Questa è l’Outdoor Education – 1

Questa è l’Outdoor Education – 1
a cura di Vendül
(pubblicato su vendul.org il 13 ottobre 2022)

L’ambiente si fa conoscere, scoprire, attraversare (e riattraversare), al contempo ci sfida con la sua complessità e con una molteplicità di problemi. Ci offre percorsi hands onnutre motivazioni intrinseche – di movimento, avventura/rischio, costruzione, scoperta, immaginazione, problem solving – e, per farsi comprendere, richiede un approccio esperienziale intenzionale e sistematico che promuova empatia ambientale, apprendimento profondo, immaginazione di nuovi scenari e modi di abitare la Terra”.

Questo brano è tratto dall’introduzione di Questa è l’Outdoor Education, un laboratorio di Pedagogia itinerante, a cura di Liliana Dozza e Carla Cardinaletti, Zeroseiup 2022 (€ 22,00 i.i. ISBN 979-12-80549-10-5).

Il volume si chiede cosa sia l’Outdoor Education ed è frutto dell’impegno congiunto di ricercatori universitari, docenti ed esperti impegnati sul campo.

I curatori di Questa è l’Outdoor Education
Liliana Dozza
Presidente SIREF – Società Italiana di Ricerca e Formazione – già professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, vicepreside e preside, Facoltà di Scienze della Formazione, Libera Università di Bolzano. Tra le sue pubblicazioni: Con-tatto. Fare Rete per la Vita: idee e pratiche di Sviluppo Sostenibile (2020, Ed.); Contesti educativi per il sociale. Progettualità, professioni e setting per il disagio e le emergenze (2020, Ed. con Cerrocchi); Maestra Natura. Per una pedagogia esperienziale e co-par- tecipata (2018, Ed.); Io corpo, io racconto, io emozione (2018, Ed.); Contesti educativi per il sociale. Progettualità, professioni e setting per il benessere individuale e sociale (2018, Ed. con Cerrocchi).
Carla Cardinaletti
Pedagogista (PhD) e assegnista di ricerca presso la Libera Università di Bolzano, dove ricopre il ruolo di coordinatrice dell’EduSpace – MultiLab della Facoltà di Scienze della Formazione. La sua ricerca si posiziona tra la pedagogia generale e i creative studies. Contestualmente porta avanti un proprio percorso artistico che si articola in installazioni nello spazio pubblico. Per la Collana Educazione Terra Natura ha pubblicato nel 2019 il contributo “Civic hacking. L’architettura come metafora per coniugare valori etici ed estetici: un esempio educativo” nel volume L’abitare come progetto, cura e responsabilità. Aspetti epistemologici e progettuali, a cura di Manuela Gallerani e Cristina Birbes.

La sezione dedicata alle Piste di ricerca, intervento, formazione, ospita due contributi presentati da Vendül nel corso del 5° Convegno Internazionale Educazione Terra Natura nel 2020.

Il primo è di Michele Comi e ha titolo Pensare come una Montagna; il secondo è di Tommaso Reato e ha titolo Prepararsi a essere impreparati.

Eccoli qui di seguito.

Pensare come una montagna
Abstract
Uno dei luoghi privilegiati dove avviene l’incontro con il mondo naturale è l’alta montagna dove, a motivo delle peculiarità dell’ambiente, l’esperienza viene spesso mediata da figure professionali quali guide alpine maestri di alpinismo. La cosiddetta transizione ecologica pone questioni di fondo anche rispetto al ruolo e al modo in cui facilitare l’incontro con i luoghi ancora integri dell’alta montagna. Accanto al paradigma sportivo, in cui tecnica e performance sono parole chiave, si può immaginare un paradigma diverso in cui la figura della guida integra il proprio ruolo di supporto tecnico con una più ampia attenzione all’esperienza nella sua molteplicità di fattori. Cambiare paradigma significa favorire adattamenti, migliorare le conoscenze, contemplare la natura e i suoi abitanti, intesi come un sistema complesso, dotato di equilibrio, grazia e consonanza, da cui discende il nostro benessere e la nostra salute. Il contributo intende riflettere sulle modalità dell’andare per monti e sul ruolo della guida alpina più adeguate alle sfide della sostenibilità, ponendosi in dialogo soprattutto con il pensiero di Aldo Leopold. Essere sostenibili significa quindi pensare come l’ambiente dove ci si trova. Affrontare con consapevolezza la montagna e la sua mutevolezza significa ancora attivare l’arte di arrangiarsi stimolando fantasia e adattamento; saper guardare e sapere tematizzare si trasformano in una grande occasione per esplorare la sostenibilità.

Pensare come una montagna
(occasione per esplorare insicurezza e sostenibilità)
di Michele Comi

È solo quando vediamo la terra come comunità a cui appartenere, che iniziamo a trattarla con amore e rispetto (Aldo Leopold, A Sand Country Almanac, 1949, p. 18)”.

I luoghi
Scampate al saccheggio che ha investito la pianura, gli spazi verdi a contorno delle città e buona parte delle colline e delle coste, le Terre alte offrono ancora la rara possibilità di esplorare e confrontarsi con spazi autenticamente primordiali ed enigmatici.

Visitare luoghi ancora inaccessibili come le vette, significa interpretare un mondo incerto, dove il valore dell’ascolto e della relazione con quel che ci sta attorno è ingrediente fondamentale, oltre alle tecniche, lontano dalle regole.

Salire in alto può essere una salutare disintossicazione dal quotidiano, da ciò che è innaturale, addomesticato e limitato, per trovar rifugio nelle alte montagne, semplicemente grandiose, selvagge e libere.

Le Guide
È difficile attribuire una data di nascita delle prime Guide di montagna. Per secoli eserciti, pellegrini, mercanti e viandanti hanno scavalcato le Alpi, sfidando l’impervietà dei valichi e i rigori del clima. Le prime Guide furono probabilmente semplici cacciatori, cercatori di cristalli e pastori, conoscitori dei luoghi, che offrivano i loro servizi ai viaggiatori costretti per necessità ad attraversare la barriera orografica.

A quell’epoca l’idea che la natura selvaggia potesse avere un fascino non esisteva: alla cultura del tempo la natura appariva degna di interesse nella misura in cui esprimeva fecondità. Nel medioevo ad esempio i picchi più alti si ritenevano tradizionalmente dimora del soprannaturale e dell’ostile, addirittura popolati da pericolosi draghi. Si credeva che a staccare le valanghe bastasse il fremito di uno starnuto o il battito d’ala di un uccello che volasse radente un pendio carico di neve. Nel 1336 Francesco Petrarca salì il Mont Ventoux in Provenza e ne fa menzione in una lettera all’amico Dionigi de’ Roberti da Borgo San Sepolcro un frate agostiniano.

Tra le particolarità nel racconto, la descrizione dell’ascesa che ha per obiettivo, non una conquista militare o qualche altro scopo pratico o scientifico, ma una motivazione ludica: giungere in cima. L’obiettivo inseguito da qualche anno dal poeta, che fino a quel momento non trovò il coraggio di gettarsi nella sua impresa, fu raggiunto grazie a due accompagnatori che si possono indicare come Guide-portatori ante-litteram.

Solo con l’avvento del turismo alpino la figura della Guida comparve ufficialmente, nel 1821 nacque la società delle Guide di Chamonix, mentre nel 1850 si fondò a Courmayeur, per poi propagarsi in tutte le valli alpine.

Nei decenni successivi le campagne esplorative delle vette videro protagoniste le Guide, protagoniste di un irripetuto patto di collaborazione e scambio tra montagna e città.

I facoltosi viaggiatori (per lo più anglosassoni), spesso studiosi di prim’ordine, espressione della cultura cittadina, poterono dedicarsi all’esplorazione delle vette attraverso la condivisione alla pari con i rudi montanari delle reciproche competenze: erudizione e ricerca scientifica, con la conoscenza dei luoghi e relazione profonda con l’ambiente naturale. Un originale punto di incontro tra cultura urbana e contadina, nel rispetto delle reciproche competenze e tradizioni (Camanni, 2002). Da allora abbiamo assistito a grandi trasformazioni e il mestiere si è tramutato in professione. Nel 1989 viene riconosciuta la figura professionale della Guida alpina. A stabilirlo è la legge quadro numero 6 che inserisce quella della Guida Alpina tra le professioni a carattere intellettuale. Un professionista della montagna dunque, con una qualifica certificata, frutto di un selettivo percorso formativo, contraddistinto da elevati livelli tecnici, orientati precipuamente alla gestione del rischio nella movimentazione entro terreni insicuri.

Un cambio di paradigma
Oggi chi si si rivolge ad una Guida spesso lo fa per essere accompagnato ed imparare le tecniche relative a tutte le attività che si possono fare in montagna.

Forse non tutti sanno che accanto alla possibilità di imparare a muoversi con disinvoltura sulle rupi, conoscere ed adottare le migliori metodologie, esperienze ed ingegnosità pratiche, vi può essere anche l’opportunità di scoprire un mondo al quale gran parte delle persone ha voltato le spalle. Così le montagne possono trasformarsi in un rifugio prezioso, un toccasana contro gli aspetti disorientanti di un mondo che corre, spesso senza limiti, sino a diventare persino utili a soddisfare il bisogno crescente di un “ritorno a casa”.

Fare luce su dettagli minori, quelli che a prima vista possono sembrare di poco conto, non può che rendere più profondo il significato dell’esperienza (Guerra, 2019).

È un’occasione per comprendere i luoghi, la loro identità, per cogliere non solo pochi istanti come un bel panorama o la foto di vetta da “postare”, ma arrivare ad estendere la comprensione di quel che accade e ci circonda nel tempo, andando oltre la ricerca d’avventura e del fitness svolti entro scenari gradevoli.

Fig. 1 come accostarsi alla montagna?

La riattivazione di un’intimità fisica con gli ambienti attraversati consente di risvegliare un piccolo istinto selvatico dimenticato, l’unico capace di far cogliere più informazioni, per comprendere in profondità un territorio, senza dimenticare la dimensione “curativa” e benefica della relazione con spazi mai completamente decifrabili come le montagne (Guerra, 2015). Cosa significa abbassare il livello per allenare l’esperienza?

La Guida che procede in testa, istruisce, controlla e assiste, può limitare l’efficacia dell’esperienza autentica e personale del gruppo che conduce?

Fig. 2 la guida e le montagne, rifugio prezioso

Alzare il livello di difficoltà in arrampicata e alpinismo è probabilmente l’obiettivo principale di tanti praticanti e numerosi somministratori di corsi di vario tipo in seno a club alpini, Guide, e associazioni sportive.

Tecnica, strumenti e schemi motori, diventano spesso l’oggetto principale dell’insegnamento, con il rischio di trasformare un piacevole momento di svago, sport, conoscenza e incontro con la natura, in un’attività non dissimile dal lavoro stressante da cui si desidera fuggire per un poco. Abbassare il livello significa puntare ad esperienze meno dipendenti dal grado di difficoltà, mirando non solo a percorsi ben accessibili al proprio livello, ma che consentano soprattutto di essere messi a fuoco completamente, così da essere affrontati con maggiore autonomia e indipendenza. Spuntare una sterminata check-list di tecniche e procedure non è sufficiente a tenere a bada la paura e a ragionare su come poter vivere bene entro un contesto verticale, soprattutto quando spingiamo unicamente sul superamento della difficoltà.

La Guida che facilita, sorveglia e conforta, sceglie con misura il miglior contesto, ma lascia spazio all’incontro con l’incerto, con la sorpresa, amplifica il processo di conoscenza?

Per questo, abbassare il livello non è da intendersi come una regressione, ma un invito a sperimentare il gioco, la scoperta di sé e dell’ambiente, con una scelta di obiettivi solo in apparenza più facili, che ci danno l’opportunità di vivere meglio quel contesto, tollerare e comprendere i rischi insiti in ogni attività condotta negli ambienti naturali e, alla fine, scalare con migliore efficacia e con meno fatica. Se condividiamo l’idea che l’importanza di un’uscita in montagna risiede nell’esperienza, nelle emozioni che essa attiva e non nel piccolo primato personale fatto di ripetizioni fugaci, di palmares d’ascensioni o nel “marchiare” con nuovi percorsi i residui brandelli di pareti vergini rimaste, ecco che potremmo aprire in ogni istante nuove grandi salite, semplicemente arrampicando come se stessimo affrontando per primi la parete, indifferenti alla patina lucida degli appigli già percorsi centinaia di volte.

Poche ed essenziali indicazioni geografiche d’orientamento generale ci porteranno vicino alla montagna, per lasciar spazio alla scelta personale di ricerca dell’itinerario, all’ interpretazione attiva della linea di salita, in funzione dello stato di forma o di grazia, ricorrendo solo ai nostri sensi, alle nostre percezioni.

Così facendo ogni distesa glaciale, canale di neve, sperone o parete di roccia, si potranno trasformare in un inesauribile terreno di scoperta, mettendoci a nudo di fronte alla montagna. Ampliando l’incertezza, privandoci di informazioni anticipate, resettiamo il nostro rapporto con la parete, riportando il sistema di elaborazione allo stato iniziale, cogliendo così ogni passaggio, ogni sfumatura, rinunciando al superfluo, cogliendo appieno ogni piccolo passo verso l’alto. Accrescere la capacità di distinguere la “tecnica” dal “fattore umano”, può produrre un senso di “liberazione” che apre le porte a consapevolezze inattese e migliora la qualità dell’andar per monti. Iniziare a “sottrarre” ed eliminare metodi affrettati e mete inadeguate, sovente scelte solo per rimpolpare l’autostima, ma privi sensibilità, di risonanza sensoriale e percettiva, può contribuire a migliorare la comprensione, attivando una consonanza con la Montagna ideale. Cosa significa allenare l’esperienza?

L’esperienza non è trasmissibile. Ognuno di noi si muove in un universo sensoriale che è legato a ciò che la sua storia personale ha prodotto a partire dall’educazione che ha ricevuto. La relazione con l’ambiente è il mezzo più potente per migliorare le nostre capacità d’osservazione, di ascolto e di presa delle decisioni.

Il rischio in montagna è ineludibile e l’assunzione di responsabilità come mezzo di autoprotezione, è l’unico efficace antidoto.

Prepararsi ad essere impreparati è il miglior messaggio che possiamo veicolare, dove la natura va sentita, “provata”, per riacquistare il Senso, rifuggendo dalla trappola dell’uomo tecnologico che, allontanandosi dalla Natura, perde Sensibilità cadendo nella trappola dell’ignoranza assistita, i cui effetti dannosi s’incrementano di uscita in uscita.

Fig. 3 relazioni e connessioni infinite

Il miglior percorso d’avvicinamento alla montagna sarebbe quello orientato alla “selvaticità”, ma solo un camoscio potrebbe essere un autorevole conduttore. Meglio quindi accontentarsi d’essere semplici facilitatore di esperienze, senza troppo pensare alla corsa alla vetta, alla difficoltà e ai piccoli primati personali. Ciò che conta è la nostra relazione con le persone, la loro concezione di sé, la loro motivazione ad ascoltare le nostre proposte.

Liberi dall’idea della prestazione, dediti ad ascoltare sé stessi e il terreno durante la salita è possibile realmente contribuire a consolidare la conoscenza autentica e personale. Non per la presenza della Guida, che può liberamente trasformarsi in un invisibile custode, utile ad agevolare la sperimentazione e la saggezza in parete. Un approccio in fondo assai semplice, che permette di concentrarsi sul nostro prossimo passo, trovando un bilanciamento alla fretta, al rumore e magari a qualche dubbio e difficoltà del quotidiano.

Va ricordato che “la selvaticità” (wilderness) è lo “stato della completa consapevolezza” come scrive Dolores LaChapelle (citando il poeta, taglialegna e ranger del nord-ovest degli USA Gary Snyder) nel suo libro manifesto Polvere profonda, un riferimento irrinunciabile per chi scivola fuori-pista e più in generale per chi si muove in ambienti naturali dai pericoli non sempre noti e rischi difficilmente valutabili (LaChapelle, 2000).

Accedere a sé stessi, alla propria motivazione e concezione, prima che alle tecniche, all’abilità motoria e alle tabelle di allenamento permette di riconoscere quale percorso di avvicinamento è più adatto ed idoneo a noi. Diversamente restiamo preda delle mode e di idee non nostre. In questo ambito i maestri d’alpinismo, inconsciamente assai ricchi nella loro “selvaticità”, se a loro volta non inseguissero modelli esterni, potrebbero attingere a piene mani se solo riuscissero, almeno per un poco, a ridimensionare l’aspetto tecnico-materiale della faccenda.

Pensare come una montagna
È un’esplorazione che alimenta la relazione con sé stessi, con i compagni d’avventura e con l’ambiente naturale.

È un cammino che rafforza il potere pedagogico del fidarsi del viaggio, fatto d’esperienze non sempre prevedibili che sfociano in un duraturo apprendimento.

È un concentrato di sorprese, cambi di programma, adattamento e improvvisazione, che condizionano il vantaggio di un apprendimento fortuito; improvvisazione, intesa non come avanzare maldestro o a caso, ma prontezza a gestire e condividere l’inatteso.

Il conduttore (la Guida) facilita il viaggio con apertura e flessibilità e abbraccia l’incertezza. Per farlo occorre essere non solo esperti conoscitori tecnici, ma esperti di cultura, storia e ambientazione del viaggio (Leopold 1997, 2019).

Fig. 4 la parte sommersa che sfugge

Una testimonianza
Si riporta l’esempio di un trekking in autosufficienza e autonomia, senza tappe obbligate, con la possibilità di organizzare i bivacchi all’aperto nell’intorno dei luoghi belli, dotati di un valore estetico intrinseco, tra pascoli e ruscelli, laghi turchese, alture panoramiche e alpeggi abbandonati. Un cammino utile a supportare l’educazione alla sostenibilità (termine abusato, forse più appropriato sostituirlo con durabilità) per mettere a fuoco le infinite relazioni tra contesti diversi attraverso un’esperienza diretta e immersiva, utile a migliorare la nostra capacità di percezione ed aiutarci a comprendere che, in fondo, il paesaggio siamo noi.

Come ci insegna Aldo Leopold (1) per vivere la natura occorre iniziare a “pensare come una montagna” (Leopold, 2019). Essere “sostenibili” significa quindi pensare come l’ambiente dove ti trovi?

Pensare come una montagna è un cammino per chi desidera migliorare le proprie capacità di percezione in contesti di incertezza in natura, per rigenerarsi attraverso un incontro autentico con la montagna dove l’aula migliore è fuori.

Tipologia: campus.
Attività esperienziale: trekking in autosufficienza in ambiente alpino estivo, dove si insegue “l’arte di arrangiarsi” stimolando fantasia ed adattamento. Previsti bivacchi all’aperto con sacco a pelo o tramite telone impermeabile (tarp) al posto della tenda.

Obiettivi: ascolto degli ambienti naturali, promuovere la percezione, saper guardare, sapere tematizzare. Esplorare la sostenibilità. Muoversi al limite della propria competenza. Come allenare la consapevolezza nel movimento in terreni insicuri? Come mettere a fuoco le molteplici relazioni che intercorrono tra gli ambienti fisici attraversati?

Esplorare le connessioni che si instaurano tra noi e gli spazi, tra sé stessi e il gruppo in cammino. Come decifrare il contesto per prendere delle decisioni? Quali opportunità d’apprendimento offre il contesto naturale?

Con “pillole” d’arrampicata facile itinerante, utile a gestire il superamento di tratti esposti, governare la paura, accedere a tecniche e strumenti (1 cordino) votati al minimalismo ma che possono trarci d’impaccio.

Focus: outdoor, mondo dell’educazione, manageriale. Di seguito: note visuali, appunti di viaggio.

Nota
(1) Aldo Leopold: guardaboschi, ecologo, filosofo e ambientalista, nato nello Iowa nel 1887, praticante di una “wilderness” che divenne filosofia del mondo, divulgatore dell’etica della Terra. Leopold ci spiega che l’equilibrio tra natura e l’umanità risiede nella conservazione, non nello sfruttamento insensato delle risorse. Scomparve nel 1948, nel tentativo di spegnere un incendio boschivo.

Bibliografia
Camanni, Enrico (2002), La nuova vita nelle Alpi, Bollati Boringhieri, Torino;
Guerra, Monica (2015) (a cura di), Fuori, suggestioni nell’incontro tra educazione e natura, Franco Angeli, Milano;
Guerra, Monica (2019), Le più piccole cose, FrancoAngeli, Milano;
LaChapelle, Dolores (2000), Polvere profonda, Edizioni White Planet, Livigno;
Leopold, Aldo (1997), Almanacco di un mondo semplice, red edizioni, Como;
Leopold, Aldo (2019), Pensare come una montagna, Piano B edizioni, Bologna.

(continua)

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Questa è l’Outdoor Education – 1 ultima modifica: 2023-01-25T05:33:00+01:00 da GognaBlog

7 pensieri su “Questa è l’Outdoor Education – 1”

  1. 7
    alessandro gentilini says:

    ///commento per preiscrizione al Blog per motivi tecnici

  2. 6
    lorenzo merlo says:

    Marcello, cosa non torna?

  3. 5
    Vittorio Lega says:

    La curva esperienza-conoscenza è geniale: in ogni ambito dell’esperienza, non solo più sei esperto e più sai di non sapere ( e qui siamo a Socrate); ma neppure ne sapremo mai tanto quanto ne “dovremmo” sapere. Vale a dire, la scoperta della precarietà come valore fondante della vita e dell’alpinismo, e non come fastidiosa e tecnicamente superabile insufficienza.

  4. 4

    Commenti e articolo fatti a misura uno dell’altro. 
    Inquietante come Google…
     
     

  5. 3
    Alessandro Reati says:

    Grazie per il contributo.
    Sempre intenso il momento in cui qualcuno ci dona il ricordo di essere parte di una comunità vivente e non passivi fruitori di un luna park.

  6. 2
    Alex says:

    Bisognerebbe farla diventare materia scolastica!
    GRAZIE 
     
     

  7. 1
    lorenzo merlo says:

    Portare l’attenzione su aspetti dimenticati, nascosti sotto strati di dati e saperi, è un gioiello culturale.
    Dedicato a chi, distratto da questa cultura prestazionalista, consumista, positivista, non ha ancora avuto modo di scoprire che la ricerca interiore, su quanto sentiamo, crediamo e pensiamo e sui sentimenti ed emozioni che ci attraversano, è la sola via per scoprire la nostra autenticità, la nostra misura e perciò la miglior via per riconoscere come ridurre al minimo il rischio d’inconveniente e anche per prendere coscienza quale distrazione ci ha fatto compiere le scelte poi rivelatisi sconvenienti.
    Averi e saperi non bastano. E neppure tecniche e manovre. Quando saremo a noi stessi a dirlo tutto sarà chiaro.
    Capire non basta. Ricreare è necessario.
    Avercene.

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