professionisti della montagna.
Le Guide sono nate molto prima dei vari Istruttori del CAI a vario titolo, Accompagnatori ecc. che sfoggiano le loro patacche da dilettanti.
Dino così si capisce!Come dici giustamente le G.A. possono soltanto certificare posa in opera ed esecuzione del lavoro svolto. Per campi geologici serve la figura di riferimento per campi ingegneristici anche.Il mio primo intervento intende portare in evidenza che certificando tutto e sempre arriveremo a saturazione eliminando la libera iniziativa che è da sempre stata la base di queste attività.Lo dico contrariamente ai miei interessi, visto che ogni tanto mi capita di chiodare su commissione ed è una risorsa ovviamente.Vi sono casi e casi che vanno valutati di volta in volta sull’opportunità o meno di snaturare certe situazioni, certo è che le motivazioni espresse nell’articolo, a mio avviso non sono tali da avvalorare un processo di affidamento in comodato del sito (ovviamente basandomi sulla “campana” sentita…). Una ristrutturazione può venir eseguita anche in altri modi, senza per questo scomodare la proprietà privata o come in questo caso l’affidamento.
Che palle ste guide, veramente !
Non sopporto piu la loro arroganza ed il loro definirsi professionisti della montagna.
Se avessi dato la sensazione di fare lezioni o che mi roda o ci roda la cosa mi scuso da subito; l’intento non era questo e assicuro, non mi rode nulla e mi spiace sinceramente di se ho dato questa impressione.
Avendo peraltro molti amici Guida, mai più mi sognerei di togliere loro lavoro o mischiare le cose; se qualcuno affidasse loro la manutenzione delle falesie a pagamento, sarebbe bellissimo ed io sarei il primo ad applaudire. Il problema è che adesso non la fa nessuno e ci si trova spesso ad arrampicare su falesie non manutenzionate.
Stante le cose come vanno, i soldi non ci sono e pertanto si cerca con buona volontà di verificare quali altre strade ci siano. Peraltro le Guide stesse, come tutti, utilizzano abbondantemente ( e nulla di male ci vedo) falesie attrezzate e manutenzionate da volontari e spesso loro stesse danno suggerimenti e collaborano il più possibile, ma ovviamente loro devono anche lavorare per vivere.
Dando comunque un taglio costruttivo, mi pare che anche Michelazzi confermi che le G.A. possono solo certificare la messa in opera su cui si innesta tutta la complessa problematica della responsabilità del professionista.
Per quanto attiene la caduta sassi, il problema è prettamente di competenza del geologo . Tuttavia il fatto che in una falesia storica non siano mai avvenuti incidenti di quel tipo mi sembra un fatto significativo. In falesie nuove magari sponsorizzate da enti, il discorso è diverso. Devo peraltro segnalare che tutte queste cose costituiscono un importante freno al turismo climbing. In Grecia, Spagna o Turchia, Malta etc tutte queste problematiche non esistono e quel tipo di turismo si sta sviluppando molto.
Non ho mai avuto evidenze che una Sezione abbia preso in comodato una falesia. So per certo che una Sezione ne ha acquistata una (molto piccola) che usa per la Scuola. Se l’articolista vuole maggiori informazioni posso essere più preciso.
Ovviamente potrei anche sbagliare.
Non sono un esperto di normative specifiche e non entro nel merito se sia giusto o no attrezzare falesie, ma faccio una semplice osservazione: chi vuole il comodato si rende conto che se un domani si stacca una sasso che cadendo ferisce o uccide qualcuno la sezione del CAI nelle persone del Presidente e del Consiglio ne è penalmente responsabile ?
Io mi terrei lontano anni luce da un rischio del genere.
Ma quanto vi rode??? 😀 😀 😀
MIO DDIO on due D per rendere meglio l’idea…
Dino…ti pregoooo scendi dall’altare (peraltro auto-costruito…) l’articolista chiede gentilmente commenti (non fregnacce) costruttivi…
Non mescolare professionismo e dilettantismo che è pericoloso (in questo caso il temine pericoloso ci azzecca eccome…).
La G.A. rilascia un documentazione eccome se la rilascia… si chiama Attestato di Regola d’arte (ti lascio al codice per capire cosa sia (peraltro genericissima la normativa…) ma non la può rilasciare un dilettante (se la rilascia conta come il due di picche e anche meno)…capito la differenza? D I L E T T A N T E !!!Mi spiace prendila e portala a casa.Se vuoi ti riparo la macchina con il manuale delle Giovani Marmotte ma aldilà di un possibile T.S.O. richiesto dal magistrato non credo che valga qualcosa!Per cortesia finiscila di intervenire sempre perorando cause impensabili in qualunque contesto minimamente serio… Il C.A.I. è un ente serio con delle caratteristiche ben stabilite da leggi e regolamenti, dargli connotazioni diverse serve solo a renderlo ridicolo…!
Interessanti le normative Al.Si scritte dalle guide.
Poi solo le guide, rispettando le Al.Si. possono certificare.
Mi sembra un classico sistema autoreferenziale: io faccio le regole, così ciò che faccio posso certificarlo senza problemi e poi magari le cambio a seconda delle mie necessità per garantirmi ?
Una certificazione fatta così non dà nessuna garanzia, anzi sembra qualcos’altro.
Io stimo parecchio molte guide, ma talvolta la congregazione mi delude.
Se un avvocato sapesse e dovesse chiedere i danni per un incidente su roba certificata dalle guide ……
O mi sbaglio ?
quando le G.U.I.D.E.A.L.P.I.N.E. la smetterano di considerarsi gesucristointerra, si potrà far qualcosa
cominciare, per esempio a parlare degli aspetti giuridici relativi alla proprietà, agli interventi realizzati, alle clausole contrattuali eventuali etc.
ma non è nell’interesse delle G.U.I.D.E.A.L.P.I.N.E.
pascolate i vostri clienti, spillate soldi (con regolare fattura, beninteso 😉 ) ma per utilizzare un’immagine parlante, smettetela di pisciare fuori dal vaso
con amore
DinoM si chiede: “D’altronde cos’altro potrebbe fare una Sezione?”
Semplicemente quello che dice Longhin, l’estensore dell’articolo: evitare iniziative come il comodato d’uso o di assumersi una forma di “gestione” o di “sicurezza” dei due siti d’arrampicata. E anzi curare di sottolinearne bene l’assenza per evitare eventuali futuri coinvolgimenti.
Anche perché una cosa del genere non rientra nemmeno negli scopi statutari, mi sembra.
La mia opinione personale è la seguente
La questione secondo me non è del tutto irrilevante, nel senso che in caso di incidente sarebbe sicuramente richiesta una perizia; pertanto molto dipenderebbe dall’esito del perito normalmente una Guida Alpina. Sarebbe peraltro difficile, anche se non impossibile, per una G.A. discostarsi e non usare le Al.Si.
Detto questo posso dire che le linee guida Al.Si. che poi, per quanto riguarda le falesie sono identiche ai manuali CAI, sono di estremo buon senso e fatte bene. Penso pertanto che più che preoccuparsi di altro, ci sarebbe da verificare se la falesia risponde a tali requisiti. Se così fosse i rischi di incidente causati dal materiale infisso sarebbero davvero remoti (salvo le cadute di pietre).
Il protocollo Al.Si. poi in maniera molto saggia e realistica ESCLUDE che una falesia naturale possa essere equiparata ad un impianto sportivo ( tipo parete indoor) con obbligo (per l’assicurazione CAI) di un collaudo annuale da parte di un ingegnere abilitato.
Per inciso ricordo che mentre il geologo può rilasciare una certificazione la Guida Alpina non può rilasciare nulla. Se la Guida avesse fatto il lavoro di installazione del materiale (con caratteristiche definite dal geologo) potrebbe confermare che la posa in opera è avvenuta a regola d’arte (ovvero secondo il protocollo Al.Si.) e null’altro e risponderne con la propria assicurazione professionale. Ritengo inoltre che una eventuale dichiarazione scritta di una G.A. non metterebbe al sicuro poiché se palesemente l’attrezzatura fosse difforme dal Manuale CAI la Sezione potrebbe essere chiamata in causa ( vedi caso simile Trieste, non CAI, su parete artificiale); quindi conta più la situazione reale concreta che le carte.
Se la situazione sul luogo è conforme al MANUALE CAI non dovrebbero esserci preoccupazioni; una delibera del Consiglio Direttivo, con comunicazione in sede centrale per conoscenza sarebbe secondo me opportuna.
D’altronde cos’altro potrebbe fare una Sezione?
Suggerirei di incaricare un Istruttore Nazionale d’Arrampicata di fare un sopralluogo per verificare com’è la situazione. Se la situazione fosse difforme dal manuale CAI intervenire e renderla conforme. Sarebbe anche il caso di insistere col CAI centrale affinché prenda una posizione sulla materia anche in termini assicurativi.
Ricordo peraltro che la certificazione del materiale posto in opera (spit, piastrine e catene) ha subito negli ultimi anni molte integrazioni e che quindi ancorché validissimo ( quello fatto industrialmente ha margini di sicurezza elevatissimi) potrebbe non essere il linea con le ultime specifiche e addirittura non riportare la certificazione.
Resta da dire poi che una cartellonistica in sito che specifichi queste cose a mio parere aiuterebbe.
Tutto ciò è un parere puramente personale poiché, ad oggi, non mi risultano casi accaduti e quindi il tutto non è suffragato da fatti pratici.
Dino Marini
Le Linee guida Al.(lestimento) Si.(ti), sono un riferimento normativo pubblicato nel 2016 dal Co.Na.G.A.I. (Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane) e depositato presso l’U.P.S. della Presidenza del Consiglio dei Ministri (ex Ministero dello sport).Altre responsabilità sono di ordine etico-morale (cosa che appare piuttosto sconosciuta di questi tempi).
Un consiglio: FUMA DE MENO!
il signor Michellazzi scrive molte cose….
ma… cosa sono le “Linee guida Al.Si. citate nell’articolo (unica fonte normativa riconosciuta)”
ma… cosa sono “delle responsabilità anche normative”?
quanto fumo…
Sono di frequente sulla falesia Primo Bonasson, ormai è quasi abbandonata, è difficile trovarci qualcuno, causa l’avvicinamento “scomodo” per i climber che ormai preferiscono le falesie gettonate e di facile accesso, un vero peccato dato le diverse vie anche facili dedicate a chi è alle prime armi.
La falesia è stata aperta negli anni 80 (c’è chi la faceva in libera anche anni prima, vedi il mitico Cerry, il guru del free di quei tempi), è poi stata attrezzata a nuovo con relative soste; è molto bella e presenta tiri anche difficili, molto divertente. Sicuramente a mio avviso non sarà mai sicura dato che la roccia presenta alcuni punti instabili e dato che sopra di essa c’e l’altra metà di versante con residui rocciosi e boschivi precari sulla superficie.
Di fatto a mio parere è giusto che sia così, le assicurazioni non dovrebbero esistere in questi casi, tutti i rischi sono a carico di chi si avventura su questi percorsi, valutando sul posto in quel preciso istante i pericoli che ci potrebbero essere. Bisogna imparare a conoscerli e gestirli per poterli affrontare, proprio come accade in un qualsiasi ambiente naturale (dovrebbero preoccuparsi di questo più che del comodato). Comunque io la consiglio vivamente, some consiglio i numerosi settori adiacenti alle più conosciute e trafficate Viette, divertitevi e occhio sempre alla sicurezza!
BRAVO LORENZO !!
In poche parole hai detto TUTTO!
Il Cai.
Il Cai a lasciato il campo etico da decenni.
Ha preferito rincorrere il mercato.
Natura e cultura pagano il conto.
Le aree naturali dovrebbero restare tali. Qualunque tipo di gestione finalizzata da parte di una istituzione, di privati o di personalità giuridiche pone luogo a responsabilità. E quest’ultima, davvero, in accordo con i commenti, dovrebbe restare del singolo, che si assume i propri rischi. Responsabilmente (auspicabile), o meno, le persone dovrebbero esse stesse imparare l’andare in montagna. Quindi valutare liberamente sé stesse nell’affrontare un qualsiasi ambiente naturale. Il CAI dovrebbe impegnarsi nel sensibilizzare a questo, non porsi a garanzia di un rischio o di una sicurezza imponderabili completamente in Natura.
Anche le vie ferrate e i siti di arrampicata attrezzati e ferraglie varie sono mostri generati che imbrigliano la montagna e hanno ferito la wilderness.
Difronte all’insorgere di un problema futuro a persona o a cose, un bravo magistrato d’assalto potrebbe portare avanti la tesi che quelli del cai che avevano voluto la certificazione, sapevano di non essere in regola e avevano cercato di nascondere il problema futuro, facendosi certificare da professionisti vari secondo le normative del tempo, senza informarli dovutamente.
Consiglierei alla gente politica del cai di rinunciare a mettersi sempre in mostra.
Il coronavirus con certe cose mi prende il cervello! 🙂
Lo spirito della Société sicuritaire genera mostri.
Ha ucciso il sentire a favore del regolamentare.
L’attenzione per la rassicurazione.
Il ricreare per il garantire.
E giù, tutti a tuffo nella corrente mortale della sicurezza, che nessun decalogo, piè di pagina o docente potrà mai fermare.
Dopo giudici, sindaci e Carabinieri mancava solo il Cai a voler “normalizzare” e regolamentare la montagna!
Non vale nemmeno la pena di esplicitare quanto io sia assolutamente contrario alla cosa e d’accordo con gli altri interventi.
Come mio contributo, direi che forse basterebbe la frase “riattrezzata nel 2018 con il contributo finanziario della sezione Cai Val Vigezzo” ad integrare le solite sulla pericolosità dell’arrampicata, per evitare qualunque ipotesi di coinvolgimento legale e tranquillizzare il Presidente, senza rinunciare alla pubblicità.
(Peraltro non conoscevo la falesia, ma sembra anche carina!)
“Mettere il culo nelle pedate” sembra stia diventando di moda…
Le Linee guida Al.Si. citate nell’articolo (unica fonte normativa riconosciuta) sono strumento di lavoro per il professionista (per stabilire la Regola d’arte) ma non sono in alcun modo vincolanti per il dilettante.
Le stesse riportano al capitolo 4 come la struttura naturale è soggetta a mutazioni dovute alla caratteristica, appunto naturale, dei siti.L’implicazione professionale è evidente, in quanto, come normalmente avviene, obbliga ad una revisione a cadenza fissa del sito ma come già detto, se l’allestimento non è di tipo professionale ma sportivo (dilettantistico) in assenza di normative specifiche che nel caso della falesia non esistono (le vie ferrate sono oggi normate da linee guida UNI-EN che ricalcano quelle AL.Si. del Co.Na.G.A.I.) non si può venir considerati responsabili per la fornitura di materiale, peraltro omologato e quindi ineccepibile da questo punto di vista. Se così non fosse, ogni alpinista che apra una nuova salita sarebbe responsabile di eventuali incidenti occorsi ai ripetitori… Che facciamo denunciamo Comici e Cassin? E Paul Preuss lo denunciamo per istigazione al suicidio…???
Va da se che in ambito professionale, la realizzazione di un sito d’arrampicata preveda delle responsabilità anche normative e obblighi di gestione corretta (tutti da valutare e definire caso per caso), mentre in ambito sportivo le responsabilità rimangono quelle generiche riferite anche nell’articolo.
La materia comunque è estremamente complessa ma ciò che è sicuro è che quando si trasforma un ambito dilettantistico in professionale la musica cambia…Per informazione: Lombardia e Veneto, in parte hanno già recepito le Linee guida Al.Si. .
Non sono avvocato, ma che io sappia le eventuali responsabilità penali sono personali.
Quindi se si dimostra che c’è responsabilità da parte di chi gestisce la struttura, l’assicurazione paga (ammesso che sia stata fatta bene), ma in galera ci va chi viene indicato come responsabile. Credo che questo possa essere un argomento piuttosto solido verso il presidente e i consiglieri.
Per il resto sono d’accordo con quanto detto, il CAI formi le persone a muoversi in sicurezza, non ha motivo di addomesticare l’ambiente.
c.
Io sono una guida alpina e sono convinto che l’omologazione e la certificazione di siti naturali (a parte le vie ferrate se proprio uno vuole…ma forse neppure quelle) come le falesie non sia una buona idea, viste le limitazioni della libertà che comporta da entrambe le parti. Oltrepassando il lato ideologico, mi sa che in questi casi si cerchi un parafulmine per addossare eventuali responsabilità su qualcuno che ne risponda in caso di rogne d’ogni genere.
Arrampicare comporta dei rischi ed è bene che gli appassionati se ne facciano carico sempre e comunque. La responsabilità, sono convinto, debba stare all’interno di ogni praticante e non nelle istituzioni. Il Cai in questo caso dovrebbe fare il Cai e non il tutore di ciò che neppure gli spetta da statuto. E quale sarebbe il presidente di sezione che si prende (per poi cosa?) una simile responsabilità?
Per quel che vale, io concordo con l’autore sul contenuto giuridico: la stipula del comodato attirerebbe indiscutibilmente sulla Sezione del CAI la responsabilità che, allo stato attuale non lo coinvolge. Forse, per eccesso di prudenza (visto che siamo in Italia…), toglierei fin da subito il logo del CAI dalla bacheca, perché induce i fruitori a pensare (superficialmente) che sia una falesia “gestita” dal CAI. NIn merito al contenuto ideologico della questione, sono sempre stato convinto che sia addirittura compito del CAI “istruire” i suoi soci che andare in montagna è un’attività con un tasso di rischio ineliminabile: per tanto la Sezione in questione, anziché preoccuparsi del comodato, dovrebbe svolgere attività di divulgazione del concetto che le falesie naturali (come qualsiasi altra roccia in natura) sono una cosa completamente differente rispetto alle strutture artificiali, specie se indoor. (per inciso, io, senza saper né leggere né scrivere, una frasetta del genere la metterei già oggi sulla bacheca…).